Un presbiterato letteralmete inteso...
Un presbiterato letteralmete inteso...
E dunque, questa volta, sarò io a dissentire.
Ovviamente vi sono delle ragioni teologiche - e non soltanto disciplinari - che conducono la Chiesa di Roma a non far deporre, al suo sacerdozio, il diadema splendente della consacrazione, della verginità e del celibato (in quest'ordine).
Ovviamente vi sono delle ragioni pastorali - e, direi, sociologiche - che non soltanto non mettono in crisi, ma anzi confermano e confortano questa apparentemente illogica ostinazione: esse riguardano in modo del tutto particolare l'area occidentale e la storia della separazione nord/sud causata dalla Riforma protestante, che - pur dolorosamente - ha offerto e offre un modello e un esempio che non si può non considerare con attenzione (la deriva del prete verso il social worker). Penso però che anche la storia della separazione est/ovest avrebbe qualcosa da insegnarci (la deriva del prete verso il mestierante del sacro).
Ovviamente :- ) non parlerò né delle prime (sulle quali forse avrei anche qualcosa da dire), né delle seconde (che affronterei con minore competenza). Vorrei riferirmi solo al livello antropologico della questione.
La disarticolazione del linguaggio ordinario, il suo spingerlo verso una densità talmente grande da vederlo esplodere o implodere - e che abbiamo a volte constatato a proposito del linguaggio liturgico e delle parole dei sacramenti - vale anche, a mio avviso, per le parole giovane e anziano. Le quali, con tutta evidenza, non fanno riferimento ad un età anagrafica. Ma questo è evidente e non mi ci soffermerò.
Lo psicologo junghiano (eretico) James Hillman, in un suo libro abbastanza noto intitolato La forza del carattere, sostiene che - paradossalmente - il giovane è talvolta più vicino alla morte dell'anziano. Vengono in mente immagini del mondo classico, ma non solo, anche alcune provenienti dalla letteratura recente. Il giovane, l'ancora inespresso, l'onnipotente (o minuscola), il ricolmo d'energia, è più fragile del vecchio che accetta la sua vecchiezza, e che sembra in qualche modo progressivamente allontanare da sé la morte. Come una gemma è più fragile di un tronco nodoso di ulivo. E perché è più fragile? Perché è talmente facile per il giovane commettere hybris, e fare ingelosire gli dèi; e quando ciò accade, essi stendono la mano contro di lui, e lo fermano, con quell'abbraccio che non-si-sa se è amore o odio (si diceva: chi muore giovane è 'caro' agli dèi), nella tipica ambivalenza dei gesti divini.
Vi ricordate Alcesti di RM Rilke? C'è la festa di nozze di Admeto, è tutto è felice e pieno di gioia e possibilità. Ma d'un tratto si mescola agli invitati un dio, che porta un destino di morte per il giovane sposo.
(...) Allora
riconobbero il dio, l'agile dio (Mercurio, l'annunziatore, ndr),
che stava, pieno della sua missione,
implacabile - e quasi si comprese.
Pure, quando fu detto, parve più
d'gni scienza, non cosa da comprendere.
Deve morire Admeto. Quando? Adesso.
E allora Admeto grida, chiede ad altri di sostituirlo nel proprio destino di morte, e lo chiede evidentemente a chi per natura è più prossimo ad essa: i vecchi genitori.
Ed ella venne a lui, la vecchia donna,
ed anche il padre venne, il vecchio padre,
e stettero invecchiati, incerti, presso
lui che gridava e a un tratto fissò in loro
lo sguardo, s'interruppe, inghiottì, disse:
"Padre
importa molto a te di questo avanzo
di vita che ti vieta ormai l'amplesso?
Su, gettalo. E anche tu, tu, vecchia donna,
Matrona,
perché vivi tu ancora? Hai partorito".
E li teneva vittime all'altare
in una presa. A in tratto lasciò i vecchi
(Admeto capisce che un'offerta di vecchi non soddisfa l'attesa degli dèi, e si rivolge al giovanissimo amico Creonte)
li spinse via da sé, mentre chiamava
anaelante, ispirato: Kreon, Kreon!
E solo questo, solo questo nome.
Ma sul suo viso quello che non disse
era impresso in attesa senza nome;
e ansante verso il giovane, il diletto
amico, oltre la tavola sconvolta
si protendeva: i vecchi, vedi, sono
consunti - misero riscatto - e poco
valgono, mentre tu nella pienezza...
