Edizione 264 del 06-12-2006
Russia: gas e petrolio le principali armi di potereI due settori si unificano restando ancorati al controllo statale
di Paolo Della SalaLa Russia va verso un’unica “public company” per l’energia. Gas e petrolio sono la principale arma di potere, l’atomica del 2000, anche se, a differenza del periodo del terrore atomico, l’energia non offre nessun punto di equilibrio. Di conseguenza, Putin lavora al rafforzamento del polo energetico, anche in vista degli scontri di potere per le prossime elezioni presidenziali. Un importante passaggio del risiko energetico è stata la guerra contro i tycoon del periodo eltsiniano, squalificati (a torto o a ragione) come “oligarchi”, “mafiosi ebrei” o “corrotti”. Il colpo più pesante fu condotto ai danni di Mikhail Khodorkovsky, fino a pochi anni fa l'uomo più ricco di tutta la Russia, alla guida del colosso economico Yukos Oil Company. Arrestato per frode e reati fiscali, Khodorkovsky ha assistito impotente allo smantellamento della Yukos da lui creata nella breve stagione delle privatizzazioni (si trattava di 40 Mld di dollari). La Rosneft, società a controllo statale, ha assorbito il main business della Yukos, la Yuganskneftgaz. Khodorkovski è stato condannato a 8 anni e trasferito dalla Siberia verso le terribili miniere di uranio poste al confine cinese. Il tycoon è malato e chiede dal carcere una “rivoluzione democratica”, mentre i russi rivedono in lui la stessa magrezza indomita di dissidenti come Sacharov e Solgenitsyn.
In realtà il passaggio allo stato di una quota rilevante di Yukos avvenne attraverso una società di comodo, nel 2004. La Yuganskneftegaz (il 76,79% dell’intera Yukos società) fu, infatti, venduta al gruppo Baikalfinansgroup per 9,34 miliardi di dollari. Il gruppo Baikal era del tutto sconosciuto, prima di vincere la “gara” d’asta, mentre tutti erano sicuri del passaggio di Yukos a Gazprom. Dopo l’operazione Yukos, un’altra importante mossa di Putin in favore della nazionalizzazione economica fu la revisione e l’annullamento dei diritti di sfruttamento dei giacimenti alle compagnie estere, siglato e rilasciato da Boris Eltsin. Adesso siamo arrivati alla svolta principale: il settore del gas e quello petrolifero si unificano e restano ancorati al controllo statale (come del resto avviene in buona parte d’Europa). Martedì 28 novembre Sergej Bogdanchikov e Alexei Miller, presidenti di Gazprom e Rosneft hanno siglato un “bilateral Strategic Cooperation Agreement” (accordo strategico bilaterale). Si prevede la “cooperazione nella produzione e vendita di gas, nell’estrazione, trasporto e raffinazione di idrocarburi, la produzione e vendita di energia elettrica, la gestione dei giacimenti di petrolio, lo sviluppo di infrastrutture…”.
E’ una vera e propria fusione strategica, che porterà alla creazione dell’Ottava Sorella mondiale dell’energia. Forse proprio per smentire l’immagine di gigante nazionale, la Rosneft, insieme alla alleanza con Gazprom, ha annunciato un accordo con BP, la British Petroleum. Si tratta di una “lettera di intenti” che prevede ricerche e azioni congiunte dei due gruppi nel bacino Artico, dove è in corso, si noti bene, un contenzioso tra Russia e Norvegia, dovuto al fatto che se le ricerche geologiche hanno appurato che i giacimenti sottomarini dell’Artico sono ricchi, è però difficile determinare i confini territoriali e i diritti di sfruttamento. Torniamo alla politica: André Glucksmann critica ferocemente Gerhard Shroeder, ex cancelliere tedesco, che ha elogiato Putin definendolo un “democratico puro”. Shroeder è il politico socialdemocratico assunto dalla Gazprom il giorno dopo le sue dimissioni dalla più alta carica dello Stato tedesco. Anche il presidente francese si è aggiunto alla corte degli umili amanti del gas russo, ed ha addirittura appuntato la Legion d’onore sul petto di Putin.
Il primo dicembre il ministro della Difesa, Sergej Ivanov, è intervenuto nel serrato dibattito internazionale, sostenendo che tutte le speculazioni sulla politicizzazione del petrolio e del gas russo sono “infondate”. Così come sarebbe infondata l’esistenza di un cartello del petrolio, formato da Russia, Iran e Venezuela, alternativo a quello arabo dei paesi del Golfo. L’Europa acquista dalla Russia il 30% del suo fabbisogno di petrolio e il 40% del gas che consuma. Sotto il governo Prodi, l’ENI ha siglato un importante accordo con la Gazprom, mentre altri paesi europei potrebbero trovarsi presto spiazzati, dal momento che la stessa Gazprom ha appena siglato con la Cina un impegno per la fornitura di 30 miliardi di m3 di gas, a partire dal 2011. Un accordo analogo è in previsto con la Corea del sud.
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