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Discussione: L' Illuminismo.

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    IL MARXISMO IDEOLOGIA DELLA RIVOLUZIONE
    di Fernando Ocàriz, Ares 1975
    Capitolo I
    La scristianizzazione della società nel pensiero, da Lutero a Marx ed Engels
    Nonostante che la storia della cultura e della filosofia occidentali degli ultimi secoli sia assai complessa, occorre segnalare un fattore comune, che mostra una notevole unità di fondo in mezzo a una grande diversità di sfumature. Questo fattore comune è l'eliminazione dapprima di tipo agnostico, poi come affermazione 'critica' - di tutto ciò che supera l'uomo, di tutto ciò di cui l'uomo non è causa.


    1. Le origini della 'modernità'
    a) L'origine religiosa: Lutero
    Ludwig Feuerbach - filosofo tedesco, di cui in seguito parleremo - concepiva come missione dei tempi moderni la realizzazione fino in fondo della 'umanizzazione di Dio', il recupero cioè da parte dell'uomo di tutto ciò di cui l'uomo stesso si sarebbe spogliato per attribuirlo a un Dio trascendente.
    Questa 'umanizzazione di Dio' Feuerbach la vedeva realizzarsi in diversi modi, e dirà espressamente che "il modo religioso o pratico di questa umanizzazione fu il Protestantesimo" (cit. in Cottier, L'atheisme du jeune Marx, Vrin, 1969, p. 139).
    Già prima, Hegel aveva qualificato Lutero come "promotore della vera libertà".
    Più interessante ancora è però la testimonianza dello stesso Marx, che considera la Riforma protestante come una fase, anche se insufficiente e incompleta, della Rivoluzione totale. "Lutero ha spezzato la fede nell'autorità, ( ... ) ha trasformato i preti in laici, ( ... ) ha liberato l'uomo, dalla religiosità esteriore, ( ... ) ha emancipato il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore. Ma se ( ... ) non fu la vera soluzione, fu tuttavia la vera impostazione del problema" (Filosofia del diritto, Editori Riuniti 1971, p. 102).
    Non è questo il luogo per trattenerci sulla persona e sulla vita di Martin Lutero (1483-1546), e per esporre seppur brevemente le sue dottrine. Interessa, invece, mostrare alcuni elementi che fanno della sua concezione religiosa un primo anello della lunga e tortuosa evoluzione del pensiero e della cultura occidentali che ha condotto al marxismo.
    In primo luogo Lutero operò una 'soggettivizzazione' religiosa: la verità oggettiva della Rivelazione è ridotta al suo significato per me. Si tratta di una profonda inversione, conduce direttamente a considerare Dio funzione dell'uomo, invece di considerare l'uomo in funzione (dipendenza, ordine, ecc.) di Dio.
    Ne consegue che la fede viene subito ridotta a fiducia ('fede fiduciale') nella salvezza, senza un contenuto di verità. Tutto questo, unito alla tesi luterana della corruzione totale della natura umana ad opera del peccato originale, determina la separazione o completa rottura fra fede e ragione: la esagerazione della trascendenza divina (che secondo lui sarebbe inaccessibile alla mente umana corrotta) rinchiude l'uomo nel cerchio della sua soggettività; e la negazione della libertà (altra supposta conseguenza del peccato originale) elimina in fondo l'idea stessa di peccato (giacché dire che tutto è peccato equivale in realtà a dire che nulla è peccato).
    In secondo luogo, e in conseguenza di quanto sopra, tutto il soprannaturale verrà poi implacabilmente negato: spariscono la realtà ontologica della grazia, la grazia causata realmente dai sacramenti (considerati semplici stimoli e manifestazioni della fede fiduciale), la verità della Rivelazione (ridotta al suo significato di redenzione dell'uomo) e, passando per l'arbitrarietà del libero esame della Sacra Scrittura, viene negata ogni autorità esteriore, ecc.
    Non è inutile - per provare l'influenza decisiva di Lutero su molti filosofi posteriori - segnalare che in grande maggioranza i 'filosofi moderni' sono protestanti (Kant, Fichte, Hegel, Feuerbach, lo stesso Engels prima di cadere nell'ateismo, ecc.), studiarono teologia protestante, e alcuni dei più rappresentativi furono perfino educati per essere pastori.
    b) L'origine filosofica: Descartes
    E' nozione comune indicare l'inizio filosofico di tale 'pensiero' moderno, che Feuerbach vedeva teso a 'umanizzare Dio', nel francese René Descartes (1596-1650), per quanto sarebbe forse necessario anticiparlo fino al Rinascimento. Hegel, per esempio, dirà di Descartes che "è il vero promotore della filosofia moderna. Ha incominciato interamente le cose da un principio".
    Descartes, cattolico, alunno dei gesuiti nel collegio di La Flèche dal 1604 al 1612,disincantato dalla formazione filosofica ricevuta, si sentì chiamato alla missione di unificare tutte le scienze con il metodo matematico, ritenendolo però estendibile a tutti i campi del sapere. Espose per la prima volta codesto metodo nel 1637, con la pubblicazione della sua opera Discorso del metodo.
    Limitiamoci a esporre brevemente solo alcune delle idee cartesiane, quelle di maggior interesse ai fini di questo capitolo.
    Descartes decise, come regola prima del suo metodo, di tenere per vero esclusivamente ciò di cui non si possa dubitare, gli oggetti cioè di intuizione intellettuale o "idee chiare e distinte". Da ciò consegue che il primo passo fare sia dubitare di tutto, fino a incontrare la cosa che sia assolutamente indubitabile, dalla quale, per deduzione, si possa razionalmente ottenere tutta la scienza.
    Conviene notare che, sotto l'apparenza del rigore scientifico, questo punto di partenza (il cosiddetto "dubbio metodico") presuppone l'inizio di una costruzione filosofica radicalmente anti-umana e - in apparente paradosso - antropocentrica. Non che Descartes trovasse nell'esperienza sensibile un motivo per dubitare dell'esistenza del mondo esterno, ma, poiché aveva stabilito di ricostruire tutto mediante la sola ragione, il primo passo doveva consistere nel negare la veracità, l'evidenza immediata della conoscenza sensibile. E qui sta il suo carattere anti-umano, perché nell'uomo non c'è nessuna possibile conoscenza né, pertanto, alcuna possibile certezza che non abbia origine dalla conoscenza sensibile (cfr S. Tommaso, Somma Teologica, I, q. 84, a. 7).
    Nel respingere come falso tutto ciò di cui si possa dubitare, il dubbio raggiunge tutto ciò che sta fuori del pensiero, e potrà salvarsi da questo dubbio soltanto ciò di cui si raggiunga - dopo l'inizio assoluto - un'idea chiara e distinta: e qui il filosofare cartesiano ci si manifesta antropocentrico, giacché costituisce la ragione umana come centro, regola e misura della verità; e, in fondo, come qualcosa di più ancora, come produttrice della verità delle cose. Ma in questo modo il risultato sarà una 'verità ideata', sarà una 'verità ridotta a semplice condizione di possibilità', cioè di non contraddizione logica; non la verità dell'essere, della realtà del mondo, che non è rinchiudibile né abbracciabile in modo totale dalla mente umana. Così "la scienza cartesiana preferisce una spiegazione di qualcosa che non esiste, piuttosto che l'esistenza di qualcosa che non comprende" (Cardona, René Descartes: "Discorso sul metodo", Japadre 1975). Descartes credette di trovare l'inizio assoluto che cercava nella intuizione immediata del proprio pensiero. L'espressione tipica di questa prima verità, dalla quale dovrebbe esser derivata ogni altra verità, è cogito, ergo sum ("Penso dunque esisto"), che nonostante la forma del ragionamento pretende di essere una intuizione immediata, completamente reversibile: SUM, quia cogito ("Sono, perché penso"). Sarebbe l'apprensione dello 'spirito', il cui "essere è pensare".
    Fuori dello spirito ci sarà la materia, la quale, per essere inquadrata in una idea chiara e distinta, è ridotta da Descartes a 'estensione': delle cose materiali, dice Descartes, abbiamo una idea chiara e distinta solo in quanto sono estensione geometrica.
    Da qui prende l'avvio l'errore di considerare la materia e lo spirito come opposti, come 'due mondi' che nulla hanno in comune, invece di vederli come due gradi diversi di partecipazione dell'essere. Da ciò ebbe origine un dualismo ontologico: si è perso di vista ciò che di comune vi è in tutto: l'essere.
    Di fronte a questo falso dualismo spirito-materia e alla innegabile unità del mondo come totalità (non ci sono due universi incomunicabili, quello materiale e quello spirituale) si potrebbe pensare o che la materia non è altro che modo dello spirito, o che lo spirito è un modo della materia. Descartes evitò entrambe le idee e soluzioni ricorrendo a Dio, come garante della realtà del mondo materiale che si scosta dallo spirito, e al tempo stesso come tutore dello spirito.
    Prima di terminare queste brevi indicazioni circa il razionalismo cartesiano, appare interessante osservare di nuovo la radice più profonda del suo errore: la perdita o dimenticanza dell'essere, dell'atto di essere che è esercitato da tutte le cose, che è il fondamento della loro verità, e della loro presenza dinanzi alla intelligenza umana. Atto di essere che è il fondamento di ogni altro atto (modo di essere, di agire, ecc.). Una volta perso l'essere perché non è afferrabile in una idea chiara e distinta come le essenze - il dualismo spirito-materia non si salva con il ricorso a un Dio ugualmente dominato dalla ragione, ma condurrà a tutte le diverse forme di immanentismo (pretesa 'giustificazione' del mondo da se stesso). E ciò, vuoi come immanentismo idealista (considerando la materia come un prodotto dello spirito), vuoi come immanentismo materialista (considerando lo spirito come un prodotto della materia). E' significativo che già Descartes fosse accusato di occulto ateismo.
    2. Dal razionalismo al materialismo
    Non è possibile, senza troppo semplificare, esporre una evoluzione lineare da Descartes al materialismo posteriore. E però interessante il riassunto che Marx ed Engels ne fanno ne La sacra famiglia che, nonostante sia piuttosto semplicista, ne offre nondimeno un'idea approssimata.
    Secondo Marx, Descartes, "nella sua fisica, aveva dato alla materia forza autocreatrice e aveva concepito il movimento meccanico come il suo atto vitale. Egli aveva separato completamente la sua fisica dalla sua metafisica. Nell'ambito della sua fisica, la materia è la sostanza unica, il fondamento unico dell'essere e del conoscere" (La Sacra famiglia, in K. Marx - F. Engels, Opere complete, vol. IV, Editori Riuniti 1972, p. 140). Marx sembra chiamare 'fisica' la teoria sulla materia, e 'metafisica' la teoria sullo spirito, il che è già una semplificazione inadeguata del pensiero di Descartes. Mette però in rilievo il 'dualismo' che veramente recava nel suo seno un immanentismo materialista. Intendendo ciò nel senso di riduzione del pensiero a materia, è certo che "il materialismo meccanico francese ha accolto la fisica di Descartes in opposizione alla sua metafisica" (ibid.).
    Il materialismo meccanicista francese ebbe il suo principale rappresentante in J. O. de la Mettrie (1709-1751), con la sua teoria dell' 'uomo-macchina' per cui l'uomo sarebbe una macchina semplicemente materiale e sufficiente a se stessa.
    Ma fu soprattutto a un razionalista francese precedente, P. Bayle (1647-1706), che Marx riconobbe il 'merito' di aver privato di 'ogni potere' la metafisica di Descartes, e, secondo lui, "sua arma era lo scetticismo" (ibid., 141). Per Marx, lo scetticismo di Bayle bastava a fugare i residui metafisici di Descartes, con la semplice domanda: "Perché supporre Dio, se si può vivere senza di lui?". "Con la dimostrazione che può esistere una società di puri, che un ateo può essere un uomo onorevole, che l'uomo si degrada non con l'ateismo, ma con la superstizione e l'idolatria, egli ha lanciato la società atea che doveva presto cominciare ad esistere" (ibid., 141 s.).
    Nel trionfo parziale del materialismo sullo spiritualismo nell'Europa del Settecento giocò un ruolo importante anche l'empirismo inglese: in particolare, Thomas Hobbes (1588-1679). Secondo Marx, "Hobbes aveva sistemato Bacone, ma non aveva fondato in modo più preciso il suo principio fondamentale, l'origine delle conoscenze e delle idee dal mondo sensibile" (ibid., 143).
    F. Bacon fu un filosofo inglese precedente (1561-1626), in cui si riconobbe un 'materialismo implicito'.
    Influenza maggiore, nella formazione del materialismo, ebbe un altro empirista inglese, John Locke (1632-1704), in quanto, secondo Marx, apportò quanto era mancato a Hobbes: la spiegazione delle idee come semplici combinazioni di sensazioni (cfr. Sacra famiglia, 144). Effettivamente, Locke, con la sua teoria che le idee universali sono solo un nome che noi diamo a un complesso di sensazioni, nega completamene la distinzione tra il conoscere intellettuale e la semplice sensibilità, annullando la differenza tra spirito e materia. E Marx non poteva omettere di vedere in ciò "un gran passo avanti", nonostante che, in realtà, Locke non avesse dimostrato la sua teoria.
    Questo 'sensismo' empirista di Locke ebbe effettivamente molta influenza sul materialismo francese, attraverso autori come Voltaire (1694-1778), che lo introdusse in Francia dopo i1 suo primo soggiorno in Inghilterra. Con questa 'spiegazione' delle idee offerta da Locke, il materialismo si fece sempre più esplicitamente ateo e con una marcata tendenza al socialismo. Marx fa notare che già Condillac si accorse che perciò che l'uomo è "dipendente dall'educazione e alle circostanze esterne" (Sacra famiglia, 44).
    Questa connessione fra materialismo e socialismo Marx la vede ancora più chiara nell'opera di C. A. Helvétius (m. 1771). Secondo questo autore l'uomo sarebbe opera della natura, che è in movimento da sola, e tutto si riduce sensazioni. Secondo Helvétius tutto si riduce a piacere e dolore (invece che bene e male); non ci sono né libertà né immortalità. Al posto delle religioni riferite a Dio propone una 'religione' riferita alla 'Umanità'. E' curioso che siano tanto vecchie certe idee che, secoli dopo, si presentano come la 'modernità'.
    Si capisce che Marx vedesse come in Helvétius "il materialismo... (fosse concepito) in relazione ala vita sociale" (Sacra famiglia, 144), e che affermasse come, in generale, non avesse "l'acutezza per cogliere la connessione seria del materialismo con il comunismo e il socialismo" (Sacra famiglia, 145).
    Ma il libro fondamentale del materialismo del Settecento è il Sistema della natura del Barone di Holbach (m. 1789), cui il marxismo dà una giustificata importanza, perchè considera che in questo mondo di materia in movimento, la legge che dà a tutto significato è 'l'amor proprio' con il conseguente antagonismo contro il resto. La tattica marxista pone, infatti, come motore della storia, la lotta e l'opposizione di contrasti.
    Lo stesso Marx criticherà, a volte duramente, tutti questi materialismi, ma considerandoli una tappa costruttiva che doveva esser superata.
    Sarebbe inutile una critica minuta del materialismo del Settecento, in quanto l'errore radicale sta nel suo punto di partenza, non dimostrato e falso.
    E' importante far notare che nessun materialista (e neppure il marxismo, dopo) dimostra che esista soltanto la materia: lo danno semplicemente come presupposto, a partire dall'accettazione del dualismo cartesiano fra materia e spirito, e dall'aver poi captato quanto sia assurdo codesto dualismo di due universi (spirituale e materiale) che risulterebbero opposti e incomunicabili, non essendo convincenti gli argomenti di Descartes per stabilire la 'comunicazione' fra loro.
    Partendo da qui, senza risalire all'inizio cartesiano, che è la radice dell'errore (la perdita dell'essere, di cui abbiamo già detto), optano per la materia contro lo spirito, 'inventando' diverse elucubrazioni che permettessero di 'pensare' che ciò che chiamavano spirituale (conoscenza intellettuale, ecc.) non è altro che un prodotto della materia.

