Originariamente Scritto da
Princ.Citeriore
Parallelamente in Spagna avevano avuto luogo eventi esaltanti. Le nozze tra Isabella di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona, nel 1469, servirono a promuovere l'unificazione dei vecchi stati della penisola iberica. Nel 1492 essa venne completata con la conquista di Granada, finalmente liberata dalla dominazione musulmana. Nello stesso anno, in nome di quei re, Colombo raggiunse le Americhe. Nel 1502 , dopo che in un primo tempo il Regno di Napoli era stato spartito, tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII di Francia, le armi spagnole condotte da Gonsalvo di Cordova, il Gran Capitano, estesero la sovranità spagnola su tutte le Due Sicilie.
I nuovi eventi inaugurarono il primo stemma delle Spagne e quindi delle Due Sicilie. Questo vede inquartato nel primo e nell'ultimo punto le insegne di Castiglia (di rosso al Castello d'oro torricellato di tre pezzi e fincstrato d'azzurro) e di Leon (d'argento di Leone rosso coronato, lin-guellato e armato d'oro). Negli altri due punti le insegne già descritte di Aragona e di Aragona-Sicilia. Nella punta dello scudo l'insegna, anch'essa già descritta, di Granada.
Lo scudo, sormontato dalla corona reale e da un'aquila, reca su una lista spiegata ai due lati il motto TANTO MONTA (= fa lo stesso) allusivo all'uguaglianza tra i due re cattolici Ferdinando e Isabella. Alla base sono inoltre rappresentati il Giogo e le Frecce, allusivi alla cacciata dei musulmani dalla Spagna, simboli che saranno ripresi nel XX secolo dal regime franchista.
Non figurano più nello scudo l'insegna gigliata angioina, sebbene essa sia destinata, come vedremo, a rientrarvi trionfalmente, dopo alcuni secoli, nella sua elaborazione finale. Anche le insegne di Gerusalemme e d'Ungheria subiranno alterne vicende fino all'acquisizione definitiva dei soli primi due emblemi (FIG. V).
L'imperatore Carlo V
Alla morte di Ferdinando il Cattolico, a questi successe la figlia Giovanna III detta la Pazza, moglie dell'arciduca d'Austria Filippo il Bello. Da costoro Carlo, nelle cui mani, per l'infermità della madre e per la morte del padre, venne a concentrarsi un' incommensurabile eredità. Dal padre, arciduca d'Austria ereditò i domini borgognoni delle Fiandre, la Castiglia e le colonie americane; dal nonno materno Ferdinando l'Aragona e gli stati italiani di Napoli, Sicilia e Sardegna; infine, alla morte dell'imperatore Massimiliano, i domini della Casa d'Asburgo, tra cui l'Austria, la Stiria, la Corinzia, il Voralberg e il Tirolo. Nal 1519 viene eletto e nel 1520 incoronato imperatore
[14].
In conseguenza lo stemma moltiplica i suoi scudi e si complica di elementi ornamentali riferibili alla carica imperiale e all'acquisita grande potenza spagnola. Nello stemma imperiale sono presenti: gli scudi già descritti di Castiglia, Leon, Aragona- Sicilia, Granada, Aragona. Gerusalemme e Ungheria; inoltre lo stemma d'Austria, quello di Borgogna, quello della seconda linea borgognona, quello di Brabante, quello di Limburgo e quello del Tirolo.
Dalle raffigurazioni del tempo rileviamo che lo scudo viene sorretto dall'Aquila bicipite sormontata dalla corona imperiale. Alla base due colonne sormontate, la prima a destra dalla corona imperiale, la seconda a sinistra da quella regia. Entrambe le colonne sono ravvolte in un'unica lista recante il motto PLUS ULTRA.(=PÌÙ in là). Le colonne sono allusive di quelle che Èrcole avrebbe poste ai due lati dello stretto di Gibilterra per ammonire i naviganti a non spingersi oltre. Dunque il motto fin allora era stato NON PLUS ULTRA (=Non più in là) Carlo V lo adottò sopprimendo il NON e capovolgendone il significato. Ciò "
gli fu suggerito dal medico di corte, il milanese Luigi Merliano: l'imperatore così orgogliosamente ricordava come il proprio regno fosse tanto esteso da superare perfino i limiti tradizionali della terra[15]" .
