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    La psiche degli aguzzini

    La psiche degli aguzzini

    13/11/2006



    Il lago di sangue dopo il massacro di Beit Hanun: gli «errori» si pagano anche cosi'.



    Un lettore di nome Giorgio Ottolenghi, ebreo, ha scritto una lettera a La Stampa, che ha avuto il coraggio di pubblicarla il 12 novembre.
    Titolo: «Il tenore di vita dei palestinesi»; intende essere una risposta al massacro di Beit Hanun. Eccone il testo (1):
    «Errore tecnico, fuoco amico, ecc. sono fatti che inevitabilmente succedono nelle guerre da sempre […] per evitarli bisogna non fare le guerre, nel conflitto israelo-palestinese la ricetta è abbastanza semplice. I palestinesi cerchino di comprendere come mai il reddito di un israeliano è venti volte quello di un palestinese. Per ottenere lo stesso risultato i palestinesi dovrebbero cominciare a lavorare invece di coltivare il sogno di eliminare Israele. Hanno distrutto un impianto che dava lavoro a 12 mila persone appena lo hanno avuto in mano (quando Israele si ritirò da Gaza) [si tratta delle serre dei coloni illegali, ndr]. Poverini, erano tanto arrabbiati, fu il commento di alcuni loro sostenitori di casa nostra. Si rileggano il Corano attentamente e ci troveranno 12 punti nei quali è proibito il suicidio. Infine mandino una commissione di esperti a fare una visita negli Emirati del Golfo. Vedranno quegli scenari da Mille e una Notte, li confronteranno col loro tenore di vita. Vedranno che i loro fratelli, che non hanno grilli per la testa, marciano in Rolls Royce o Ferrari ecc., e loro invece… ogni commento è superfluo».



    Grazie alla franchezza di Ottolenghi, vediamo qui un esempio illuminante della mentalità dominante fra gli ebrei d'oggi.
    Dunque i palestinesi stanno così male non perché sono bombardati, soffocati e derubati, devastati nelle loro case e famiglie, impediti di vendere le loro povere verdure e frutta dall'assedio giudaico, e di raccogliere le olive nei loro oliveti.
    Stanno male perché non hanno voglia di lavorare: imparino dai petroliferi degli Emirati, che vanno in Ferrari.
    Ha ragione Gilad Atzmon, Israele non è il Quarto Reich, è infinitamente peggio.
    Ora, seguendo il ragionamento di Ottolenghi, sappiamo finalmente perché gli ebrei ad Auschwitz erano così magri: battevano la fiacca.
    Eppure sul cancello c'era scritto chiaro: «Il lavoro rende liberi», ma quelli non l'hanno mai letto, mai hanno imparato la lezione… fannulloni.
    Ecco com'è.
    Ormai gli ebrei esibiscono la loro patologia morale, non se ne vergognano.
    Anzi se ne vantano.
    Questa mentalità è dominante: Olmert, appena sbarcato in USA a cenare con Condoleezza Rice, scontento perché emerge in America una qualche intenzione di trattare con l'Iran per ottenerne un aiuto nel disimpegno dall'Iraq, ha detto: «All'Iran bisogna far paura. Io saprei come fare».
    Sì, abbiamo visto come fanno, la frase è un compendio del razzismo giudaico: implica che tutti gli altri sono bestie, che capiscono solo il bastone.
    Così si diventa, avendo preso l'abitudine a fare gli aguzzini: dei mostri morali.



