Maurizio Blondet
11/12/2006
James Abourezk è stato senatore democratico del Sud Dakota dal 1973 al 1979.
Di recente ha scritto una risposta a Noam Chomsky e alla sua tesi di ebreo ben-intenzionato: secondo Chomsky, Israele nelle sue aggressioni non fa che obbedire agli ordini dell'America imperiale, agisce come Stato satellite degli USA.
Ecco la coraggiosa risposta dell'ex-senatore:
«La mia esperienza vissuta mi consente di dirvi che il sostegno di cui Israele gode almeno al Congresso (altrove non so) è interamente dovuto alla paura - la paura di perdere le elezioni, che abita chiunque vorrebbe magari opporsi alla volontà di Israele. Posso anche dirvi che i membri del Congresso che sono sinceramente dalla parte di Israele e della sua lobby si contano sulle dita di una mano… ciò che i parlamentari sentono per Israele e la sua lobby, nel profondo di sé, è un insondabile disprezzo.
Ma questo disprezzo è soffocato dalla paura che i loro veri sentimenti appaiano in pubblico. Se voi sapeste: ho sorpreso tante conversazioni nel guardaroba, in cui senatori esprimevano senza eufemismi l’amarezza di essere menati per il naso da questa lobby… In privato […]: ma nessun senatore rischierà mai di mettersi contro la lobby rendendo pubblico ciò che pensa davvero.
Non posso immaginare che esista, da parte dei membri del congresso, una qualunque volontà di promuovere un qualche sogno imperialista statunitense servendosi di Israele come pitbull. Le sole eccezioni sono i sentimenti dei membri ebraici del Congresso […] ma sono una piccola minoranza, del tutto incapace di decidere la politica imperiale degli Stati Uniti.
Questa lobby è decisiva nei suoi sforzi di sradicare nel seno del congresso ogni opposizione alla politica di sostegno incondizionato ad Israele, che arriva al punto di compromettere altre voci del bilancio annuale dello Stato. Anche nel caso che questa opposizione si riduca a una sola voce, essa è attaccata - ed io lo so, perché è accaduto a me. Perché? Ma perché se il congresso è totalmente silenzioso sulla questione, la stampa non avrà alcun senatore dissenziente da citare: buon metodo, per giunta, di mettere la museruola alla stampa.
Tutti i giornalisti o editori di giornali che osassero superare la linea gialla sono rapidamente rimessi sulla retta via da una pressione economica estremamente ben organizzata contro il giornale sorpreso a peccare…
M’è accaduto di fare un viaggio di studio in Medio Oriente. Avevo invitato ad accompagnarmi un giornalista di Knight Ridder [una catena di giornali]. Lui scriveva onestamente quello che vedeva, riguardo ai palestinesi e alla situazione di diversi Paesi confinanti con Israele. Ma il direttore del St. Paul Pioneer ha ricevuto minacce da molti suoi principali inserzionisti pubblicitari: lo avvertivano che avrebbero ritirato la pubblicità se il giornale continuava a pubblicare gli articoli di quel giornalista. La lezione è stata subito assimilata».



