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Discussione: Simboli "Iperborei".

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    Predefinito Simboli "Iperborei".

    Su alcuni simboli relativi all’Isola Bianca e alla tradizione iperborea
    (tratto da Mario Polia, Il mistero imperiale del Graal
    Ed. il Cerchio pagg.111-116)
    Il Cigno
    Il Cigno bianco rappresenta tradizionalmente la luce, in tutte le sue possibili manifestazioni: nel mondo della materia e nell’interiorità della coscienza illuminata dal raggiungimento di quello stato “polare”, di riunione con l’Essere che, nel mito, è adombrato dal simbolismo del ritorno all’Isola Bianca e nei racconti celtici da quello dell’unione di Sole e Luna in relazione ad Avallon.
    Nell’indoeuropeo comune la radice SWEN- esprime l’idea di “sonorità”, “canto”. Da essa discende il lat. sonare; ingl. swan “cigno; ted. Schwan “cigno”; sscr. svara “suono” e svar luce; got. sunnô; norr. sunna; ted Sonne “sole”.
    Anche l’etimo, dunque, svela la relazione fra cigno e Sole e quella fra canto e luce. Antiche tradizioni, comuni a diverse culture, dai popoli del Nord alla Grecia arcaica e che giungono fino al tema dell’”armonia delle sfere” di Pitagora, affermano che gli astri oltre alla luce emanano un suono. Nell’anglosassone swegel significa “sole” ed anche “suono di flauto” e l’aurora è detta “voce del giorno” (doegwoma) mentre il tramonto è la “voce del rosso giorno” (doegredwoma). L’idea del canto-di-luce nasce da un’esperienza diretta: la percezione della realtà da uno stato “alterato” di coscienza, nelle tradizioni arcaiche proprie dello sciamano e forse, alle origini e presso i cosiddetti “primitivi”, non solo dello sciamano.
    Tacito scrive: «Al di là dei Suioni, appare un altro mare pigro e quasi immobile dal quale si crede sia cinta e racchiusa la terra. L’ultimo fulgore del sole al tramonto perdura fino all’alba così chiaro da far impallidire le stelle. L’opinione comune aggiunge che si ode il suono [del sole] che emerge al disopra[del mare] e si vedono le forme dei suoi cavalli e i raggi della sua testa» (Germ. 45).
    La strettissima relazione fra il cigno e Sole (in tutte le accezioni del simbolo) oltre che dalle evidenze linguistiche e dal materiale letterario, è espressa nell’arte dell’età del bronzo scandinava come dimostra questo motivo, tracciato su una situla da Siem (Danimarca), raffigurante il disco solare posto su due cigni che corrispondono alla prua ed alla poppa della barca solare

    In un finimento in bronzo di un cinturone italico da Poggio Bustone (Rieti) compare il cigno accanto al disco solare.

    Motivi simili si rinvengono nella decorazione di vasi di bronzo da Hallstatt (Austria):

