Pensi che il tuo libro possa aiutare a capire, almeno un po', la realtà napoletana e campana?
Credo che Gomorra possa essere un utensile, in grado di scardinare una cappa d’acciaio calata sul nostro paese che ha smesso di raccontarsi. Non ci crederai ma non volevo raccontare Napoli né la Campania. Volevo raccontare il mio tempo. La condizione umana. Il turbocapitalismo. Volevo mostrare che la certezza di morte che hanno i giovani di camorra come cifra del nostro tempo. La morte non come rischio del mestiere ma come parte vincente di un percorso breve, brevissimo dove ha valore solo ogni possibile profitto ed ogni impedimento ad esseo è male, fallimento, merda. Tutto questo partendo dalle mie zone, da Secondigliano da Casal di Principe, dall’inferno delle faide, dai loro investimenti in Scozia e a Taiwan. Insomma per strana magia, portare il lettore ad avere desiderio di vedere, vivere le terre infami che descrivo non come morbosa curiosità ma come unico modo per fissare in viso senza mediazioni lo sguardo del proprio tempo. Come scriveva Michael Herr: “Vietnam Vietnam ci siamo stati tutti”. Io con il mio libro ripeto: “Scampia, Casal di Principe, ci siamo stati tutti”.
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E, a proposito, cos'è che detesti dell'immagine della Campania che i media dipingono?
Le menzogne pubblicitarie. La presunta città della cultura, i musei che sono il salotto cittadino, Cannavaro e D’Alessio che appaiono come i pedagoghi delle nuove generazioni, e sono l’assoluto contrario di qualsiasi idea di sacrificio, impegno e cristallinità. E poi anche il folklore più basso, la terra della pizza e della mozzarella. Il sottosviluppo, la città degli scippi, del traffico e del rumore. Detesto anche questi luoghi comuni un po’ razzisti e petulanti. Tutto ciò che serve a coprire, a ridurre a minimo comun’ idiozia una delle realtà più complesse in assoluto. Questo io odio. Quando c’è stata la rivolta delle banlieu parigine la prima cosa che hanno fatto diversi sociologi e intellettuali francesi è venire a Scampia e vedere come funzionavano gli equilibri di potere, come era possibile che la più grande periferia del mediterraneo non avesse mai subito situazioni di rivolta totale. Scoprirono così la camorra gli esperti francesi. Qui lo devono ancora fare i nostri.
Il tuo rapporto con i media campani, com'è? Cosa ne pensi, in generale?
Ho buoni rapporti. La cosa che mi fa più rabbia è che Roma e Milano hanno quotidiani nazionali mentre i quotidiani del sud rimangono a sud. Quando sfoglio il Corriere della Sera verso le ultime pagine trovo la pagina di Milano, mentre leggo il giornale ad Arzano! Ma perché? Sino a quando i giornali nazionali più importanti continueranno a stare a Roma e Milano non si riuscirà a monitorare e raccontare il sud e considerarlo territorio centrale e non appendice da assistere, sostenere, aiutare, reprimere. Anche perché non è più così. Da molto. E il potere dei clan di cui si ciba il nord Italia e l’Europa tutta lo dimostra.
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Un ministro ubriaco ti garantisce poteri speciali contro la camorra. La prima cosa che fai?
Lotta al lavoro nero, sicurezza sui cantieri, controllo delle cave, ossessione nel ciclo dei rifiuti. E dopo essermi ubriacato anch’io, proporrei la legalizzazione della coca. Ma al di la dell’ubriacatura, camorra e liberismo, clan e meccanismi più avanzati dell’imprenditoria internazionale coincidono perfettamente. Questo ho cercato di mostrare e dimostrare nel mio libro. E’ l’azienda vincente del nostro paese, e assieme alla ndrangheta tra le più vincenti in Europa. Per combattere la camorra bisogna pretendere la mutazione genetica dell’imprenditoria e del mercato.
Per chi voti?
Sono un convinto anarchista. Mi sono formato su Errico Malatesta e Michele Bakunin. Ma il meridionalismo di matrice liberale di Giustino Fortunato e socialista di Rocco Scotellaro e Gaetano Salvemini è all’origine del mio pensare politico. Ho una formazione strana. Non sopporto la sinistra corretta, non sopporto il sinistrume alla “noi siamo i sani gli altri i corrotti e infami”. Anche nella scrittura o nel giornalismo detesto la figura del redentore che attraverso la sua inchiesta e il suo editoriale stigmatizza il male e si mostra come nuovo indicatore di giustizia. Sarà perché io sono sporco dentro e mi piace per comprendere, compromettermi. Vivo in una terra dove la sinistra è marcia di responsabilità nell’espansione dei poterei dei clan di camorra. La Campania ha avuto nella storia italiana il numero più alto di comuni sciolti per infiltrazione camorristica, 71 dal 1991 ad oggi. Un ex sindaco della Margherita, di un paese del napoletano, Melito, ha partecipato ad un omicidio. Non tangenti, subappalti. Omicidio. Queste notizie non escono fuori proprio perché c’è uno strano paradigma ossia, sinistra uguale interruzione rapporti camorra politica. Menzogna. Non solo non è così ma la camorra ha saputo modificare il rapporto con la politica. Non è schiava dell’assessore di turno, semmai è l’assessore di turno che insegue i clan per avere maggiore possibilità non solo di rielezione ma di fare grandi cose. Avere i clan dalla propria parte significa avere, il cemento, i trasporti, i negozi, i centri commerciali….gli aeroporti. In Campania stanno per costruire il più grande aeroporto d’Europa. Sapete dove? Grazzanise. Terra di camorra, terra in mano ai casalesi. Chissà quanto cemento casalese benedetto da Sandokan sarà usato per costruire questa eccellenza italiana. Ho votato sempre a sinistra e credo che continuerò a farlo ma ho da ragazzino anche frequentato l’MSI, eggià…può sembrare strano ma in terra di camorra PCI ed MSI spesso stavano dalla stessa parte. Prima d’ogni cosa la battaglia all’imprenditoria criminale, poi il resto. In alcuni luoghi non raccontati d’Italia prima di ogni divisione di programma e di lettura del mondo c’era la battaglia ai clan. Ho un ricordo romantico di quegli anni perché ero adolescente. Un giorno verrebbe la pena raccontare tutto questo.
Progetti realizzabili, ne hai? E irrealizzabili?
Ho in mente altri due libri a cui sto già lavorando. Sarà un lavoro lungo di anni. Questo per i realizzabili. Irrealizzabili? Beh riuscire ad avere la sensazione quando torno nel mio quartiere, a casa mia, di aver fatto qualcosa di valido, e non sentirmi addosso una sorta di senso di colpa con i soliti commenti maligni, con gli sguardi che ti pesano sul collo e il petto, con inviti ad andarmene. Come se avessi infangato la mia terra, come se avessi mostrato una ferita che era meglio fa marcire in silenzio e quindi ho indirettamente reso ancora più purulenta. Quasi come se fossi responsabile io stesso delle cose di cui scrivo. Ecco ho la stessa sensazione di colpa, insulto e rabbia di quando andavo a scuola da bambino e la gente nella classe mi chiamava marocchino, per la faccia da arabo. Colpevole per la faccia che porti, per come vivi e per quello che hai deciso di scrivere. Ma uscirne da questo senso di inadeguata situazione, è come la felicità, mi pare irrealizzabile.
28-08-2006
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