«Quanto alle posizioni delle agenzie governative sulla questione d’Israele, ci sono due coseche le portano sulla ‘retta via’: da una parte, la pressione dei membri del congresso, che trasmettono le pressioni che loro ricevono dall’AIPAC [American-Israeli Political Committee, l’ala parlamentare della lobby]; dall’altra, il desiderio del presidente degli Stati Uniti e dei suoi consiglieri di proteggere i loro partiti soccombendo alla lobby. Non ricordo alcuna occasione in cui una presidenza qualunque abbia sentito il bisogno che la potenza militare d’Israele promuovesse gli interessi imperiali americani. Anzi, come s’è visto nella prima guerra del Golfo, il coinvolgimento d’Israele è stato dannoso a ciò che Bush padre voleva fare. Sicuramente ve ne ricordate: hanno dovuto evitare ogni contributo anche modesto di Israele alla coalizione, altrimenti questa sarebbe esplosa…
[…] Gli Stati Uniti possiedono già abbastanza basi e flotte militari nella regione, da affrontare qualunque esigenza militare senza bisogno di Israele. Di fatto, non immagino alcuna occasione in cui gli USA possano aver bisogno di coinvolgere militarmente Israele, per paura di mettersi contro i nostri alleati attuali, Arabia Saudita ed Emirati […].
E’ bello [per Chomsky] immaginare che il sostegno dato da Bush a Israele nella sua aggressione contro il Libano l’estate scorsa sia stato il risultato di qualche imperativo imperiale; in realtà non è stata che la semplice conseguenza della politica tradizionale americana di sostegno ad Israele sotto la pressione incessante della sua lobby. Non ho inteso alcuna voce opporsi all’invasione del Libano… il Libano è sempre stato per il congresso un ‘Paese da gettare’: qualunque cosa vi accada, non ha strettamente alcun effetto sugli interessi americani. Del resto, avete mai sentito parlare di una lobby libanese? E’ già accaduto nel 1982: il congresso è rimasto muto come un pesce davanti all’invasione israeliana del Libano.
In fondo al cuore, sia i membri del Congresso sia i responsabili degli organi di governo preferirebbero non avere un Israele che guasta la vita dei responsabili della politica estera. Questa politica estera statunitense consiste, in essenza, ad assicurare la fornitura regolare di petrolio al mondo occidentale per scongiurare una recessione. Ma ciò che fanno questi decisori politici, in realtà, consiste nel soddisfare la pressione che la lobby esercita su di loro perché sostengano Israele, dissuadendo allo stesso tempo i Paesi petroliferi dal chiudere il rubinetto del petrolio all’Occidente. Fino ad oggi ci sono riusciti. A parte l’eccezione del re Feisal e del suo embargo, non c’è più alcun dirigente saudita che possa tener testa alla politica degli USA.
[…] Penso che la soppressione degli aiuti ad Israele avrebbe come risultato immediato la rinuncia di Israele alla Cisgiordania e alla striscia di Gaza, con sollievo dei palestinesi. […] il primo obbiettivo di questa lobby è la continuazione del fiume di denaro che il Tesoro USA versa ad Israele. Per questo ha bisogno di un Congresso docile e di una presidenza compiacente. Come ha detto una volta Willie Sutton, è tutta qui la questione».



La lettera di Abourezk è degna di riflessione, perché descrive esattamente il centro del problema della politica mondiale: il dominio occulto della lobby ebraica sulla superpotenza.
Il terrore che la lobby esercita sui parlamentari USA l’ho constatato personalmente nei miei incontri a Washington.
Appena il giornalista straniero accennava ad Israele e alla lobby, il deputato o senatore lanciava sguardi allarmati alla porta, al telefono - qualcuno «sentiva»? - invitava a parlar piano, si metteva lui stesso a sussurrare.
Solo i più coraggiosi ti invitavano a parlare di queste cose «fuori», passeggiando nel green all’aperto (si sapevano intercettati?); i più sospettavano dell’interlocutore straniero: questo chi è?
Un provocatore? Andrà a riferire?
Persino un deputato negro aveva, tra i suoi addetti allo staff tutti negri, un bianco, il suo addetto-stampa.
Fin dal principio questo bianco, rimasto presente all’intervista, si dichiarò «un ebreo fiero di esserlo»: da quel momento il deputato negro rispose a monosillabi.
Era controllato ad personam.
Quanti parlamentari sono controllati così?
Nessun parlamentare americano può dire quel che pensa su Israele: non sarebbe più eletto, non riceverebbe un centesimo di fondi, il suo stesso collegio elettorale verrebbe modificato nella geografia a suo sfavore, e sarebbe demonizzato e screditato dai media. (1)
Lo stesso Abourezk oggi parla perché ha perso le elezioni ed ha rinunciato alle ambizioni politiche. L’ex presidente Carter ha scritto un libro («Peace, no apartheid») che critica Israele e la sua oppressione contro i palestinesi, perché è ormai fuori dalla vita politica.
Quand’era presidente, proclamò che «avrebbe piuttosto commesso suicidio che criticare Israele». Ma nonostante sia oggi un uomo senza potere, viene in questi giorni ferocemente, massicciamente attaccato dai media e dalla lobby.
Perché, come spiega Abourezk, la lobby ha bisogno di stroncare anche una sola voce di critica: non vuole che nel discorso pubblico sia citabile una sola voce dissenziente, che ogni critica sia esclusa per principio, irricevibile, demonizzata.


