F.Baracca allievo ufficiale
Francesco Baracca nacque a Lugo il 9 maggio 1888 in una ricca famiglia, figlio di Enrico, un proprietario terriero ed un uomo d'affari, e della contessa Paolina de Biancoli. Dopo gli studi nella sua città natale ed in Firenze, scelse la vita militare ed entrò all'Accademia di Modena. Uscitone con i gradi di sototenente, nel 1910 venne assegnato al prestigioso reggimento di cavalleria "Piemonte Reale", allora di stanza a Roma. Nella capitale ebbe modo di farsi apprezzare quale cavaliere in diverse competizioni ippiche. Nel 1912 si offrì volontario in aviazione, la nuova arma messa in luce dal conflitto italoturco, e venne inviato a seguire un corso di pilotaggio in Francia, a Bétheny, nei pressi di Reims, al termine del quale ricevette il Brevetto numero 1037.
F.Baracca allievo pilota in Francia
Dopo il suo ritorno nella penisola, presto ebbe modo di guadagnarsi una eccellente reputazione quale pilota. Quando l'Italia dichiarò guerra all'Austria, tornò in Francia ad addestrarsi sui nuovi caccia Nieuport. Di nuovo nel nostro paese, compì la sua prima missione di guerra il 25 agosto 1915, ma in quei giorni le occasioni di scontro con i velivoli nemici erano rare e quando accadeva, sovente la mitragliatrice si inceppava. Infine, il 7 aprile 1916 il cacciatore di Lugo riuscì ad abbattere un Brandenburg austriaco, facendone anche prigioniero l'equipaggio. La sua prima vittoria ufficialmente confermata fu anche la prima in assoluto dell'aviazione italiana. In quell'occasione Baracca incontrò uno dei due aviatori nemici prigionieri e stringendogli la mano ebbe parole di conforto per lui. Baracca ebbe sempre un cavalleresco rispetto per l'avversario sconfitto, portandogli anche piccoli doni se prigioniero o ponendo una corona di fiori sulla tomba nel caso peggiore.
Presto seguirono altre vittorie e il nome di Baracca fu reso popolare in Italia dai giornali che ne descrivevano le imprese. Nella primavera 1917 attorno a lui vennero radunati i migliori piloti da caccia per formare una unita d'elite, la 91ª Squadriglia, che presto venne chiamata "La Squadriglia degli Assi". Con Baracca erano aviatori del calibro di Piccio, Ranza e Ruffo di Calabria, tanto per citarne alcuni. E' possibile che proprio in questo periodo l'asso scegliesse quale suo emblema il Cavallino Rampante nero, in onore del "Piemonte Reale", che ne aveva, e ne ha tuttora, uno argento in campo rosso sul suo stemma.
Dopo la ritirata di Caporetto (oggi Kobarid, in Slovenia), Baracca ed i suoi compagni combatterono sulla nuova linea di difesa italiana lungo il Piave. Quando gli austriaci lanciarono la loro ultima offensiva tentando di forzare il fiume, l'aviatore di Lugo fu in prima linea assieme ai suoi fin dal primo giorno, dando un contributo decisivo alla sconfitta delle forze aeree nemiche, vera chiave del successo italiano.

F.Baracca davanti al suo Spad. Notare l'emblema del cavallino rampante.

Conquistato il dominio del cielo, le unità da caccia italiane vennero impiegate in pericolose missioni di attacco al suolo sulle trincee avversarie. In una di queste, la sera del 19 giugno 1918, Baracca fu visto precipitare in fiamme sul Montello. L'equipaggio di un biposto austriaco sostenne di averlo abbattuto, mentre gli italiani reputarono che fosse caduto vittima di un colpo sparato da terra da un ignoto fante.

I funerali di F.Baracca, la partecipazione della folla

A quasi cento anni dalla sua morte, le circostanze della fine del miglior pilota da caccia italiano del primo conflitto mondiale sono ancora incerte.
Se il nome di molti combattenti è oggi dimenticato, quello di Baracca è ancora molto noto in Italia ed all'estero. La sua insegna ancora scalpita sulle derive degli F-16 del X Gruppo Caccia dell'Aeronautica Militare e corre sulle vetture di Maranello.

