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  1. #1
    capaneo
    Ospite

    Predefinito Sulla morte di Che Guevara

    Documenti inediti
    «La Cia non voleva la morte di Che Guevara»
    L'esecuzione fu decisa dai boliviani


    Documenti declassificati negli Stati Uniti rivelano che la Cia voleva assolutamente evitare che l'avventura insurrezionale di Ernesto «Che» Guevara in Bolivia si chiudesse con la sua morte. Washington aveva chiesto con energia al governo di La Paz che si facesse in modo di mantenere il rivoluzionario in vita «a qualunque costo» per evitare che della sua morte fosse accusata proprio l'amministrazione americana. Il suggerimento non venne accolto e nell'ottobre del 1967 il «Che» venne ucciso dopo la cattura nella selva boliviana. La vicenda è ora ripercorsa in un libro.
    «Americani assassini», «il Che ucciso dalla Cia». Sono questi gli slogan dei cortei che percorrono le strade di tutto il mondo all'indomani della morte di Guevara. Cori alternati ad altri cori che ripetono il suo celebre motto, «Crear dos, tres, muchos Vietnam es la consigna». E quell'ordine dilaga davvero, nelle capitali della protesta, con milioni di giovani che si mobilitano ispirandosi al nuovo comandamento: «Siamo tutti vietcong». Paradossalmente nasce proprio allora un mito che evoca il fallimento di un'utopia. In poco tempo si spegne il «foco» guerrigliero teorizzato dall'apostolo della rivoluzione che vorrebbe conquistare al comunismo la Bolivia del dittatore Barrientos, scelta come teatro di una missione da espandere nell'intera America Latina. Ciò che era riuscito a Cuba nel 1959, nella foresta andina si rivela impossibile: il diario di Guevara, pubblicato postumo da Fidel, libro-cult per più generazioni, è infatti il racconto puntuale e amaro di una sconfitta politica e militare. Quando il 9 ottobre 1967, dopo undici mesi di attacchi, imboscate e inseguimenti, il commando viene localizzato a La Higuera e il Che ferito e ammazzato qualche ora più tardi in una scuola, un passaparola planetario diffonde l'equazione boliviani/yankee, Barrientos/Johnson. Certo: manca la pistola fumante, la prova provata. Ma si dà per scontato che la «condanna» sia stata decisa a Washington, per eliminare il pericolo di un contagio anti-imperialista nel «cortile di casa» del subcontinente. Un'interpretazione che passa dai cortei alla pubblicistica alla storiografia, che via via si consolida fino a diventare una verità acquisita. Oggi, a quasi quarant'anni di distanza e dopo infiniti memoriali, interviste, scoop autentici e fasulli, si scopre che gli Usa furono colti di sorpresa da quell'esecuzione. Non avevano avuto alcuna informazione preventiva sulla cattura del Che né avevano dato un via libera per «terminarlo». Anzi, pochi mesi prima, mentre intorno a lui cominciava a chiudersi il cerchio, avevano diramato a un emissario di La Paz un perentorio «suggerimento»: «Do everything possible to keep him alive». Fare, dunque, qualsiasi cosa per tenerlo in vita. Perché, come scriverà poi il consigliere speciale per la sicurezza nazionale, Walter Rostow, al presidente Lyndon B. Johnson, «la morte di Guevara è stata una mossa stupida, sebbene comprensibile dal punto di vista boliviano». E mentre si fanno sparire i corpi del comandante e dei suoi compagni «per evitare la nascita di un "santuario" della guerriglia», un rapporto del Dipartimento di Stato dimostra l'allarme dei responsabili della politica estera Usa: «La colpa della morte del Che sarà gettata sui soliti malvagi (l'imperialismo statunitense, i Berretti Verdi e la Cia), con un riferimento di passaggio ai "lacchè" boliviani...». Previsione facile, il duro prezzo d'immagine, come certifica poco dopo un altro messaggio al Dipartimento di Stato: «La stampa di sinistra latino-americana ha iniziato la canonizzazione di Guevara, paragonato ora a Bolivar, El Cid, Spartaco...».