    In India il cigno bianco, hamsa (cfr. lat. anser) è la cavalcatura di Brama ed è il simbolo del veicolo verso l’immortalità e la pienezza dell’essere. Hamsa designa lo stato originario dell’umanità vivente nell’Isola Bianca (cveta dvipa), non ancora differenziata in caste, in contatto diretto con l’Assoluto, non ancora mediato dal sacerdote.
    Sempre nella tradizione indiana il Cigno, simbolo dell’Atman, cova l’Uovo Cosmico galleggiante sulle acque primordiali. Il cigno nel simbolismo vedico indica l’eternità della vita, il Potere indiviso superiore ad ogni dualità, la regalità trascendente. Il nome hamsa è formato da due segmenti che corrispondono alle due fasi di inspirazione ham e di espirazione sah e, analogicamente, alla contemplazione e all’azione; al potere sacerdotale ed all’autorità regale presenti indissolubilmente nel prototipo di ogni regalità: il Re dell’Isola Bianca. Non solo, ma le due fasi del respiro sono poste in relazione col Sole e la Luna.
    In Grecia il cigno è inseparabile da Apollo del quale traina il carro alato. Ugualmente al carro di Dioniso e di Afrodite sono aggiogati dei cigni.
    Ogni autunno i cigni trasportavano Apollo al Paese degli Iperborei, dove regna la primavera perenne e luminosa1.
    «Il cigno simboleggia la potenza divina che riporta ad ogni primavera la luce solare e la dolcezza della terra, e che d’altra parte reca allo spirito e all’anima umana il dono divino della luce intellettuale»2.
    Quando Apollo nacque i cigni volarono intorno all’isola di Delo per sette volte cantando3.
    Altri segni dell’età dell’oro accompagnarono la nascita del dio: le fondamenta dell’isola divennero d’oro; il lago brillò di luce d’oro nel giorno della nascita del dio e il fiume Inopo trascinò oro. Il primo tempio di Delfi fu costruito dalle api con cera e piume. Questo yempio fi inviato, in seguito, da Apollo nel Paese degli Iperborei ed ogni anno tornava a Delfi su un carro trainato da cigni e grifoni4. “Api” e “miele” vanno posti in relazione col simbolismo della bevanda d’immortalità e della parola ispirata dal dio.
    In raffigurazioni dell’età del bronzo, come si è visto, il cigno appare collegato al simbolismo della ruota solare5.
    Nella mitologia germanica il cigno è l’animale nel quale si trasformano le Walkyrie. Il segno runico algiz è detto “orma del cigno” o segno delle Walkyrie (in antico germanico alkaz = “cigno”). La stella di Sanda, Gotland, presenta la scena dell’arrivo di un guerriero nel Walhöll sospinto alla presenza di Oôinn da un cigno (metamorfosi di un Walkyria). Nel caso della “morte trionfale” dell’eroe il ricongiungimento con la Walkyria segna l’acquisizione dell’immortalità.
    Zeus, trasformandosi in cigno, amò Leda che si bagnava in una corrente. Da essa nacquero i gemelli Castore e Polluce, déi della salute, della prosperità, della gioventù feconda e vittoriosa. Il motivo dell’amore di Zeus e Leda fu ripreso dall’arte cristiana come una sorta di prefigurazione del mistero della discesa dello spirito sulla Vergine. Sulla porta grande di San Pietro, a Roma, è raffigurato il Cigno con Leda.
    La leggenda di Santa Brigitta, regina di Svezia, racconta che i grandi cigni selvaggi della regione del nord volavano verso di lei e discendevano sullo stagno ghiacciato di Kildare per farsi carezzare dalla santa.
    Nella genealogia leggendaria di Goffredo di Bugluione (Godefroi de Bouillion) il re Hélias detto “Il Cavaliere del Cigno” viene trasportato da un cigno che tira una barca verso un’isola dove Hélias incontra la donna a lui destinata da Dio e dalla quale ha tre figli, il primo dei quali fu Goffredo.
    Wolfram von Eschenbach narra di Lohengrin che libera una principessa accusata ingiustamente essendo trasportato fino a lei da una barca condotta da un cigno. Qui il superamento delle acque – per il quale il cigno bianco serve da veicolo – ed il ricongiungimento con la “donna” si riferiscono all’ottenimento di uno stato interiore di reintegrazione dello spirito (il “Sole”) con le potenze dell’anima della quale la donna è simbolo assieme alla “Luna”.
    Nell’Alchimia il Cigno Bianco fu simbolo del mercurio filosofico6. E quest’ultimo aveva stretta relazione con la conservazione del seme, dunque con la castitas.
    Esistette, fondato nel sec. XV, un Ordine di Cavalleria detto Ordine del Cigno.
    Il Cigno simboleggiò il Cristo che conduce la sua Chiesa alla salvezza: «Nostro Signore, vero cigno di Dio, disceso dal cielo sulla terra per la nostra salvezza, conduce la Chiesa sua sposa sul mare di questo mondo»7.


    1. Nell’alfabeto celtico (ogam) la lettera E è detta ela, “cigno” e corrisponde all’equinozio d’autunno. L’anglosassone swen, “cigno”, deriva dalla radice i.e. *SWEN.
    2. L. CHARBONNEAU-LASSAY 1975: 539.
    3. CALLIMACO, Inno a Delos 249.
    4. HIMERIO, Orat. 14,10.
    5. I. DECHELETTE 1909: 331.
    6. B. VALENTINO 1956: 152.
    7. “L’Ordre des nobles CHevaliers du Cygne” in L. CHARBONNEAU-LASSAY 1975: 548.

