DI ANES ALIC
ISN Security Watch

Con l’indipendenza del Kosovo, imposta dall’ONU probabilmente per la fine dell’anno, gli osservatori temono lo scatenamento della violenza etnica, ma qualcuno afferma che la violenza viene assicurata anche con il perpetuarsi dello status quo.

La NATO ha accresciuto la sua presenza nella provincia Serba del Kosovo, sotto amministrazione ONU, a fronte di una rinnovata violenza etnica, nel momento in cui la comunità internazionale prepara la fine dello status del Kosovo come provincia della Serbia.

Nell’ultima settimana, i sei membri del Gruppo di Contatto - Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Francia, Italia, e la Germania – che hanno sovrinteso la diplomazia nei Balcani nel passato decennio, hanno autorizzato il mediatore capo ONU Martti Ahtisaari di proporre una soluzione per lo status finale del Kosovo e di acquisire la risoluzione della questione per la fine di quest’anno.

Il 20 settembre 2006, il Gruppo di Contatto ha autorizzato Ahtisaari ad assumere una decisione, anche in assenza del consenso della Serbia o degli Albanesi Kosovari, e d’altro canto non verrà permesso alcun blocco della messa in attuazione delle decisioni.

La soluzione finale, che più diffusamente viene prevista, conduce all’indipendenza, per imposizione dell’ONU e sotto la supervisione costante dell’Unione Europea e della NATO.

I governi Occidentali hanno respinto gli appelli della Russia e della Serbia di rallentare il processo, in modo da consentire più tempo per i colloqui fra le due parti interessate.

Inaspettatamente, almeno per Belgrado, la Russia, l’alleato politico di sempre della Serbia, ha dato il suo appoggio ad ogni dettaglio del documento del Gruppo di Contatto. Le autorità Serbe si aspettavano che la Russia usasse il suo potere di veto. Alcuni osservatori pensano che la Russia non abbia esercitato il suo diritto di veto in parte a causa del fatto che l’indipendenza del Kosovo potrebbe fornire argomenti per l’indipendenza delle repubbliche secessioniste della Georgia appoggiate dalla Russia e per la separazione dalla Moldavia della regione della Transdneistria.

“I Ministri hanno riaffermato il loro impegno che tutti gli sforzi possibili verranno fatti nel corso del 2006 per acquisire un accordo negoziato,” così recita la risoluzione del Gruppo di Contatto.

Il Gruppo raccomanda a Ahtisaari di redigere una proposta di accordo sullo status per una sua presa in esame entro quattro, fino a sei, settimane.

In precedenti dichiarazioni, Ahtisaari aveva affermato che una soluzione negoziata rimaneva la speranza di tutti, e che lo status quo era privo di stabilità e che non si poteva continuare così all’infinito. Inoltre, Ahtisaari ribadiva che, visto che non era stato posto un termine ultimo, la sua intenzione era di portare avanti il processo più rapidamente possibile. Comunque, il governo Serbo aveva invitato Ahtisaari a farsi da parte, accusandolo di stare dalla parte dei Kosovari Albanesi rispetto a questa delicata questione. “Per Ahtisaari sarebbe più onesto rassegnare le dimissioni invece di dimostrarsi apertamente, davanti al mondo intero, dalla parte dei separatisti Albanesi.”, questo ha dichiarato a Belgrado in una conferenza stampa del 22 settembre il portavoce del governo Serbo Srdjan Djuric, ribadendo che la Serbia avrebbe respinto tutte le soluzioni che implicavano una modifica dei suoi confini.

Il Kosovo è stato sotto amministrazione ONU dal 1999, in seguito alla campagna di bombardamenti NATO che vi ha scacciato le forze Serbe accusate di pulizia etnica.

Recenti colloqui fra i Serbi, che esigono che il Kosovo rimanga parte della Serbia, e la maggioranza Albanese, che vuole null’altro che l’indipendenza, sono falliti senza produrre passi significativi.