    Sul massacro di donne e bambini a Beit Hanun, l'Observer di Londra ne ha scoperto il motivo: i comandi militari israeliani hanno ordinato di ridurre il «margine di sicurezza» che separa i bersagli dell'artiglieria dalle aree abitate.
    Prima, il raggio di sicurezza era di 300 metri; ora è stato portato a 100 metri.
    Interamente dentro il raggio normale dei proiettili d'artiglieria usati da Giuda, da 1500 millimetri, che ha effetti devastanti tra i 50 e i 150 metri. (2)
    Dunque uno sterminio deliberato, assunto in piena coscienza - la mostruosa coscienza morale degli aguzzini.
    E col delitto, naturalmente, si accompagna la menzogna.
    I militari di Giuda avevano parlato di un errore del radar che dà le coordinate ai cannoni (anche i radar, contro quei fannulloni che stavano dormendo: non basterebbe uno sparo a vista).
    Ecco cosa sarebbe accaduto: nonostante il radar fosse stato programmato, dagli aguzzini umanitari, per un margine di 200 metri, esso di sua iniziativa (il radar) si è autoridotto il margine a 25 metri. Ciò non stupisce troppo, trattandosi di un radar ebraico, che condivide la mentalità generale.
    Forse si chiama Ottolenghi.
    Secondo Human Right Watch, dal settembre 2005 Israele ha sparato su Gaza (dove si ammassano 800 mila profughi) 17 mila proiettili d'artiglieria da 155 mm., in risposta a 1700 razzi Kassam.
    Va ricordato che questi Kassam, fabbricati in casa, non hanno testata esplosiva: tirano una palla di ferro, uccidono solo se colpiscono direttamente qualcuno.
    Quel giorno, inoltre, il razzo Kassam che ha scatenato la rappresaglia sterminatrice su Beit Hanun era stato lanciato il giorno prima.
    Il glorioso Tsahal ha atteso un giorno per rispondere, deliberatamente colpendo la zona abitata.
    Ciò è stato denunciato come crimine di guerra dalla benemerita associazione ebraica B'Tselem, come sempre inascoltata.



    Persino il colonnello Ron Ben Yishal, oggi corrispondente militare dello Yediot Ahronot, ha avuto qualche dubbio su questo bombardamento: «L'artiglieria è un sistema d'arma inteso a 'saturare' un territorio e non adatto a colpire bersagli specifici, specie quando usato in senso preventivo… sono fatti ben noti agli ufficiali israeliani, specie dopo la recente guerra in Libano, dove sono stati sparati 130 mila proiettili d'artiglieria.
    Ormai è appurato che l'efficacia di queste armi contro i combattenti Hezbollah è stata marginale, mentre il costo è stato astronomico, pari a milioni di dollari».
    Ecco l'obiezione: questi massacri ci costano troppo.
    Nessun timore tuttavia per il tenore di vita degli aguzzini, che è - come dice Ottolenghi - venti volte superiore a quello dei palestinesi.
    Merito del loro lavoro.
    Merito anche, un pochino, dei 5 miliardi di dollari annui che ricevono da Washington insieme all'enorme fornitura di armamenti gratuiti, che consentono di ammazzare senza spese.
    Merito un pochino anche di ciò che versa la diaspora ai suoi aguzzini preferiti, una cifra che può valutarsi ad altri cinque miliardi di dollari annui.
    Inutile dire che i palestinesi non ricevono nulla di lontanamente paragonabile a queste cifre: altrimenti anche il loro tenore di vita aumenterebbe alquanto.



    Che dire?
    L'Ottolenghi di Torino ha ragione.
    Ci allarma solo un poco quando parla di sostenitori palestinesi «di casa nostra»: intende l'Italia.
    E' già «casa loro» anche l'Italia: dobbiamo aspettarci la nostra parte di spari da 155 mm. sulla testa?
    A quei sostenitori dei palestinesi bisogna, come dice Olmert, far paura: e lui sa come si fa.

    Maurizio Blondet




    --------------------------------------------------------------------------------
    Note
    1) La Stampa, rubrica «Posta e risposta», 12 novembre 2006.
    2) Peter Beaumont, «How Israel put Gaza civilians in firing lines», Observer, 12 novembre 2006.
    Ibrahim

  2. #2
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    Gaza, il lager di Israele
    Domenico Savino
    14/11/2006