  2. #2
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    Predefinito

    Il post di Sattwa mi pareva fosse adatto ad aprire anche un nuovo 3d dedicato ai Simboli Iperborei appunto. Buona continuazione.
    "In girum imus nocte et consumimur igni"

  3. #3
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    Predefinito Ancora sul Cigno.

    Il cigno, nell'Europa settentrionale precristiana, era l'icona del dio solare che inviava luce, calore e fecondità al mondo. Presso i Lapponi la sua immagine è ancora oggi un talismano, ed il suo becco un amuleto che le giovani spose portano su di loro fino a quando il primo figlio non sia diventato adolescente. Presso i Celti i cigni guidavano la barca solare nell'oceano celeste. Ma erano anche la forma di molti esseri celesti quando penetravano nel mondo visibile. Simboleggiavano infine lo stato superiore o angelico dell'essere liberato che ritorna la Principio supremo.Il loro simbolismo si rifletteva su coloro che nella tradizione celtica erano sacedoti e cantori: così il cigno era anche l'emblema del druido e del bardo, nonchè della poesia, vera scienza sacra secondo la concezione tradizionale.

    Nel Rg-Veda il cigno viene così celebrato: "Il Grande Uccello ha sorvolato le alte regioni [...] Lui lo Spirito divino dalla profonda ispirazione e la retta guida. Dov'è ora il Sole? Chi comprende questo? Verso quale cielo sono estesi i suoi raggi?". Questi versi cantano Sarasvati, che può essere secondo il contesto una dea o un dio a cavallo di un cigno o di un'oca selvaggia. Ha quattro teste come Brahma, il quale cavalca come lei l'uccello sacro. "Brahma formò dalla sua stessa immacolata sostanza una femmina che è celebrata con i nomi di Satarupa, Savitri, Sarasvati, Gayatri e Brahmani".

    Nella mitologia greca compaiono molt metamorfosi di esseri umani in cigno. Pausania ci narra di Cicno, un musico, che regnava sui Liguri al di là dell'Eridano e che dopo morto fu trasformato in cigno per volere di Apollo. Si ha poi Cicno, figlio di Ares, ucciso da Eracle durante una delle sue fatiche e poi risuscitato dal padre in forma di cigno. Ovidio nelle Metamorfosi ci narra dell'eroe troiano Cicno, figlio di Nettuno e Calica, trasformato dal Padre in un cigno durante la guerra di Troia. Ma le trasformazioni più celebri sono quelle di Zeus, che si tramutò in cigno due volte: una per sedurre Nemesi, l'altra per sedurre Leda. Nemesi, figlia della Notte, sfuggendo a Zeus, si gettò in mare trasformandosi in pesce, poi risalì sulla terraferma assumendo la forma di vari animali per confondere l'inseguitore; Zeus la raggiunse quando era in forma di oca e la possedette con le sembianze del cigno. Nemesi dopo alcuni mesi depose un uovo color giacinto azzurro, da cui sarebbe uscita la bella Elena. Leda (il cui nome pesso i Lici era Lada, che significa "donna", analogo a Latona o Letò o Lat, madre di Apollo) si unì a Zeus-Cigno in forma di essere umano o in forma di oca a seconda delle versioni. Frutto dell'amore furnono due uova; da una nacquero i Dioscuri (lett.: "figli di Zeus"), dall'altro Elena e -pare- Clitennestra.

    Secondo alcuni gli amori del cigno e dell'oca raffigurano simbolicamente un unico uccello simbolico dalla duplice valenza maschile-femminile, un essere ermafrodito da cui nasce il mondo, in forma di uovo. Così è facile collegare le uova di cui sopra al rosso uovo -detto glain nella mitologia celtica- deposto dalla Grande Madre lungo la riva del mondo, o all'uovo del mondo covato dall'oca del Nilo, o all'uovo cosmico (Brahmanda) covato dall'hamsa sulle acque primordiali.

