Qui troverete le informazioni su come reperire il libro.

Non è uscito “col botto”, ma quasi in sordina, come il piccolo seme di cui parla Nostro Signore nel Vangelo; e come quel seme, è destinato a crescere molto e a fungere da ricovero per tante anime smarrite dalla crisi che ha seguito l’ultimo Concilio. Stiamo parlando dell’ultimo libro di Monsignor Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, edito dalla Casa Mariana Editrice di Frigento, fondata e diretta dai Francescani dell’Immacolata.
E’ certamente una pubblicazione destinata a far scorrere molto inchiostro e probabilmente ad accendere qualche polemica, sebbene ciò non rientri nelle intenzioni dell’Autore.
Ci sembra però inevitabile visti i contenuti del libro, l’eminenza di chi lo ha scritto e l’aria che tira in molti ambienti del mondo cattolico (e non).

A ciò si aggiungano la prefazione di Sua Ecc.za Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga e Imperia e la presentazione di Sua Ecc.za Mons. Albert Malcom Ranjith, Arcivescovo Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Cosa è uscito dunque dalla penna dell’ultimo grande teologo della Scuola Romana? Rispettivamente un ridimensionamento, una critica ed una supplica.

Anzitutto ridimensionamento, o forse sarebbe meglio dire corretto inquadramento del Concilio Vaticano II. Sì, perché la teoria, la prassi, la stessa terminologia dei cinquant’anni che hanno seguito il Concilio, sono stati una falsificazione di ciò che realmente il Concilio è stato. Testi di Teologia, Corsi nelle Facoltà teologiche, articoli specifici e non, hanno posto il Concilio Vaticano II, ribattezzato “il” Concilio come il fondamento della vera fede, uscita finalmente dalle ristrettezze ecclesiali dei secoli passati.
L’anno zero, insomma, l’anno di fondazione della chiesa, che infatti si rinomina “chiesa conciliare”.
E questo atteggiamento non è quello di qualche piccolo gruppo un po’ fanatico: bisogna andare nelle parrocchie, frequentare le Facoltà teologiche, leggere le pubblicazioni “cattoliche”, ascoltare i discorsi dei cattolici “adulti” per rendersi conto della vastità e della radicalità del nuovo corso.
«La ripetitività, in effetti, è ormai una recita: e ripetitivo è il reiterato richiamo al Vaticano II, il celebrarne acriticamente i meriti, l’affermarne l’importanza oltre i limiti del dovuto, il dichiararne l’incomparabile eccellenza rispetto ad ogni altro Concilio, il farne un prontuario di ricette per la soluzione di problemi d’ogni ordine e tipo. Mi pare che, dopo quasi mezzo secolo d’un linguaggio siffatto, d’incensazioni “a tre tiri doppi”, di celebrazioni intempestive, non richieste e controproducenti, sia finalmente venuto il momento di voltar pagina. Mi pare anzi che, “finite le feste al tempio” e conclusa la fase osannante, s’imponga oggi di necessità una riflessione storico-critica sui testi conciliari, che ne ricerchi i collegamenti - qualora effettivamente ci siano - con la continuità della Tradizione cattolica… Ne va della Fede e dell’autentica testimonianza cristiana» (p. 17).

E’ questo un dovere del Magistero, precisa Gherardini; è questo un diritto dei fedeli, che per decenni hanno dovuto ingoiare veleno, mentre venivano rassicurati che tutto era voluto dal Concilio…

Monsignor Gherardini dedica i primi capitoli ad un’analisi del valore del Vaticano II, secondo quanto il Concilio stesso ha affermato di sé, escludendo che il Concilio si sia avvalso dell’infallibilità propria ai Concili ecumenici che lo precedono e facendo il punto sulla “pastoralità” che lo caratterizza. Conseguentemente al valore del Vaticano II, Gherardini offre i criteri per l’interpretazione fedele dei suoi testi, indicando in tal modo i criteri di cui avvalersi nella tanto auspicata analisi storico-critica dei documenti conciliari.

