Dal sito di EFFEDIEFFE un ottimo articolo di Maurizio Blondet sui molte ombre oscuri del presunto scoop del Diario sul tentativo di broglio elettorale di Berlusconi. Autentica perla dell'articolo la storia delle collusioni di Lotta Continua con la CIA, una delle tante vicende che nessuno dei tanti giornalisti investigativi specializzati in "stragi nere" verrà mai raccontarci, vista l'omertà che regna sovrana nel mondo della sinistra sulla "sinistra rivoluzionaria" negli anni di piombo.

Deaglio, i sospetti
Maurizio Blondet
24/11/2006

Enrico Deaglio

Vari lettori mi chiedono di prendere posizione sul colossale presunto broglio elettorale denunciato da Enrico Deaglio, con la sua rivista «Diario», più precisamente con un video promozionale allegato alla rivista in cui è contenuta la rivelazione.
Berlusconi e Pisanu, grazie ad un software, avrebbero trasformato le schede bianche in valide.
Sono soprattutto lettori berlusconiani, addolorati, a chiedermi: cosa ne pensa?
Impossibile pensarne qualcosa.
Più che risposte, ho delle domande.
Anzitutto questa.
Nella settimana in cui Enrico Deaglio annuncia il suo scoop allegato alla sua rivista, Mario Deaglio - suo fratello, già direttore di 24 Ore ed ora editorialiste economico per La Stampa - tiene la seguitissima rubrica mattutina della rassegna-stampa su RAI3.
E’ una coincidenza?
O - visto che il Deaglio (Enrico) ha cominciato per primo a legittimare ogni sospetto, è lecito sospettare una copertura strategica, e familiare, del suo scoop?
Venerdì mattina, nella rubrica di RAI3, Mario Deaglio rende conto diffusamente dello «scoop» del fratello, e poi dice: «Per comprensibili motivi, non intendo rispondere a domande degli ascoltatori sulla questione».
Così, su RAI3 si sente solo una campana.
E’ un caso?
La gestione delle «firme» chiamate a tenere la rassegna stampa su RAI3 è casuale?
I giornalisti vengono tirati a sorte?
A me sembrano scelti con criteri assai sagaci.
Per un giornalista che ha, diciamo, come referente il Polo, ne invitano nove che hanno come referenti l’Ulivo.
Se invitano qualcuno «di destra», è in genere Massimo Teodori.

Il video, leggo da un sito anti-berlusconiano, «è un docu-thriller girato in Italia e negli USA, con ricostruzioni, interviste e notizie mai sentite prima».
«Docu-thriller», appunto.
Le interviste ad «esperti americani di software» e brogli non sono tutte vere e dirette.
In qualche caso c’è un attore italiano che impersona l’esperto americano.
Perché?
Che bisogno c’era, avendo a disposizione video-interviste con americani, di fare questo trucco?
Non bastava riprendere l’intervista originale, con sottotitoli?
Quanto di ciò che ha detto l’esperto americano è rimasto nella versione recitata della sua intervista? E cosa è stato tagliato?
Inoltre: perché Deaglio ha voluto dare alla sua denuncia la forma di una «docu-fiction» anziché di autentica, reale inchiesta giornalistica?
Per lasciarsi una via d’uscita in caso di indagine e querele?
Quanto c’è di «documentato» e quanto di «fiction»?
A tal proposito, leggo che nel video «L’americano Curtis sostiene che quel genere di broglio è come il delitto perfetto. Si sa molto bene che è pressoché impossibile ricontare tutte le schede, anche se si volesse».
In chiaro: non si riuscirà mai a provare se c’è stato il broglio, o se è tutta una panzana.
Domanda: è un mettere le mani avanti?
Finirà tutto in una bolla di sapone?
E invece no: come cittadini, a questo punto vogliamo che la cosa si chiarisca.
E che finisca come deve finire, ossia: o vanno in galera Berlusconi e Pisanu, o va in galera Enrico Deaglio.
Tertium non datur.
L’inchiesta intrapresa dalla magistratura non può concludersi con remissioni di querele e patteggiamenti.
Perché se i colpevoli sono Berlusconi e Pisanu, hanno commesso qualcosa di più di un broglio, qualcosa al limite, o forse oltre il limite, dell’altro tradimento.
Ma se è Deaglio ad essersi inventato la «docu-fiction», allora ha compiuto un gravissimo falso calunnioso, a scopo eversivo.

