Risultati da 1 a 7 di 7
  1. #1
    Vedo la mano invisibile
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    Predefinito Addio a Milton Friedman

    L'Istituto Bruno Leoni apprende con dolore della scomparsa di Milton Friedman, il più noto esponente della "scuola di Chicago" e uno dei maggiori alfieri della libertà di mercato nel ventesimo secolo.



    Nato nel 1912, Milton Friedman ha ricevuto il Premio Nobel per l'Economia nel 1976. Fra i suoi studi più importanti, oltre ad una confutazione della "curva di Philips" e dell'esistenza di un "tasso naturale di disoccupazione", soprattutto i lavori di economia monetaria (fra cui è impossibile non ricordare la monumentale "A Monetary History of the United States", scritta con Anna J. Schwartz). Friedman è stato la figura centrale del cosiddetto "Monetarismo", che ha avuto il merito storico di riportare al centro del dibattito il ruolo delle banche centrali e della politica monetaria.



    Milton Friedman è stato anche e soprattutto un grande portavoce delle idee liberali, uno dei pochi capaci di portarle al grande pubblico - per esempio con due libri divulgativi di straordinaria diffusione, come "Capitalismo e libertà" e "Liberi di scegliere" (quest'ultimo divenuto anche una serie tv per la PBS). "Pochissimi", dice Carlo Lottieri, direttore del dipartimento 'Teoria politica' dell'IBL, "hanno saputo comunicare con analoga freschezza e semplicità i principi della libertà individuale. Una dote, questa, che unisce Friedman ad un grande maestro del passato come Frédéric Bastiat".



    Attivo fino all'ultimo, autore anche in tempi recentissimi di articoli ed editoriali (ad esempio per il Wall Street Journal), Friedman è stato anche Presidente della Mont Pelerin Society, nella quale ebbe modo di frequentare ed apprezzare lo stesso Bruno Leoni.

  2. #2
    VELTRONI DIMETTITI!
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  3. #3
    Vedo la mano invisibile
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    Milton Friedman, 1912-2006

    di Alberto Mingardi


    Scomparso ieri all’età di 94 anni, Milton Friedman è uno dei pochissimi economisti ad essere noti al grande pubblico. Ovunque, non solo in America. E questo nonostante la sua produzione scientifica verta principalmente su questioni assai complesse, inaccessibili ai più. È che Friedman non è stato solo uno studioso molto rispettato, Premio Nobel, uno degli economisti più influenti del secolo scorso. Ma anche una bandiera. Il suo nome ricorre costantemente, assieme a quello di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, nella maledizione triadica recitata da ogni bravo nemico del capitalismo globale, preferibilmente su musica di Manu Chao. Thatcher e Reagan però sono stati leader politici dei più importanti Paesi del mondo libero, persone inevitabilmente al centro della scena, prima statisti poi “marchi” riconoscibilissimi al mercato delle politiche. Milton Friedman era un teorico, e assieme un appassionato divulgatore. L’aggettivo qui è essenziale: è la sua passione, la sua fede adamantina nella libertà individuale, il suo entusiasmo, ciò che ha conquistato tanti lettori.

    I suoi contributi più significativi, quelli destinati, come si dice, a “restare”, ricadono nell’ambito della teoria monetaria. Friedman non è stato il capostipite della scuola di Chicago (quando vi arrivò, da studente, ci trovò studiosi blasonati come Jacob Viner e Frank Knight), ma vi ha infuso vita nuova. È impressionante la messe di allievi che è riuscito a raccogliere (per citare un altro Nobel, Gary Becker). Nella sua autobiografia (“Two Lucky People”, scritta con la moglie Rose), ha saputo raccontare la fortuna di tutta una serie di incontri intellettuali davvero straordinari. Cominciando da “un gruppo di colleghi dottorandi provenienti da tutto il mondo”. Fra questi, “formai un’amicizia destinata a durare tutta una vita con George J. Stigler e W. Allen Wallis”. Anche Stigler venne poi premiato col Nobel. Amici fraterni, i due giocavano assieme a tennis: le foto che li ritraggono, calzoncini bianchi e racchetta in mano, hanno fatto il giro del mondo perché sono molto comiche. Friedman era, per usare un eufemismo, bassino, Stigler invece praticamente una pertica. Quest’immagine, un po’ alla Stanlio ed Ollio, umanizza l’intelligenza affilata dell’uno e dell’altro, ce li fa ricordare con un sorriso.