    Un sedicenne palestinese che stava guidando un carretto tirato da un asino è stato ucciso il 12 novembre da un missile israeliano.
    Nell’attacco è rimasto ferito anche un ufficiale della sicurezza.
    L’esercito israeliano ha confermato il lancio del missile.
    Il ragazzo è l’ultima vittima - ma mentre scrivo altre ne potrebbero seguire - di una serie di massacri di civili, pianificate dall’esercito israeliano.
    I soldati ebrei non fanno distinzione: uomini, donne bambini, ragazzi, vecchi, tutti massacrati senza pietà.
    Ancora non riusciamo a toglierci dalla vista le 18 vittime e gli oltre cinquanta feriti di Beit Hanun, che la spada di Giuda torna a grondare sangue.
    Se lo può permettere: gli stati Uniti hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, promossa dal Qatar a nome dei Paesi arabi, impedendo così l’approvazione del testo che spingeva per un rapido ritiro delle forze israeliane dalla zona.
    Per John Bolton, l’ambasciatore degli USA all’ONU, la risoluzione era «prevenuta contro Israele e motivata politicamente» e non avrebbe mostrato una descrizione imparziale degli eventi recenti a Gaza, né avrebbe fatto compiere passi avanti alla causa della pace israelo-palestinese, alla quale - ha dichiarato - «aspiriamo e per la quale lavoriamo intensamente».
    Una bella faccia di bronzo, non c’è che dire.
    Mai comunque come il premier israeliano Ehud Olmert, che ha avuto l’ardire di affermare che «colpire palestinesi innocenti ‘non è’ nostra politica». (1)



    Peccato che il quotidiano di Gerusalemme Haaretz si incarichi di smentirlo.
    Secondo uno studio di Physicians for Human Rights, tra il 27 giugno e il 28 ottobre 2006 l’esercito ebraico ha ucciso 247 palestinesi nella Striscia di Gaza, di cui 155, cioè il 63 % erano civili.
    Di questi, ben 57, pari ad un terzo, erano minorenni.
    Secondo il medesimo rapporto nel corso del 2005 i minori uccisi furono 45.
    Nei primi mesi del 2006 i minori assassinati dall’esercito di Giuda sono stati 98, con un incremento del 100%.
    Di questi 98 ragazzi, 83 sono stati uccisi a Gaza.
    Tutti terroristi, come ci fanno credere i giornalisti di casa nostra?
    Basti un dato, uno solo: dei 98 minorenni assassinati dall’esercito israeliano, ben 65 avevano meno di 15 anni. (2)
    Secondo la Banca mondiale tra il milione e 400mila abitanti della Striscia di Gaza, nell’aprile di quest’anno, il 79 % delle famiglie viveva a livello di povertà e la disoccupazione era al 40 %, contro il 12 % del 1999.
    Secondo le Nazioni Unite l’anno prossimo la metà della forza lavoro di Gaza sarà priva di occupazione e l’economia palestinese sarà calata del 35% rispetto al 2005.



    Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, la popolazione cresce.
    Il grembo delle donne palestinesi non è sterile come quello delle donne occidentali, non ha bisogno di fecondazione assistita per generare figli: vive nel sangue e da quel sangue sparso sembra trarre nuovo vigore per generare nuova vita.
    In quelle condizioni terribili la crescita della popolazione oscilla tra il 3 e il 5 % e il milione e 400mila abitanti della Striscia di Gaza, di cui metà ha 15 anni o meno, rischia di raggiungere nel giro di pochi anni i due milioni.
    La vita a Gaza si ostina a vincere nonostante - dopo la vittoria elettorale ottenuta da Hamas - siano venuti meno anche gli introiti dell’aiuto internazionale.
    Per questo le stragi di Israele non sono episodi isolati, ma fanno parte di una strategia pianificata di «contenimento biologico» di cui Gideon Levy, giornalista israeliano, aveva scritto nei mesi scorsi sul quotidiano israeliano Ha’aretz.
    In un articolo, tradotto su questo giornale on-line, dal titolo emblematico «Le risate della squadra di Hamas», egli preannuncia la strategia di morte a Gaza: «La squadra israeliana [incaricata di ostacolare Hamas dopo le elezioni palestinesi] non aveva mai riso così tanto. La squadra, capeggiata dal consigliere del primo ministro Weissglas, con il capo di Stato Maggiore, il direttore dei servizi segreti, generali ed alti ufficiali, si è riunita per una discussione con il ministro degli Esteri Tzipi Livni sui modi di rispondere alla vittoria di Hamas. Tutti si sono trovati d’accordo sul bisogno di imporre una stretta economica all’Autorità palestinese. E Weissglas, come al solito, fornì la battuta finale: 'è come andare dal dietista: i palestinesi dimagriranno un bel po’, ma non moriranno'. Al che i presenti, a quanto si riferisce, scoppiano in una gran risata».
    Commentava Levy: «La spiritosaggine di Weissglas era di un gusto particolarmente spregevole. Il fragore dalla risata rivela di nuovo a quale punto di pazzia l’ebbrezza del potere conduca Israele e stravolga completamente la sua moralità».