    3. Dal razíonalismo all'idealismo precedente a Hegel
    L'altra possibilità di superare il dualismo cartesiano, senza risalire al suo inizio, alla radice dell'errore, era - come già abbiamo avvertito - ridurre tutto a spirito: 'pensare' la materia come manifestazione o prodotto dello spirito. Questa possibilità ha originato lo sviluppo verso l'idealismo, nel quale troviamo pensatori di indiscutibile maggior densità speculativa rispetto ai materialisti, con costruzioni più coerenti, nella loro astratta complessità, e di difficile divulgazione.
    a) Baruch Spinoza (1632-1677)
    L'importanza che viene riconosciuta a questo filosofo ebraico nel successivo sviluppo idealista (e, pertanto, anche in quello marxista), si può riassumere nella nota affermazione di Hegel: "Essere spinoziano è l'inizio di ogni filosofare". E, in effetti, la connessione del futuro idealismo con Descartes si realizzò soprattutto attraverso Spinoza.
    Se Descartes, dopo la supposta intuizione innata dello spirito (pensiero del pensiero, ergo sum), per garantire sia lo spirito che la materia, ebbe bisogno di ricorrere all'idea di Dio, Spinoza radicalizzò questa 'connessione' fra spirito e materia ponendo direttamente come inizio assoluto della filosofia l'unione immediata di Dio: "sostanza unica e causa di se stessa", "quello la cui essenza rinde l'esistenza", quello che è di per sé e si recepisce senza relazione ad altra cosa. Questa è la presupposta intuizione fondamentale che non si dimostra; il punto di partenza e di arrivo al tempo stesso, il compendio e l'essenza del sistema spinoziano.
    Invece di affermare fra Dio e il mondo una relazione di causalità, Spinoza afferma una relazione di 'pertinenza' del mondo a Dio: il mondo è manifestazione o esteriorizzazione dell'unica sostanza divina, in infiniti 'modi' o determinazioni finite, che per essere tali sono negazioni dell'infinità della sostanza: "ogni determinazione è negazione". Ma questi modi li conosciamo raggruppati in due tipi, a seconda che siano determinazioni della materia o del pensiero, che sono gli 'attributi' che conosciamo della Sostanza divina.
    Abbiamo pertanto in Spinoza un 'monismo' (affermazione di un'unica sostanza), nel cui seno tuttavia sopravvive ancora la dualità cartesiana di materia e pensiero. Siamo di fronte già a un precursore del marxismo più immediato di Descartes, che è superato (nella coerenza del pensiero astratto) senza però rinunziare all'inizio dell'errore: la negazione dell' 'ente' (ciò che è), che ci è dato di conoscere a partire dai sensi, come primo dato di conoscenza intellettuale e come ciò in cui si fonda ogni altra conoscenza: "Quanto di immediato e di evidentissimo sappiamo delle cose è che 'sono'. La nozione di 'ente' è la prima che la nostra intelligenza coglie (cfr. San Tommaso, In I Sent., d. 8, q. 1, a. 3); ed esplicita la sua verità in questo primo giudizio radicale e originario: 'Ciò è'. Senza questa prima conoscenza nulla conosceremmo; e in essa si risolve - come in ciò che è più evidente - qualsiasi conoscenza successiva" (Cardona, Metafìsica de la opción intelectual, Rialp 1973, p. 28).
    b) Immanuel Kant (1724-1804)
    Non è possibile esporre qui lo schema di tutta la costruzione kantiana, e ci limiteremo a ricordare alcuni punti di particolare interesse.
    Secondo Kant, benché ogni conoscenza cominci con l'esperienza, questa non può essere fondamento di conoscenze (giudizi) universali e necessari, in quanto offre solo fatti particolari e contingenti. Con questo presupposto, derivato da Wolff e in parte dall'empirismo scettico di David Hume (1711-1776),Kant - invece di criticarlo - si vede spinto a cercare nella sola coscienza la base e il fondamento di ogni vera conoscenza. Egli cercherà di scoprire le 'condizioni di possibilità' a priori di ogni conoscenza universale nell'interno della coscienza; di trovare le 'forme a priori', che costituiscono la sensibilità e l'intelligenza, indipendenti dalla realtà esterna, e che rendono 'possibili' i giudizi universali a partire dai fenomeni particolari che il mondo esterno ci offre.
    Questa concezione porta necessariamente al completo 'agnosticismo' rispetto a ogni realtà delle cose in se stesse. Kant, dopo aver affermato che esistono cose esterne al pensiero, dirà che "gli oggetti ci sono dati, oggetti esterni ai nostri sensi ed esterni a noi; però non sappiamo nulla di ciò che possano essere in sè stessi: non conosciamo altro che i fenomeni, le rappresentazioni che (gli oggetti) producono in noi affettando i nostri sensi" (cit. in Cottier, 313).
    Kant pertanto identifica l'essere conosciuto con l'essere prodotto dalla coscienza, lasciando 'l'essere reale' inaccessibile ad ogni scienza o conoscenza.
    Una volta assunto l'essere nell'essere pensato, il 'dover essere' umano (oggetto dell'etica) non rientra nell'ambito della "ragion pura". La coscienza stessa dà però testimonianza del 'fatto morale' o etico, che per Kant non può esser fondato sul bene (che a sua volta si fonda sull'essere), ma il suo fondamento altro non può essere che l'intenzione del soggetto, oggetto della "ragion pratica". Il "dovere" è, secondo Kant, una legge a priori che impone se stessa a ogni soggetto come "imperativo categorico". I postulati della ragion pratica vengono affermati come un atto di fede: il dovere e la coscienza morale, dice Kant, obbligano ogni uomo a credere nell'immortalità, nella libertà e nell'esistenza di Dio.
    La patente debolezza speculativa della morale kantiana fece sì che presto il kantismo posteriore arrivasse ad essere ateo. Così il poeta tedesco H. Heine (1797-1856), che soprattutto dopo aver conosciuto Marx a Parigi nel 1843 sviluppò le sue idee rivoluzionarie, fece notare che Kant, con la sua posizione agnostica, aveva preparato le basi dell'ateismo successivo.
    c) L'idealismo pre-hegeliano: Fichte e Schelling
    Il sistema di Kant fu criticato, fra gli altri, da F. H. Jacobi (1743-1819), che mostrò la contraddizione interna di affermare l'esistenza delle cose in sé stesse e di negare che si conosca qualcosa di esse: se non si conosce nulla, non se ne conosce neppure l'esistenza.
    Nella critica a Kant ebbero maggior importanza, per lo sviluppo che conduce al marxismo, gli 'idealisti critici'. L'idealismo, nelle sue diverse forme, è la 'riduzione' del 'dualismo' cartesiano materia-spirito al 'monismo', con cui s'afferma che la materia è manifestazione, prodotto, ecc., dello spirito.
    G. Fichte (1762-1814), criticò in Kant l'aver ammesso solo una 'coscienza empirica' incapace di raggiungere le cose in se stesse. Fichte, per superarlo, afferma che le cose in se stesse altro non sono che la stessa coscienza, che allora è una coscienza assoluta: l' 'Io puro', colto immediatamente da se stesso, dimodoché l'inizio radicale del filosofare sarebbe l'intuizione immediata: 'Io sono io'; il "cogito, ergo sum" di Descartes, secondo Fichte, non sarebbe altro che un aspetto della formula più generale: sum ergo sum (sono, pertanto sono). Abbiamo pertanto in Fichte un 'monismo' (affermazione di un'unica realtà), ma 'soggettivo': è come uno spinozismo al rovescio, perché questa unica realtà o Assoluto, invece di essere Sostanza (Oggetto), è Soggetto: 'Io' o 'Azione'. Secondo Fichte, perché l' "Io" abbia autocoscienza - ce l'ha nell'uomo - deve opporre a se stesso un 'non io' o oggetto in generale. Questa 'dialettica' soggettiva è la 'prassi': "L'Io pone il non io come limitato dall'io". L'io finito come attività, è infinito come tendenza o sforzo per cui l'io finito va identificandosi con l'Assoluto. In poche parole, ciò significa che, secondo Fichte, l'Assoluto (Dio) si realizza o si costruisce attraverso lo sforzo dell'uomo.
    Per la concezione fichtiana del soggetto come azione che va identificandosi praticamente con il Tutto o Assoluto, si comprende come Fichte sia stato considerato uno dei precursori del socialismo tedesco.
    G. W. Schelling (1775-1854), anche se di pochi anni più giovane di Hegel - di cui fu amico - può esser considerato come una tappa precedente a questi nel processo dell'idealismo. Schelling criticò Kant perché affermava l'esistenza della 'cosa in sé' (per quanto sconosciuta), giacché dovrebbe essere immensa ed eterna (fuori dallo spazio e dal tempo), in quanto spazio e tempo erano per Kant 'forme a priori' della sensibilità del soggetto, e non qualcosa pertinente alle cose in se stesse. Allora, dice Schelling, "la cosa in sé" sarebbe Dio (immenso ed eterno).
    Schelling critica poi Fichte perché nella di lui teoria l' 'io' non è autosufficiente, dato che ha bisogno di un 'non io'. Per superare questo scoglio Schelling cerca di stabilire il recupero dell'unità fra I' 'io' e il 'non io', in un io superiore che è 'in sé' e 'per sé': e questo sarebbe, secondo lui, la libertà pura. Allora la natura non sarebbe, come in Fichte, un semplice 'non io', ma al tempo stesso soggetto ed oggetto, spirito e materia in opposizione dialettica: e la identità del soggetto e dell'oggetto, al di sopra di ogni distinzione, è l'Assoluto.
    Nonostante che tutto ciò, soprattutto a chi non sia già avvezzo a questa complessa terminologia, risulti alquanto incomprensibile, è interessante rilevare come si sia sempre di fronte a una formazione di una concezione del mondo come 'processo', come un'unica realtà dinamica, che passa dapprima per lo stato di semplice natura e poi per quello di storia. Questa concezione, che sarà completamente elaborata da Hegel, passerà come elemento fondamentale al marxismo, attraverso il decomporsi dell'hegelismo successivo.
    4. Il culmine dell'idealismo: Hegel
    Con Giorgio Guglielmo Federico Hegel (1770- 1831), l'idealismo si costituisce in 'sistema' finito e completo. Oltre all'idealismo precedente, di Fichte e di Schelling, le fonti principali di Hegel sono, soprattutto, la concezione luterana della fede (separata dalla ragione), Spinoza e Kant. Conviene pure segnalare l'influsso che Hegel ricevette dal pensatore rinascimentale J. Bóhrne (1575-1624), cui si ispirò per concepire la dialettica come processo di sintesi degli opposti (ne parleremo più avanti), superando la forma di dialettica che già era in Kant, in Fichte e, specialmente, in Schelling.
