Maurizio Blondet
12/12/2006
La veglia funebre dei tre bambini uccisi (9,7,6 anni) figli di Baha Balousheh, un capo dei servizi di sicurezza fedele al presidente palestinese Abu Mazen.
Un lettore mi scrive: «Se questi incominciano adesso a combattersi tra di loro uccidendo tre bambini, come si fa a prendere le loro difese?».
L’allusione è all’assassinio dei tre bambini di Baha Balousheh, da parte di un dirigente della sicurezza di al Fatah nella striscia di Gaza.
Un fatto mostruoso.
E naturalmente non si può escludere che le cose siano come appaiono, un regolamento di conti fra Hamas e Fatah.
Ma mentre invito il lettore a considerare che certe cose accadono fin troppo spesso in Italia, dove per vendette trasversali si sono disciolti bambini nell’acido, lo inviterei anche a leggere l’articolo del Guardian sul fatto di sangue. (1)
Un articolo, fra le righe, dubitativo:
«L'assassinio di tre bambini a Gaza lunedì, minacciando di innescare una guerra civile palestinese, ha messo in forse gli sforzi del primo ministro Ehud Olmert di riprendere i colloqui di pace da lungo tempo interrotti. I palestinesi sono sempre più lontani dal formare lo sperato governo di unità nazionale, che è visto come precondizione per rinnovare i negoziati con Israele».
Guarda caso: proprio mentre Olmert era disposto a fare generose concessioni, a condizione che i palestinesi formassero un governo di unità nazionale… queste belve distruggono tutto.
Queste stesse belve che da settimane mantengono una tregua unilaterale, sperando che Olmert avanzi con le sue generose concessioni.
E’ sempre accaduto così: ogni volta che Israele promette che, se saranno buoni, tornerà a trattare con loro, qualcuno di loro rovina tutto.
Belve irrazionali.
Perché Olmert accede a trattative? Dopo l’aggressione del Libano e dopo le elezioni americane di medio termine che hanno indebolito i suoi protettori neocon, la strategia di Israele è di innescare qualche tipo di scontro fra sunniti e sciiti in tutto il mondo islamico.
Accordi in tal senso sono intercorsi con l’Arabia Saudita, addirittura prefigurando una alleanza delle dittature sunnite con lo Stato ebraico: ma perché il piano non fallisca subito, bisogna raffreddare il bubbone palestinese, fare le viste di un atteggiamento temporaneamente conciliante.



Ora che è accaduto l’eccidio di bambini, riferisce il Guardian, «gli osservatori israeliani notano che la trattativa diventa improbabile, finchè il governo di Hamas non modera le sue azioni e non consente l’insediamento di un altro governo, moderato. L’analista Dore Gold, che è stato consigliere del primo ministro Ariel sharon, dice che nonostante l’offerta di Olmert, i palestinesi non sono pronti per negoziati di pace. ‘Finchè non c’è un governo ordinato che prende sul serio gli impegni presi dai palestinesi in passato e riconosce il diritto di Israele ad esistere. I negoziati possono essere belle photo-opportunity, ma non porterebbero ad alcun risultato’, dice Gold».
Persino dalla pagina scritta si sente quanto sia sincero il dispiacere di Gold, il consulente di Sharon: eh, non sono pronti, sono ancora belve…
Ignoti omicidi hanno, ancora una volta, interrotto le speranze di negoziato.
Peccato, con tutta la buona volontà giudaica, peccato.
Nelle stesse ore, Israele ha negato il visto alla missione ONU, capeggiata da Desmond Tutu (Nobel per la Pace 1984) che doveva accertare i fatti accaduti a Beith Hanun, dove l’artiglieria israeliana ha massacrato due mesi fa diciannove civili, donne e bambini.
Un portavoce del governo sionista ha dichiarato: «Non abbiamo problemi con la persona, ma con l’istituzione. Vediamo una situazione in cui il meccanismo dei diritti umani all’ONU viene cinicamente sfruttato in funzione anti-israeliana».
L’ONU non è pronta, non è ancora pronta.
Non si comporta ancora bene.
Nelle stesse ore Avigdor Lieberman, il ministro per gli affari strategici (con delega per l’attacco all’Iran), e noto razzista, parlava al Saban Center (ebraico) di Washington della sua idea di «soluzione finale» della situazione palestinese: «Israele ha il diritto di esigere piena lealtà da tutti i suoi cittadini. Chi non è pronto a riconoscere Israele come Stato ebraico e sionista, non può essere cittadino».
Ciò, ha precisato, vale per «gli islamici», ma anche per il movimento ebraico «Neturei Karta», che vede nello Stato sionista una contraffazione del vero regno d’Israele.
Anche loro non sono ancora pronti.
Lieberman invece è pronto: il suo proposito di espellere tutti gli arabi è noto, e gli ha fruttato i voti dei suoi concittadini entusiasti.