    Nel cristianesimo il mito di Leda e del cigno fu utilizzato -dai Copti dell'Alto Egitto- come simbolo della maternità della Santa Vergine. Louis Charbonneau-Lassay cita una lucerna romano-cristiana trovata a Cartagine dove si vede l'uccello cha traina una navicelle dove vi sono tre figure (probabilmente Pietro, Giacomoe Giovanni). Analoga la raffigurazione del mosaico di S. Costanza del IV secolo, nella quale un cigno porta in groppa un bambino (simbolo dello stato di balya).

    Ma come ogni simbolo anche quello del cigno presenta due sensi opposti. In una miniatura del XIII secolo (riprodotta da Charbonneau-Lassay nel suo Bestiaire du Christ) il cigno è addirittura Satana che tiene nel suo becco un pesciolino: il demone dell'impurità che ha tratto dall'acqua pura della vita casta un'anima e se ne pasce (notare il senso invertito rispetto alla castitas mercuriale). Nel romanzo di Gautier Map, La cerca del Graal, un cigno bianco visto in sogno da Bohort rappresenta la personificazione del demonio, come sarà spiegato al cavaliere da un anziano abate.
    Il simbolismo di Leda, ed anche quello di certe raffigurazioni latine in cui i cigni trainano il carro di Venere, significarono anche, nel Rinascimento, l'emblema della Lussuria. Anche Cesare Ripa, artista rinascimentale, nella sua Iconologia raffigura l'Ipocrisia in una donna accompagnata da un cigno perchè esso "ha le piume candide e la carne nera" (notare però il degenerare nel Rinascimento del simbolismo in semplice allegoria).

    Nella tradizione islamica, per quel poco che ho potuto vedere, il cigno non è molto considerato. Nel Corano e nella Sunna mi pare che non sia citato. E' comunque interessante vedere come si dica cigno in lingua araba. Due sono i modi principali con i quali viene designato il cigno in arabo: إوَزّ عراقي e تم . La prima parola significa letteralmente "oca irachena"; abbiamo visto come il cigno spesso si confonda con l'oca nella mitologia. La radice della parola "عراقي", normalmente tradotta come "irachena", in arabo, rimanda alle parole ceppo/radice e vena/arteria: da un lato abbiamo l'idea di primordialità, dall'altro quello di fonte di vita. Attributi che si confanno benissimo al Logos occidentale ed al hamsa indù. L'altro modo con cui viene chiamato il cigno è "تم", la cui radice esprime idee di completezza e perfezione. Vediamo così una perfetta corrispondenza fra i differenti dati tradizionali.
    Delle "oche" parla anche Farid ad-din Attar ne "La Lingua Degli Uccelli". Nel dialogo fra l'oca e l'upupa abbiamo prima la presentazione del simbolismo superiore dell'oca, quanto lei parla di se stessa evocandi i temi della purezza, della castitas, e del legame con le acque; poi la presentazione del simbolismo invertito (la replica dell'upupa) legato ad una generica "passione" del cuore, ad uno stato di sonnolenza spirituale e di sporcizia. Il tutto è in riferimento al paragrafo successivo, secondo lo schema tipico di quest'opera di Attar, dove viene illustrato il simbolismo delle Acque nei suoi molteplici significati, in riferimento ai "due mondi" e ad in significato superiore ed inferiore dell'acqua.
    "In girum imus nocte et consumimur igni"

  4. #4
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    Predefinito Il cervo

    Su alcuni simboli relativi all’Isola Bianca e alla tradizione iperborea
    (tratto da Mario Polia, Il mistero imperiale del Graal
    Ed. il Cerchio pagg.111-116)