    Non è possibile esporre con semplicità, e meno ancora in modo breve, tutto il pensiero hegeliano. Ciò nonostante, tenendo presenti le indicazioni fatte circa alcuni filosofi precedenti, è possibile ottenere una certa comprensione di alcune tesi hegeliane importanti come fonti dirette del marxismo, nonostante non si riesca a fornire il loro inquadramento nel complesso 'sistema' costruito da Hegel (di cui sarebbe inutile dare qui la struttura generale) e nonostante non si veda - con queste sole indicazioni - la coerenza di alcune tesi con le altre. Del resto, non tutto è coerenza - neppure formale o astratta - in Hegel, e le fratture e le ambiguità che il suo sistema presentava dettero subito origine alla disgregazione dell'hegelismo.
    a) Storia e dialettica in Hegel
    Hegel riprende il tema dell'Assoluto, caratteristico dell'idealismo precedente, ma non lo considera come una 'sostanza' e neppure semplicemente come coscienza soggettiva, bensì come 'processo'. Questo Assoluto (che chiama Dio) è 'immanente' alla natura e allo spirito (non trascendente o diverso dal mondo); ogni oggetto e ogni pensiero ne costituiscono lo sviluppo.
    La 'realtà', pertanto, non sono le cose, quanto la 'Storia', e questo processo (o storia) è la 'Ragione'. "Tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale" afferma Hegel: la storia è un processo rigorosamente razionale, logico. Cioè, l'identità fra 'reale' e 'razionale' significa che il processo dello spirito costitutivo della realtà, della storia, è un processo 'necessario', in cui nulla vi è di contingente o di accidentale, anche se soggettivamente può sembrare il contrario. La fase in cui appare la libertà' è precisamente, dice Hegel, quella in cui si produce la 'autocoscienza della necessità'.
    Questa Ragione è dialettica: il processo cioè non è qualcosa di continuo, ma procede 'a salti'; ogni momento (tesi) è superato per mezzo della sua negazione (antitesi), dando origine a un altro momento superiore (sintesi), che a sua volta è tesi per una nuova antitesi, ecc. Questa dialettica della 'negatività', in cui ogni momento genera il suo contrario e si compenetra in esso (la contraddizione sarebbe il motore della storia), è il 'metodo' che si applica a tutto: alla storia nelle sue diverse epoche, alla conoscenza immediata (opposizione soggetto-oggetto) e al suo superamento nella conoscenza mediata, ecc.
    Precisiamo un po' di più. La negazione di un momento del processo da parte del suo contrario non ha per risultato il nulla, perché ogni momento è finito e in quanto tale negativo (secondo il principio di Spinoza che ogni determinazione finita è una negazione): viene di qui che la sintesi sia negazione di una negazione e, pertanto, sia positiva (nonostante che, rispetto all'Infinito o Assoluto, sia a sua volta negazione, determinazione, che sarà a sua volta negata, ecc.).
    L'ateismo occulto di questa concezione sotto forma di panteismo - è evidente. "Se l'essenza divina non fosse l'essenza dell'uomo e della natura, sarebbe certamente un'essenza che non sarebbe nulla" (Hegel, Filosofia della Storia). Di fatto Hegel considerava la religione come un 'momento' dello Spirito Assoluto in processo, che in quanto tale doveva esser superato in una fase o momento superiore, che sarebbe la filosofia.
    Con quanto si è finora detto, è forse già facile vedere che nel sistema di Hegel la persona umana viene completamente disciolta nella totalità: è un 'momento' del processo. Questa concezione totalitaria passerà anche al marxismo.
    b) Alienazione e superamento
    Per completare queste frammentarie notizie sul pensiero hegeliano è interessante - per la sua influenza sul marxismo - segnalare brevemente il significato di due nozioni chiave: 'alienazione' e 'superamento'.
    L'idea di 'alienazione' non è da Hegel del tutto precisata. Si designa con questo termine un momento o fase della dialettica: il generare l'opposto (l'oggetto), l'uscire fuori da se stessi o oggettivare. In Hegel pertanto il termine alienazione non ha un senso peggiorativo - come succederà nel marxismo - benché certamente raffiguri qualcosa che deve esser superato. Secondo Hegel è, per esempio, alienazione la derivazione della natura a partire dalla 'Idea in sé e per sé', dimodoché la natura incosciente è lo 'spirito alienato' o 'alienazione dello spirito'; è alienazione anche il lavoro umano, in quanto oggettivazione (produzione di oggetti), ecc. Come si vede il termine alienazione è abbastanza vasto e alquanto inafferrabile in una definizione precisa. Semplificando un po' si potrebbe dire che l'alienazione è la generazione dell'antitesi da parte della tesi; che l'antitesi è la tesi alienata.
    Maggior importanza avrà per il marxismo la nozione hegeliana di 'superamento'. Il termine tedesco, Aufhebung, non si può tradurre semplicemente in quanto indica sia il 'sopprimere' che il 'conservare'.
    Hegel si rallegrò di aver trovato nella sua lingua una parola così 'speculativa' che gli serviva per esprimere l'idea principale della sua dialettica: il superamento per mezzo di una soppressione che conserva il soppresso. Questa nozione, intesa così, esprime molto bene l'essenza della dialettica hegeliana, in quanto indica che ogni momento del processo dialettico 'contiene e supera' quello precedente assorbendo il suo opposto, con il che il processo risulta sempre ascendente, progressivo.
    Questa acuta costruzione filosofica pagherà, però, un gran prezzo: la 'impossibilità teorica' di risalire all'errore iniziale, giacché crede di giustificare la propria filosofia criticando la tappa precedente, pensando che con ciò si è criticata 'tutta' la filosofia precedente. Come vedremo, il marxismo cade in pieno in questo laccio dialettico', dimodoché, criticando l'idealismo di Hegel, crederà di aver criticato tutta la filosofia precedente.
    c) Considerazione critica sull'idealismo hegeliano
    Nonostante che, come si è detto prima, non tutto sia coerenza - neppure formale o astratta - nel pensiero di Hegel, non è affatto facile realizzare una critica interna (una volta cioè presupposto il suo punto di partenza, che in fondo continua ad essere quello di Descartes, sia pur radicalizzato e depurato attraverso, soprattutto, Kant e Fichte).
    E' però abbastanza facile comprendere che l'idealismo hegeliano deforma lo stesso punto di partenza di ogni autentica speculazione filosofica. La coscienza umana, in effetti, si costituisce per un'esperienza bipolare evidente, costituita da una doppia presenza (quella del mondo e quella dell' 'io'), e da un doppio contenuto (la natura e la coscienza). L'idealismo, dopo che Descartes ha concepito questa polarità come 'dualismo', sopprime uno dei poli: fa della natura un modo, una manifestazione dell'io universale.
    Al contrario, la presenza del mondo e dell'io esige un fondamento, che è l'essere, come atto fondamentale che fa possibile il pensiero.
    L'idealismo - come il razionalismo, di cui è massima radicalizzazione - 'dimentica' che la coscienza può avvertire la presenza di se stessa soltanto se è attuata da qualcosa di diverso da lei, e se avverte che il suo essere - in atto di avvertire il mondo - è diverso dall'essere del mondo.
    L'atto di coscienza, come semplice atto, ha bisogno di un fondamento; è per questo che l'idealismo non può fare a meno del ricorso 'teologico' all'Assoluto, che assicura 'alle spalle' la strada che conduce dalla coscienza come possibilità alla coscienza come atto. In fondo, questo ricorso all'Assoluto è una prova 'interna' che il semplice 'pensiero del pensiero' (o 'coscienza pura' o 'cogito, ergo sum'di Descartes) non comincia realmente nulla, non è il vero inizio, perché non c'è neppure pensiero se non c'è l'essere.
    5. La dissoluzione dell'hegelísmo
    a) La destra e la sinistra hegeliana
    L'inizio del 'giovane hegelismo' si fa generalmente risalire alla pubblicazione, nel 1835, de La vita di Gesù, di D. F. Strauss, che distingueva nei seguaci di Hegel tre linee differenti - destra, centro e sinistra - a seconda della loro diversa opinione circa la storicità dei Vangeli. Questa classificazione, ispirata terminologicamente alla divisione del Parlamento francese, si ridusse subito a destra e sinistra, col dissolversi del centro all'interno della destra. A parte questa origine 'teologica', la divisione fra destre e sinistre fu molto profonda, e segnale del germe di decomposizione che albergava nel sistema hegeliano.
    La 'destra', formata principalmente da discepoli diretti da Hegel, manteneva un atteggiamento conservatore dei valori 'tradizionali' (protestantesimo, Stato prussiano, ecc.).
    La 'sinistra' ('giovani hegeliani') prese man mano il primato nell' 'eredità' dell'hegelismo, soprattutto dal 1838-1839. La sinistra, anche se si formò con certe divergenze interne, coincideva sull'opposizione al protestantesimo e allo Stato prussiano. All'interno delle sue file si formarono alcune correnti maggiormente differenziate: una di tipo nazionalista (il poeta H. Heine, prima menzionato, e soprattutto Moyses Hess); un'altra di tipo individualista-anarchico (i fratelli Bauer, soprattutto Bruno, e Max Stirner), e una terza radicale (Strauss, Feuerbach). Marx ed Engels si posero nella lìnea di Feuerbach e, in parte, di Stirner, sia pure criticandoli duramente, soprattutto a partire dal 1844.
    Se si può dire, semplificando, che la destra hegeliana aveva optato per il 'sistema' (finito, statico), la sinistra optò per il 'metodo' (la dialettica); se la destra era conservatrice, la sinistra era rivoluzionaria; se la destra pretendeva di essere 'teologica', la sinistra aveva scoperto che il 'segreto' che dava coerenza a Hegel era l'ateismo.
    b) Ludwig Feuerbach (1804-1872)
    Dopo aver studiato teologia protestante ad Heidelberg fu entusiasta discepolo di Hegel a Berlino. La sua filosofia può esser definita 'umanesimo materialista e ateo', ed egli stesso descrive la propria evoluzione personale con queste parole: "Il mio primo pensiero fu Dio; il secondo, la ragione; il terzo e ultimo, l'uomo".
    Oltre che all'idealismo hegeliano Feuerbach s'ispirò specialmente al materialismo illuministico dei secoli XVII e XVIII (Spinoza, Lamettrie, d'Holbach, Diderot)" (C. Fabro, Feuerbach, Marx, Engels. Materialismo dialettico e materialismo storico, La Scuola 1973, XXXVPI).
    Feuerbach rappresenta, pertanto, un tentativo di sintesi fra il materialismo e l'idealismo nati dal razionalismo. Si comprende allora facilmente che fu un precursore immediato del marxismo.