    Colpevoli di genocidio



    Purtroppo le cose sono andate peggio; i palestinesi non solo stanno morendo di fame, ma anche di piombo.
    Le nuove stragi israeliane di questi giorni sono sistemiche e pianificate, altro che incidenti o errori tecnici: hanno avuto e avranno cadenza periodica.
    Le bombe cadranno come le piogge stagionali: con cinismo diabolico l’esercito di Giuda aveva denominato la campagna condotta durante i mesi di giugno e luglio «pioggia d’estate».
    Pensavamo si trattasse di una macabra ma isolata esibizione di sadismo.
    Ci eravamo sbagliati: l’operazione di questi giorni, ci informa il quotidiano Haaretz, si chiama «Autumn Rains», «piogge d’autunno». (3)
    La vita, vogliono annientare la vita dei palestinesi!
    Impedire che si riproducano, vogliono spingerli via, ripulire Israele dalla loro presenza, creare per Giuda un Lebensraum, in cui la stirpe di Giuda non sia contaminata dal sangue palestinese..
    Altro che unica democrazia del medioriente!
    Israele è uno «Stato etnico-religioso.
    Lo ha scritto anche Paolo Prodi, il fratello di Romano, sul L’Unità, suscitando le reazioni indignate della comunità ebraica di casa nostra: «Lo Stato d’Israele non ha, come è noto, una carta costituzionale: non ha una costituzione scritta e nemmeno una costituzione non scritta derivante da una storia secolare, come quella inglese dalla Magna Charta del 1215 in poi: non ha una costituzione scritta, nonostante essa sia in progetto sin dal 1948 e se ne discuta ancora presso l’apposita commissione «for the Constitution, Law and Justice» della Knesset, perché non si è potuta superare la contraddizione fondamentale, già evidente molto prima della fondazione dello Stato, sin dai primi progetti dei movimenti sionistici, sul principio di appartenenza e di cittadinanza. L’ethos fondamentale è quello di uno Stato «ebraico e democratico»: ma può essere democratico uno Stato basato sull’appartenenza religiosa?». (4)



    Israele può esistere solo così, solo in contrapposizione agli altri, solo ghettizzando e ghettizzandosi, solo separandosi, circoncidendosi rispetto al resto del genere umano. L’esasperazione della separazione non è solo una follia del giudaismo, è una lucida strategia che Israele conosce da sempre, da ben prima che lo Stato di Israele esistesse.
    Ha scritto ancora Paolo Prodi: «Israele è paradossalmente unita dal fatto di essere continuamente sotto attacco ( forse con qualche analogia storica con la storia dei ghetti ebraici che hanno garantito nei secoli passati il mantenimento di un’identità dolorosa che si sarebbe persa con l’assimilazione)». (5)
    Israele non sa esistere in mezzo alle genti, essendo rimasta ferma al mito della elezione esclusiva.
    La vita delle genti che stanno intorno ad Israele è percepita come una pericolo per la sua stessa esistenza.
    Il loro numero, la loro prolificità è subita come una minaccia, cui le giovani e occidentalizzate ragazze ebree non riescono a rispondere: se la natura farà il suo corso ci sarà il sorpasso demografico.
    Non sono bastati gli innesti di ebrei russi giunti a centinaia di migliaia a compensare il boom demografico dei palestinesi: nonostante tutto questi si accoppiano e figliano.
    E se a Gaza «liberata» la vita dovesse inoltre scorrere normalmente, questo potrebbe diventare un esempio per gli altri palestinesi.
    Un esempio pericolosamente contagioso.
    No, la vita a Gaza deve restare difficile, meglio se impossibile.
    Solo gli ingenui o certo tipo di giornalisti e analisti politici potevano venderci la favola del ritiro israeliano da Gaza, mostrarci continuamente le lacrime dei coloni costretti ad abbandonare i loro Kibbutz superprotetti e ordinatissimi, costruiti su terra altrui e vero insulto e provocazione alla miseria del resto di Gaza.
    E solo gli ingenui potevano credere alla favola di Israele che se ne andava davvero, lasciando ai palestinesi anche solo un lembo desolato di Eretz Israel.
    Mentre distruggeva il Libano, Israele si è ripresa Gaza.