Le nazioni Occidentali tendono a considerare le autorità Serbe come ostruzioniste.

Quando i colloqui avevano avuto inizio a febbraio 2006, la comunità internazionale aveva detto chiaramente che se le due parti mancavano il raggiungimento di un compromesso, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU avrebbe preso la materia nelle sue mani.

L’ultima dichiarazione del Gruppo di Contatto non ha ingenerato sorpresa, arrivando immediatamente dopo un recente rapporto del delegato di Ahtisaari, Albert Rohan, che descriveva le possibilità di progressi ulteriori nei negoziati come “sempre più scarse”.

Sette cicli di colloqui a Vienna patrocinati dall’ONU hanno prodotto deboli risultati, e, dopo mesi di negoziati, le delegazioni della Serbia e dei Kosovari non si sono scostate dalle loro originali posizioni.

Finora, i negoziati si sono incentrati su questioni minori, come la creazione di più municipalità per la minoranza Serba e lo spostamento di poteri dal governo centrale alle autorità municipali.

Malgrado la considerazione che la parte Serba sia ostruzionista, la comunità internazionale ha mosso critiche anche alla parte Kosovaro Albanese per non aver fornito sufficienti assicurazioni di maggiori diritti alla minoranza Serba e per non avere favorito la creazione di una società sinceramente multi-etnica.

La minoranza Serba vive in aree separate sorvegliate dai “peacekeepers”, i protettori di pace, della NATO. Funzionari Serbi stimano che quasi 200.000 Serbi hanno dovuto abbandonare le loro case nel corso degli ultimi sette anni e si sono stabiliti proprio in Serbia.

Le autorità dell’etnia Albanese hanno elogiato la decisione del Gruppo di Contatto di porre termine allo status di provincia del Kosovo per la fine di quest’anno, e si sono impegnate ad acquisire gli standards di una società democratica, assicurando la multi-etnicità e la protezione delle minoranze.

Pur tuttavia, non ci si può aspettare il risultato di vedere un’armoniosa applicazione di questi propositi!

Il Presidente della Serbia Boris Tadic, un politico moderato, ha affermato che ogni decisione imposta riguardante il Kosovo potrebbe scatenare un conflitto etnico con conseguenze disastrose.

Tadic ha confermato che una separazione imposta potrebbe portare al potere in Serbia i partiti ultra-nazionalisti, con le elezioni indette per il prossimo anno. Inoltre, il presidente della Serbia ha insistito nel dire che una soluzione per il Kosovo imposta dall’ONU porterebbe a destabilizzare alcuni paesi dell’area Balcanica, con il risultato che verosimilmente verrebbe ostacolato il loro cammino verso il congiungimento al consesso dei membri dell’Unione Europea.

A New York, il Ministro degli Esteri dell’Ucraina, Borys Tarasyuk, ha manifestato all’Assemblea Generale dell’ONU che il conferimento dell’indipendenza al Kosovo produrrebbe una reazione a catena dal Mar Nero fino al Caucaso.

Il Ministro degli Esteri della Serbia, Vuk Draskovic ha dichiarato al quotidiano Kosovaro “Epoka e Re” che l’indipendenza della provincia avrebbe scatenato turbative non solo in Kosovo, ma anche nella vicina Bosnia - Erzegovina, nel Montenegro e in Macedonia.

Il 25 settembre, Draskovic affermava: “[…]Nei Balcani non si è mai avuta una variazione di confini attraverso un accordo. I confini sono sempre stati cambiati attraverso guerre, ed imporre l’indipendenza del Kosovo naturalmente causerebbe una conflittualità di questa natura.”

Ma Ahtisaari non è d’accordo!

In una conferenza stampa, seguita all’incontro del Gruppo di Contatto del 20 settembre, così si è pronunciato: “Nel mondo le crisi hanno cause differenti, e allora si rende necessario trovare specifiche soluzioni per ognuna di esse.”