(Ma alla fine chi accetta di sostituirsi a lui nella morte è la promessa sposa, ancor più giovane, Alcesti: lei viene accettata)
Allora tacque, e chi venne fu lei,
esile forse più di prima, e lieve
e mesta nella sua veste nuziale.
Gli altri non sono che la strada a lei
che viene, viene...(e subito sarà
tra le braccia che s'aprono al dolore).
Ma Admeto attende ed ella non a lui
si volge. Parla al dio che la comprende
e tutti la comprendono nel dio.
Nessuno è a lui compenso. Io solamente
Io lo sono. Perchè nessuno è al fine
come me. Cosa resta a me di quello
ch'ero qui, cosa resta oltre il morire?
Lei (Atena, la dea offesa, ndr) non ti ha detto nel mandarti a noi
che quel giaciglio che di là ci aspetta
è d'oltretomba? Io già presi commiato,
io presi ogni commiato.
Nessun morente più di me, che vengo
perché tutto, sepolto sotto quello
che è il mio sposo, svanisca, si dissolva,
Prendimi dunque: prendimi per lui.
Mi dicano sinceramente i padri. Mi dica il padre Giovanni se non ha tremato per la hybris di suo figlio, se non ha tremato, se non trema, se non vede quanto un giovanetto sia vicino, così pericolosamente vicino a certi confini.
I giovani, i vergini, i più non ancora e meno già, questi sono i veri mediatori fra i mondi, perché per loro i confini sono più permeabili e trasparenti, anche se più rischiosi. Sacerdoti, se mai ve ne siano. Chi se ne frega della saggezza. Che cosa importa della provatezza dei viri? Io voglio questo da un sacerdote: che sia una porta.
Rimpiango i giovani preti descritti da Bernanos. Rimpiango le dolci, terribili, tenere e scandalose offerte di infanzie e di giovinezze nei seminari minori. Rimpiango - cosa volete, è così - l'impossibilità di arrivare a Dio attraverso gli accessi delle possibilità sacrificate.
Grazie, scusate tanto della lunghezza, Barsanufio
Barsanufio, senza fare poesia , senza ricorrere a psicologi junghiani eretici di cui , onestamente, ce ne freghiamo delle loro paranoie,senza fare discorsi ampollosi di retorica letteraria,bastava andare a San Paolo e discettare tra quello che gli dettava la sua pietà di uomo di fede e di mille esperienze apostoliche e che consigliava a suo figlio Timoteo (vescovo) a titolo personale , e quello che affermava da parte del Signore alle giovani chiese come linea generale da tenere .
Lì c' è tutto !
Io la penso come San Paolo : l'deale sarebbe che nessuno che abbia ricevuto la fede si sposasse e risposasse ! Se potessi , lo farei . ......
Pero' bisogna guardare alla norma morale oggettiva e la vocazione personale e concreta : non c'è contraddizione ! Chi è uxorato , può essere presbitero, lo dicono le scritture ! Non è l'ottimum ma è buono .
C'erano dei santi che si comunicavano e confessavano tutti i giorni .
Questo è il massimo per una vita di fede ideale , ma cosa richiede la Chiesa al semplice cristiano per salvarsi e santificarsi ? Chiede la messa alla domenica e alle feste comandate , oppure almeno una volta all'anno l'eucarestia .
La Chiesa deve quindi attenersi a una norma generale che non solo puo andare bene a tutti,basta che sia lecita , ma che puo portare nuovi carismi di fedeltà e di apostolato. Se la norma morale non è in contrasto con la fede , allora è buona; puo' dare buoni frutti . Detto questo , la Chiesa non deve mai smettere di predicare i consigli evangelici nel senso piu stretto come ritiene opportuno ,ma non deve imporli a nessuno . Oggi , purtroppo, viviamo in tempi in cui potrebbe diventare controproducente all'apostolato , un obbienza di massa a certe norme di virtù generalizzate che non legano moralmente chi non le osserva .
Ma deve predicare questa
[[/QUOTE]QUOTE=Barsanufio;4866553]E dunque, questa volta, sarò io a dissentire.
[/B]Mi dicano sinceramente i padri. Mi dica il padre Giovanni se non ha tremato per la hybris di suo figlio, se non ha tremato, se non trema, se non vede quanto un giovanetto sia vicino, così pericolosamente vicino a certi confini.