In secondo luogo, nel nuovo libro si trova una critica, nel significato più nobile del termine, di quell’arte, cioè di giudicare secondo i principi del vero, del buono e del bello, che nel nostro caso, non sono altro che i principi custoditi, tramandati, sviluppati dalla Tradizione della Chiesa.
Gherardini attua in tutta la sua pregnanza quell’invito a considerare il Vaticano II alla luce della Tradizione.
Ed è per tale motivo che a fianco di rilievi indubbiamente positivi, egli non può tacere problemi reali che i testi stessi rivelano. Dal documento conciliare sulla Sacra Liturgia, ai passi più discussi di Lumen Gentium, fino alle dichiarazioni sull’ecumenismo e la libertà religiosa, il lavoro di Monsignore è tutto un confronto analitico e serrato con la grande Tradizione della Chiesa, da parte di un uomo che quella Tradizione e quella Chiesa ama veramente e per le quali ha consacrato tutta la sua vita.
E cosa risulta dal confronto con la Tradizione?
Non vogliamo fare come quelli che, leggendo una romanzo, saltano subito alla fine, per sapere l’esito ultimo della storia; rimandiamo perciò allo studio del testo.
Però un assaggio lo vogliamo offrire, citando un passaggio del libro: «A chi mi chiedesse se in ultim’analisi la tabe modernista s’annidasse proprio nei documenti conciliari e se i Padri stessi ne fossero più o meno infetti, dovrei rispondere con un no quanto con un sì. No, perché il respiro soprannaturale è tutt’altro che assente dal Vaticano II grazie alla sua aperta confessione trinitaria, alla sua fede nell’incarnazione e redenzione universale del Verbo, al radicato convincimento circa l’universale chiamata alla santità, alla riconosciuta e professata causalità salutare dei sacramenti, alla sua alta considerazione del culto liturgico ed eucaristico in special modo, alla sacramentalità salvifica della Chiesa, alla devozione mariana teologicamente alimentata. Ma anche sì, perché non poche pagine dei documenti conciliari arieggiano scritti e idee del modernismo – si veda soprattutto la Gaudium et Spes – e perché alcuni Padri conciliari – e non dei meno significativi – non nascondevano aperte simpatie per antichi e nuovi modernisti… Volevan infatti una Chiesa pellegrina della verità, in cordata verso di essa insieme con ogni altro pellegrino… La volevan amica ed alleata d’ogni altro ricercatore. Assertrice, anche nell’ambito degli studi sacri, dello stesso criticismo metodologico d’ogni altra scienza. Una Chiesa, insomma, laboratorio di ricerca e non dispensatrice di verità calate dall’alto» (pp. 78-79).

In definitiva, una Chiesa non cattolica. E nei documenti conciliari si possono purtroppo rinvenire le tracce di questo atteggiamento.

Infine, Monsignor Gherardini eleva una supplica – alla quale si unisce toto corde anche Sua Ecc.za Mons. Mario Oliveri, autore della Prefazione al volume – al Santo Padre, una supplica che è un’armonia di umiltà, coraggio e scienza e che proponiamo di seguito per intero e che – chissà – non possa dare origine ad una sottoscrizione pubblica da parte dei media veramente cattolici, non per spirito referendario, ma per manifestare il sostegno delle pecore al loro Pastore Supremo, perché, secondo l’espressione da Egli stesso adoperata, “non fugga davanti ai lupi”:
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Supplica al Santo Padre