    Lo ha gridato coraggiosamente Gideon Levy dalle colonne del quotidiano Haaretz, in un articolo ripreso su L’Internazionale.
    Ne riportiamo un ampio stralcio: «La guerra in Libano ha fatto sparire dalla scena politica un milione di palestinesi. Senza elettricità, senz’acqua, senza lavoro, praticamente prigionieri. E nessuno protesta. Gaza è stata occupata di nuovo. Il mondo deve saperlo, e devono saperlo anche gli israeliani. […] Come sembrano false, adesso, tutte le incredibili sciocchezze che si sono dette sulla ‘fine dell’occupazione’ e sulla ‘spartizione della terra’! Gaza è occupata, e con maggiore brutalità di prima. […] Inoltre Gaza è più che mai un carcere. Bisogna vedere con i propri occhi le scene che si svolgono a Rafah per capire la gravità della tragedia in corso. Un valico dove in teoria non doveva più esserci nessun israeliano continua a rappresentare lo strumento con cui Israele tiene sotto pressione un milione e mezzo di abitanti. E’ un caso vergognoso e sconvolgente di punizione collettiva. […] E non abbiamo ancora parlato dei morti, delle devastazioni e degli orrori. Negli ultimi due mesi, Israele ha […] bombardato, assassinato, distrutto senza che nessuno intervenisse. Nessuna base di lancio di razzi Qassam, nessuna galleria per il transito clandestino di armi possono giustificare così tante morti. Ogni giorno viene ucciso qualcuno, e per lo più si tratta di civili innocenti. […] Nelle case, bambini terrorizzati, traumatizzati da quello che hanno visto, si stringono gli uni agli altri, con un orrore negli occhi che è difficile descrivere a parole. Un giornalista spagnolo che ultimamente ha trascorso qualche tempo a Gaza, un veterano di zone di guerra e catastrofì di tutto il mondo - ha detto di non aver mai assistito a scene agghiaccianti come quelle che ha visto e documentato negli ultimi due mesi. […] I fatti smascherano quel grande imbroglio che è Kadima, il partito che è andato al potere sulla scia del successo teorico del disimpegno. Kadima aveva promesso convergenza, una promessa che il primo ministro si è già rimangiato. Chi pensava che fosse un partito centrista ormai dovrebbe aver capito che è solo l’ennesima formazione di destra favorevole all’occupazione. Lo stesso vale per i laburisti. Il ministro della Difesa, Amir Peretz, è responsabile quanto il premier di quello che sta accadendo a Gaza. Le sue mani sono sporche di sangue come quelle di Olmert, e non potrà mai più presentarsi come ‘uomo di pace’. Le incursioni compiute ogni settimana, ogni volta in un punto diverso, le operazioni ‘uccidi e distruggi’ che partono dal mare, dall’aria e da terra hanno tutte nomi che sembrano una mano di bianco data sulla realtà: ‘Pioggia d’estate’, ‘Kindergarten chiuso’. (6)