I Chi se ne frega della saggezza. Che cosa importa della provatezza dei viri? Io voglio questo da un sacerdote: che sia una porta.Rimpiango i giovani preti descritti da Bernanos. Rimpiango le dolci, terribili, tenere e scandalose offerte di infanzie e di giovinezze nei seminari minori. Rimpiango - cosa volete, è così - l'impossibilità di arrivare a Dio attraverso gli accessi delle possibilità sacrificate.
Grazie, scusate tanto della lunghezza, Barsanufio
Vorrei recuperare-all'interno del mio cuore di prete-e restando dentro la mia tradizione questo chi se ne frega del mio amico Barsanufio e -senza pudori -parlerò anche di mio figlio .Questo 3d può diventare(dovrebbe ...) una scarnificazione concreta(Io sospetto-meglio penso ed intuisco-che tra i forumisti sparsi dovunque su POL ci possa essere anche qualche presbitero romano-cattolico e qualche pastore riformato..Sarebbe interessante ,esistenzialmente tale , un loro possibile intervento)
MI faccio colpire dallo schiaffone del mio amico: Io sono stato ordinato presbitero nel giugno del 1998 ad anni 47 dopo ben 13 anni di diaconato(situazione che -mi si dice-oggi(e non è cosa bella) rara all'interno delle chiese ortodosse in comunione con il Patriarcato di Costantinopoli-suo l'espressione del Vescovo Silvano...) , Ma ero e sono e continuo ad essere un viro probato? Non è questo il punto-a mio avviso- anche se questa è la veneranda e stabilizzata tradizione santa e non è questo il punto perchè sui requisiti (che brutta parola) per essere un viro probato ho molte personali riserve alla'interno stesso della mia esistenza concreta e il problema non è neppure il matrimonio,l'esercizio della sessualità e l'esperienza complessiva dell'affettività...I demoni sono sempre presenti e non guardano l'età di nessuno e non si fanno scrupolo di invadere ed assediare qualsiasi stato civile ,ammesso sempre che di demoni e di demonie sia legittimo parlare .
Certo che tremo,amico mio,ma non solo ..so che esiste di fronte alla hybris di Pierpaolo un secondo stato di emozione (non ti so definrire quale e come) legato sicuramente al mio ministero ,forse la speranza/disperata che io-con molte preghiere e con molti digiuni e con la possibilità ministeriale dell'epiclesi(ho rubato a Dio il fuoco...ogni presbitero è il ladro prometeo...ogni vescovo imponendo le mani costituisce ontologicamente ladri per l'edificazione del corpo e l'assemblea santa quando proclama sull'ordinato il suo triplice axio axios axios gli comunica che lo pretende e chiede ladro totale...) -possa regalare alla forza invidiosa e misericordiosa degli dei la possibilità di un loro continuo ripensamento verso mio figlio,verso i miei giovani figli ..perchè -amico mio- possono essere porta( e lo sono) e forse possono esserlo più e meglio di me ma non sono ancora ladri.Forse l'unico carisma del viro probato per essere tale e come tale per potere essere presbitero è la sua letizia ad essere ladro,ladro dell'epiclesi,ladro del fuoco sacro e santo,e -nella tradizione dei cristiani d'oriente-un latrocinio ancor più cosmico: Certo lo Spirto santifica,benedice,consacra,trasforma,annuncia,con voca ed io come presbitero a nome e per conto dell'assemblea santa,popolo regale,stirpe sacerdotale ne sono semplice e modesto/falsa modestia invocatore..ma sono anche la prigione di questo Spirito che soffia dove vuole certamente ma intanto faccia i conti con questo ladro e carceriere..Certo potrebbe anche lasciarmi perdere e non essere mai presente(il dubbio totale,cosmico...c'è) ma lasciandomi perdere e liberandosi da questo ladro e carceriere,manda a mani vuote l'assemblea santa e allora che santitià avrebbe?
