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  1. #1
    Paolo2005
    Ospite

    Predefinito Il peso stratefgi del Giappone aumenta?

    IL CRESCENTE PESO STRATEGICO GIAPPONESE
    Tiziana Mauriello
    i Documenti di Analisi Difesa
    Ottobre 2006
    Anno 7 - N° 71
    La Costituzione giapponese, emanata
    il 3 novembre 1946 ed entrata in
    vigore il 3 maggio 1947, era stata
    elaborata dagli Stati Uniti con lo scopo
    di promuovere una politica di disarmo,
    smilitarizzazione e democratizzazione
    del Giappone e scongiurare
    nel futuro ogni sua eventuale
    velleita’ militare. Ovvio corollario di
    questa impostazione fu l’impossibilita’,
    per il Giappone stesso, di sviluppare
    un autonomo strumento militare
    impiegabile al di fuori dei confini
    nazionali. L’articolo 9 della Costituzione,
    concernente le forze armate,
    infatti, costituisce la connotazione
    peculiare del dettato costituzionale
    stabilendo che […] il popolo giapponese
    rinunzia per sempre alla guerra
    quale diritto sovrano della nazione, e
    alla minaccia o all’uso della forza
    quale mezzo per risolvere le controversie
    internazionali […] non saranno
    mantenute forze di terra, del mare,
    dell’aria, e nemmeno altri mezzi
    bellici. Questa previsione era stata,
    poi, rafforzata con le statuizioni degli
    articoli 18 e 76 della Carta costituzionale
    che avevano decretato la
    soppressione della coscrizione obbligatoria
    e delle corti marziali. Il valore
    costituzionale “pacifista” così
    delineato era stato ulteriormente
    rimarcato con la normativa
    “antinucleare” introdotta a partire dal
    1967 dal Primo Ministro Sato (con
    la quale il Giappone rinunciava espressamente
    a produrre e possedere,
    nonché a consentire l’introduzione
    di armamenti nucleari sul proprio
    territorio) e inoltre con altri provvedimenti
    volti a vietare l’invio di
    forze oltremare, di esportare e detenere
    armamenti offensivi con particolare
    riguardo a portaerei, sottomarini
    nucleari d’attacco, bombardieri o
    aerei a lungo raggio di azione. In tal senso, infine, lo
    stesso budget a disposizione della Difesa era stato limitato
    all’1% del PNL.
    Compiti difensivi
    Questi vincoli hanno privato il Giappone di un vero e
    proprio strumento militare a supporto delle esigenze di
    sicurezza nazionale ed hanno previsto l’istituzione di
    una Agenzia di Difesa nazionale (la JDA, Japan Defence
    Agency) nella quale, però, le decisioni strategiche
    sono influenzate prevalentemente da considerazioni di
    carattere economico e di bilancio, considerata la consistente
    presenza di funzionari del Ministero delle Finanze,
    del Ministero degli Affari Esteri e del MITI (Ministero
    degli scambi Internazionali e dell’Industria). Le restrizioni
    militari imposte dalla Costituzione pacifista e l’integrazione
    del Giappone nella strategia americana di Containment
    hanno avuto un impatto importante sulla gestione
    e l’esistenza stessa delle Forze di Auto-difesa
    (Jieitai) concepite per operare nei limiti del Trattato di
    Sicurezza Nippo-Americano sottoscritto nel 1951. Il
    Trattato, ricondotto nel 1960 su basi esclusivamente
    difensive, assicura l’assistenza militare degli Stati Uniti
    in caso d’attacco contro l’arcipelago, senza implicare la
    reciprocità da parte del Giappone: nessuna assistenza
    militare in caso d’attacco contro gli Stati Uniti, né tanto
    meno, la partecipazione ad un’azione coercitiva sotto
    l’egida delle Nazioni Unite. Con quelle scelte pacifiste e
    con questo Trattato il Giappone ha potuto confidare in
    una protezione militare esterna impegnandosi a non
    “ridiventare” una potenza militare ed a restare sotto la
    tutela di Washington. L’adesione al Trattato, in una alleanza
    dai termini indubbiamente asimmetrici ha, tuttavia,
    posto la delicata questione di valutare come conciliare
    una posizione pacifista ed antinucleare con una sorta di
    dipendenza “organica” da una Superpotenza militare
    nucleare nell’ambito di un rapporto di sostanziale partecipazione
    ed adesione ad una strategia comunque a
    sfondo militare. Il conseguente dilemma si è incentrato
    da un lato nella difficile scelta tra l’emanciparsi dalla tutela
    americana, con il rischio di mettere in seria discussione
    l’ideale costituzionale del pacifismo e, dall’altro, il
    rispettare il divieto imposto contro il riarmo, che avrebbe
    condannato il Giappone alla perenne dipendenza militare
    dagli Stati Uniti. La questione fondamentale si è polarizzata