    Il cervo

    In Grecia era animale consacrato ad Apollo e ad Artemide. Alcune statue greche presentano il cerbiatto recato nella mano destra da Apollo1.
    Il cervo presso le arcaiche tradizioni, specie dei popoli dell’Europa settentrionale, era posto in relazione con la vicenda del sole d’inverno: con la sua graduale scomparsa e la sua graduale resurrezione e vittoria dopo il solstizio invernale. Il cervo inseguito dai lupi è immagine del sole morente. Gli Ittiti celebravano a primavera una “festa delle corna” per salutare il risveglio della vegetazione giacché le corna del cervo erano considerate alla stregua delle piante che d’inverno scompaiono e in primavera risorgono. Il cervo privo di corna è immagine del sole invernale pre-solstiziale mentre quando è adornato dalla pienezza dei palchi è immagine del sole trionfante (in questo caso l’irraggiarsi dei palchi e delle ramificazioni è posto in relazione coi raggi solari).
    Fin dalla più alta antichità le corna dei cervi esprimevano un arcano potere di resurrezione: è noto che in sepolture paleolitiche palchi di cervi erano posti accanto alla testa del morto.
    In una figurina bronzea della cultura di Hallstatt si vede un’immagine umana in piedi tra le corna di un cervo ad indicare, forse, la continuità della vita dopo la morte, o il suo “ritorno”.
    Il simbolo del cervo come animale connesso col ritorno eroico all’Isola dei Beati perdura a lungo in ambito celtico nelle narrazioni epiche.
    In una delle sue imprese, Heracle insegue la cerva Cherenia (“Cornuta”) dalle corna d’oro e i piedi bronzei. Questa cerva era d’Artemide, anzi è da intendersi come una delle metamorfosi animali della dea (l’altra era l’orsa). Heracle la insegue per un anno intero fino nella Terra degli Iperborei nell’estremo Nord del mondo senza poterla raggiungere.
    Come Apollo è l’uccisore del serpente Pitone così il cervo è, nella spiritualità precristiana e, poi, nel medioevo cristiano, ritenuto implacabile avversario dei serpenti che egli caccia e distrugge. Nei primi secoli del cristianesimo il cervo bianco fu l’emblema di Cristo.
    La leggenda di S. Eustachio racconta che questi, dapprima pagano, fu convertito da un’apparizione miracolosa del Cristo in forma di cervo durante una battuta di caccia. Il Salvatore si presentò a Eustachio, che era guerriero e si chiamava Placido, sotto forma di un grande cervo bianco. Questi gli parlò e si trasformò in luce splendente e tra le corna aveva una croce che irradiava un fulgore accecante.
    Nei racconti del Graal riappare il cervo in un significativo episodio: i cavalieri Galaad, Perceval e Bohors in compagnia con la fanciulla “Che-non-mente”, alla ricerca del cammino chiedono d’essere guidati dal Cristo. Appare loro un cervo bianco preceduto da due leoni e seguito da altri due. Il cervo bianco conduce miracolosamente i tre cavalieri e la fanciulla al disopra delle acque che sbarrano il cammino. I tre cavalieri seguendo il corteo meraviglioso, pervengono ad un santuario nel quale il cervo prende parvenze umane ed i quattro leoni si tramutano in aquila, uomo alato, leone alato e toro alato. Questi sollevano il trono dell’Uomo, che altri non era se non il Cristo, trasportandolo in alto e scomparendo alla vista attraverso le vetrate del santuario2.
    In questo episodio chiaramente simbolico, il Cristo ed i quattro Evangelisti sono presentati sotto il velo d’allegoria al cavaliere Cristiano che intraprende la Cerca come il sentiero sicuro da seguire per pervenire al San Graal. L’allegoria è trasparente ed ancor più lo era per l’epoca in cui venne formulata: occorre avere la sincerità del cuore (la fanciulla che-non-mente) e la fede (chiedere d’essere guidati dal Cristo) per superare “le acque che sbarrano il cammino”.
    Considerando il valore simbolico del cervo e le sue relazioni mitiche con la sede iperborea, non è sicuramente casuale che nell’episodio di cui sopra il Cristo si manifesti in sembianze di cervo, e proprio come cervo bianco, animale iperboreo per eccellenza, quasi a voler sottolineare l’origine della Coppa che proviene appunto, da Avallon e viene occultata ad Avallon e la sua relazione essenziale con la Parola di Verità.
    Qui il cervo bianco indica la condizione particolare di castitas dell’anima che è requisito indispensabile affinché la Cerca abbia successo ed indica anche quello stato di luce interiore – per l’ottenimento del quale la castitas serve da premessa – che è trionfo della natura superiore sulle correnti dissolutici dell’humanitas simboleggiate tradizionalmente dal flusso delle acque scatenate e dal serpente, nemico e vittima del Cristo-Cervo come lo era stato dell’Apollo-Cervo.
    Il potere del cervo di condurre indenni sulle acque nell’episodio citato, corrisponde ad una qualificazione interiore specificatamente iniziatica grazie alla quale può oltrepassarsi, restando incolumi, la sfera psichica per riunirsi alla Vita dello spirito che si nasconde al di là della mente e del pensiero ed aldilà delle passioni dell’anima.
    Nella narrazione della storia di Erec ed Enide, di Chrétien de Troyes3, compare il tema della caccia al cervo bianco, indetta da Artù. Colui che l’ucciderà avrà il diritto di dare un bacio alla più bella dama della corte, o di donarle, nella versione gallese, la testa dell’animale. Il complesso simbolismo del racconto meriterebbe una trattazione a parte. Ci limiteremo ad indicare la relazione fra cavaliere vincitore e dama, e a quella fra eroe e “donna” liberata nel corso di un combattimento, che allude ad una riunificazione di due principii nella persona dell’eroe vittorioso. Negli sponsali di Erec ed Enide, che coronano l’avventura, ancora una volta è da vedere - sub specie interioritatis – la riunificazione di Sole e Luna; di spirito ed anima; dello “Zolfo” col “Mercurio”.
    Nel romanzo di Tristano e Isotta si legge come lo zio di Isotta, ucciso da Tristano in singolar tenzone, venga cucito in una pelle di cervo per venire così sepolto4.
    Presso i Tolteci-Aztechi il dio che scoprì per primo il fuoco è Mixcóatl (“Serpente-di-nubi”) dio del Nord che porta una maschera di cervo.
    Presso gli indiani Hopi (Arizona) l’immagine sacra del Sole è ricavata da una pelle di daino e gli indiani della florida, nel sec. XVI, celebravano la festa del Sole innalzando su un palo cerimoniale la pelle di un cervo, catturato nel corso di una caccia sacra, riempita di erbe e adornata da piante e da frutta e rivolta nella direzione del levante.