    Secondo l'interpretazione fornita da Marx, "solo Feuerbach, che ha completato e criticato Hegel dal punto di vista hegeliano (...)ha portato a compimento la critica della religione, tracciando nello stesso tempo i grandi e magistrali lineamenti per una critica della speculazione hegeliana e quindi di ogni metafisica" (Sacra famiglia, 155). E' interessante osservare come Marx, come abbiamo prima fatto notare a proposito della nozione hegeliana di 'superamento', sia prigioniero dell'errore di considerare superata 'ogni' metafisica con la semplice critica alla 'speculazione hegeliana'.
    L'operazione feuerbachiana fu, in effetti, quella di svelare il 'segreto' di Hegel: "Feuerbach scopre facilmente che tutto ciò che Hegel afferma di Dio, corrisponde in realtà all'uomo, al genere umano, o all'autocoscienza che questo genere umano va prendendo di se stesso" (Cardona, Opción intelectual, 205). Secondo Feuerbach, Dio altro non sarebbe che la proiezione psicologica che l'uomo fa della sua essenza al di fuori di sé; sarebbe la 'personificazione' dell'infinità della propria essenza, come l'essenza generica' (umanità, non singola persona). Ne consegue la necessità dell'ateismo per giungere ad affermare - dice Feuerbach ne L'essenza del cristianesimo - che "l'uomo è per l'uomo l'essenza suprema".
    In luogo della dialettica hegeliana della negatività Feuerbach ripropone una versione della dialettica soggettiva 'io - tu' (di taglio fichtiano), nella quale il motore non è la lotta dei contrari, bensì l'amore (un 'amore' materialista, che Freud poi ridurrà all'attrazione sessuale). Marx ed Engels, come poi vedremo, criticarono duramente questo aspetto del pensiero di Feuerbach.
    La nozione feuerbachiana di materia è ambigua: vedendola nel suo insieme sembra una specie di simbiosi fra Berkeley (che considerava la materia come semplice complesso di sensazioni) e Fichte (che la considerava come prodotto dell' 'Io puro').
    Questa mancanza di precisione, questa ambiguità nella nozione stessa di materia, è molto interessante, soprattutto in colui che può esser considerato il padre del materialismo umanista! L'ambiguità perdurerà, come poi vedremo, nel materialismo marxista.
    Sarebbe questo il momento di esporre brevemente alcuni cenni della vita e delle opere di Marx e di Engels, dato che non giunsero alla filosofia partendo dal socialismo, bensì al socialismo partendo dalla filosofia. Dice infatti Engels: "Quasi nessuno (di noi) è giunto al comunismo senza passare attraverso la dissoluzione della speculazione hegeliana compiuta da Feuerbach. Le reali condizioni di vita del proletariato sono così poco conosciute tra noi, ecc." (La situazione della classe operaia in Inghilterra, in Marx-Engels, Opere complete, cit., vol. IV, pref. 240). Ciò nondimeno, per evitare ripetizioni, tratteremo prima dei movimenti socialisti, e in essi includeremo alcuni dati sintetici della vita e dell'opera dei fondatori del marxismo.
    6. I movimenti socialisti in Francia e in Inghilterra
    Assieme allo sviluppo della filosofia dal razionalismo al materialismo e all'idealismo, e con mutue dipendenze e interazioni, si sviluppò in Europa il socialismo. Diversi fattori culturali e filosofici influirono sulla formazione delle idee socialiste; si ricordi, per esempio, quanto già segnalato circa il materialismo francese di Helvétius e l'idealismo di Fichte, quali precursori del socialismo.
    a) Precedenti storici del socialismo
    Un personaggio oscuro, che esercitò un discreto influsso sul sorgere dei primi movimenti socialisti, fu il sacerdote francese Jean Meslier (1692-1729). Meslier durante la sua vita non pubblicò nulla, ma alla sua morte lasciò un documento, conosciuto col nome di Testamento, nel quale, dopo una rabbiosa dichiarazione di ateismo, affermava che per porre fine alle disgrazie dell'uomo, occorreva prima di tutto farla finita con la religione e con la monarchia, che indistintamente qualificava quali invenzioni delle classi dominanti per continuare a detenere il potere assoluto. Meslier, anticipando Marx, affermava altresì che il matrimonio, la famiglia, la proprietà privata e la divisione delle classi avevano la loro origine nello sfruttamento esercitato dai potenti, e concludeva con un appello all'unione degli oppressi.
    Di poco posteriore a Meslier è il frate benedettino Dom Deschamps (1716-1774), che costituisce in un certo senso un annuncio del socialismo dialettico. Deschamps patì l'influsso di Rousseau e di Helvétius e il suo sistema filosofico, che parte dall'ateismo, può venire considerato un precedente della sinistra hegeliana.
    Un altro dei principali precursori del socialismo è F. N. Babeuf (1760-1797). Anche se la sua influenza teorica fu scarsa, si caratterizzò per il tentativo di mettere in pratica le idee che propugnava, creando una specie di partito il 'babeufismo' - allo scopo di lottare per porre termine alla proprietà privata.
    A proposito di Dom Deschamps si è fatto parola dell'influsso di Rousseau. E, in effetti, J. J. Rousseau, con la sua concezione della bontà naturale e dell'uguaglianza di tutti gli uomini, propugnava la negazione di ogni autorità di alcuni uomini sugli altri, e con la sua teoria del 'contratto sociale' come fondamento della società propugnava di "trovare una forma di associazione... con la quale ciascuno, unendosi a tutti, non ubbidisca ad altri che a se stesso". Influì pure sulla formazione del socialismo, per la sua teoria della 'volontà generale' della società, che non sarebbe la somma delle volontà individuali, bensì la volontà dell' 'Io comune', generato dal sacrificio di tutti sull' "altare dello Stato".
    Fu pure importante l'influsso del marchese di Condorcet (1741-1794), con le sue teorie circa il 'progresso' eterno dell'umanità fino all'eliminazione di ogni disuguaglianza fra gli uomini e fra le nazioni. Questa credenza nel mito del progresso è stata una costante della cultura occidentale a partire dal Settecento, costante che sopravvive, in forme diverse, fino ai giorni nostri.
    Ma fu nell'Ottocento che i movimenti socialisti presero uno slancio maggiore, ad opera della filosofia che aveva affermato, soprattutto con Hegel, la 'unità' di tutto l'universo in un' unica realtà, e inoltre il processo di continuo progresso di costruzione di codesta unità.
    b) Il socialismo 'utopistico'
    Con il nome spregiativo di 'socialisti utopisti' Marx ed Engels solevano qualificare i principali iniziatori del socialismo, alla fine del Settecento e agli inizi dell'Ottocento (cfr. Il Manifesto del partito comunista, Einaudi 1970, pp.231-232; L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Editori Riuniti 1971, p. 67 ss.), in particolare il conte di Saint-Simon (C. H. de Rouvray), Charles Fourier, Robert Owen ed Etienne Cabet.
    Saint-Simon (1760-1825) era un tipico rappresentante del razionalismo francese della fine del Settecento. Professava un culto entusiasta per la scienza; da buon cartesiano sosteneva che questa doveva fornire una morale nuova e una conoscenza certa del mondo che avrebbero rimpiazzato la religione. Difendeva un collettivismo sotto certi aspetti simile al marxismo.
    Charles Fourier (1771-1837). Proponeva un comunismo consistente in un nuovo tipo di comunità (i 'falansteri') basate sull'associazione volontaria del capitale. La nuova cellula sociale sarebbe la 'falange' (Fourier aveva un odio violento per l'istituto famigliare), nella quale la libertà sessuale verrebbe garantita da una combinazione 'scientifica' delle passioni, sicché lo stesso lavoro si trasformerebbe in un piacere. Marx vide nelle teorie dì Fourier un umanesimo ,compiuto' perché il punto di partenza della sua filosofia era l'ateismo.
    Robert Owen (1771-1858). Presenta una specie di comunismo nel quale - al pari di Fourier - è l'ateismo il punto di partenza, in accordo col clima intellettuale dominante in molti settori europei, ispirato dalla sinistra hegeliana. Per Owen l'uomo non è veramente libero, ma la sua condotta dipende dalle condizioni materiali e dall'educazione. Sicché, per arrivare a una 'nuova società, sarebbe necessario che l'uomo ricevesse un'educazione egualitaria, senza sanzioni, e nella quale siano abolite le idee di gerarchia, di proprietà e di disciplina sessuale. Con queste idee Owen fondò una colonia negli Stati Uniti (nell'Indiana), che presto degenerò nell'anarchia e nel caos totale, in tutti i sensi. Ritornato in Inghilterra, ripeté il tentativo, ma il risultato caotico si verificò di nuovo. Come si vede, la pretesa 'liberazione sessuale', di cui si parla oggi, non è affatto originale.
    Etienne Cabet (1788-1856) espose le sue idee socialiste nella sua opera Voyage en Icarie; propugnava la comunità dei beni, conservando però il matrimonio e l'obbligo del lavoro. Fece anch'egli un tentativo di colonia socialista negli Stati Uniti, che chiamò Icarie.
    c) il socialismo 'democratico'
    Con questo nome si è soliti designare un altro tipo di socialismo, di origine francese, che ebbe i suoi principali rappresentanti in Leroux, Considerante, specialmente, in Proudhon.
    Pierre Leroux (1797-187 1) centrò i suoi sforzi nella elaborazione di una 'religione' del socialismo. Leroux, di ispirazione hegeliana, dissolveva l'uomo nell'Umanità ' e difendeva una strana specie di panteismo che cerca di spiegare la realtà per mezzo di un sistema di triadi (a immagine della Santissima Trinità), e la sostituzione della carità con quella che egli chiamava 'solidarietà', basata sull'amore di ciascuno per se stesso.
    Victor Considerant (1808-1893) fu discepolo di Fourier. Il suo influsso è interessante per il fatto che si propose di 'convertire al cristianesimo' le dottrine del suo maestro. Speculativamente non apportò gran che, propugnando, invece dell'eliminazione della proprietà privata, la sua moltiplicazione in modo che divenisse un diritto di tutti.
    Pierre J. Proudhon (1809-1865) è forse il più importante di tutti i teorici socialisti precedenti e contemporanei al marxismo.
    Di formazione filosofica hegeliana, mostra nelle sue opere un ateismo violento, e fu considerato il leader del socialismo francese, al punto che Marx si recò a Parigi per conoscerlo.
    Nella sua opera Che cos'è la proprietà? Proudhon, dopo aver affermato che essa è un furto, cerca la sintesi fra comunità (tesi) e proprietà privata (antitesi), credendo di trovarla in ciò che chiama 'possesso': concessione gratuita di alcuni beni ai singoli, tenendo conto dell'equilibrio delle forze economiche della società in ogni momento.