    Friedman ha contribuito come nessuno a rimettere al centro del dibattito la politica monetaria, avviando un’autentica “contro-rivoluzione monetaria”, “contro-rivoluzione” perché destinata a soppiantare la precedente rivoluzione keynesiana. La riformulazione di Friedman della teoria quantitativa della moneta ha portato con sé un corollario: che, cioè, l’inflazione è “sempre ed ovunque un fenomeno monetario”. Come ha spiegato, in una lucida ed importante biografia intellettuale di Friedman, Antonio Martino, “se per inflazione si intende un aumento prolungato del livello dei prezzi (una diminuzione prolungata del potere d’acquisto della moneta), essa può avere luogo solo se la spesa aggregata cresce più rapidamente del reddito prodotto, e ciò è impossibile si verifichi per un lungo periodo di tempo se la quantità di moneta non aumenta più rapidamente del reddito reale”.

    La comprensione del fatto che l’inflazione è figlia di un aumento della quantità di moneta, ovviamente, ci mette nelle mani le chiavi opportune per frenare questa “tassa occulta”. Gli studi di Friedman sono una delle cause più importanti, del mutamento di comportamento da parte delle banche centrali. Anche perché essi hanno fornito strumenti interpretativi capaci di accendere nuovi luci, ad esempio, su un fatto della gravità della crisi del ’29. Come ha riconosciuto, in occasione del novantesimo compleanno di quello che gli amici di Chicago affettuosamente chiamavano “lo zio Milty”, l’attuale governatore della Federal Reserve Ben Bernanke: “sulla grande depressione lei aveva ragione: è stata colpa nostra, ci dispiace”.

    La passione di Friedman per le idee di libertà è stata forse meno importante per la scienza, ma non certo per tutti noi. Poco dopo la pubblicazione di “Capitalismo e libertà”, Friedman ha partecipato alla sfortunata campagna elettorale di Barry Goldwater, come suo consulente. Con Nixon, ha contribuito all’abolizione della leva obbligatoria. Con l’avvento di Reagan, si imponeva una classe dirigente che ormai aveva metabolizzato la sua lezione. Che passava attraverso i suoi scoppiettanti articoli per “Newsweek”, come pure per la serie di trasmissioni televisive “Liberi di scegliere”, poi diventata un libro, e che tra parentesi ora si può rivedere su Internet su “Google Video”.

    Fra le proposte concrete che sono state più care a Friedman, non si possono dimenticare il buono scuola e la liberalizzazione delle droghe. Questa è una battaglia alla quale con strepitoso coraggio mise a disposizione il suo prestigio, spesso assieme con lo psichiatra Thomas Szasz. Scrisse:: “la legalizzazione potrebbe coincidere con una crescita del consumo, ma non è detto sia così, mentre la proibizione attrae sempre i giovani”.

    Sul numero di Novembre di “Reason” c’è la sua ultima intervista. Pur ammettendo che “non succederà mai”, a Brian Doherty dice che sarebbe “preferibile” abolire la Federal Reserve. Ci mancherà.

  4. #4
    stellarossa1959
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    Un affamatore di popoli in meno.
    amen.

