Effetto del voto Usa: Prodi manderà soldati in Afghanistan

di M.Blondet


L’effetto del voto in Usa sarà questo, vedrete: che su richiesta americana, Prodi D’Alema e Parisi manderanno più soldati italiani in Afghanistan. E non in presunte operazioni di pace; a combattere i Talebani. Non è un’ipotesi: lo scrive a tutte lettere il New York Times: «L’Europa dovrà sobbarcarsi un peso maggiore» nelle guerre di Bush. Perché adesso che è stato licenziato Rumsfeld, è più difficile dire di no alla Casa Bianca.
Per capire che finirà così, basta leggere i giornali della sinistra italiota, da Repubblica all’Unità al Manifesto a Liberazione: tutti contenti perché, dicono, in Usa hanno vinto le sinistre. C’è da ridere. Ha vinto il partito democratico, che è cosa completamente diversa. I democratici Usa si distinguono dai repubblicani perché.. ...sono a favore dell’aborto e dei matrimoni gay; ma sulla politica estera, vogliono la stessa cosa: garantire ed ampliare l’impero americano. Chiamare Nancy Pelosi, la potentissima speaker della nuova maggioranza democratica al Senato, una di sinistra, è come chiamare “signora” Vladimir Luxuria: il risultato di un malinteso davanti alla toilette. Sul Medio Oriente, Nancy Pelosi è sulla linea, diciamo, di Sharon. In agosto, quando i bombardieri israeliani devastavano il Libano dalle fondamenta, proclamò che «Israele si sta solo difendendo». Gli israeliani la amano tanto che, ad Haifa, hanno intitolato uno stadio di calcio al nome di suo padre, ex-sindaco di Baltimora. Nancy Pelosi - come la maggior parte dei democratici, del resto - ha sempre votato a favore di tutte le avventure del presidente Bush: sì all’invasione dell’Afghanistan, all’aggressione all’Iraq, alla riduzione delle libertà personali motivate dalla “lotta al terrorismo”, sì alla tortura, sì alla eliminazione delle garanzie legali per i sospetti di terrorismo, sì ad una eventuale guerra anche all’Iran.
Ciò che ha innervosito la Pelosi, i democratici e il loro elettorato, non è che Bush abbia fatto delle guerre, ma che le stia perdendo, e malamente. Che Rumsfeld abbia fatto pasticci tali, e con tale arroganza e incompetenza, che una decina di generali hanno chiesto le sue dimissioni: fatto di gravità inaudita, che ha fatto capire ai poteri forti statunitensi (il cosiddetto Establishment) che si rischiava ormai una rivolta dell’apparato bellico più potente del mondo. I democratici vogliono porre rimedio all’orrendo pasticcio, e riportare l’egemonia imperiale americana al prestigio e alla credibilità di prima. Non a caso Nancy Pelosi ha dichiarato che «l’impeachment per Bush è fuori discussione» (e pensate se non lo merita, in confronto alla’impeachment di Clinton per quell’affaruccio di sesso), ed ha subito offerto “collaborazione” al presidente azzoppato.
Sì, Rumsfeld è stato cacciato, e tiriamo tutti un sospiro di sollievo. Ma l’uomo che l’ha rimpiazzato, Robert Gates, non è una colomba, anzi nemmeno un democratico: è un duro, pragmatico conservatore, per decenni amico di Bush padre in tutte le ascese di potere.
Perché in realtà è accaduto questo alla Casa Bianca: che Bush padre, col blocco di potere che guida, ha messo sotto gestione controllata il figlio fallito. Non è la prima volta. Anche negli anni ’80, quando Bush figlio si buttò nel business del petrolio e fondò una sua impresa in Texas, chiamata Arbusto (l’equivalente spagnolo di “Bush”), il ragazzo - che beveva parecchio - si rovinò in pochi mesi. La sua Arbusto, che fece un buco di 1,3 milioni di dollari, fu comprata (per 2,2 milioni) dalla Harken, ditta di un amico di Bush padre dal nome abbastanza famoso, George Soros; che lasciò che Bush figlio vendesse le sua azioni prima che la Arbusto dichiarasse le perdite. Un piacere fatto a papà.
Oggi, è accaduto di nuovo. Papà aveva dato al figlio la presidenza dell’unica superpotenza rimasta, e lui ha fatto ancora un disastro. Si è fidato di cattive compagnie, soprattutto quei neoconservatori che hanno affiancato Rumsfeld come vice-ministri e che l’hanno convinto fare “la guerra al terrorismo globale” colpendo Saddam che con Al Qaeda non c’entrava niente e che non aveva armi di distruzioni di massa, e che stavano spingendolo a bombardare l’Iran. Parlo di Paul Wolfowitz, Douglas Feith e di Dov Zakheim, i tre vice di Rummy, che dentro il Pentagono avevano creato l’Office of Special Plan, appunto la centrale neocon che, a forza di false informazioni, propaganda e sottovalutazioni («Sarà una passeggiata, ci accoglieranno a braccia aperte»), ha portato l’America nel pantano sanguinoso dell’Iraq. E si noti: mentre Rumsfeld ha pagato per la sua incompetenza, questi signori non hanno pagato nulla, anzi. Paul Wolfowitz è stato messo a capo della Banca Mondiale, dove prende stipendi milionari e manovra miliardi (in dollari); gli altri due si sono dimessi alla chetichella e se ne sono tornati a capo delle loro attività, nell’industria e nel commercio degli armamenti tra Usa e Israele. Nessuno li chiama in causa nemmeno in questi giorni.
