due Tremonti

La sua "pars destruens" è liberista e la sua "pars construens" è alla ricerca di una visione nuova



di Benedetto Della Vedova da Il Foglio del 6/12/2006 pag.I

Al direttore -Giulio Tremonti è persona intelligente e geniale, Per inquietudine intellettuale e non per snobismo, da tempo è alla ricerca di una visione che possa caratterizzare il centrodestra sfuggendo agli stereotipi del secolo scorso. L'intervista importante che ha rilasciato nei giorni scorsi a Repubblica ha aperto una discussione feconda cui il Foglio dedica meritata attenzione. Sono stato, sono e penso che continuerò a essere un liberista-mercatista; ma non credo per questo che avrò difficoltà a essere per lungo tempo ancora, come sono stato, un estimatore del ministro di cui sono conterraneo (come l'ottimo professor Francesco Forte). Certo, e questo è il punto, bisogna intendersi sulle definizioni e soprattutto diffidarne.
Nella sua intervista Tremonti ci offre di sé tanto il liberale antistatalista e antigovernista, che da destra diffida del peso dello stato e del partito unico della tassazione e della spesa pubblica, quanto, almeno in apparenza, il conservatore "antimercatista" che diffida (paradossalmente da sinistra) del pensiero unico del libero mercato e della concorrenza. Prima obiezione: dove mai si è vista, in Europa, la supremazia politica del liberismo mercatista, inteso come libera contrattazione nel mercato, domestico o mondiale, tra individui e imprese rispetto all'intermediazione politica e/o corporativa? Se togliamo la rivoluzione individualista thatcheriana, che su questo ha battuto alcuni colpi splendidi e decisivi, il resto è poca cosa davvero. La fine ingloriosa della direttiva Bolkestein è un buon esempio di come il cosiddetto pensiero unico sia rimasto, se mai è
stato unico e non lo è stato, "pensiero" e non "politica".
Nelle cose che Giulio Tremonti ha scritto e fatto, c'è la difesa del primato della politica non contro bensì attraverso la riduzione del ruolo dello stato; l'attacco all'autoreferenzialità burocratica delle amministrazioni pubbliche che - Ue in primis - tanto più costano e ingombrano, quanto meno effettivamente governano nell'interesse dei governati; l'idea di uno stato "criminogeno" viziato da ipertrofia fiscale; una rivoluzionaria idea della tassazione che passi "dalle persone alle cose". Il "Tremonti destruens" dell'ordine statalista costituito è dunque assai liberista. Del resto l'idea che "l'economia la fa l'economia" e che "lo stato può fare poco per l'economia, ma può fare molto contro di essa", ripetuta con efficacia dal vicepresidente della Camera, segna ancora un discrimine importante tra un liberale convinto e i tanti neofiti in cerca di nuove basi ideologiche. Costoro sposano il mercato a parole, ma nei fatti passano il tempo a inventare regolamenti, ad auspicare un fisco redistributore e giustiziere nonché a subordinare il mercato a un'evanescente "utilità sociale": il mercato come un mezzo "qualsiasi" e non come condizione affinché gli individui godano del massimo di libertà e responsabilità. Insomma, manca l'anima, manca la fiducia piena e incondizionata nella libertà.
Meglio il finale di "Rischi fatali"
Il "Tremonti construens" ci piace meno perché evoca una rivisitata dottrina mercantilista e protezionista di stampo colbertista, che subordina l'apertura dei mercati all'interesse e alla volontà di potenza degli stati. Oppure una sorta di comunitarismo conservatore con venature corporativiste, un modello di governo politico dell'economia non così dissimile dalla socialdemocrazia che dice di avversare e come questa travolto (e - io penso - seppellito) dalla crisi dello stato fiscale. Non è realistico contrapporre all'aggressivo mercantilismo cinese un pari mercantilismo "dei
piccoli" asserragliati nel ridotto italo-franco-tedesco. Su questo piano, perdiamo di certo: anzi, abbiamo già perso, come dimostrano le contraddizioni e le inefficienze di settori protetti, come quello agricolo.
Scegliere di "non competere" sarebbe il vero "rischio fatale". Siamo condannati a una visione dinamica: la forza dell'Europa e dell'occidente non starà tanto nell'eredità pur consistente, quanto nelle nuove supremazie che sapremo conquistare e che poi saranno erose e alle quali nei decenni saremo condannati a sostituirne altre. Il protezionismo americano non è una novità, ma una scorciatoia elettoralistica cui i politici di oltreoceano sono sempre tentati: si pensi a quello recente - e fallimentare - di George W. Bush sull'acciaio. Ma non è sul protezionismo che l'America è tornata negli ultimi due decenni a essere protagonista economico indiscusso, dando lavoro. e ricchezza a milioni di persone, immigrati inclusi. Hanno inventato nuovi mercati, dal software all'iPod, e li hanno dominati.
Quanto al "low cost", continuo a pensare - semplificando - che sia la dimostrazione della superiorità "sociale" del liberismo sul socialismo McDonald's ha aperto ai poveri le porte dei ristoranti, Walmart quelle dei supermercati e Ryanair i cieli. Non è male, o no? In giro per il mondo alternative non se ne sono viste.
Insomma, il gusto di Tremonti per la contaminazione e i paradossi è intrigante e certamente utile a dissuaderci dall'inerzia politica, ma, per il momento, continuo a pensare che egli dia il suo meglio, da eterodosso per vocazione qual è, nel solco liberista. Del resto, in conclusione al suo "Rischi fatali", Tremonti offre la sua ricetta-provocazione, suggerendo che "in Europa per cinque anni ogni iniziativa economica (immagino dunque anche l'importazione) è libera, escluso soltanto ciò che è vietato dalla legge penale". Bene, andiamo a dirlo ai finti liberisti delle salottiere fondazioni riformiste e pseudomercatiste.
Benedetto Della Vedova, presidente dei Riformatori liberali e deputato di FI