    Quando conobbe queste teorie Marx si oppose a Proudhon, accusandolo di non avere "se non le parole" della dialettica hegeliana e dedicandogli l'appellativo di "socialismo conservatore o borghese" (Manifesto, 217), e altre volte di "piccolo borghese". Proudhon, da parte sua, qualificava 'utopistica' la dottrina marxista perché, secondo lui, "ogni giornaliero aspira ad essere impresario; ogni ufficiale, ad essere maestro; i sogni del lavoratore sono di avere la carrozza, come prima quelli del plebeo erano di arrivare ad esser nobile; e perfino le donne aspirano a sposarsi per essere sovrane di un piccolo Stato che esse chiamano la loro casa".
    Si deve osservare che questa critica di Proudhon al marxismo, basata sulla semplice esperienza delle 'aspirazioni borghesi' degli uomini, il marxismo in Russia se la trovò fatta realtà e cercò, come vedremo, di schiacciarla con la forza.
    Si deve infine segnalare che Proudhon fu il primo, fra i moderni, a parlare della 'anarchia' come futura formula di governo sociale.
    7. Il socialismo tedesco e i fondatori del marxismo
    Si può vedere in Karl Rodbertus-Jagetsow un antecessore prossimo, tanto del socialismo marxista quanto del socialismo 'di Stato', di cui si parlerà più innanzi. Già Rodbertus affermava che il profitto dei proprietari procede dallo sfruttamento dei lavoratori, dato che ricevono i benefici di qualcosa nella cui produzione non sono intervenuti. Secondo Rodbertus questa frode si mantiene grazie alla proprietà privata.
    Il trapianto diretto del socialismo francese e di quello inglese in Germania dette origine anche a quello che si autodenominò 'vero socialismo' (rappresentato specialmente da Karl Grün), che Marx qualificò "un'oziosa speculazione" (Manifesto, 195). A questo 'vero socialismo', che non ebbe grande influenza, Marx ed Engels avevano dedicato, prima del Manifesto, una dura critica nell'ultima parte della loro opera congiunta L'ideologia tedesca.
    a) Karl Marx
    Nacque a Treviri, in Prussia, il 5 maggio 1818. Suo padre era ebreo di religione ma, poiché le leggi di Prussia permettevano ai soli luterani di svolgere professioni liberali, si 'convertì' al luteranesimo. Ammiratore di Rousseau, di Voltaire e di Diderot, educò suo figlio secondo le teorie di questi autori.
    Non risulta che Karl Marx fosse battezzato, e non ricevette nessuna formazione religiosa.
    Nel 1830 cominciò a frequentare il liceo di Treviri e, nel 1835, si iscrisse alla Facoltà di diritto di Bonn. L'anno successivo conobbe Jenny von Westphalen, che sposerà nel 1843. Da lei ebbe sei figli, tre dei quali morirono molto giovani. Le sue figlie poi si sposarono con dei socialisti e contribuirono alla diffusione delle idee del padre.
    Nel 1836, visto il poco profitto dei suoi studi a Bonn, suo padre lo iscrisse alla Facoltà di Berlino. Ivi seguì i corsi di Savigny (che negava il diritto naturale) e di Gans (che spiegava la filosofia del diritto di Hegel). Nel 1837 cominciò a frequentare il Doktorclub, dove entrò in contatto con i 'giovani hegeliani' della sinistra. Conobbe Bruno Bauer, e quando questi ottenne una cattedra a Bonn, Marx si affrettò a presentare la sua tesi dottorale alla Università di Lena: Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, con il proposito di assicurarsi anch'egli un incarico d'insegnamento in quella università. Si era nel 1841.
    Bauer fu espulso dalla Università di Bonn, e Marx - non riuscendo ad ottenere la cattedra - cominciò a scrivere sulla rivista Rheinische Zeitung, attaccando l'idea di 'Stato cristiano' e dedicando particolare attenzione alle questioni sociali. Nel 1843 la rivista fu chiusa per ordine del governo, e Marx andò a Parigi per mettersi in contatto con i movimenti socialisti - specialmente con Proudhon - che aveva conosciuto attraverso l'opera di Lorenz von Stein, pubblicata nel 1842, Il socialismo e il comunismo della Francia contemporanea.
    Restò a Parigi per due anni. Durante questo tempo, con l'aiuto di un altro 'giovane hegeliano', Arnold Ruge, fondò gli Annali Franco-Tedeschi. Lì cominciò pure a studiare gli economisti classici e scrisse i Manoscritti del 1844, che furono pubblicati solo molto tempo dopo.
    Alla fine del 1844 Marx ed Engels - assieme per la prima volta - scrissero La sacra famiglia, titolo blasfemo-satirico per designare Bruno Bauer e seguaci, che fu pubblicata nel 1845, anno in cui Marx fu espulso dalla Francia e andò a stabilirsi a Bruxelles.
    Lì lo raggiunse Engels e insieme scrissero L'Ideologia tedesca, criticando Feuerbach, Bauer, Stirner e il 'vero socialismo' tedesco.
    Il 1846 è l'anno della rottura fra Marx e Proudhon: questi aveva scritto La filosofia della miseria e Marx gli rispose l'anno successivo con la Miseria della filosofia.
    In quest'epoca Marx entrò nella Lega dei Comunisti alla quale cambiò subito il motto "Tutti gli uomini sono fratelli" in quello "Proletari del mondo, unitevi". Marx assunse subito il controllo della Lega e, su richiesta del II Congresso di questa, Marx ed Engels redassero Il manifesto del partito comunista, pubblicato per la prima volta nel 1848.
    Una serie di moti rivoluzionari ebbe luogo in Germania durante quell'anno, e Marx poté tornare nel suo paese. Entrò come redattore capo della Neue Rheinische Zeitung, e collaborò al movimento comunista di Colonia finché, dopo l'insuccesso di questo movimento, fu un'altra volta espulso dalla Germania.
    Sono di quest'epoca gli articoli che, nel 1895, Engels raccolse ne La lotta di classe in Francia e quelli che costituiscono Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte.
    Nel 1849 Marx si stabilì definitivamente a Londra.
    Dovette affrontare serie difficoltà economiche e per ottenere un pò di denaro scrisse in questi anni una serie di articoli per il New York Tribune.
    Nel 1859 pubblicò il volume Per la critica dell'economia politica.
    Nel 1864 ebbe inizio un nuovo periodo della vita di Marx, periodo specialmente dedicato alle sue lotte contro le deviazioni dalla 'ortodossia socialista' che egli propugnava. In detto anno partecipò alla formazione della 'I Associazione internazionale dei lavoratori' (meglio conosciuta come 'I Internazionale') di cui sarà membro attivo fino al 1876.
    Come dirigente della 'I Internazionale' Marx dedicò molta della sua attività a lottare contro i seguaci di Proudhon in Francia, quelli di Lassalle in Germania, e gli anarchici, capeggiati da Bakunin.
    Nel 1867 fu pubblicato il primo libro de Il capitale.
    Tre anni dopo scoppiò la guerra franco-prussiana, dinanzi alla quale Marx adottò inizialmente una posizione favorevole ai prussiani, perché vedeva che la vittoria di questi "sarebbe nel contempo la vittoria della nostra teoria su quella di Proudhon" (Lettera a Engels, 20-VII-1870). Più tardi però cambiò posizione e si unì alla 'Comune di Parigi', che considerò "un araldo glorioso della nuova società".
    Nel Congresso del 1872 a La Haye, Marx ottenne che Bakunin e i suoi anarchici fossero espulsi dalla Internazionale, e anche che la sede dell'associazione si trasferisse a New York, per evitare una nuova infiltrazione di proudhonisti e di bakuninisti. A New York la I Internazionale ebbe vita languida, fino a quando sparì.
    A partire dal 1873 Marx si ritirò quasi completamente dalla vita pubblica, dedicandosi a continuare Il capitale. Mori a Londra il 14 marzo 1883.
    b) Friedrich Engels
    Nacque a Barmen (Westfalia) il 28 novembre 1820, da famiglia borghese di industriali. Fino a non molto tempo fa si pensava che Marx avesse 'educato' Engels al socialismo, ma la pubblicazione delle opere giovanili di Engels evidenziò che questi sofferse per conto suo la crisi avvenuta in Germania nel decennio successivo alla morte di Hegel, e che nel momento del suo incontro con Marx già da vari anni procedeva sulla stessa strada.
    Engels subì l'influsso di Hegel attraverso gli insegnamenti di Strauss, Batier e Feuerbach.
    I suoi primi scritti filosofici sono dedicati alla speculazione teologica.
    Nonostante la deformazione della sua concezione religiosa - tipicamente luterana - Engels durante questo periodo appare molto diverso da Marx, che sembra non abbia mai avuto credenze religiose.
    Molto presto però, influenzato dalla 'demitizzazione' del Vangelo fatta da Strauss, Engels passò decisamente all'ateismo e a mostrare, come gli altri della sinistra hegeliana, che questo ateismo era il 'segreto' del sistema hegeliano. Nel 1841-42 Engels era già comunista.
    Alla fine del 1842 andò a Manchester per lavorare in un'azienda paterna e si verificò il suo primo contatto con il mondo del lavoro.
    Pubblicò il saggio Situazione in Inghilterra nel quale compaiono ancora i problemi religiosi; ma il lavoro forse più qualificante di questo periodo fu la sua critica al libro di Th. Carlyle, Past and Present, in cui fa già una critica 'positiva' della religione. Pure appartiene a questo periodo il suo Abbozzo di una critica dell'economia politica.
    A partire dal 1843 cominciò la sua amicizia e collaborazione con Marx, dalla quale seguirono le già citate opere congiunte: La sacra famiglia, L'ideologia tedesca, ecc.
    Nel 1844 cominciò a scrivere la sua opera La situazione della classe operaia in Inghilterra, che non terminò fino al 1849. Redasse, su richiesta dei comunisti e prima che commissionassero a Marx e a lui il Manifesto, i Principi del comunismo. Dopo l'insuccesso della rivoluzione tedesca del 1848 scrisse tre saggi sul tema.
    Nel 1850 tornò alla fabbrica di suo padre a Manchester, e di lì continuò la sua collaborazione con Marx, specialmente nella redazione degli articoli politici per il New York Tribune.
    Quando Marx si ritirò dalla vita pubblica, Engels assunse tutto il peso della diffusione e della difesa del marxismo, contro gli attacchi di 'revisionisti' e anarchici.
    Degli anni 1876-77 sono le sue polemiche contro il socialista Eugen Dühring, raccolte nella sua opera Antidühring, della quale un capitolo fu redatto da Marx. A causa di queste polemiche aveva dovuto interrompere i suoi lavori circa la Dialettica della Natura; e dovette lasciarli di nuovo alla morte di Marx, per dedicarsi a mettere ordine nelle note e nei manoscritti lasciati dal suo amico.
    Nel 1885 pubblicò il II libro de Il capitale, e, nel 1894, il III, undici anni dopo la morte di Marx.
    Durante tale periodo fu praticamente questo l'unico lavoro che fece, a parte l'appoggio fornito ai diversi partiti comunisti europei, soprattutto a quello russo. Mori nel 1895.