  5. #5
    denty
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  6. #6
    email non funzionante
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    Citazione Originariamente Scritto da calvin
    La Voce Repubblicana ha ricordato oggi Milton Friedman con questo articolo:

    Sostenitore del libero mercato contro ogni ingerenza da parte dello Stato, tanto da meritarsi il titolo di anti-Keynes. Così ascoltato da detrminare le politiche economiche di due campioni del liberismo del ventesimo secolo: Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Milton Friedman è morto giovedì in ospedale per complicazioni cardiache all'età di 94 anni, a San Francisco dove abitava, dopo essere stato uno degli economisti più ascoltati degli ultimi 50 anni, influenzando molte teorie in campo monetario. Convinto sostenitore del libero mercato, Friedman ha impostato tutti i suoi lavori sulla dottrina del monetarismo, sul principio secondo cui l'inflazione può essere governata dalla Federal Reserve, la banca centrale Usa, con il semplice uso della leva monetaria. “Se la Fed - era solito ripetere tutte le volte che gli era possibile - avesse seguito queste linee come principio guida, avrebbe evitato la Grande Depressione della fine degli anni Venti”. Giudizio condiviso dall'attuale “banchiere dei banchieri”, Ben Bernanke, in un intervento pubblico nel 2002. Secondo Bernanke il pensiero di Friedman “ha così permeato la moderna macroeconomia che si rischia di non apprezzare il carattere rivoluzionario e originale delle sue idee”. Anche Alan Greenspan, ex numero uno della Fed per 18 anni, ha ammesso che Friedman “è stato un punto di riferimento” per la sua vita. Nato a Brooklyn nel 1912 da genitori ebrei emigrati dalla Cecoslovacchia, laurea alla Rutgers University nel 1932, master all'Università di Chicago e dottorato alla Columbia, Friedman ha sviluppato le sue teorie proprio studiando il New Deal, voluto da Franklin Delano Roosevelt per risollevare il Paese dalla profonda crisi economica, arrivando alla conclusione che solo il libero mercato e la politica del laissez-faire sono la chiave per reggere le sorti dell'economia. Friedman si è dimostrato un ottimo divulgatore del pensiero liberista, tanto che dalla cosiddetta scuola neoliberista ortodossa di Chicago sono emersi un'altra decina circa di premi Nobel (i Chicago Boys), e da influenzare negli anni Ottanta le scelte del governo inglese di Margaret Thatcher e di quello americano di Ronald Reagan (oltre ad aver avuto rapporti contrastanti con i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford). Amante delle provocazioni, Friedman, sempre negli anni Ottanta, fu anche uno dei pionieri della legalizzazione della droga, avendo preso posizione contro la guerra dell'allora presidente George Bush contro gli stupefacenti, sostenendo che era destinata a fallire: proprio come il proibizionismo degli anni Venti e Trenta, che non era riuscito a sradicare il consumo di alcol. Tra le sue teorie, sempre oggetto di discussione, figura anche quella del rigetto della responsabilità sociale d'impresa sia sul piano economico sia su quello etico, sulla base del principio che i manager agiscono nell'interesse dei soci. In altri termini, il denaro impiegato per risolvere problemi sociali, anche se l'impresa ne è la causa, significa fare “beneficenza” con i soldi dei soci-proprietari. Insomma, il mercato prima di tutto. Un liberale autentico che un paese come il nostro, conteso fra cultura cattolica e pensiero marxista non è mai stato capace davvero di ascoltare. E tanto meno di capire sul serio. Individualismo, merito, libertà economica, i tre capisaldi su cui Friedman aveva costruito il suo pensiero in Italia venivano tutto sommato guardati con sospetto e diffidenza. Quando dobbiamo misurare il ritardo economico del nostro Paese, le sue difficoltà di sviluppo, occorre anche ricordare le lacune teoriche che lo caratterizzano. Il professor Domenico Siniscalco, ricordando la figura di Friedman sulla Stampa, cita la famosa battuta del premio Nobel - “non esistono pasti gratis” - per chiosare che invece da noi si continua a credere l’inverso, e cioè che invece che sia possibile e magari dovuto. Per la verità c’è stata un’evoluzione recente, secondo la quale esiste il pasto a sbafo. Nel senso che c’è chi mangia a crepapelle e poi fa pagare a qualcun altro il conto.

  7. #7
    Re del Fondoscala
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    Citazione Originariamente Scritto da stellarossa1959 Visualizza Messaggio
    Un affamatore di popoli in meno.
    amen.
    (e 2...)

 

 

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