Beatissimo Padre,
so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa.
Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e, in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità, sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.
Fin ad oggi mi son sempre scrupolosamente guardato dall’interloquire con chi ha la responsabilità della Chiesa; ho, sì, richiesto qualche raro telegramma in particolari circostanze, ma nulla di più.
Anche il nostro personale rapporto all'interno del dibattito teologico è stato solo episodico; è mancata, per mia scelta, una reciproca frequentazione. Raramente infatti m'espongo, mai mi propongo.
Raccogliendo però il suo invito sull'ermeneutica della continuità, faccio oggi un'eccezione e sottopongo alla Santità Vostra alcune mie riflessioni a tale riguardo.
Per il bene della Chiesa - e più specificamente per l'attuazione della "salus animarum" che ne è la prima e "suprema lex" - dopo decenni di libera creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e "pastorale" in nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un po' di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità di esso - non declamata, bensì dimostrata - con gli altri Concili e sulla sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa.
Non so se questo scritto perverrà nelle mani della Santità Vostra, né se vi perverrà così com'è stato concepito e come il benemerito Editore l’ha tipograficamente realizzato, anziché in qualche sintesi d'ufficio che non ne metta in risalto le connessioni logiche.
Da parte mia, proprio queste connessioni ho collocato a supporto della presente supplica, dettata dalla mia profonda convinzione circa l'improrogabile necessità che il dettato conciliare venga preso in esame in tutta la sua complessità ed estensione. Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all'auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un'attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d'ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui invece a parlarne solo ripetendone il contenuto o presentandolo come una novità assoluta.
Ho detto che un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le possibilità operative d'una singola persona, non solo perché un medesimo argomento esige trattazioni su piani diversi - storico, patristico, giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico, scientifico - ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e decine d'argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di signoreggiare.
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra - d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti. Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l'occhio fisso a tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero ecclesiastico, solenne ed ordinario. Da un così ampio ed ineccepibile lavoro scientifico, comparato con i risultati sicuri dell'attenzione critica al secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti - tra molte altre - domande:
1. Qual è la sua vera natura?
2. La sua pastoralità - di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione - in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?
3. È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che senso? Con quali limiti?
4. È un "evento" nel senso dei professori bolognesi, che cioè rompe i collegamenti col passalo ed instaura un'era sotto ogni aspetto nuova? Oppure tutto il passato rivive in esso "eodem sensu eademque sententia"?
È evidente che l'ermeneutica della rottura e quella della continuità dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione scientifica dell'esame porterà all'ermeneutica della continuità come l'unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare - al di là d'ogni declamatoria asseverazione - che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nell’identità dogmatica di fondo. Qualora questa, o in tutto o in parte, non risultasse scientificamente provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta all'esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo.
La Santità Vostra mi chiederà perché mai dica a Lei ciò che Ella già conosce meglio di me, avendone chiaramente e coraggiosamente già parlato. In fondo, me lo chiedo anch'io, un po' meravigliato per il mio ardire e dispiaciuto per il tempo che Le sottraggo. Vedo, però, nel mio ardire un atto insieme di "parresìa" e di coerenza, in linea con l'ecclesiologia che i miei grandi Maestri avevan appreso dalla Parola rivelata, dalla patristica e dal Magistero e che - "quasi in insipientia loquor" (2Cr 11,17) - anch'io ho avuto l'onore e la gioia di ritrasmetter a migliaia d'alunni. È l'ecclesiologia che nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica riconosce la presenza misterica del Signore Nostro Gesù Cristo e secondo la quale il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent". Basta una sua parola, Beatissimo Padre, perché tutto, essendo essa stessa la Parola, ritorni nell'alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione dell'unica Fede nell'unica Chiesa.
Ho detto, strada facendo, che lo strumento per "reparare omnia" potrebb'esser un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli come il segno e la testimonianza del Suo vigile e responsabile esercizio del ministero petrino. Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche di essi.
Si potrà in tal modo sapere se, in che senso e fin a che punto il Vaticano II, e soprattutto il postconcilio, possan interpretarsi nella linea d'un'indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian estranei se non anche d'ostacolo.
Ringraziando in anticipo la Santità Vostra e rinnovandoLe sinceramente le mie scuse, Le auguro che la pienezza della grazia divina, la verità divinamente rivelata e la Tradizione dalla quale la rivelazione stessa è veicolata nell'alternarsi dei periodi e delle epoche della storia ecclesiastica, sian sempre la luce del Suo ministero. Mi benedica

Sac. Brunero Gherardini