Avigdor Lieberman



Anche Amnesty International non doveva avere grandi speranze nel nuovo processo di pace. Domenica scorsa ha lanciato un pubblico appello all’Unione Europea per un embargo sulle vendite di armi ai palestinesi ma anche ad Israele: «Vediamo una spirale discendente di abusi dei diritti umani e di assoluta impunità, che porta i semi di un disastro con catastrofiche conseguenze per la gente comune… Vi esortiamo a usare la vostra influenza presso tutte le parti perché sia immediatamente posto fine alle uccisioni e alle aggressioni contro i civili».
Non sembra che Amnesty avesse specialmente di mira i massacri dei palestinesi, ma quelli degli israeliani.
«La maggior parte delle morti di civili sono dovute a deliberate sparatorie e a bombardamenti d’artiglieria o di aerei condotti dalle forze israeliane nelle areee densamente popolate di Gaza», ha scritto.
Il solito portavoce israeliano ha replicato che la richiesta di embargo sulle armi per Israele «metterebbe in pericolo le vite di tutti i cittadini, donne e bambini. La proposta ignora le minacce reali cui è soggetto lo Stato ebraico e dà sostegno a coloro che dichiarano che Israele va cancellata dalle carte geografiche».
Anche Amnesty non è pronta, non è degna di parlare di Israele, Amnesty è in combutta con Ahmadinejad.
Il 6 dicembre, alle cinque del mattino, sei bulldozer scortati da cento poliziotti israeliani sono entrati nel villaggio di Twail Abu-Jarwal ed hanno demolito sei case e tre stabbi per il bestiame.
Era la quarta volta che gli ebrei operavano demolizioni nel villaggio: stavolta, hanno raso al suolo le ultime abitazioni.
La gente, palestinesi, abitavano là da trent’anni, abusivi, secondo le leggi giudaiche.
Avvertiti più volte, non erano ancora pronti ad abbandonare le case, queste belve.
Sono rimasti lì sulle macerie con le loro povere cose salvate dalla distruzione, non sapendo dove andare.
Belve. Mostri.
A Gaza, gli israeliani hanno ammazzato 2.300 palestinesi in sei anni: quasi metà di questi mostri erano bambini o adolescenti.



E l’assedio e il blocco commerciale e alimentare dura ormai da mesi.
Durerà finchè i mostri non saranno pronti ad accettare le generose offerte di Olmert.
Quella «soluzione a due Stati», la chiama, che è descritta così da Jeff Halpers, l’israeliano che coordina il comitato contro le demolizioni di case:
«Anche se la barriera di separazione, il confine demografico di Israele verso est, prende solo il 10-15 % della Cisgiordania, essa incorpora in Israele i più grossi insediamenti di coloni, ritaglia il territorio in piccoli impoveriti ‘cantoni’ (il termine è di Sharon) senza collegamento fra loro, toglie ai palestinesi la loro più fertile terra agricola e le principali risorse d’acqua. Inoltre crea una ‘grande’ Gerusalemme israeliana sopra l’intera parte centrale dei Banchi Orientali, così troncando il cuore storico, culturale e religioso fuori da ogni e qualunque Stato palestinese futuro. E poi richiude i palestinesi come in un sandwich tra il Muro e un altro ‘confine di sicurezza’, la valle del Giordano, dando ad Israele due frontiere orientali. Israele riterrebbe tutte le risorse necessarie per uno Stato palestinese in grado di vivere; e per soprammercato, Israele si approprierebbe dello spazio aereo palestinese, delle loro comunicazioni e del diritto dei palestinesi di fare una propria politica estera».
E al momento di ricevere questo splendido, generosissimo regalo, i palestinesi si ammazzano.
O più precisamente: degli ignoti professionisti ammazzano altri tre loro bambini.
Innescando così la sperata o temuta guerra civile intra-palestinese, come già ignoti hanno innescato la guerra civile intra-irachena, e Israele sta innescando la grande guerra civile sunnito-sciita.
I palestinesi non sono pronti per l’autogoverno.
Mostri, belve, ecco cosa sono.

Maurizio Blondet




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Note
1) Mark Lavie, «Threat of palestinian civil war looms», Guardian, 11 dicembre 2006.




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