Si legge che l’ispiratore del video-denuncia sarebbe Marco Minniti, pezzo grosso dei DS, oggi sottosegretario alla presidenza del consiglio.
Altri dicono che la «gola profonda» di Deaglio sarebbe tale Roberta Lisi, responsabile di struttura dell’ufficio elettorale… dei DS.
Possono chiarire costoro?
Saranno chiamati a testimoniare, questi personaggi così palesemente super partes?
Non dimentichiamo la domanda più ovvia: se Berlusconi ha attuato un simile complesso e brillante delitto perfetto, perché poi ha perso le elezioni per meno di 23 mila voti?
Aveva fatto trenta, perché non ha fatto 31?
Il che porta a considerare una terza ipotesi, che illustro semplicemente come ipotesi.
Forse il risultato voluto era proprio quello di un pareggio, che avrebbe reso necessaria una «grande coalizione»?
Un’Italia «spaccata in due» (come dice Vespa), «ingovernabile», richiede appunto che le ali cosiddette «moderate» della sedicente «destra» e della cosiddetta «sinistra» si uniscano per governare.
Perché?
Per condividere la responsabilità e l’impopolarità delle «necessarie ma dolorose riforme» che dovranno renderci, noi italiani privati, più competitivi nel mondo globalizzato.
Ossia tagli decisivi ai «costi previdenziali», allungamento dell’età pensionabile a 67 anni, flessibilità del lavoro, e così via.
Provate a chiedervi chi esige queste «riforme»: Confindustria, Il Corriere, i cosiddetti poteri forti internazionali e liberalizzatori, europei ed anglo-americani.
Domanda: non sono proprio questi poteri quelli che hanno fatto fare carriera ai fratelli Deaglio?

Come sapranno i lettori di Effedieffe, Enrico Deaglio ha cercato di sbugiardare la teoria del complotto dell’11 settembre pubblicando, con un anno di ritardo, una indagine-smentita di Popular Mechanics.
Autore della smentita un giovanotto di nome Ben Chertoff.
Che è il nipote del ministro americo-israeliano Michael Chertoff, messo da Bush a capo
del nuovissimo Dipartimento Homeland Security, ossia al ministero di Sicurezza Interna, la Gestapo del Reich neocon. (1)
Un altro testimone super partes, non c’è che dire.
Per i particolari, rimandiamo al nostro articolo.
Ma invece, riprendiamo estesamente l’articolo di Domenico Savino su Deaglio e sulla sua strepitosa carriera, tanto sostenuta ed aiutata dai poteri forti torinesi. (2)

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Prima di diventare direttore di «Diario della settimana», direttore del quotidiano «Reporter» collaboratore per La Stampa, Il Manifesto, Epoca, Panorama, giornalista televisivo per Mixer, conduttore della terza e ultima edizione di «Milano, Italia» per RAI3, conduttore, sempre per RAI3, di «Ragazzi del ‘99» e negli anni successivi di «Così va il mondo», «Vento del Nord», «L’Elmo di Scipio», tutti programmi di inchiesta giornalistica di attualità, Enrico Deaglio, nato a Torino l’11 aprile 1947, ha lavorato come medico presso l’ospedale Mauriziano Umberto I.
Fu solo alla metà degli anni ‘70, che egli cominciò a fare il giornalista a Roma, presso il quotidiano Lotta Continua, di cui è stato direttore dal 1977 al 1982.
Lotta Continua: un quotidiano sicuramente di sinistra, direte voi.
Ma no, ma no.
Quell’avventura fu il centro d’addestramento di una serie di giornalisti oggi dominanti e in carriera; carriere anch’esse molto promosse e aiutate.
Come scrive Savino: «La ‘covata di Lotta Continua’ annovera oggi alcuni tra i giornalisti e politici più noti del panorama nostrano: oltre a Deaglio, Adriano Sofri, Marco Boato, Toni Capuozzo, Paolo Cento, Erri De Luca [che scrive su Manifesto e su Avvenire contemporaneamente], Fulvio Grimaldi, Paolo Hutter, Gad Lerner, Paolo Liguori, Luigi Manconi, Andrea Marcenaro, Giampiero Mughini, Carlo Panella, Carlo Rossella (per citarne alcuni) sono tutti equamente distribuiti tra destra e sinistra, tutti disposti a litigare su Berlusconi o su Prodi, ma tutti inequivocabilmente concordi nel lodare gli immortali principi dell’ottantanove, la democrazia americana, i valori liberal, l’Occidente.
E non sembra affatto un caso».