    1 Bronzo del VI sec. del maestro Kanakhas al Brithish Museum (Bronzo Payne-Knight)
    2 [questa nota sarà riportata con il titolo “Il leone” nel prossimo post. Sattwa]
    3 CHRÉTIEN DE TROYES 1970: 7-109
    4 I. BÉDIER 1946: 20.

  5. #5
    Deimanax Ayugumsik Khagan
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    Riguardo alla simbologia del cigno come animale epifanico e paredro di Apollo, consiglierei l'articolo di M. Duichin, Apollo, il dio sciamano venuto dal Nord, in Astracta n. 39, Luglio-Agosto 1989, in cui viene ben evidenziato il carattere "iperboreo" dell'animale in questione (l'articolo è interessante anche per alre ragioni).

    Martinet

    Guardiamoci in faccia: noi siamo Iperborei
    Nietzsche

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da martinet Visualizza Messaggio
    Riguardo alla simbologia del cigno come animale epifanico e paredro di Apollo, consiglierei l'articolo di M. Duichin, Apollo, il dio sciamano venuto dal Nord, in Astracta n. 39, Luglio-Agosto 1989, ......(l'articolo è interessante anche per alre ragioni).
    Quali ragioni? Sarebbe utile se ci facesse un abstract dell'articolo con recensione annessa.
    "In girum imus nocte et consumimur igni"

  7. #7
    Deimanax Ayugumsik Khagan
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    Quali ragioni? Sarebbe utile se ci facesse un abstract dell'articolo con recensione annessa.
    Be', farò un vero abstract di un articolo di Abstracta (scusate la sapidità del linguista che è in me), ossia qualche accenno di carattere generale.
    Orbene, il Duichin scevera le caratteristiche della figura mitologica di Apollo collegandola con un milieu storico-religioso nordico: gli sciamani siberiani e altaici, per esempio, utilizzano i cigni nei loro "viaggi magici" e d'altronde Odhinn, il dio-sciamano nordico, ha come uccello sacro il corvo, il quale è sacro anche ad Apollo (sulla comparazione Apollo-Odhinn ci si sarebbe aspettati una maggiore attenzione, a mio avviso, invece della fugace menzione fattane dall'autore). Il Duichin è ritornato sulla questione dello sciamanesimo in Grecia in un recente articolo dal titolo Socrate tra filosofia e sciamanismo. Echi e motivi culturali anellenici nel pensiero greco del V sec. a. C. apparso su Seminari romani di cultura greca, VI, 2 2003; en passant, le connessioni tra sciamanesimo e mondo indoeuropeo saranno trattate da me in futuro in una sede istituzionale.
    Altri elementi su cui il Duichin si è soffermato è l'importanza dell'elektron ovvero dell'ambra, nonché dell'isola sacra ove il dio trasvolava su un cocchio trainato da cigni, ossia Iperborea, e sulle sue connessioni con l'Ultima Thule, l'Isola dei Morti (Böcklin), Helgoland, etc.

