RIVELAZIONI/1
Dagli Archivi del Ministero dell’Interno escono nuovi documenti sui crimini commessi nel dopoguerra: dai sette fratelli Govoni alla famiglia Manzoni di Lugo, fino al caso della corriera pontificia scomparsa
Delitti partigiani: ecco le nuove prove
L’industriale Giuseppe Verdieri a Reggio Emilia, l’agricoltore Claudio Ropa, Giovanni Biandrate, ucciso per rapina. Fino alle rappresaglie sui familiari dei fascisti, come nel caso di Giuseppe Martini
Di Paolo Simoncelli www.avvenire.it
È rimasto un fotogramma celebre nella storia della cinematografia quello, in Tiro al piccione</B> di Montaldo (dal romanzo di Giose Rimanelli), dell'assassinio del marò che, colpito alla fronte da partigiani, rimbalza sul letto di un ospedale della Valsesia dov'era ricoverato; fotogramma non frutto della fantasia politicamente segnata dall'esperienza repubblichina dell'autore.
È accaduto infatti altre volte, anche oltre quelle già ricordate da Giampaolo Pansa, e sempre con lo stesso documentato copione: partigiani che entrano di soppiatto in ospedali per andarvi a eliminare dei ricoverati feriti, con o senza il garbo del silenziatore, ma facendo rimbombare, come in quel di Massalombarda, gli spari a bruciapelo (dalla relazione del prefetto risulta che in questo caso, a carico di alcuni dei responsabili, scoperti solo nel '51, erano in corso già altri procedimenti penali «per fatti di sangue consumati nel periodo post-bellico per vendetta personale e a scopo di rapina, camuffati da movente politico»).
Le polemiche innescate dalla Grande bugia spingono a rileggere fonti, soprattutto dall'archivio di gabinetto del Ministero degli Interni, per verificare assunti e contenuti della recente "trilogia" di Pansa. Si tratta di documenti che mostrano ancora per la prima metà degli anni '50 prefetture e corti d'assise continuamente chiamate a far luce su omicidi e stragi spesso ignote; o, se note, già spacciate per azioni di guerra partigiana senza che lo fossero, e in qualche caso già giudicate.
Riemergono così molte vicende conosciute e pur sempre agghiaccianti della resistenza: i massacri di prigionieri nelle carceri di Schio e di Comacchio, l'eccidio della famiglia Manzoni a Lugo, l'eliminazione dei sette fratelli Govoni (specchio tragico, dall'altra parte della barricata, dei fratelli Cervi), o la vicenda della "corriera scomparsa": una corriera della Pontificia commissione di assistenza con tanto di lasciapassare del Cln, fermata a Concordia d alla polizia partigiana che eliminò decine e decine di passeggeri, forse una sessantina, occultandone i cadaveri; riaffiorati casualmente a distanza di anni da terreni limitrofi provocarono un eloquente intervento del quotidiano comunista "La Repubblica d'Italia" del 9 novembre '48: «I cadaveri non ci sono, bisogna fabbricarli. Violate numerose tombe per trovare salme da spacciare per quelle dei presunti giustiziati», insinuando piuttosto che la chiave del mistero fosse nel Vaticano!
La rilettura di tante circostanze ha origini documentarie diverse. Da un lato, lettere di familiari disperati alle autorità giudiziarie o di polizia per la ricerca di congiunti «prelevati e scomparsi»; addirittura speranza drammatica della notizia di morte di un marito per avere i pochi spiccioli di una pensione impedita altrimenti dalla sola notizia di «prelevamento e scomparsa»; circostanze che spingono la stessa magistratura a sollecitare indagini di polizia «sia per la posizione di numerose vittime tuttora considerate soltanto come "scomparse", sia per gli interessi economici e patrimoniali delle loro famiglie».