Mio figlio e i miei giovani figli e figlie sono porta ma senza lo scassinatore questa porta non si apre e solo un viro probato può essere scassinatore,ladro e carceriere..Ovviamente una volta compiuta l'effrazione io mi aspetto -anzi chiedo ed invoco-la mia morte per parricidio e anzi ne anticipo i tempi (perchè mai -come dolcemente ed ingenuamente ha ricordato mio figlio Arimateo- io sto cercando di far sorgere il prossimo presbitero e parroco di Palermo dall'interno della congregazione? Ma ovviamente perchè alla morte per parricidio preferirei il suicidio del padre perchè solo così esso sarà onorato,sano longevo,rivolto sempre all'Evangelo della verità
Un viro probato deve essere necessariamente un marito? rifletterò anche su questo ala luce della mia esperienza e nella fede lla mia tenda...
Intanto egli è al momento un ladro,un carceriere,uno scassinatore ed un candidato consapevole e lieto(per vocazione evangelica alla santità) alla morte per parricidio o a un suicidio previo...
Padre Giovanni
L'immagine del prete come ladro del fuoco dello Spirito è preziosa e intensa: e come tale la conserverò.
Io sono intervenuto però in questa discussione per sostenere il valore - sempre più raro - di avere preti giovani, consacrati e vergini. E che l'esistenza di essi sia la gloria e la corona del sacerdozio latino. E ciò non soltanto - ripeto - per ragioni teologiche, pastorali e sociali (pur esistenti). Ma anche per un profondo motivo antropologico.
Infatti il giovane prete, consacrato e vergine, non è semplicemente un individuo investito del compito di amministrare i sacramenti al popolo di Dio.
Primo, perché la sua giovinezza già di suo intrattiene una particolare familiarità con l'Oltre: egli non è ancora ingrigito, irrigidito, incallito, intristito, incarognito, impietrito; i confini sono pervii, naturalmente con il rischio di hybris, e di morte.
Secondo, perché è un sacrificio vivente, un'offerta che brucia costantemente davanti all'altare di Dio. E' come se operasse un interiore legamento di Isacco: l'Isacco, incantevole e potentissimo, delle proprie energie umane, tutte tese e pro-tese, anelanti al proprio compimento. Qui non si tratta di interrogarsi sull'orgasmo simultaneo reichiano, padre Giovanni: proprio l'opposto.
Qui si tratta di sacrificare un'energia umana esplosiva e come in boccio, come ancora direbbe Rilke,
il Dio-fiume del sangue (...)
il Signor del piacere, che sovente da lui solitario,
prima ancora che la fanciulla placasse, spesso come se ella neanche esistesse
levava il capo divino, ah, gocciolante di qual mai imperscrutabile,
per chiamare la notte a tumulto infinito.
E questo sacrificio è così imponente da aprire, forzare (come diresti tu) i cieli.
Le derive psicopatologiche - sempre più frequenti - cui una gran parte del clero pare essere sottoposta, credo che prima o poi convinceranno anche la Chiesa di Roma a rinunciare al suo tesoro. Ordineranno uomini santamente sposati che con energia e dedizione serviranno il popolo cristiano nelle parrocchie.
A mio giudizio, tuttavia, sarà - almeno da certe prospettive - un grande errore. Le malattie del corpo e della mente dei preti possono anche essere viste come il segno misterioso - e terribile - del tocco divino, di quel legamento che torce, distorce, contorce (e talora - mio Dio - talora per-verte) la natura, una natura che così raramente diventa pura trasparenza. Rimando, insisto, a Bernanos: più che al Curato, a Un delitto.
Una volta ero in Irlanda. C'era una specie di sacra rappresentazione pasquale all'aperto, nei pressi di un monastero diroccato, in piena campagna. Per assistervi era venuta una discreta folla dai paesi vicini. La maggior parte delle persone era in piedi, ma alcune anziane signore avevano con loro un seggiolino portatile, di quelli fatti ad ics. A un certo punto è arrivato un giovane prete, in una talare spiegazzata e lisa: era uno di quei preti giovanissimi tipicamente irlandesi, capelli rossi a spazzola, lentiggini e mani da contadino. Una delle vecchie signore sedute si è subito alzata - avrà avuto settant'anni - e ( Father, please, take my seat! ) gli offriva il suo seggiolino. Il giovane prete si schermiva. Father...
La donna settantenne chiamava Padre chi poteva essere suo nipote. A quale paternità si riferiva? Ancora una volta, il linguaggio rovesciato, vilipeso, dissociato: per fargli dire ciò che non si può dire.
Ora i nessi saranno ristabiliti, il linguaggio tornerà nei binari consueti, perché ogni Father sarà anche un Dad. E staremo tutti meglio. O no?
Grazie, Barsanufio