    Una notizia infine aggiunge orrore ad orrore.
    Israele, come già in Libano (7), sta sperimentando armi nuove e terribili.
    Armi destinate a danni irreparabili, di una brutalità sconvolgente, armi destinate a far morire tra sofferenze atroci e indescrivibili.
    Secondo un responsabile ONU Israele fa ricorso ad armi «nuove o inconsuete» nella Striscia di Gaza, probabilmente con frammenti di carbonio e polvere di tungsteno.
    Nonostante le smentite da parte di Gerusalemme, Karen Koning Abu Zayd, commissario generale dell’UNRWA, l’organismo delle Nazioni Unite per l’assistenza ai palestinesi, in un’intervista all’agenzia missionaria cattolica Misna, ha dichiarato: «Pensiamo che armi nuove o inconsuete («unusual» nel testo in inglese) siano usate nella Striscia di Gaza, visto l’aumento di conseguenze come ‘amputazioni’ o ‘ferite’ che sono abbastanza differenti da qualsiasi cosa vista in precedenza».
    La testimonianza rafforza l’inchiesta condotta dall’emittente Rainews24 lo scorso 11 ottobre e ripresa poche ore dopo dal dottor Hassinen Mouawia, chirurgo cardio-vascolare e direttore generale dei servizi di pronto soccorso nella Striscia di Gaza presso il ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP): «Il dato certo è che tra i mesi di giugno e agosto l’aviazione israeliana ha usato nella Striscia di Gaza armi diverse o nuove, che hanno provocato ferite mai viste in precedenza. Abbiamo documentato decine di casi di feriti che hanno perso uno o due arti inferiori per cause difficilmente spiegabili».



    Il dottor Mouawia ha documentato almeno 86 casi di ferite particolari che spesso hanno obbligato i medici ad amputazioni.
    Anche il dottor Joma Alsaka, direttore delle pubbliche relazioni dell’Ospedale di Alshefa a Gaza, aveva denunciato effetti devastanti e inspiegabili rinvenuti sui corpi dei palestinesi ricoverati nel principale ospedale di Gaza.
    «Si trattava di lacerazioni gravi dei tessuti e dei tratti facciali, completamente distrutti tanto che nessuno riusciva a riconoscere la vittima, nemmeno le persone più vicine e gli amici più stretti. Dopo le operazioni chirurgiche a volte abbiamo notato che esternamente non si trovavano i frammenti dei proiettili, ma solo dei segni. Non siamo riusciti a trovare questi frammenti nemmeno con la radiografia».
    Secondo il dottor Alsaka i corpi presentavano «ustioni di 4° grado fino alle ossa. Inoltre abbiamo riscontrato che il fegato è completamente distrutto e l’intestino è totalmente lacerato e ustionato, i polmoni sono ustionati e così via. Non ci sono frammenti dei proiettili, abbiamo trovato anche che il fegato è ridotto a pezzi e il pezzo più grande è di circa 2 o 3 millimetri».
    Tutti gli organi interni sono ridotti così.
    «A questo possiamo aggiungere che le ossa stesse erano completamente ustionate e non c’è alcuna possibilità di rinnovare i tessuti e ricostruire questi arti. Credo siano state usate delle sostanze come il fosforo o armi come quelle a energia o al laser o simili».





    Sono le doglie messianiche, che nella perversa visione del giudaismo sabbatiano necessitano della immersione nel Male e devono preludere all’avvento del Messia, alla riconquista finale di Eretz Israel, allo sterminio dei Gentili, alla vendetta del dio degli eserciti?
    Lasciamo in sospeso questa domanda, ma una cosa è certa: da Gaza Israele non se ne andrà.
    Da Gaza venne il Nathan, il «profeta» di Shabbetay e di Gaza così egli parlava in una lettera scritta al celebi Refa’el Yosef in Egitto: «Allora ci sarà una grande tribolazione e si realizzerà la scrittura [Zac 13-9]: ‘e lo purificherò come si purifica l’argento, lo saggerò come si saggia l’oro’ e nessuno si salverà tranne coloro che abitano in questo posto [cioè appunto Gaza] che è la residenza del governatore, come Ebron lo era per Davide. Il nome della città è determinante, poiché il suo nome in ebraico è ‘Azzah, la forte e con l’avvento della redenzione la forza si diffonderà e il popolo di Gaza agirà in questa forza. Re Salomone a suo tempo desiderò fare lo stesso, come è scritto [2Cron. 9-20], ‘l’argento era stimato nulla ai giorni di Salomone’, ma non vi riuscì, poiché il tempo non era ancora giunto. Nel nostro tempo tuttavia, questa volontà sarà adempiuta nel dominio di Gaza, che significa ‘la forza del Signore’». (8)