L'ex-senatore James Abourezk



Quello che descrive Abouzrek è uno stato inaudito di servaggio - specialmente vergognoso per l’unica superpotenza rimasta - e il sequestro della democrazia.
Peggio: è la causa delle guerre disastrose per lo stesso prestigio americano, e per tutti noi, che sono oggi in corso: e che sono state fatte per soddisfare quello che la lobby crede sia l’interesse supremo di Israele.
L’America sotto totale soggezione totale giudaica somiglia ogni giorno di più al «simulacro della Bestia» descritto nell’Apocalisse, al quale dà la parola, come un ventriloquo, «il falso agnello» che si cela dietro la superpotenza, quello che appare un agnello ma «parla come il Dragone».
Se non ci fosse questo stato vergognoso di servaggio e di paura nei membri eletti della democrazia americana, non ci sarebbero oggi nel mondo guerre come quelle in Afghanistan ed in Iraq, distruzioni e sofferenze immotivate, nemmeno il terrorismo islamico (nella misura in cui non è uno spettro propagandistico), né motivi speciali di conflitto con l’Iran.
La cosa peggiore non è che una lobby potente promuova potentemente le sue istanze, e nemmeno che le sue istanze siano discutibili.
E’ che lo faccia del tutto dietro le quinte, senza alcuna visibilità, esercitando, senza che l’opinione pubblica ne abbia coscienza, uno speciale tipo di terrore che ammutolisce: il male è che le istanze discutibili non possano essere discusse, perché sulla loro discussione cade un divieto sacrale.
Che viga e sia autorizzato un solo pensiero, una sola posizione, una sola politica mondiale.
Questo è totalitarismo nella forma più pura.
Per questo chi scrive queste righe denuncia i crimini e le doppiezze, le oppressioni e l’apartheid di Israele, scontando in anticipo l’accusa di «antisemitismo».
Ho l’esempio della viltà dei parlamentari americani (ma posso dire degli italiani e degli europei) e penso che se non si rompe e non si sfida il tabù, le guerre per «rendere sicuro Israele» non finiranno mai.
E’ questo il problema mondiale; oggi, il sottoscritto, se è antisemita, è in buona compagnia.
Ebrei coraggiosi dicono inascoltati la stessa cosa: «Siamo onesti per una volta: il problema del Medio Oriente non sono i palestinesi, non Hamas, non Hezbollah o gli iraniani, né il mondo islamico. Siamo noi, gli israeliani»: così scrive Jeff Halpers, che guida il comitato israeliano contro la demolizione delle case. (2)



E’ con noi anche Zeev Maoz, che sulla rivista ebraica Tikkun ha scritto: «Israele ha una sviluppatissima politica di sicurezza, ma non una politica di pace. Nei processi di pace, l’attitudine storica di Israele è stata largamente reattiva, con un atteggiamento generale di gradualismo, rifiuto del rischio, esitazione, che sono in totale contrasto con la politica militare, attivista, audace e pronta a sparare. In Israele, l’apparato militare è il solo organismo che offra opzioni politiche in caso di crisi: e invariabilmente, sono opzioni militari. Il ministero degli Esteri e la diplomazia israeliana sono ridotte alla funzione di pubbliche relazione, a spiegare perché Israele usa la forza anzichè la diplomazia per trattare le situazioni di crisi». (3)
Questi ebrei capiscono che Israele, a forza di impunità, di controllo terroristico delle critiche, e di abuso del suo potere occulto, s’è trasformato in un mostro ignobile (spregevole, scrive Abourezk) che uccide donne e bambini, affama, opprime, imprigiona popoli dentro dei muri, esercita la violenza come unica ratio, crede alla propria invincibilità e superiorità razziale, insomma manifesta tutte le patologie che ha denunciato nel Terzo Reich.
Questi ebrei vogliono il bene di Israele, ma la vedono nichilisticamente avviata alla propria distruzione, delirante di chutzpah e di spirito di Masada.
Per questo anche noi, come loro, denunciamo e parliamo.
Perché è vergognoso per chi voglia essere libero farsi ammutolire da tabù e aggressioni.
Perché vogliamo che siano liberati gli americani, ed anche gli israeliani.
Sono loro il problema.
E’ questo il problema centrale del nostro tempo.

Maurizio Blondet




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Note
1) Il totalitario dominio giudaico si estende all’insieme della società, alle aziende e ai gruppi sociali, fino ad eccessi di paura ridicoli. Nei giorni scorsi l’aeroporto di Seattle ha smantellato i 15 alberi di Natale che ornavano l’area d’attesa, perché un rabbino li ha denunciati come «offensivi» per la sua religione. Esiste solo una religione che pretende ed ottiene il rispetto pubblico obbligatorio. Questo è precisamente il totalitarismo.
2) Jeff Halpers, «The problem with Israel», Israeli Committee Against House Demolitions, 23 novembre 2006.
3) Ze’ev Maoz, «Israel’s Nonstrategy of Peace» Tikkun 21, settembre 2006.




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