    Insomma: contrariamente alla vulgata che si è via via imposta e che rare indiscrezioni di segno opposto non hanno mai davvero intaccato, la morte del rivoluzionario destinato a divenire un'icona romantica (e perfino pacifista) non è il frutto di un'operazione di polizia coordinata da Langley. Lo rivela il saggio Che Guevara Top Secret (Bompiani editore, pagine 156, euro 7.50) curato da Vincenzo Vasile, scrittore e inviato dell'Unità, e dal ricercatore Mario J. Cereghino, che hanno avuto accesso a documenti «declassificati» dal Congresso e dalla presidenza Clinton. Un'antologia di report, corrispondenze, dispacci riservati che formano un «controdiario americano» della tragica avventura armata e che aprono squarci inediti anche sui rapporti tra Usa e governo fantoccio locale. Carte opportunamente incrociate, in modo da formare un continuum narrativo, con i resoconti che il numero due di Castro annotava tra una pausa e l'altra della spedizione. Offrendo una lettura parallela di quell'esperienza di guerra non ortodossa conclusa nel sangue. Il dossier fa cadere anzitutto il mito dell'efficienza dei servizi di sicurezza americani e consente di retrodatare di parecchi anni le clamorose insufficienze emerse l'11 settembre 2001. Per l'intelligence Usa il fenomeno Guevara resta a lungo avvolto nelle nebbie di pregiudizi, disinformazione e depistaggi. Un esempio: nel 1965, dopo che il «pericoloso sovversivo» è sparito da L'Avana, la Cia lo segnala contemporaneamente in vari Paesi (dalla Colombia al Nicaragua, dal Perù all'Algeria, dalla Russia al Vietnam) mentre invece, al termine di un'abortita missione in Congo, lavora già al progetto boliviano. Quando nel marzo 1967 il governo di La Paz lancia ripetuti avvertimenti sulla presenza degli insorti castrocomunisti, Washington giudica quegli allarmi dei pretesti, una «lista di Babbo Natale» per ottenere finanziamenti. Che nega in quanto «non sono state prodotte prove evidenti di tale minaccia».
    Douglas Henderson, democratico kennediano con l'incarico di ambasciatore a La Paz, relaziona Washington derubricando la «minaccia» della guerriglia a un banale «disturbo». Ed è a sua volta escluso da informazioni essenziali per inquadrare il problema. Incalzati dalle richieste di danaro, gli Usa non vanno oltre l'offerta di assistenza: un team di istruttori al comando del maggiore Ralph «Pappy» Shelton addestrerà a Santa Cruz 1500 ranger locali. Intanto il presidente Barrientos passa i suoi guai, che agitano gli americani più del Che: i militari si preparano a un golpe per spostare il governo ancora più a destra. E ci si mette di mezzo anche il dittatore argentino Ongania, che rifornisce di napalm i boliviani per bombardare l'area della guerriglia. Si materializza l'incubo di un'internazionalizzazione del conflitto che, come confida lo stesso Guevara, «potrebbe essere il primo episodio di un nuovo Vietnam». Poi, di colpo tutto precipita. La corrispondenza di diplomatici e spie si intensifica, registrando le prime sconfitte del Che, la cattura di alcuni ribelli che hanno combattuto al suo fianco come Regis Debray e Ciro Bustos, il mancato reclutamento dei campesinos alla causa rivoluzionaria. Tra settembre e ottobre '67 la colonna dei sovversivi è accerchiata e Guevara preso. «Valgo più da vivo che da morto», pare che dica ai soldati che lo guardano a vista. Felix Rodriguez, l'agente Cia sul campo, dopo averlo inutilmente interrogato, tenta di convincere i carcerieri a non ucciderlo perché sa che i capi dei servizi Usa vorrebbero trasportare il «comandante» a Panama, in segreto. Ma il tempo è ormai scaduto. Il presidente Barrientos e il generale Ovando hanno troppe ragioni per temere gli effetti di un «processo internazionale» al guerrigliero sconfitto. E, via radio, ordinano al colonnello Zentero che sia tolto di mezzo. Nei giorni successivi, dopo aver fatto le pulci ai verbali dell'esecuzione e ai risultati dell'autopsia (compreso un controllo sulle impronte digitali ricavate dalle mani amputate al cadavere), in un rapporto confidenziale l'ambasciatore Henderson commenta: «Troppe bugie». A Washington si preoccupano e raccomandano a tutti i diplomatici di non mostrare «alcuna euforia». A tirare un sospiro di sollievo saranno solo i boliviani e i sovietici, che avevano bollato l'esperienza di Guevara come «avventurismo bakuniniano».
    Marzio Breda
    12 novembre 2006

  2. #2
    Hanno assassinato Calipari
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    Scusa, della semplice domanda, ma perche' la Cia richiese le mani tagliate del Che per controllarne le impronte digitali ed esser sicuri della sua morte?

    No, tanto per dire, eh...

    Poi comico che sia la Bolivia a temere un processo internazionale al Che

  3. #3
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    IL Che era un porco

  4. #4
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    thejesuswebconcept.splinder.com, l'unico blog in cui si può dir male della gente e allo stesso tempo ascoltare musica noise.
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    Citazione Originariamente Scritto da italiano9 Visualizza Messaggio
    IL Che era un porco
    Mi sa che ti confondi con un cartone di Miyazaki... il Che non ha mai subito nessuna trasformazione!

  5. #5
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    -L'Italia non è un paese povero è un povero paese(C.de Gaulle)
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    Citazione Originariamente Scritto da italiano9 Visualizza Messaggio
    IL Che era un porco
    e si vede ke hai frequentato lo stesso porcile.
    Addio Tomàs
    siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i 5 stelle

  6. #6
    Guardia Rossa
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    Citazione Originariamente Scritto da italiano9 Visualizza Messaggio
    IL Che era un porco
    no tu sei un porco...

  7. #7
    Agnosticamente LAICO e di CDx
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    forse vivo meglio con una vaga idea che con una idea più precisa a giudicare dal fatto che chi vive senza idee pare stia meglio di me a salute mentale.
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    che sia stato un porco o no, l'importante è che sia sotto terra.

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Leader Maximo Visualizza Messaggio
    no tu sei un porco...
    Guarda che fu Castro a dargli il benservito e a farlo ammazzare,quindi non sei coerente.

  9. #9
    Forumista esperto
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    Citazione Originariamente Scritto da italiano9 Visualizza Messaggio
    IL Che era un porco
    Tu invece sei un imbecille...

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da beppe2 Visualizza Messaggio
    Tu invece sei un imbecille...
    Grazie,compagno

 

 
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