Per la prima volta lo scudo è cinto alla base da un collare, quello del Toson d'Oro. Il relativo Ordine, istituito nel 1730 dal duca di Borgogna Filippo il Buono di Valois, è stato ereditato da Carlo V tramite l'imperatore Massimiliano per il suo matrimonio con l'ultima erede dei Valois, Maria. Il Collare rappresenta degli "acciarini o focili concatenati tra loro ed intercalati da pietre focaie azzurre sprizzanti rosse fiamme", inusitato omaggio cavalieresco alle armi da fuoco, alla cui base pende il "Ve//o d'Oro, la leggendaria pelle di montone d'oro della quale il mito di Giasone ci narra". Il motto riferibile al collare è ANTE FERÌ QUAM FLAMMA MICET (^Ferisce prima
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[14] Sul periodo V. FRANCISCO ELÌAS DE TEJADA. Napoli spagnola. Le decadi imperiali (1503 - 1554), Ediz. Controcorrente. Napoli, 2002.
[15] RENZO TOSI, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli. Milano, 1991. pag. 240. Si ricordi anche la frase attribuita a Carlo V: "Sui miei domini non tramonta mai il sole".
che la fiamma splenda), mentre quello riferibile al pendente è AULTRE N'AURAY (=Non ne avrò un'altra)
[16] (FIG. VI).
Filippo II
Nel 1556 Carlo d'Asburgo, al culmine della sua potenza, compì un atto solenne di abdicazione, rinunciando ai suoi vastissimi domini, e si ritirò nel monastero di San Giusto in Estremadura. Ripartì la successione tra il figlio Filippo e il fratello Ferdinando, assegnando al primo la Spagna, i possedimenti transoceanici, i domini italiani e i Paesi Bassi, al secondo i paesi tedeschi ereditari della casa d'Asburgo.
Ma l'investitura di Filippo (Secondo in quanto nipote di Filippo il Bello, arciduca d'Austria) era stata già preparata da Carlo nel corso dei tre lustri precedenti alla rinuncia. Infatti Filippo aveva già avuta la reggenza della Spagna, il giuramento di fedeltà dei paesi fiamminghi e della Navarra, l'investitura del ducato di Milano e, nel 1554, il governo del Regno di Napoli. Lo stemma di Filippo II segue le sorti della divisione dei domini di Carlo. Scompaiono l'Aquila bicipite e la Corona imperiale. Restano il Toson d'Oro e gli scudi rappresentativi dei suoi domini.
Questo stemma, nella versione della Collezione Borgia
[17], è il più sobrio ed elegante tra quelli che si sono succeduti nella storia delle Spagne e pertanto anche delle Due Sicilie. Nei primi due quarti sono conservati gli scudi di Ferdinando il Cattolico e cioè:
• le Torri di Castiglia d'oro su fondo di rosso inquartato con i Leoni di Leon di rosso su fondo d'argento;
• i Pali di rosso e d'oro d'Aragona e quelli campati in Croce di Sant'Andrea con le due Aquile nere su fondo d'argento rappresentanti la Sicilia;
• con in punta ai due quarti la Mela granata su fondo d'argento:
Sul tutto dei due quarti lo scudo del Portogallo, eredità di Filippo dalla madre Isabella regina di quel regno, che è d'argento con cinque Scudetti d'azzurro posti in croce caricati ciascuno d'un bisante d'argento in Croce di Sant'Andrea, con la bordura di rosso caricata di sette Castelli di oro, posti tre nel capo, due ai lati e due inclinati a destra e a sinistra della punta.
Nei due quarti sottostanti figurano da destra a sinistra:
• casa d'Asburgo di rosso alla Fascia d'argento:
• Borgogna antica, Bande d'oro e d'azzurro, bordate di rosso;
• Borgogna moderna, Gigli d'oro in campo azzurro bordato d'argento e di rosso;
• Brabante, Leone d'oro in campo nero.
Sul tutto dei secondi due quarti: uno scudo spartito tra Fiandra, Leone di rosso in campo d'oro e Anversa, Aquila di rosso in campo d'argento (FIG- VII).
Lo stemma or ora descritto non subì variazioni eccetto che per lo scudo del Portogallo che ne fu rimosso a seguito della lunga lotta e dell'indipendenza conseguita dai portoghesi con la pace di Lisbona del 1668.
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[16] Una esauriente trattazione del tema è in MALACARNE GIANCARLO, // mito del Tosone. In Araldica gonzaghesca, II Bulino. Modena. 1992, pagg. 154 e segg. La leggenda vuole che Filippo il Buono, nel 1430. abbia creato l'Ordine, più che per l'occasione delle sue nozze con l'infanta Isabella . in ricordo della chioma dorata con riflessi rossastri di una sua amante.
Ma II Malacarne smentisce la diceria non suffragata da alcuna prova e si richiama alle finalità dell'Ordine: la difesa della Fede Cattolica e della Chiesa e la tranquillità e salvaguardia
[17] Napoli. Carte araldiche e genealogiche, I, 28. Riprodotta in BORGÌA, Op. cit., pag. 53.