    Talvolta pare davvero di scorgere in questa furia cieca che Israele pone nella propria politica quasi una sfida a Dio, come per essere saggiata, provata, trovata degna della propria messianicità, come si prova l`oro e come si purifica l`argento.
    Eppure più che il Libro di Zaccaria, è la parola di Geremia che Israele dovrebbe meditare, giacchè non argento rischia di essere, ma piombo, ferro e argento di rifiuto: «Poiché così dice l’Eterno degli eserciti: ‘Tagliate i suoi alberi e costruite un terrapieno contro Gerusalemme; questa è la città che dev’essere punita; in mezza a lei non vi è che oppressione. Come un pozzo fa scaturire le sue acque, cosí essa fa scaturire la sua malvagità, in lei si sente solo parlare di violenza e di distruzione; davanti a me stanno continuamente dolore e piaghe. Lasciati correggere, o Gerusalemme, altrimenti la mia anima si allontanerà da te, altrimenti ti ridurrò una desolazione, una terra disabitata’. […] Ascolta o terra! Ecco, io farò venire su questo popolo una calamità, il frutto stesso dei loro pensieri, perché non hanno prestato attenzione alle mie parole e neppure alla mia legge, ma l’hanno rigettata. […] Perciò cosí dice l’Eterno: ‘Ecco, io porrò davanti a questo popolo delle pietre d’inciampo, nelle quali inciamperanno insieme padri e figli; il vicino e il suo amico periranno’. Cosí dice l’Eterno: ‘Ecco, un popolo viene dal Paese del nord e una grande nazione sarà suscitata dalle estremità della terra. Essi impugnano arco e lancia; sono crudeli e non hanno pietà; la loro voce assomiglia al fragore del mare; essi montano cavalli e sono pronti a combattere come un sol uomo contro di te, o figlia di Sion’. ‘Ne abbiamo udito la fama e le nostre mani sono cadute; l’angoscia si è impadronita di noi, come le doglie di una donna che partorisce’. Non uscite nei campi, non camminate per la via, perché la spada del nemico e il terrore sono ovunque. O figlia del mio popolo, vestiti di sacco e rotolati nella cenere, fa’ lutto come per un figlio unico, con un pianto amarissimo, perché il distruttore piomberà su di noi all’improvviso. Io ti avevo posto fra il mio popolo come un saggiatore e una fortezza, perché conoscessi e saggiassi la loro via. Essi sono tutti ribelli fra i ribelli, vanno attorno spargendo calunnie; sono bronzo e ferro, sono tutti corruttori. Il mantice soffia con forza, il piombo è consumato dal fuoco; invano raffina il raffinatore, perché le scorie non si staccano. Saranno chiamati ‘argento di rifiuto’, perché l’Eterno li ha rigettati». (9)



    Domenico Savino




    --------------------------------------------------------------------------------
    Note
    1) http://www.ansa.it/site/notizie/awnp..._10919668.html
    2) http://www.haaretz.com/hasen/spages/785063.html
    3) http://www.haaretz.com/hasen/spages/785063.html
    4) L’Unità dell’ 8 ottobre 2006, Vedi alla voce Israele, di Paolo Prodi.
    5) L’Unità dell’ 8 ottobre 2006, Vedi alla voce Israele, di Paolo Prodi.
    6) Gideon Levy, «La notte di Gaza, tratto da Ha’aretz (Israele), riportato in Internazionale numero 659 15/21 settembre 2006.
    7) Maurizio Blondet, «Bombe all’uranio in Libano» (ed altre atrocità)
    8) Gerschom Scholem, «Ŝabettay Þevi - Il Messia mistico», Einaudi, 2001, pagina 271.
    9) Ger, cap. 6, 9-29.
    Ibrahim

 

 

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