La psiche degli aguzzini
13/11/2006
Il lago di sangue dopo il massacro di Beit Hanun: gli «errori» si pagano anche cosi'.
Un lettore di nome Giorgio Ottolenghi, ebreo, ha scritto una lettera a La Stampa, che ha avuto il coraggio di pubblicarla il 12 novembre.
Titolo: «Il tenore di vita dei palestinesi»; intende essere una risposta al massacro di Beit Hanun. Eccone il testo (1):
«Errore tecnico, fuoco amico, ecc. sono fatti che inevitabilmente succedono nelle guerre da sempre […] per evitarli bisogna non fare le guerre, nel conflitto israelo-palestinese la ricetta è abbastanza semplice. I palestinesi cerchino di comprendere come mai il reddito di un israeliano è venti volte quello di un palestinese. Per ottenere lo stesso risultato i palestinesi dovrebbero cominciare a lavorare invece di coltivare il sogno di eliminare Israele. Hanno distrutto un impianto che dava lavoro a 12 mila persone appena lo hanno avuto in mano (quando Israele si ritirò da Gaza) [si tratta delle serre dei coloni illegali, ndr]. Poverini, erano tanto arrabbiati, fu il commento di alcuni loro sostenitori di casa nostra. Si rileggano il Corano attentamente e ci troveranno 12 punti nei quali è proibito il suicidio. Infine mandino una commissione di esperti a fare una visita negli Emirati del Golfo. Vedranno quegli scenari da Mille e una Notte, li confronteranno col loro tenore di vita. Vedranno che i loro fratelli, che non hanno grilli per la testa, marciano in Rolls Royce o Ferrari ecc., e loro invece… ogni commento è superfluo».
Grazie alla franchezza di Ottolenghi, vediamo qui un esempio illuminante della mentalità dominante fra gli ebrei d'oggi.
Dunque i palestinesi stanno così male non perché sono bombardati, soffocati e derubati, devastati nelle loro case e famiglie, impediti di vendere le loro povere verdure e frutta dall'assedio giudaico, e di raccogliere le olive nei loro oliveti.
Stanno male perché non hanno voglia di lavorare: imparino dai petroliferi degli Emirati, che vanno in Ferrari.
Ha ragione Gilad Atzmon, Israele non è il Quarto Reich, è infinitamente peggio.
Ora, seguendo il ragionamento di Ottolenghi, sappiamo finalmente perché gli ebrei ad Auschwitz erano così magri: battevano la fiacca.
Eppure sul cancello c'era scritto chiaro: «Il lavoro rende liberi», ma quelli non l'hanno mai letto, mai hanno imparato la lezione… fannulloni.
Ecco com'è.
Ormai gli ebrei esibiscono la loro patologia morale, non se ne vergognano.
Anzi se ne vantano.
Questa mentalità è dominante: Olmert, appena sbarcato in USA a cenare con Condoleezza Rice, scontento perché emerge in America una qualche intenzione di trattare con l'Iran per ottenerne un aiuto nel disimpegno dall'Iraq, ha detto: «All'Iran bisogna far paura. Io saprei come fare».
Sì, abbiamo visto come fanno, la frase è un compendio del razzismo giudaico: implica che tutti gli altri sono bestie, che capiscono solo il bastone.
Così si diventa, avendo preso l'abitudine a fare gli aguzzini: dei mostri morali.
Sul massacro di donne e bambini a Beit Hanun, l'Observer di Londra ne ha scoperto il motivo: i comandi militari israeliani hanno ordinato di ridurre il «margine di sicurezza» che separa i bersagli dell'artiglieria dalle aree abitate.
Prima, il raggio di sicurezza era di 300 metri; ora è stato portato a 100 metri.
Interamente dentro il raggio normale dei proiettili d'artiglieria usati da Giuda, da 1500 millimetri, che ha effetti devastanti tra i 50 e i 150 metri. (2)
Dunque uno sterminio deliberato, assunto in piena coscienza - la mostruosa coscienza morale degli aguzzini.
E col delitto, naturalmente, si accompagna la menzogna.
I militari di Giuda avevano parlato di un errore del radar che dà le coordinate ai cannoni (anche i radar, contro quei fannulloni che stavano dormendo: non basterebbe uno sparo a vista).
Ecco cosa sarebbe accaduto: nonostante il radar fosse stato programmato, dagli aguzzini umanitari, per un margine di 200 metri, esso di sua iniziativa (il radar) si è autoridotto il margine a 25 metri. Ciò non stupisce troppo, trattandosi di un radar ebraico, che condivide la mentalità generale.
Forse si chiama Ottolenghi.
Secondo Human Right Watch, dal settembre 2005 Israele ha sparato su Gaza (dove si ammassano 800 mila profughi) 17 mila proiettili d'artiglieria da 155 mm., in risposta a 1700 razzi Kassam.
Va ricordato che questi Kassam, fabbricati in casa, non hanno testata esplosiva: tirano una palla di ferro, uccidono solo se colpiscono direttamente qualcuno.
Quel giorno, inoltre, il razzo Kassam che ha scatenato la rappresaglia sterminatrice su Beit Hanun era stato lanciato il giorno prima.
Il glorioso Tsahal ha atteso un giorno per rispondere, deliberatamente colpendo la zona abitata.
Ciò è stato denunciato come crimine di guerra dalla benemerita associazione ebraica B'Tselem, come sempre inascoltata.
Persino il colonnello Ron Ben Yishal, oggi corrispondente militare dello Yediot Ahronot, ha avuto qualche dubbio su questo bombardamento: «L'artiglieria è un sistema d'arma inteso a 'saturare' un territorio e non adatto a colpire bersagli specifici, specie quando usato in senso preventivo… sono fatti ben noti agli ufficiali israeliani, specie dopo la recente guerra in Libano, dove sono stati sparati 130 mila proiettili d'artiglieria.
Ormai è appurato che l'efficacia di queste armi contro i combattenti Hezbollah è stata marginale, mentre il costo è stato astronomico, pari a milioni di dollari».
Ecco l'obiezione: questi massacri ci costano troppo.
Nessun timore tuttavia per il tenore di vita degli aguzzini, che è - come dice Ottolenghi - venti volte superiore a quello dei palestinesi.
Merito del loro lavoro.
Merito anche, un pochino, dei 5 miliardi di dollari annui che ricevono da Washington insieme all'enorme fornitura di armamenti gratuiti, che consentono di ammazzare senza spese.
Merito un pochino anche di ciò che versa la diaspora ai suoi aguzzini preferiti, una cifra che può valutarsi ad altri cinque miliardi di dollari annui.
Inutile dire che i palestinesi non ricevono nulla di lontanamente paragonabile a queste cifre: altrimenti anche il loro tenore di vita aumenterebbe alquanto.
Che dire?
L'Ottolenghi di Torino ha ragione.
Ci allarma solo un poco quando parla di sostenitori palestinesi «di casa nostra»: intende l'Italia.
E' già «casa loro» anche l'Italia: dobbiamo aspettarci la nostra parte di spari da 155 mm. sulla testa?
A quei sostenitori dei palestinesi bisogna, come dice Olmert, far paura: e lui sa come si fa.
Maurizio Blondet
--------------------------------------------------------------------------------
Note
1) La Stampa, rubrica «Posta e risposta», 12 novembre 2006.
2) Peter Beaumont, «How Israel put Gaza civilians in firing lines», Observer, 12 novembre 2006.