E che portano progressivamente alla scoperta di un numero elevato di eccidi di cui non si aveva notizia. Dall'altro, continue, macabre scoperte in campi arati da contadini di ammassi di cadaveri; scheletri che compaiono da rogge e forre; «scomparsi», ormai irriconoscibili, che emergono da stagni e canali; fosse comuni disvelate da lavori di scavo o di sterro… Ben oltre il 1945, ben oltre l'amnistia Togliatti del giugno '46 e le altre (dimenticate) che dal '49 si sono succedute, e che obbligano la magistratura a continui interventi, spesso al riesame della natura di un altissimo numero di omicidi fatti passare come politici per farli rientrare nell'amnistia Togliatti (con corredo quindi di false testimonianze, falsi rapporti e intimidazioni a mano armata di testi), ma che iniziano a rivelare ben altra realtà; senza per questo che alla magistratura giudicante si possa imput are alcun tipo di soggezione al potere politico: condanne e assoluzioni per il carattere militare anche violento o atroce di un'azione partigiana, si sarebbero equanimemente distribuite. Occorre però non di rado che debitori, per giunta sentimentalmente traditi, diventino giustizieri partigiani (a Reggio Emilia nel giugno '46 ne fa le spese un industriale locale, Giuseppe Verdieri).
Dirigenti d'azienda, industriali, ingegneri… spesso non rientrano nemmeno all'interno d'una possibile casistica di «lotta di classe» (come occorso invece, per confessione dell'omicida, ad un agricoltore del bolognese, Claudio Ropa, ucciso «solo perché era un signore»); la loro eliminazione fisica ha cause in rapine o al più in rancori aziendali. Motivazioni come «a scopo rapina e vendetta personale» appaiono in continuazione nei rinvii a giudizio di ex partigiani comunisti o sedicenti tali: in provincia di Brescia, sette persone che dicevano di far parte d'una banda partigiana e di star sui monti a far la resistenza, vivevano invece «presso le rispettive famiglie», radunandosi solo per estorsioni, seguite da omicidio, che spacciavano per azioni dirette a «vettovagliare la formazione»; fecero però puntualmente la loro comparsa ufficiale «nei giorni della liberazione», assumendo poteri nell'amministrazione pubblica, anche della giustizia, nella zona meridionale della provincia.
Non si tratta solo di imputazioni. Spesso è giudizio della magistratura; spesso è confessione degli autori: e a distanza di anni dagli omicidi se ne rinvengono le salme e i responsabili: a Novara nel febbraio '53 un ex partigiano garibaldino finisce per confessare l'assassinio di Giovanni Biandrate, commesso il 9 luglio '45, per rapinarlo. Poche migliaia di lire, financo una bicicletta agiscono da innesco dell'«azione partigiana»; a Milano un carabiniere viene «prelevato» e poi assassinato nel maggio '45: nella «cassettina murata» forzata e prelevata dalla sua abitazione c'erano 500 mila lire; più che sufficienti p er un omicidio e per far aumentare il numero dei «fascisti giustiziati». Figurarsi le rappresaglie sui familiari dei fascisti veri: ad Ovada, in provincia di Alessandria, in assenza di Alessandro Martini (già triunviro del locale fascio repubblicano) nascosto altrove, viene prelevato e ammazzato il figlio, Giuseppe, studente che «non risulta appartenesse ad organizzazioni militari o politiche dell'epoca, né fosse comunque compromesso con i nazi-fascisti».
C'è da immaginarsi cosa abbiano svelato le inchieste relative alle efferatezze commesse nel vercellese dalle bande comuniste agli ordini di Moranino: estorsioni, rapine e omicidi politicamente affatto ingiustificati, ma soprattutto guerra alle bande partigiane non comuniste con eliminazione dei relativi capi; figurarsi dopo il 25 aprile: nei venti giorni seguenti, fino cioè al 15 maggio, in quella sola zona risultarono eliminate 300 persone (spesso con modalità atroci), non di rado per «rancori personali».
(1, continua)
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