Tuttavia, altri contano di prendere vantaggio dall’indipendenza del Kosovo, che appare essere incombente. I leaders Serbi del governo della Repubblica Srpska di Bosnia, nella loro campagna per le elezioni generali in Bosnia organizzate per l’1 ottobre, hanno indicato che, se il Kosovo fosse dichiarato indipendente, questo fornirebbe legittimazione al loro stesso diritto di secessione dalla Bosnia. La comunità internazionale ha categoricamente respinto una simile idea.

Ritornando al Kosovo, la parte settentrionale della provincia a prevalenza Serba ha minacciato la secessione e di spaccare in due la provincia, se da parte dell’ONU venisse garantita al Kosovo l’indipendenza.

Per tutto questo, la maggioranza di etnia Albanese è sotto l’intensa pressione Occidentale perché siano fatti progressi nell’assicurare i diritti e la sicurezza dei rimanenti 100.000 Serbi, che vivono isolati e protetti dai “peacekeepers” internazionali, in modo da rimuovere ogni giustificazione di una qualche loro dichiarazione di secessione.

James Lyon, il direttore del comitato di esperti del Gruppo di Crisi Internazionale (ICG) con sede a Brussels per il “progetto Serbia”, ha riferito a ISN Security Watch, all’inizio di quest’anno, che l’indipendenza era l’unica soluzione “praticabile” per il Kosovo e che questo non necessariamente avrebbe procurato instabilità nella regione. Queste le sue parole: “Malgrado il forte desiderio di qualcuno degli ambienti di Belgrado di portare avanti l’idea che l’indipendenza del Kosovo avrebbe l’effetto di una reazione a catena in altre aree dei Balcani, non riusciamo a scorgere una tale potenzialità. Comunque, i Balcani hanno subito delle modificazioni negli ultimi cinque anni e le minacce alla sicurezza e alla stabilità della regione non sono avvenute più di tanto. La cosa da sottolineare in primis è che l’effetto domino non è necessariamente un argomento genuino.”

Lyon riteneva che non vi fosse “ alcun diretto parallelismo fra il Kosovo e le zone della Bosnia non abitate dai Serbi” e che “la Repubblica Srpska si era costituita sul genocidio e la pulizia etnica.”

Inoltre affermava che la situazione della Macedonia era molto differente da quella del 2001, quando era scoppiato il conflitto fra le forze di sicurezza Macedoni e l’etnia Albanese. “ Il paese sembra aver risolto le sue differenze interne […].”

Però, le autorità Serbe, ancora barcollanti per il colpo ricevuto dalla perdita del Montenegro, che aveva votato per l’indipendenza nel referendum di maggio e poco dopo aveva rotto la sua unione statuale con la Serbia, hanno assicurato che non permetteranno di vedersi scivolare dalle mani il Kosovo.

Il governo Serbo, guidato dal Primo Ministro nazionalista Vojislav Kostunica, ha previsto di includere un preambolo nella nuova Costituzione della Serbia che descrive il Kosovo come “parte integrante” della nazione.

(N.d.tr.: il 30 ottobre 2006 sono stati resi pubblici i dati relativi al referendum confermativo della nuova Carta Costituzionale della Serbia, dove il Kosovo viene definito parte integrante della Serbia: votanti il 54,19% degli aventi diritto, voti di assenso 52,31%. Il premier di Belgrado, Vojislav Kostunica, dai microfoni di una tv russa ha lanciato il monito: “Informo i sostenitori della causa indipendentista del Kosovo che qualsiasi eventuale riconoscimento di Pristina non sarà privo di conseguenze nei rapporti con la Serbia.”)

Addirittura, il leader del partito radicale Serbo,Tomislav Nikolic, ha esortato l’esercito a stare in assoluto allarme per un possibile conflitto armato, quantunque il governo e la comunità internazionale abbiano respinto questo appello lanciato da Nikolic durante una parata militare del fine settimana.

Sebbene siano in pochi a pensare che in Kosovo possa scoppiare un altro conflitto armato, gli osservatori vedono buone possibilità di aumento della violenza etnica.