    8. Principali avversari di Marx ed Engels
    a) Il 'socialismo di Stato' di Lassalle
    Ferdinand Lassalle (1825-1865) fu il massimo rappresentante del 'socialismo di Stato'. La sua principale differenza con il marxismo consisteva nella tattica propugnata per arrivare alla società socialista.
    Lassalle negava la necessità della Rivoluzione, e affidava allo Stato il compito di stabilire il socialismo.
    Il programma di Lassalle, di ispirazione hegeliana, si potrebbe riassumere dicendo che la storia dell'umanità altro non sarebbe che una lunga lotta per conquistare la libertà sulla Natura, sulle oppressioni di ogni tipo (fra le quali pone come principale la religione), e sulle miserie che circondano l'uomo. Lassalle affermava che era necessaria, per vincere questa lotta, l'unione di tutti i lavoratori, unione che solo lo Stato poteva creare.
    Alla sua morte le sue dottrine non godettero di molta stima fra i socialisti 'ortodossi' (di orientamento più o meno marxista), e nel Congresso di Erfurt (1891) condannarono la teoria di Lassalle. Ad ogni modo, attraverso il suo discepolo Wagner, Lassalle influì molto sul partito laburista inglese.
    b) L'anarchismo: Bakunin
    Nel IV Congresso della I Internazionale (Basilea, 1869) c'erano due tendenze principali: i marxisti e gli anarchici.
    Dopo quattro anni di continue dispute, al Congresso di La Haye del 1872, gli anarchici, capeggiati da Bakunin, ruppero definitivamente con i marxisti.
    Mijail Bakunin (1814-1876) nacque vicino a Mosca, da famiglia agiata, ma a partire dai ventun anni cominciò una vita errante per l'Europa. Verso il 1840 arrivò a Berlino ed entrò in contatto con la sinistra hegeliana, specialmente con Max Stirner, che avrebbe decisamente influito sulla sua concezione politico-sociale.
    Nel 1848 prese parte alla rivoluzione tedesca di Dresda; fu fatto prigioniero e consegnato alle autorità russe, che lo deportarono in Siberia.
    Nel 1860 fuggì, e attraverso il Giappone e gli Stati Uniti tornò in Europa, partecipando a diversi tentativi rivoluzionari in Russia, in Polonia e in Italia.
    Nel 1867prese parte al I Congresso della 'Lega della Pace', ma patì una disillusione di fronte al pacifismo di Victor Hugo, Garibaldi, ecc.
    L'anno successivo Bakunin fondò la 'Alleanza della Democrazia Socialista', che si unì alla I Internazionale. Fu allora che le sue dispute con Marx assunsero un carattere non soltanto teorico ma personale. Bakunin scriveva poi: "Marx mi ha chiamato idealista sentimentale, e aveva ragione; io l'ho chiamato un uomo vanitoso, perfido e astuto, e anch'io avevo ragione".
    Teoricamente, Bakunin affermava che lo Stato è la somma delle negazioni della libertà individuale e che la società politica è la causa di tutti i crimini. Sarebbe pertanto necessaria e sufficiente la rivoluzione che annulli lo Stato borghese capitalista perché si instauri la 'nuova società', nella quale non vi sarà nessuna autorità, e che sarebbe naturalmente buona in quanto fondata sulla libertà degli individui, pertanto, senza bisogno di una tappa intermedia di 'Stato proletario', fra la rivoluzione e il comunismo, come propugnato da Marx.
    Dopo essersi separato dall'Internazionale, Bakunin fondò la Federazione del Giura, che fu la culla di quasi tutti gli anarchici dell'Ottocento.
    9. Le dottrine economiche
    Nonostante che l'economia sia stata studiata fin dai tempi antichi, la 'scienza economica' è di origine abbastanza recente, e si è soliti porre il suo inizio verso la metà del Settecento. L'economia, che all'inizio era un insieme di norme etiche per amministrare le ricchezze, acquistò a poco a poco - soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento in poi - indipendenza rispetto alla morale, fino a reggersi con leggi proprie. Tuttavia l'inizio di questa separazione risale specialmente al 'mercantilismo' del Seicento.
    a) Il mercantilismo
    Si è soliti designare con questo nome le concezioni economiche predominanti in Europa fino al 1750, durante il periodo caratterizzato, in campo economico. a grandi linee, dall'iniziare e primo svilupparsi del capitalismo, molto legato al fiorire del commercio, ancora però nell'ambito di una società a stati sociali, monarchica e con residui di feudalesimo.
    Il mercantilismo non fu un sistema e neppure una teoria economica; gli economisti si dedicarono, inizialmente, a stabilire una serie di norme concrete per l'arricchimento del Principe o dello Stato, e, in seguito, anche per l'arricchimento privato.
    Queste norme venivano stabilite con indipendenza dalla morale: come leggi mercantili 'autonome', con le quali si cominciò a perdere di vista la precedente concezione di 'giusto prezzo' per sostituirla con quella di 'prezzo conveniente'.
    Però, nonostante la 'emancipazione' dell'economia dalla morale, le soluzioni e i piani mercantilisti costituivano ancora un ostacolo per la libera attività economica degli individui, data la loro generalizzata dipendenza rispetto agli interessi degli Stati moderni nascenti.
    Il mercantilismo, accanto a questo, comportò in pratica una diffusa trascuratezza dell'agricoltura.
    Nel Settecento, come reazione a questa situazione, nacque l' 'economia politica' liberale (anche se il termine fu coniato dal mercantilista francese Montchrestien nel 1615).
    b) I fisiocratici
    Furono i primi a concepire l'ordine economico come analogo a un organismo naturale. La società economica è, secondo loro, un organismo di circolazione della ricchezza, retto da alcune leggi proprie e 'naturali', a meno che non vengano loro posti degli intoppi artificiali (intervento statale, imposte, ecc.). L'ordine e lo sviluppo economico è il migliore possibile, secondo questi autori, quando gli individui sono pienamente liberi di operare nella circolazione di ricchezze, dato che quest'ordine è quello 'naturale'.
    Ricevettero il nome di 'fisiocratici' (fisiocrazia = governo esercitato dalla natura) gli autori francesi che costituirono scuola attorno a Francois Quesnay e al marchese di Mirabeau, verso la fine del Settecento.
    Le idee naturaliste di Quesnay si concretarono nel suo 'quadro economico', del 1758, che è una rappresentazione grafica delle leggi di circolazione della ricchezza fra le 'classi' (produttiva, proprietaria e sterile, secondo la sua terminologia),
    Questa terminologia ci indica un'altra delle idee principali dei fisiocratici: oltre che per il liberalismo, erano 'agrari'. Ciò che circola nella società è secondo loro il surplus (eccesso di beni rispetto al consumo) o prodotto netto; e questo sarebbe prodotto solo dall'agricoltura, dato che solo in essa la natura collabora con l'uomo. L'industria e il commercio, invece, sarebbero 'sterili'. Anche se sono necessari, l'industria e il commercio non 'producono' propriamente ricchezza: la trasformano soltanto e la trasportano; sicché alla fine del ciclo ciò che avanza (il surplus o prodotto netto, indice del progresso economico) sarebbe dovuto alla sola agricoltura.
    Marx - anche se li criticava duramente - trovò nei fisiocratici un aspetto utile e precisamente la loro concezione naturalista dell'economia, che presentava punti di contatto con la visione marxista della storia come processo naturale.
    c) La nascita della scuola 'classica' di economia politica: Adam Smith
    Il liberalismo economico francese della scuola fisiocratica passò presto in Inghilterra, ma si abbandonò il carattere 'agrario' della produttività per mettere l'accento sul 'lavoro umano' come fonte primaria della produttività economica.
    Adam Smith (1723-1790) si occupò dei problemi economici partendo dalla filosofia, influenzato soprattutto dall'empirismo di David Hume.
    Conobbe Quesnay nel 1764 e due anni dopo pubblicò la sua opera fondamentale: Ricerche sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni.
    Adam Smith viene frequentemente considerato come il fondatore dell'economia politica classica, e perfino come il padre della scienza economica in generale, mentre altri pensa che, nonostante il suo influsso sia indubbio, questo sia un giudizio esagerato.
    L'apporto principale di Smith è più dottrinale che tecnico. Secondo lui - e ciò comportava una certa rivoluzione - l'unico fattore di produttività è il lavoro. Ne consegue che, per Smith, il progresso economico è legato essenzialmente alla divisione del lavoro, che rende possibile la diminuzione del costo di produzione di ogni mercanzia valutato in lavoro umano.
    Smith però non giunse a precisare un'unità di misura per codesto lavoro: alcune volte assume come misura del valore di una mercanzia il 'tempo' di lavoro necessario per produrla, e altre volte il 'valore' del lavoro (salari). Questo sarà uno dei punti che Marx criticherà in Smith.
    La teoria del valore è uno dei pilastri dell'economia classica.
    Il valore però di una determinata realtà materiale non è qualcosa di univoco: fu precisamente Adam Smith a introdurre la distinzione fra 'valore d'uso' (pressappoco l'utilità pratica dell'oggetto per la vita dell'uomo) e 'valore di scambio' (il suo equivalente economico sul mercato).
    In tal modo, per esempio, l'acqua ha sempre un enorme valore d'uso, mentre il suo valore di scambio può variare (dall'essere di solito piccolo, e perfino nullo, sino a essere elevato, in circostanze di grande scarsità). Il contrario succederà, per esempio, con il diamante, di limitato valore d'uso e di grande valore di scambio.
    d) David Ricardo (1772-1823)
    E l'altro grande rappresentante dell'economia politica classica inglese.
    La sua influenza fu maggiore di quella di Smith, di cui prese. la tesi del lavoro come fonte unica del valore.
    La sua opera Principi di economia politica e di tassazione, del 1817, è ancora oggetto di riedizioni in diverse lingue.
    L'importanza di Ricardo è dovuta a diversi aspetti della sua economia, come l'analisi dell'origine della rendita del suolo, aspetti che qui non ci interessano.
    Per ciò che si riferisce alla 'teoria del valore', punto che invece è di interesse per il fine di queste pagine, Ricardo si accorse che Smith aveva utilizzato indiscriminatamente, come misura del valore della merce, il tempo di lavoro e il valore del lavoro (salari).
    Propose allora l'unificazione di questa misura, nel senso seguente: assumere come misura del valore il valore del lavoro (salari), ma per questo bisognava ottenere che la proporzione fra capitale fisso (macchinari, edifici, ecc.) e capitale impiegato in salari fosse la stessa in tutte le industrie.
    Ma ciò, come gli obietterà Marx, è inattuabile: questa proporzione non può essere uguale, per esempio, nell'agricoltura e nell'industria siderurgica.
    Ciò nonostante è con Ricardo, più ancora che con Adam Smith, che si viene a considerare il valore di scambio come unico valore economico.
    Un altro aspetto importante dell'opera di Ricardo fu la tecnificazione dell'economia (codificazione in formule matematiche), che dette a questa scienza un aspetto 'oggettivo', indipendente da ogni concezione filosofica, e la rese restia ad accettare istanze e obiezioni di tipo filosofico, etico, ecc. Ciò nonostante c'è in essa tutta una carica ideologica: il liberalismo materialista dei fisiocratici.
    e) Economisti posteriori
    Dopo Smith e dopo Ricardo segui una serie di autori di importanza minore, che si limitavano a diffondere le dottrine dei 'maestri'.
    Fra di essi si suole citare soprattutto James Mill e Nassau Senior.
    Maggiore importanza ebbe il filosofo ed economista inglese John Stuart Mill (1806-1873), il quale, oltre ad essere un brillante espositore e divulgatore, nella sua opera Principi di economia politica, del 1848, formulò la legge della tendenza decrescente, del profitto, della quale Marx si giovò. D'altra parte, Stuart Mill propugnò una specie di sintesi fra liberalismo e socialismo. t frequente però che i marxisti considerino questo autore come un semplice ripetitore e continuatore di Ricardo, forse per sottolineare di più l'originalità di Marx (p. es., M. Dobb, Introducciòn a la economìa, Fondo de Cultura econòmica 1938, p. 32).
    In Inghilterra l'ottimismo naturalista dell'economia classica venne presto meno, dando origine a variazioni pessimistiche circa il progresso economico. anche se non mancarono sostenitori accaniti dell'ottimismo iniziale, come Samuel G. Lloyd, e soprattutto Cairnes. Fu comunque in Francia che il liberalismo inglese assunse carattere quasi ufficiale, soprattutto con J. B. Say.
    Il liberalismo dei classici inglesi ebbe poca risonanza in Germania dove von Thúnen seguendo la linea dello 'Stato commerciale chiuso' di Fichte e dell'economia nazionalista di List - propugnò una teoria economica isolazionista. Maggior interesse presentò la successiva 'scuola storicista' tedesca di Roscher e Wagner, che negavano un 'ordine naturale' e difendevano l'evoluzione continua delle strutture economiche, benché in pratica fossero conservatori. Anche Roscher e Wagner attrassero l'attenzione critica di Marx, che accettò da essi - conformemente alla tradizione hegeliana tedesca - il carattere storico delle forme economiche, ma criticando sia il loro conservatorismo pratico, sia la loro considerazione delle forme economiche come dipendenti dal cammino della storia sociale, mentre, secondo Marx, succede esattamente il contrario: è la struttura economica a produrre le forme sociali.