    sul problema della eventuale legittimazione del
    riarmo mantenendo “l’alleanza” nippo-americana
    (espressione che appare soltanto nel Maggio 1981 nel
    Comunicato Reagan/Suzuki) ma smussando o addirittura
    rimuovendo i sentimenti antimilitaristici e antinucleari
    che persistevano nell’opinione pubblica giapponese.
    Riarmo progressivo
    Durante la Guerra Fredda i governi del partito Liberal-
    Democratico giapponese erano stati condizionati da un
    lato, dal fuoco incrociato degli Stati Uniti, con il loro burden
    sharing (condivisione degli oneri) e, dall’altro, dalle
    pressioni persistenti della sinistra e dell’opinione pubblica
    interna. In quel contesto, i governi si erano impegnati
    a realizzare uno strumento di difesa credibile che sintetizzava
    le aspettative di entrambe le parti, conciliando le
    condizioni di effettiva dipendenza dagli Stati Uniti ed i
    vincoli della Costituzione pacifista per mascherare il riarmo
    giustificando il free-riding. La politica di sicurezza e
    difesa giapponese era stata così gestita, sostanzialmente,
    in funzione delle pressioni politiche interne ed esterne,
    sulla base delle esigenze dell’alleato americano piuttosto
    che in funzione dell’equilibrio internazionale delle
    forze nello scenario strategico estremo-orientale. Gli
    attentati dell’11 settembre hanno determinato un inevitabile
    cambiamento della prospettiva imponendo una rilettura
    dei termini dell’Alleanza nippo-americana come sino
    ad allora si era configurata, e della stessa posizione
    pacifista del Giappone. Oggi, infatti, Washington tende a
    vedere le relazioni internazionali attraverso le lenti dell’-
    antiterrorismo, motivo per cui anche la Corea del Nord,
    accusata di possedere armi nucleari e di distruzione di
    massa, costituisce un delicato problema geostrategico.
    La questione della proliferazione degli armamenti nucleari
    e, per di più, l’attuale sviluppo della potenza cinese
    rimettono, ancora, in discussione gli equilibri geopolitici
    e geostrategici di tutto il continente asiatico. Per gli Stati
    Uniti il controllo dell’area non può che passare per una
    revisione dei termini delle relazioni e dei legami con il
    Giappone e Taiwan. In quest’ottica si inserisce la proposta
    del sistema multilaterale di sicurezza che vedrebbe
    molti paesi dell’area orientale disponibili ad ospitare basi
    militari americane. In particolare, alla luce degli attentati
    dell’11 settembre e dei mutati assetti geostrategici regionali,
    la posizione assunta dal Giappone e la rilevanza
    delle installazioni militari statunitensi presenti sul suo
    territorio assumono indubbiamente una diversa valenza
    strategica. All’indomani degli attentati terroristici di New
    York, infatti, Tôkyô ha immediatamente sposato la causa
    della lotta al terrorismo emanando una legge voluta
    da Koizumi ed approvata in tempi record dalla Dieta nipponica
    il 29 ottobre 2001 in risposta alla risoluzione n.
    1360 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Con questo
    provvedimento legislativo sono state approvate le
    “Misure Speciali Antiterrorismo” che, aggirando la clausola
    pacifista contenuta nell’articolo 9 della Costituzione,
    hanno permesso l’invio all’estero delle Forze di Auto-
    Difesa (FAD) nipponiche, per operazioni militari di “non
    combattimento”, per operazioni di rifornimento di carburante,
    armi e munizioni, medicinali e aiuto ai rifugiati di
    guerra.
    “Enduring Freedom “ nipponica
    La decisione di inviare supporti logistici per sostenere la
    guerra in Afghanistan ha costituito il primo caso nel dopo
    Guerra Fredda di invio all’estero delle FAD in contesti
    di conflitto. Oltre ad aver varato la legge antiterrorismo,
    il governo giapponese ha proseguito con decisione
    i suoi sforzi in questo senso: nel gennaio 2002, Tôkyô
    ha ospitato una conferenza internazionale sulla ricostruzione
    dell’Afghanistan; il 26 marzo dello stesso anno, il
    gabinetto ha votato un prolungamento di sei mesi oltre
    la data prevista per la permanenza delle Forze di Auto
    difesa in Afghanistan. Questa sorta di “riarmo” del Giappone
    è stato caratterizzato da un processo di sviluppo
    molto lento nel corso del quale l’opinione pubblica giapponese
    si è gradatamente assuefatta alle interpretazioni
    della Costituzione che venivano elaborate per giustificarlo.
    Nel paese la maturità con cui è stata affrontata
    una revisione dei termini della posizione pacifista è stata
    dimostrata dall’assenza di reazioni di rilievo contro la
    Anno 7 - N° 71 Pagina 2