«La storia di Lotta Continua è contaminata dall’inizio.
Il settimanale Il Borghese del 1-10-97, a pagina 32, ha scritto chiaro e tondo che tale giornale veniva ‘(...) stampato da un rappresentante della CIA a Roma’.
Nessuno smentì e non si ebbero notizie di querele.
La notizia in realtà era stata ben documentata.
Su Il Giorno del 31 luglio 1988, il giornalista Marco Nozza pubblicava un articolo denso di particolari in cui si racconta che la tipografia che stampava Lotta Continua, la
‘Tipografia Art-Press’, si trovava nei locali della stessa redazione in via Dandolo al numero 10. ‘La storia - scriveva Il Giorno - nasconde aspetti davvero molto strani […] perché, al medesimo indirizzo, esisteva la Dapco. E la Dapco era l’editrice del Daily American, il giornale degli americani di Roma’.
Il Daily risultava di proprietà di una società il cui amministratore unico era un cittadino degli Stati Uniti, tale Robert Hugh Cunningham, un collaboratore eminente di Richard Helm, quando Richard Helm era capo della CIA.
Questo signor Cunningham aveva come socio un vecchio americano ultrasettuagenario, tale Samuel Meek, che aveva amministrato il Daily American dal 1964 e agiva, anche lui, per la CIA.
Certo un conto è la Dapco e un conto è la Art-Press, la tipografia che stampava Lotta Continua.
Giuridicamente in effetti è così: la società Dapco, i cui soci erano dunque Robert Hugh Cunningham e Samuel Meek, si costituì a Roma, il giorno 1 dicembre 1971, con atto a rogito presso il notaio Domenico Zecca.
I soci della Art-Press risultano invece tre: Cunningham padre, madre e figlio.
Amministratore della Dapco era Cunningham senior, amministratore della Art-Press era il figlio Robert Hugh Cunningham. Junior.
Intanto nel ‘71, stesso anno di fondazione della Dapco, presso la Cancelleria delle società commerciali, esistente nel Tribunale civile e penale di Roma, due signori presentano un documento dal quale risulta che accettano di diventare ‘amministratori della Spa Rome Daily American con deliberazione dell’assemblea ordinaria del 27 settembre 1971’.
Sono Matteo Macciocco, nato a Olbia (Sassari) il 1 aprile 1929, domiciliato a Milano in via Turati 29 e Michele Sindona, avvocato, nato a Patti (Messina) l’8 maggio 1920, domiciliato a Milano in via Visconti di Modrone 30.
Sì, Michele Sindona, proprio lui!

‘Nel ‘71, dunque, Sindona - scrive Il Giorno - succede a Cunningham senior, nella gestione del Daily American’.
Ma con il fallimento di Sindona, fallisce anche il Daily American, subito sostituito dal Daily News.
I suoi proprietari sono Robert Hugh Cunningham senior e Robert Hugh Cunningham junior.
Mentre fallisce il Daily American, anche Lotta Continua cambia tipografia.
Insomma sia la Dapco che stampava il giornale americano, sia la ‘Tipografia Art-Press’ che stampava Lotta Continua, perdono i loro clienti e la sede di in via Dandolo 10 resta vuota: ‘è nata infatti una nuova società, che si è fissata la durata fino al 31 dicembre 2010’.
Nome: ‘Tipografia 15 giugno’; soci: Angelo Brambilla Pisoni, Pio Baldelli, Marco Boato, Lionello Massobrio…
Tutti quelli che si presentano davanti al notaio di Roma, che stavolta è Franco Galiani, si dichiarano cittadini italiani.
L’ultimo della fila, no; questo è un cittadino statunitense.
Come si chiama? Robert Hugh Cunningham junior, sempre lui.
Il figlio, ormai ha preso il posto del padre.
E si muove meglio del padre, perché non soltanto si dà da fare (molto bene) con quelli di Lotta Continua, ma tiene sotto controllo (sotto controllo?) anche le frange accalorate di Autonomia, di cui divulga (su giornali e riviste) le idee più eversive, più deleterie.
Verso gli anni Ottanta, prende a languire lo slancio di Lotta Continua e il giornale si spegne proprio mentre, negli Stati Uniti, appare la stella nuova, quella di Reagan.
A questo punto, da parte di Cunningham junior non c’è nemmeno più la preoccupazione di nascondere quello che, effettivamente, rappresenta.
E Reagan, appena eletto presidente degli Stati Uniti, lo nomina responsabile del partito repubblicano in Europa. Per che cosa? Per l’informazione; Robert Hugh Cunningham diventa l’uomo più reazionario dell’équipe di Washington.

Robert Hugh Cunningham junior nel giugno del 1988 - è scritto in un altro articolo di Marco Nozza - mentre ha un ufficio a Washington ed uno a Roma in via Barberini dove pubblica il Daily News, rilascia all’Espresso un’intervista in cui precisa la nuova dottrina Reagan: ‘Con Carter forse potevamo anche pensare che convenisse non avere molto a che fare con gli Stati Uniti; ora basta! L’amministrazione Reagan avrà un atteggiamento duro con gli avversari e pienamente disponibile con gli amici’. Un altro episodio è significativo: dopo il fallimento del Daily News, Robert Hugh Cunningham Junior tornò in possesso del Daily American: qui entrò in rotta di collisione con la redazione, arrivando a sospendere gli stipendi e a chiudere fisicamente a chiave l’ufficio della redazione. Spiegava Christofer Winner, il caporedattore: ‘La verità è che noi siamo sempre stati equidistanti. Cunningham ci vorrebbe più reaganiani’.
Niente male per un ex-militante di Lotta Continua!

