Originariamente Scritto da
estewald
Gli strani alleati dei conservatori
I partiti, l'esecutivo e le liberalizzazioni
di
Mario Monti
Quando Francesco Rutelli ha consegnato a Romano Prodi il suo progetto sulle liberalizzazioni, pubblicato ieri dal Corriere, immagino che il presidente del Consiglio gliel'abbia strappato di mano. Primo, per non perdere neanche un minuto nel varo di un programma volto a «porre al centro il cittadino-consumatore», a passare «dall'economia corporativa all'economia competitiva». Secondo, perché il progetto, decisivo per il futuro del Paese e riguardante diverse competenze, deve essere guidato personalmente dal primo ministro o, come nella felice esperienza dell'Irlanda, da un vicepremier con specifica delega e i necessari poteri. L'impostazione proposta è organica e tutt'altro che «selvaggia». È organica, perché non è una lista suggestiva di tre o quattro liberalizzazioni garibaldine: tali proposte sono utili sul piano pedagogico, meno utili sul piano operativo per la scarsa attenzione ai percorsi di fattibilità, a volte addirittura controproducenti perché consentono agli avversari di dipingere i fautori delle liberalizzazioni come astratti e pericolosi libertari. No, questo è un vero piano articolato di riforme fattibili, che individua i molti settori in cui i consumatori e la competitività del Paese pagano le conseguenze di posizioni di rendita di alcune categorie o corporazioni. E non è certo una linea «selvaggia»: propone ammortizzatori sociali per accompagnare le liberalizzazioni, indica come combattere più efficacemente cartelli e monopoli. Il governo Prodi si muove nella logica dell' economia sociale di mercato. Ha finora rivolto il suo impegno soprattutto ad accrescere l'orientamento sociale, com'è normale per un governo composto dalla sinistra e da una parte del centro. Sarebbe un errore ritenere che, ora, un'accentuata attenzione alla componente di mercato significherebbe un «colpo alla botte», per soddisfare i «moderati», dopo il «colpo al cerchio» dato con l'attenzione al sociale.
Rendere più efficienti le strutture di mercato, anche con politiche di liberalizzazione, significa rendere più sostenibile la maggiore socialità, grazie ad un'economia più competitiva; significa non ridurre, ma accrescere ulteriormente l'equità sociale. Maggiore concorrenza vuol dire vantaggio del consumatore rispetto all'impresa protetta, dell'impresa minore rispetto all'impresa dominante, dell'utente di servizi pubblici rispetto a categorie che a volte godono di privilegi ingiustificati. A vantaggio, soprattutto, dei giovani senza lavoro, che solo da un'economia più competitiva, meno zavorrata da chiusure corporative, possono attendersi un futuro con qualche speranza. Il progetto di Rutelli, che immagino Prodi vorrà fare proprio, oltre a suggerire una serie di nuovi provvedimenti, servirà a dare un quadro d'insieme capace di rendere più apprezzati dai cittadini i passi compiuti sulla via delle liberalizzazioni dalle iniziative di luglio di Pierluigi Bersani e di quelle in corso di varo di Linda Lanzillotta sui servizi pubblici locali e di Clemente Mastella sulle professioni. Il consenso e il sostegno dei cittadini, dei consumatori, degli utenti sarà importante, per superare le prevedibili forti resistenze. Resistenze che verranno, come è normale, da coloro che, a seguito delle nuove misure, vedrebbero ridursi protezioni e rendite: qualche grande impresa, aziende che esercitano servizi pubblici locali, esponenti politici e amministratori degli enti locali, organizzazioni sindacali del pubblico impiego, ordini professionali.
Non riesco invece a credere alle voci di stampa secondo le quali i grandi sindacati e alcuni partiti di sinistra osteggerebbero nettamente la linea presentata da Rutelli e in parte già avviata dagli altri ministri citati. Come potrebbero queste forze importanti della società italiana spiegare ai loro aderenti, ai ceti che ritengono di rappresentare, un'opposizione a misure che darebbero a questi vantaggi concreti e maggiore dignità, riducendo i privilegi di altre categorie sociali oggi più favorite? Una «rifondazione comunista» è una meta legittima, che può anche essere considerata nobile. Ma se nel perseguirla si opera, involontariamente, per un'arcaica «conservazione capitalista», si aiutano di fatto le forze corporative a mantenere il capitalismo italiano in una condizione inefficiente, a danno dei più deboli, qualche interrogativo deve pur porsi.
12 novembre 2006
http://www.corriere.it/Primo_Piano/E...12/monti.shtml