Il grande asso a bordo del suo Spad



DISCORSO FUNEBRE
DI
GABRIELE D'ANNUNZIO
PRONUNCIATO A QUINTO DI TREVISO
IL 26 GIUGNO 1918
Al glorioso comune di Lugo accresciuto di tanta gloria devotamente offre Gabriele d D'Annunzio
" Absorpta est mors in victoria ."
Sul feretro di Francesco Baracca.
"Miei compagni! Aviatori! Alte parole furono dette. Il cordoglio ebbe la voce grave del Principe e dei
nostri Capi. Ma, come avete udito dalla fierezza del primo cittadino di Lugo e appreso dal coraggioso
lutto dei consanguinei, non vuol pianto né rimpianto questo celere uccisore e distruttore che fu tra i più
maschi generati dalla matrice ferrigna dove si stampa il meglio della gente di Romagna. Non vuol
essere piamente lacrimato ma vendicato potentemente.
Per noi era tutto un'ala di guerra, cuore e motore, tendini e tiranti, ossa e centine, sangue ed essenza,
animo e fuoco, tutto una volontà di battaglia, uomo e congegno. L'ala s'è rotta e arsa, il corpo s'è rotto e
arso. Ma chi oggi è più alato di lui? Ditemelo. Chi oggi è più alato e più alto di lui? Ditemelo.
Non era se non un punto nel cielo immenso, non era se non una vibrazione invisibile nell'azzurro
infinito. Ed ora è per noi tutto il cielo, è per noi tutto l'azzurro. Il suo spirito è un demone di vittoria. S'è
sprigionato dalla carne e dal legno, dalla tela e dalla pelle, dallo scheletro e dall'acciaio. La sua volontà
di vincere, che era d'uomo contro uomo, per infondersi in tutti gli uomini combattenti della sua razza, ha
preso a propagatrice la morte.
Cosí, incorporeo, nell'ora santa in cui le sorti erano per volgersi, egli volò su la fronte di tutte le nostre
armate, traversò l'intera battaglia, profondo come il brivido e splendido come la folgore.
Aveva vinto trentaquattro avversari; ed ecco vinceva gli eserciti! La sua gloria non era più un numero;
era un'ala innumerevole e unanime sopra l'Italia trionfante.
E c'è chi si rammarica che a lui, prima di cadere, sia mancata la gioia della grande novella? Era egli
stesso il messaggero della novella, ai vivi e ai morti. La sua bocca taceva piena di sangue nero, tra sassi e
sterpi? Ma il suo grido slargava la bocca di tutti i combattenti.
In ciascuno di noi egli ha combattuto con tutte le sue forze moltiplicate di là dell'umano. Per mirar
giusto, abbiamo avuto il suo occhio infallibile nel nostro occhio, il suo pugno fermo nel nostro pugno.
L'altra sera, la sera del solstizio che è per noi italiani una sorta di festa solare e segna questa volta il
culmine della luce di Roma, quando ci fu annunziata la trasfigurazione e l'ascensione di Francesco
Baracca il Vittorioso, là, in un campo litoraneo, mentre i nostri uomini caricavano di bombe i nostri
apparecchi, io dissi ai miei compagni che bene gli antichi nostri celebravano i funerali degli eroi con
giochi funebri. E, per celebrare l'eroe nostro col solo rito degno di lui, io li condussi a un funebre giuoco
di guerra. Ritornammo e partimmo di nuovo, e ancora ritornammo e ripartimmo, finché la notte non fu
consunta.
Egli era in noi, egli combatteva in noi, egli perseverava in noi, su quel fiume di nostra vita,
lampeggiante come una riviera celeste.
Oggi, domani, sempre, com'è con noi, sarà in noi, combatterà in noi, in noi resisterà, come dice la nostra
preghiera, "non fino all'ultima goccia del nostro sangue, ma fino all'ultimo granello della nostra cenere
."
O compagni, oggi per lui la nostra anima è colma di bellezza come il nostro cielo è pieno di presagi.
Perché da una fredda spoglia chiusa fra quattro tavole d'abete, piú stretta che fra gli ordegni della
fusoliera, sorge una potenza di creazione che supera ogni verbo? Nessun cantico di grazie, nessuna ode
trionfale, nessuna musica solenne eguaglia in sublimità tanto silenzio.
" Di morte in morte, di mèta in mèta, di vittoria in vittoria ". Cosí comincia il suo inno senza lira, così
principia il salmo di questo re.
Dinanzi a questo re immortale, per rispondere alla sua umana e sovrumana speranza, noi vogliamo
salutare, sia noto o sia ignoto, il giovine successore della sua regalità".
26 giugno 1918


Il trasporto della salma dell'Asso italiano caduto in combattimento


LETTERA DEL DUCA D’AOSTA A F. BARACCA
Caro Maggiore,
A Lei, primo pilota aereo d’Italia, nell’ora in cui le Sue magnifiche virtù ricevono il più
grande riconoscimento, il più ambito premio, la più solenne consacrazione, sono
veramente lieto di inviare il mio saluto di Comandante.
Gli aspri combattimenti, gli ardimenti mortali, i pericoli diuturni, devono esserLe ben
cari oggi nella memoria per l’eccelsa ricompensa che li onora additandola
all’ammirazione e alla riconoscenza della Patria. E poiché essa sarà lo stimo a nuove
prove e maggiori cimenti, in questi l’accompagni sempre il fervido augurio di fortuna del
comandante di quella 3° Armata, che sull’Isonzo e sul Piave ha avuto in Lei una delle più
gloriose avanguardie dell’aria!
Cordialmente Suo
EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA


Sacello dedicato a Francesco Baracca