    continua crescita dello strumento militare: oggi le forze
    di autodifesa sfiorano i 250 mila effettivi, tutti volontari
    professionisti, con un ottimo addestramento e modernamente
    equipaggiati. Invero da una lettura dell’articolo 9
    della Costituzione giapponese più aderente al dato letterale
    si scorge che il divieto di possedere forze armate
    non è espressamente dichiarato. Lo strumento militare e
    qualsiasi potenziale bellico in genere sono sì proibiti, ma
    solo per muovere guerra o anche solo per minacciare
    l’uso della forza nelle controversie internazionali e, quindi,
    non per scopi difensivi. Risolto il problema di una
    revisione, più meditata, dei limiti della clausola costituzionale
    pacifista, la preoccupazione più scottante per
    Tôkyô è senz’altro il ruolo che il Giappone potrebbe,
    conseguentemente, essere chiamato ad assumere nella
    regione pacifico-asiatica. Ciò appare ancora più evidente
    ed attuale alla luce del segno profondo che la politica
    di P’yôngyang sta lasciando negli equilibri strategici
    dell’Asia orientale e della percezione che i paesi vicini
    hanno avuto dei cambiamenti nipponici in materia di
    difesa. In questo senso il Primo Ministro Koizumi appoggiando
    la lotta al terrorismo ne ha tratto chiaramente un
    vantaggio politico. La richiesta di collaborazione degli
    USA, infatti, ha consentito a Tôkyô di intraprendere azioni
    che in altre circostanze sarebbero state impensabili:
    il sostegno agli USA lo ha salvato dalle accuse di rimilitarizzazione
    e, inoltre, l’invio di un contingente navale
    ha consentito al Primo Ministro Koizumi di intensificare
    la sua attività diplomatica nella regione. La Corea del
    Sud e la Cina, che in altre situazioni avrebbero protestato
    contro un intervento giapponese, sono state tacitate
    dalla necessità di sostenere la guerra contro il terrorismo.
    Anche i governi del Sud-Est asiatico non si sono
    opposti all’azione nipponica. Dopo l’invio di navi giapponesi
    nell’Oceano Indiano a sostegno degli Stati Uniti le
    dinamiche regionali sono mutate profondamente. Ciò ha
    fornito l’occasione a Koizumi per recarsi a Seoul e Pechino
    e discutere dei piani di politica estera del Giappone,
    chiarendo le sue intenzioni pacifiste e dando così
    forte impulso ai rapporti con entrambe i paesi. Questa
    politica di sicurezza del Giappone è chiamata dai politologi
    Heginbotham e Samuels di “doppia barriera”: da
    una parte rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti contro
    minacce militari; dall’altra, coltivare le sue alleanze con
    differenti partner, inclusi i paesi che gli Stati Uniti definiscono
    minacce o potenziali minacce, per limitare i danni
    economici causati dalla guerra contro il terrorismo. Dietro
    gli intenti umanitari sbandierati dalla base militare di
    Asahikawa, in Hokkaido, vi sono inevitabili interessi economici
    e politici di rilevante portata. Con il contingente
    militare in Iraq e’ stato schierato anche lo yen con tutto il
    potenziale economico che esso porta e comporta. Una
    delle componenti fondamentali dello spiegamento di
    forze giapponesi in Iraq è basata proprio sulla speranza
    che lo yen sia più forte della spada. Somme considerevoli
    di denaro sono già state impegnate per la ricostruzione
    dell’Iraq; altri aiuti sono stati inviati anche in Iran,
    per alleviarne i problemi connessi all’affluenza di rifugiati
    afgani. E l’Iran ha replicato assicurando al Giappone
    rifornimenti necessari di petrolio nel corso della campagna
    militare. Queste strategie hanno messo il Giappone
    in una posizione diplomaticamente cruciale: come gli
    Stati Uniti cercano di ottenere supporto per le attività
    militari in Afghanistan dai paesi vicini, così Tôkyô offre il
    suo appoggio militare cercando di trarre il maggior numero
    di benefici da un potenziale riavvicinamento tra
    Tehran e Washington.
    Cina e Corea del Nord
    Rimangono, ancora, le pressioni esercitate dalla vicina
    Corea del Nord la quale, proseguendo una politica di
    tensione, rappresenta una minaccia per il Giappone in
    termini di potenzialità nucleare. Né Tôkyô né Washington
    sono convinti delle reali intenzioni di P’yôngyang,
    che probabilmente sta usando la carta del nucleare solo
    per ottenere l’assistenza economica di cui necessita. Ma
    se così non fosse la Corea del Nord rappresenterebbe
    una grave minaccia alla pace ed alla sicurezza non solo
    della regione ma del mondo intero. Proprio le strategie
    politico-militari e la logica del brinkmanship (“rischio calcolato”)