  2. #202
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    Citazione Originariamente Scritto da cciappas Visualizza Messaggio
    ma tutto questo non dipende dall'illuminismo , dipende dipende dalla pubblicità capitlaistica, chi ha più soldi più fa pubblicità, ed ha più adepti che consumano i suoi beni.
    ma la pubblicità non è illuminismo ,,,,è solo un'arma più sofisticata di quelle di bronzo e di ferro...... ed anche il suo dispiegarsi è simile alle orde che usavasno armi di bronzo e di ferro per fare bottino..........
    e voi con quella fiamma siete stati sempre amici e degli imperi e del bottino e del capitale.......
    quindi nulla a che fare con l'illuminismo che parla invece di contratto sociale
    veramente, da che mondo è mondo, e' il marxismo a essere la forza uguale e contraria alla direzione capitalista.

    Questo proprio perche' le società organiche sono basate su fondamenti economici, e non li trascendono (a differenza delle società fasciste e nazionalpopolari).
    E questa e' una conseguenza importante propria dell'Illuminismo, poiche' le società vengono organizzate e ragionate non piu' in base alla gerarchia intellettuale o spirituale, bensi' su basi di censo(liberismo) e su una diversa organizzazione dei mezzi di produzione(liberismo-socialismo reale).

    Un esempio su tutti? La mondializzazione dei costumi è la base su cui si espande il liberismo (con la fase imperialista), come imposizione di un modello spersonalizzante, e la creazione del c.d. "vilaggio globale".
    A parte che in Unione Sovietica c'e' stato un imperialismo non tanto diverso (se si escludono le basi dell'organizzazione economica appunto), ma volendo trascendere l'aspetto storico, si parla non a caso di internazionalismo.
    che e' quello che rifuggono le società nazionalpopolari. (a buon intenditor....)