Dal 1999, sono state riportate cronache di incidenti dovuti a violenza etnica settimanalmente, se non quotidianamente; molti di questi implicavano attacchi etnici degli Albanesi contro le enclaves della minoranza Serba.

Nel marzo 1994, 19 persone Serbe sono state uccise e quasi 4.000 Serbi sono stati scacciati durante tumulti, che hanno visto danneggiate centinaia di abitazioni e chiese e monasteri Ortodossi.

Di fronte a tutto questo, e con la variazione di status della provincia proprio dietro l’angolo, la forza di peacekeeping della Nato costituita da 16.000 uomini ha aumentato le sue pattuglie nella parte recalcitrante del nord della provincia, dove vive la maggioranza dei Serbi del Kosovo, in seguito ad una serie di incidenti avvenuti nella settimana scorsa. Durante l’ultima settimana, vi sono stati quattro attentati terroristici, uno dei quali ha colpito quattro Serbi nella parte occidentale della città di Gnjilane, dove Albanesi e Serbi convivono.

Altre tre bombe sono state posizionate sotto automobili parcheggiate, una del Ministro dell’Interno del Kosovo, Fatmir Rexhepi. In questi incidenti non ci sono stati feriti. Non è chiaro se questi attentati siano relativi alle tensioni etniche o costituiscano rese dei conti fra organizzazioni rivali politiche o criminali.

Il Primo Ministro del Kosovo, Agim Ceku, ha dichiarato in un’intervista a “The Associated Press”, che accusava i nazionalisti Serbi di usare una “propaganda primitiva” per scatenare tensioni etniche in modo da far deragliare la soluzione dell’ONU per il Kosovo.

All’avvicinarsi della soluzione finale per lo status del Kosovo, le autorità internazionali temono che le tensioni fra le comunità Kosovare possano aumentare.

In ogni caso, ci si aspetta uno scatenarsi della violenza. Se si decide per l’indipendenza, vi è la preoccupazione che alcuni tipi di forze paramilitari Serbe possano intervenire con la scusa di proteggere la minoranza Serba. D’altro canto, se viene rigettata l’indipendenza e si consente allo status quo di persistere, gli Albanesi Kosovari potranno intensificare gli attacchi contro i Serbi.

Le autorità internazionali, attraverso il nuovo comandante della Nato in Kosovo, il Generale tedesco Roland Kasher, hanno sottolineato di essere determinate ad ostacolare ogni minaccia alla sicurezza, affermando che la forza di peacekeeping è del tutto preparata a superare ogni ostacolo alla stabilità.

Così si è espresso Kasher in un documento: “Chiunque pensi che non vi sarà uno sviluppo di pace della situazione duranti i prossimi colloqui per risolvere lo status del Kosovo, io lo informo che non verrà tollerata violenza da qualsiasi parte provenga.”

Inoltre ha affermato che la situazione della sicurezza in Kosovo e lungo i confini con la Serbia rimane buona. Durante la vista in Kosovo alla fine della settimana, il comandante delle Forze dell’Unione Europea (EUFOR), Generale Reiner Scuwirth, ha fornito istruzioni alle truppe di stare pronte a confrontarsi con qualsiasi formazione che tenti di fomentare disordini e insicurezza.

Ma molti osservatori convengono che la violenza probabilmente si scatenerà, qualsiasi siano le condizioni – che si mantenga lo status quo o che venga dichiarata l’indipendenza.

James Lyon, il direttore del comitato di esperti del Gruppo di Crisi Internazionale (ICG) si è pronunciato in questo modo: “Lo status corrente del Kosovo è così intrattabile ed inadatto a creare una stabile situazione economica, sociale e politica che bisogna trovare un nuovo status. Di tutte le opzioni ipotizzabili, l’indipendenza è quella maggiormente praticabile.”

Anes Alic è corrispondente senior di ISN Security Watch ed analista per l’Europa Sud-Est

Anes Alic
Fonte: http://www.globalresearch.ca