    Eymerich, non mi piace ciò che hai fatto contro i lulliani: Lullo è uno dei miei autori preferiti.

    Martinet Lull

  8. #8
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    Predefinito Il leone

    Su alcuni simboli relativi all’Isola Bianca e alla tradizione iperborea
    (tratto da Mario Polia, Il mistero imperiale del Graal
    Ed. il Cerchio, Nota 10 pag. 139)

    «Per quanto riguarda il simbolismo del leone, questo è suscettibile di due interpretazioni: una negativa e l’altra positiva. Secondo la prima, il leone è assimilato al diavolo, «leone ruggente» (1 Pr 5,8). Nel Breviario Romano, ufficio dei defunti, si legge: «Libera eas [le anime] de ore leonis». Nel Salmo 90 David promette all’anima che ha trovato rifugio sotto le ali di Dio e che la Sua verità ha circondato come scudo di schiacciare il leone e il drago: conculcabis leonem et draconem. In Dante il leone che si presenta «con la test’alta e con rabbiosa fame» è allegoria dell’orgoglio e dell’appetito insaziabile. Dante usa quest’allegoria anche per alludere alla corrotta casa reale di Francia che amoreggiava in funzione anti-imperiale con la Curia Romana, rappresentata dall’allegoria della lupa «di tutte le brame (…) carca (…) che mai non empie la bramosa voglia». Per quanto riguarda la valenza positiva del leone, il Messia è detto «leone di Giuda» (Gen 49,8) e di lui Giovanni dice che scioglierà il libro dei sette sigilli (Ap 5,5). Nel medioevo il leone divenne segno trionfale della resurrezione di Cristo per una (infondata) credenza secondo la quale i leoncelli nascerebbero privi di sensi e di vista e solo dopo tre giorni si desterebbero alla vita: Guillaume de Normandie (inizi sec. XIII) nel Bestiaire Divin scrive: Quant la femele foone / le foon chiet a terre mort, “Quando la femmina partorisce, il cucciolo cade a terra morto”. Abelardo dice: «Ut leonis catulus / resurrexit Dominus». Il leone, inoltre, in base ad un’altra credenza che ha origini antiche (Plinio, Nat. Hist. 8,17; Eliano, Hist. Anim. 2,30) e che vuole che sia dotato di preveggenza ed insonne attenzione, fu usato come allegoria della scienza del Cristo. Si credeva che i leoni dormissero con gli occhi aperti: per questo e per la valenza solare dell’animale (in relazione con l’elemento “fuoco”) due leoni vigilano acquattati all’ingresso delle chiese romaniche e leone e leonessa sono simboli dei due solstizi d’estate e d’inverno. Nei racconti popolari bretoni (Le Chevalier au Lion) un leone sta di sentinella all’entrata di un castello, o sulla soglia di una porta di difficile accesso.»