    Ps, la pubblicità è propaganda da migliaia di anni, non è una invenzione capitalista, se ci pensi bene...

  3. #203
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    Citazione Originariamente Scritto da RibelleDiVandea Visualizza Messaggio
    veramente, da che mondo è mondo, e' il marxismo a essere la forza uguale e contraria alla direzione capitalista.

    Questo proprio perche' le società organiche sono basate su fondamenti economici, e non li trascendono (a differenza delle società fasciste e nazionalpopolari).
    E questa e' una conseguenza importante propria dell'Illuminismo, poiche' le società vengono organizzate e ragionate non piu' in base alla gerarchia intellettuale o spirituale, bensi' su basi di censo(liberismo) e su una diversa organizzazione dei mezzi di produzione(liberismo-socialismo reale).

    Un esempio su tutti? La mondializzazione dei costumi è la base su cui si espande il liberismo (con la fase imperialista), come imposizione di un modello spersonalizzante, e la creazione del c.d. "vilaggio globale".
    A parte che in Unione Sovietica c'e' stato un imperialismo non tanto diverso (se si escludono le basi dell'organizzazione economica appunto), ma volendo trascendere l'aspetto storico, si parla non a caso di internazionalismo.
    che e' quello che rifuggono le società nazionalpopolari. (a buon intenditor....)

    Ps, la pubblicità è propaganda da migliaia di anni, non è una invenzione capitalista, se ci pensi bene...

    non perdere piu tempo con ignoranti che parlano solo per slogan politici,
    perdi tempo.

  4. #204
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    molto interessante il pezzo che hai postato

    forzando la cosa,si potrebbe dire che LUTERO è stato il fondatore del Komunismo........

    CMQ ciò dimostra come la religione cristiana non è stato un OSTACOLO allo svilupopo dell'Illuminismo , ma al contrario, è stato uno STEP fondamentale nell'EVOLUZIONE del pensioro Occidentale

    quando l'ISLAM, invece , ha distrutto qualsiasi progresso civile e/o materiale delle soc medio-orientali

  5. #205
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    Questa immagine, diffusa verso la fine del secolo XIX dal Grande Oriente di Francia, sintetizza l’uomo nato dalla Rivoluzione francese. L’uomo con la cazzuola da muratore e il grembiule è, chiaramente, il "libero muratore" o "massone".

    Egli è appoggiato ad una colonna sulla quale è incisa, su due tavole, la "Dichiarazione dei diritti dell’uomo", che sostituisce le due tavole dei "Dieci Comandamenti" dati da Dio a Mosè.

    Poggiato su questa dichiarazione, che costituisce il fondamento dello Stato ateo, egli schiaccia ed uccide il prete, butta a terra la tiara e le corone. In alto, campeggia il trinomio della Massoneria: Liberté, Egalité, Fraternité.


    Con la proclamazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, la Rivoluzione francese abolì i Diritti di Dio mentre i suoi Ministri, che non riuscì ad affogare nel sangue, li esiliò in massa! Decapitato e messo al bando il culto cattolico, la Rivoluzione lo sostituì con un altro culto: il culto della Natura! Così descrive questo evento lo storico francese Enrico Delassus: «In fatto di religione, (la Rivoluzione) organizzò il culto della Natura. Una nuova religione fu istituita, avente i suoi dogmi, i suoi preti, la sua domenica, i suoi santi. Dio fu sostituito dall’Essere supremo e dalla Dea Ragione; il culto cattolico dal culto della Natura. Poi, venne il culto vero e proprio: «Nella festa del 10 agosto 1793, una statua della natura ven ne eretta sulla piazza della Bastiglia, e il presidente della Convenzione, Herault de Séchelles, le rivolse questo omaggio a nome della Francia ufficiale: "O Natura! sovrana delle barbare e delle colte nazioni, questo popolo immenso radunato ai primi raggi del giorno davanti alla tua immagine, è degno di te. Egli è libero; nel tuo seno e nelle tue sorgenti ha ricuperato i suoi diritti, si è rigenerato. Dopo aver attraversato tanti secoli di errori e di servitù era pur necessario ch’egli entrasse nella semplicità delle tue vie per ritrovare la libertà ed eguaglianza. Ricevi, o Natura, la protesta dell’attaccamento eterno dei francesi alle tue leggi!". Dopo questa specie d’inno, unica preghiera, dai primi secoli del genere umano in poi, indirizzata alla Natura dai rappresentanti d’una nazione e dai suoi legislatori, il presidente riempì una coppa di forma antica, dell’acqua che scaturiva dal seno della Natura; ne fece delle libagioni alla Natura, bevette nella tazza e la porse agli inviati del popolo francese. Come si vede, il culto è completo: preghiera, sacrificio, comunione».



  6. #206
    Memento Audere Semper
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    dovesti dire anche che il Grande Oriente di Francia è stato espulso dalla Gran Loggia Madre d'Inghilterra ed oggi è un Oriente a sè che non fa parte della muratoria universale.





    piccola curiosità per "addetti ai lavori": quando la rivoluzione francese fu portata a compimento Robespierre gridò dall'Eliseo rivolto verso Notre Dame "Jacques de Molay sei stato vendicato"!!!
    In spregio alla monarchia di Filippo il bello (o il falsario) e Papa ClementeV (il Papa di Avignone)









    Finalmente qualcuno che arriva al nocciolo della questione.
    Lo scrissi anche prima ma evidentemente nessuno mi ha capito.
    Voltairre Franklin e le 9 sorelle

 

 
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