Fatto sta che papà Bush - il padrone della Carlyle, il più grosso e potente fondo d’investimento per pochi intimi ricchissimi, in cui erano soci anche i Bin Laden, e che prima dell’11 settembre si è accaparrato grosse quote delle aziende militari di mezzo mondo - sta ora aiutando il figlio a raccogliere i cocci. Gli ha affiancato un suo amico fidato, James Baker, classe 1930, ministro sotto Reagan e segretario di Stato con Bush senior, nonché vecchio volpone della politica (basti dire che lo chiamano “Martello di Velluto”): Baker guida ora un “Iraq Study Group” che ufficialmente deve “studiare” per il presidente fallito cosa fare in Iraq, ma che in realtà gli darà gli ordini. Secondo i ben informati, è stato Baker a licenziare Rumsfeld: «Non voleva», ha detto un ben informato, «uscire con un piano per l’Iraq e vederselo distruggere da Rumsfeld. Si è assicurato prima di avere al Pentagono un ascoltatore recettivo».
Robert Gates è l’uomo giusto. Anche lui vicinissimo a Bush padre da decenni, alla Cia ed oltre; allievo per di più di Bent Scowcroft, un’altra vecchia volpe della “vecchia banda” che è tornata in scena a fare l’amministrazione controllata della Casa Bianca. Sono, va detto, dei realisti, dei pragmatici. Non proclameranno, come Bush figlio, di avere il mandato divino per combattere il terrorismo mondiale. Né grideranno, come Bush figlio, che chi ha votato per i democratici è complice dei terroristi: anzi cercheranno l’aiuto dei democratici, perché si tratta di far uscire l’impero americano dalla palta; e i democratici, che all’impero ci tengono quanto loro, hanno già promesso la massima collaborazione.
Soprattutto non commetteranno la cretineria di Rumsfeld: il quale, di fronte alle obiezioni degli europei sull’intervento in Iraq, sputò sopra la “Vecchia Europa” (la sola con degli eserciti credibili, Francia e Germania) e si inventò la “coalizione dei volonterosi”, cioè di chi ci stava senza discutere: e si trovò con alleati i polacchi, i lituani, l’Italia di Berlusconi e l’Inghilterra di Blair.
No, anzi. Questi, i pragmatici, le vecchie volpi dell’Establishment finanziario, all’Europa chiederanno collaborazione e aiuto; la condivisione dello sforzo comune per risolvere l’orribile problema creato da Bush figlio. Probabilmente lo chiederanno già nell’imminente riunione della Nato che sta per aprirsi a Riga, in Lettonia. Come dire di no, ora che al potere non ci sono più i folli ma i pragmatici, e al Congresso i democratici? Il fatto è che l’appello alla Nato delle vecchie volpi non lascia molte vie d’uscita agli europei: bisogna obbedire, è un’alleanza militare. All’indomani dell’11 settembre l’allora segretario Nato, George Robertson (americano, naturalmente) invocò l’articolo 5 del trattato di fondazione dell’Alleanza: quello che stabilisce che l’attacco ad uno degli alleati va inteso come aggressione all’intera Nato. Fu Rumsfeld a lasciar cadere la cosa: pensava di riuscire a far tutto da solo, con 150 mila soldati americani e inglesi. Le vecchie volpi di papà Bush non commetteranno questo errore: Robert Gates, il nuovo ministro, invocherà l’articolo 5. E cosa credete che farà Prodi? Cosa faranno D’Alema, Rutelli e Bertinotti, dopo aver salutato il voto americano come una vittoria “delle sinistre americane”? Manderanno i nostri soldati. Specie in Afghanistan non possono dire no: perché qui l’intervento è “legittimato” da una risoluzione dell’Onu, e perché oggi la guerra la stanno facendo da soli 8 mila soldati inglesi che sono ormai alle corde, e la Nato chiede da mesi rinforzi per questi inglesi disgraziati, troppo pochi per reggere ancora l’attacco dei Talebani. I nostri soldati partiranno, e stavolta a combattere. E i no-global, i pacifisti, le bandiere arcobaleno non fiateranno, vedrete. Non si tratta di servire l’impero capitalista, ma di aiutare “i compagni al Congresso” ad uscire dal pantano. E come si vide già quando D’Alema mandò i nostri caccia a bombardare la Serbia, quando una guerra è di sinistra, diventa buona e giusta, anzi pacifica. Arcobaleno.