    del governo di Kim Jong-il, leader nordcoreano,
    potrebbero fornire al paese del Sol Levante l’occasione
    per valutare, ancorché in chiave senz’altro difensiva, un
    potenziamento dello strumento militare e, allo stesso
    tempo, costituisce per gli Stati Uniti la condizione necessaria
    per un massiccio incremento militare in questa
    regione dell’Asia. La crisi nordcoreana, entrata in una
    pericolosa fase diplomatica dopo gli attentati dell’11 settembre
    2001, sta creando le premesse per una nuova
    piccola “Guerra Fredda” tra Washington e P’yôngyang,
    giustificando il nuovo riflusso militare americano in Asia.
    Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno bisogno dell’appoggio
    di vecchi e fedeli alleati, a maggior ragione se questi
    sono stati il baluardo contro la potenza cinese, e rappresentano
    tutt’ora un argine contro gli scomodi nordcoreani
    e un appoggio per i sudcoreani. Inoltre emerge il
    problema dell’attuale sviluppo della potenza cinese in
    senso economico e politico. Pechino non vede di buon
    auspicio l’intensificarsi della presenza militare statunitense
    nell’Asia centrale, dove da circa un decennio cerca
    di accrescere la propria influenza. Questo è stato uno
    dei motivi per cui, inizialmente ha mostrato una chiara
    ritrosia, ad accettare una più stretta cooperazione con
    Washington nella lotta contro il terrorismo, al di là della
    guerra contro l’Afghanistan. Inoltre, i nuovi impulsi che
    la “guerra contro il terrore” ha dato alla cooperazione
    russo-americana sono stati percepiti negativamente dalla
    Cina, che teme una potenziale espansione dell’influenza
    americana nell’arco che va dalla Russia all’India.
    Ancora, con gran sollievo del governo di Taipei, il
    sostegno cinese alla campagna antiterroristica non ha
    attenuato minimamente l’impegno di Bush a garantire la
    sicurezza di Taiwan, e questo rimane il principale ostacolo
    ad una più stretta cooperazione strategica tra Washington
    e Pechino. Riguardo alla Penisola coreana, il
    discorso sull’“asse del male”, non pare molto utile né
    alla Cina, né alla Russia, entrambe preoccupate per un
    allargamento unilaterale alla Corea del Nord della guerra
    contro il terrorismo da parte degli Stati Uniti, come
    pure un eccessivo riflusso militare statunitense nella
    regione asiatica in funzione di deterrenza, poiché potrebbero
    essere incluse anch’esse fra i potenziali obiettivi
    americani – Pechino, nel caso di un conflitto lungo lo
    Stretto di Taiwan, Mosca, in quello di un improvviso
    cambiamento di regime da cui potrebbe emergere un
    governo più ostile. A ciò si aggiunga che, con una Corea
    Anno 7 - N° 71 Pagina 3
    del Nord in possesso di armi nucleari, il clima della Corea
    del Sud potrebbe mutare drammaticamente. Mentre
    la maggior parte dei sudcoreani, fino ad ora, ha sostenuto
    il dialogo con il Nord, lo spauracchio del ricatto nordcoreano
    potrebbe risvegliare nuove paure e mutare
    l’opinione pubblica del Sud. Allora la Cina sarebbe costretta
    a decidere se appoggiare o meno P’yôngyang.
    L’importanza strategica del Giappone, alla luce delle
    pressioni che incombono in Asia estremo-orientale e nel
    resto del mondo, per contrastare i cosiddetti rogue states
    e combattere la lotta al terrorismo viene ribadita dalla
    crisi dell’attuale scenario geostrategico mondiale. La
    scelta di come assolvere questo rinnovato e rilevante
    ruolo di garanzia per la stabilità della regione impone
    una meditata e lungimirante riflessione sulle modalità
    più adatte a svolgerlo. Ogni eventuale iniziativa di potenziamento
    dello strumento militare, ancorché a supporto
    di una politica estera di ricerca e sostegno della
    pace, dovrebbe fare i conti con la problematica compatibilità
    costituzionale e con le delicate esigenze di mantenere
    serene e fiduciose relazioni diplomatiche nell’area.
    www.analisidifesa.com

  2. #2
    Agnosticamente LAICO e di CDx
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    03 Oct 2006
    Località
    forse vivo meglio con una vaga idea che con una idea più precisa a giudicare dal fatto che chi vive senza idee pare stia meglio di me a salute mentale.
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    Predefinito

    il diritto alla difesa mi pare innegabile, con un pazzo scalmanato nell'area mi pare che sia il caso che il Giappone cominci a pensare alla sua difesa e a prendere provvedimenti.

    l'avete visto TEAM AMERICA ? troppo bello!

 

 

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