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    Su alcuni simboli relativi all’Isola Bianca e alla tradizione iperborea
    (tratto da Mario Polia, Il mistero imperiale del Graal
    Ed. il Cerchio pagg.122-124)

    Il cinghiale

    Nella tradizione indiana l’attuale ciclo cosmico (Kalpa) detto “Ciclo del cinghiale bianco” (Çwêta-varâha-kalpa), in particolare l’attuale parte del ciclo (manvantara) prende inizio dalla terra iperborea, o Isola Bianca, che è detta anche Varâhi, cioè “Terra del Cinghiale”.
    La forma sanscrita del nome del cinghiale deriva dalla radice var-/vri- che ha il senso di “occultare”. Dalla stessa radice, discende il nome Veruna, aspetto immanifesto della divinità suprema in conoscibile e invincibile.
    Vishnu sotto le sembianze di un cinghiale diede origine al presente ciclo facendo emergere la terra dalle acque ed orinandola.
    Nella cultura celtica, i druidi venivano associati al simbolo del cinghiale. Il mito intendeva con ciò significare l’origine prima della loro tradizione: il centro d’irradiamento spirituale posto nell’Isola Bianca, la patria di origine dei Tuatha dé DanannPresso i Celti, cibarsi ritualmente delle carni del cinghiale in occasione della festa del primo dell’anno equivaleva ad assorbire la potenza divina mediante il nutrimento sacrificale, e rappresentava simbolicamente un ritorno all’origine della tradizione: all’Isola Bianca.
    Il mese dell’edera – dal 30 settembre al 27 ottobre – collegato alla lettera G dell’alfabeto ogamico (gort = edera) era anche il mese del cinghiale e dei banchetti in cui veniva consumata la sua carne. Nel componimento Kulhwch e Olwen, una delle primissime fonti su Artù, il re è presentato come cacciatore di un cinghiale dal nome Twrch Treyd, o Trwyth (da twrch = porcum). Secondo il testo citato, questa fu la più grande caccia al cinghiale dell’isola e si estese al Galles del Sud ed in Cornovaglia. Twrch Trwyth era un re trasformato in cinghiale.
    Il cinghiale del quale si cibano gli eroi caduti in combattimento, presso i Germani, dal punto di vista del simbolo equivale a quello celtico del raggiungimento dell’Isola Bianca. Significa il ritorno alla pienezza e all’inesauribiltà dell’Essere: il cinghiale di Walhöll, Sahrimnir, pur smembrato, si rigenera continuamente per servire assieme all’idromele di nutrimento ai prescelti.
    «Andhrimnir ha cotto, in Eldhrimnir
    e bollito Sahrimnir,
    il migliore dei cinghiali, ma pochi sanno
    di che si nutrono gli eroi»
    Ricordiamo a questo proposito che una delle caratteristiche del nutrimento che proviene dall’Isola iperborea è, appunto, l’inesauribilità,caratteristica che riguarda anche la Coppa celtica dell’abbondanza e, poi, il San Graal.
    Nell’Edda il cinghiale Gullinbursti (“Setole-d’oro”) o Slídrugtanni (“Zanne-taglienti”) compare in relazione al re dell’età dell’oro, Freyr, di cui tira il carro. L’Ynglinga Saga chiama l’età dell’oro in cui regnò Freyr “pace di Fródi” il cui nome esprime allo stesso tempo “pace” e “saggezza”: due caratteristiche dell’età dell’oro, infatti nell’antico islandese frodr è “saggio” e Fródi è detto «fecondo di pace».
    L’età di Freyr-Fródi – sotto il segno del cinghiale – si chiude con l’avvento di Yrsa, “Figlio dell’Orsa” (dal lat. ursa), il re che inaugura il ciclo successivo, sotto il segno dell’orso guerriero. E le dee che girano le macine del mulino cosmico cantano:
    «Continuamo a macinare: il figlio di Yrsa
    Nipote di Halfdan, si vendicherà di Fródi»
    Il cinghiale raffigurato sulle insegne di guerra celtiche o sugli elmi anche presso i Germani, rappresentava la potenza luminosa e protettrice della divinità sull’esercito o sul guerriero. Tacito dice degli Estii, popolazione stanziata presso il Mar Baltico il cui culto s’incentrava su una figura di dea-madre (mater deum):«Portano immagini (formas) di cinghiali come amuleti religiosi che, al posto delle armi e d’ogni altra difesa assicurano protezione al devoto della dea anche in mezzo ai nemici» (Germ. 45).
    Il cinghiale era l’animale araldico di Merlino così come l’orso lo era di Artù. Il nome Arthur deriva infatti dal celtico arthos (greco árktos; cfr. sanscrito arkshas) “orso”. Nennio (inizi sec. IX) traduce il nome di Artù in latino con ursus horribilis.

 

 

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