Che c’entra tutto questo con Deaglio?
Questo decidetelo voi: io mi limito a ricordare che - secondo la biografia che compare sul sito della RAI - Deaglio è stato proprio in quegli anni (per ben 5 anni dal 1977 al 1982!) il direttore di Lotta Continua.
Oggi Deaglio è il direttore di ‘Diario della settimana’: giornale di sinistra, secondo quanto ne dice Monica Ricci Segantini su Il Corriere della Sera.
Ma di chi è la proprietà di ‘Diario della settimana’?
Della Editoriale Diario SPA di Milano, che è posseduta da Persia SRL con un capitale di € 1.999.999 e da Gulli Marco per € 1.
E di chi è la proprietà di Persia SRL?
In quote eguali di € 516.456 cadauna di Mondadori Formenton Cristina, Formenton Luca e Formenton Macula Mattia.
Chi sono questi signori?

Citiamo, per stare sul sicuro, dal sito di Magistratura Democratica: ‘Il 21 dicembre 1988 Cristina Formenton Mondadori (figlia di Arnoldo Mondadori e vedova di Mario Formenton) e i suoi figli Luca, Pietro, Silvia e Mattia, si impegnano a vendere alla CIR di Carlo De Benedetti, entro il 30 gennaio 1991, 13.700.000 azioni dell’Amef (finanziaria della Mondadori) contro 6.350.000 azioni ordinarie Mondatori. Poco dopo, però, i Formenton si alleano con Berlusconi e lo mettono a presiedere la casa editrice. I Formenton a questo punto non vogliono dar corso all’accordo del 1988, sicché tre arbitri (Pietro Rescigno, Natalino Irti e Carlo Maria Pratis, rispettivamente designati da CIR, dai Formenton Mondadori e dal primo presidente della Suprema Corte di Cassazione) vengono incaricati di dirimere la controversia. Si giunge così al lodo arbitrale che dà ragione alla CIR. De Benedetti ottiene il controllo della maggioranza assoluta (50,3 % del capitale ordinario) di Mondadori. I Formenton, però, non si arrendono e decidono di impugnare il lodo davanti alla Corte d’Appello di Roma, facendosi assistere da tre insigni avvocati: Agostino Gambino, Romano Vaccarella e Carlo Mezzanotte (per inciso: Gambino sarà designato quale saggio per il blind trust nel primo governo Berlusconi e poi diverrà ministro delle Telecomunicazioni nel governo Dini; Vaccarella e Mezzanotte sono ora giudici costituzionali).
La Corte d’Appello decide con un collegio formato dal presidente Valente, dal relatore Vittorio Metta e dal terzo giudice, Giovanni Paolini.
Se la sentenza non arrivasse entro il 30 gennaio 1991, il patto di vendita delle azioni dai Formenton a De Benedetti dovrebbe essere eseguito. I giudici tuttavia sono assai tempestivi: la camera di consiglio si conclude il 14 gennaio 1991 e Vittorio Metta già il giorno seguente, il 15, sottopone al presidente la sentenza di centosessantotto pagine, che il 24 gennaio 1991 viene infine pubblicata. La Corte d’Appello, con essa, dichiara che parte degli accordi tra CIR e i Formenton è in contrasto con la disciplina delle società per azioni. Il lodo arbitrale viene pertanto annullato e la Mondadori torna sotto il controllo di Berlusconi’.

Ecco qui i volti che si celano dietro la ‘sinistra’
barba di Enrico Deaglio, dietro la copertina semipatinata di ‘Diario della settimana’…
Eccoli qua i campioni dell’editoria alternativa, quelli che promettono di vendere a De Benedetti e poi vendono a Berlusconi, gli esponenti brillanti del bel mondo dell’editoria, quelli che ci regalano le verità ‘vere’ sull’11 settembre, quelli che bollano come boiate pazzesche le teorie complottiste […]
Eccola qui la borghesia progressista, la sinistra al caviale che normalizzerà gli antagonisti anti-americani tra le spire delle proprie pagine di Diario, quando tornerà l’America buona, oppiacea e progressista che tanto piace in quegli ambienti».
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Eh sì, ha ragione Savino.
Ci sono «teorie del complotto» non ammesse da lorsignori, che vanno screditate, e Deaglio le scredita.
E ci sono teorie del complotto che quei signori approvano, e allora Deaglio diventa il più ferreo dei complottisti, e le diffonde, le promuove, le confeziona in video e in «docu-fiction».
Ultima domanda: chi paga?

Maurizio Blondet


Note
1)
«Deaglio sbugiardato senza saperlo», Effedieffe, 30 settembre 2006.
2) Domenico Savino, «Strano Diario…», Effedieffe, 24 ottobre 2006.



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