Soddisfatto del governo solo il 31% degli italiani
La progressiva caduta di popolarità del governo costituisce un fatto noto. Da diversi mesi, la numerosità di chi valuta positivamente l'operato dell'esecutivo è in diminuzione, tanto che oggi solo il 31% degli italiani si dichiara soddisfatto. È uno dei valori più bassi di consenso mai toccati dopo meno di un anno di governo: di fatto siamo tornati ai livelli di fiducia (o, meglio, di sfiducia) rilevati qualche mese prima delle elezioni (che non corrispondono tuttavia al minimo registrato per il governo precedente: 29%, nel giugno 2005). Il calo riguarda in particolare chi possiede titoli di studio più elevati, chi è impegnato in un' attività lavorativa, chi ha dai 35 ai 55 anni, vale a dire i segmenti centrali nella vita socioeconomica del Paese. D'altra parte, oltre che (e forse ancor più) dalle analisi dell'opinione pubblica, la crisi di fiducia è rilevabile dalle svariate espressioni di dissenso che si sono succedute anche negli ultimi giorni: da quella dei poliziotti, a quella degli operai di Mirafiori, sino ai giovani del «Motor Show». Proprio la varietà di queste manifestazioni e la diversità dei loro protagonisti indicano qual è il vero elemento di debolezza dell'esecutivo: la necessità di tenere conto contemporaneamente di interessi molto differenziati e spesso opposti tra loro.
La situazione è particolarmente critica nell'elettorato di centrosinistra, ove, non a caso, la caduta di popolarità assume proporzioni maggiori: chi e più vicino al centro sostiene che l'azione di governo è troppo sbilanciata a sinistra, senza che vi siano stati sin qui provvedimenti volti al rilancio dell'economia del Paese e, al tempo stesso, chi si sente più a sinistra obietta che, anzi, l'esecutivo non protegge a sufficienza gli interessi dei settori più deboli, come invece un vero governo di «sinistra» dovrebbe fare. Insomma, l'esecutivo scontenta un po' tutti: di qui una continua rincorsa a tamponare le proteste di questa o quella categoria, di questa o quella componente sociale: dagli addetti alla pubblica sicurezza ai professori di università, dai precari della pubblica amministrazione ai possessori di «Suv».Tutto ciò, dipende, come si è detto, dal fatto che il presidente del Consiglio è costretto a districarsi tra le divergenti esigenze di una coalizione amplissima. Da questo punto di vista, occorre anzi dire che Prodi è stato sin qui assai abile a tenere insieme componenti così diverse: forse per questo risulta ancora oggi più popolare di quanto non lo sia il governo da lui presieduto (il Professore ha il 37% di giudizi positivi), benché il calo dei suoi consensi personali sia stato nelle ultime settimane assai più intenso (meno 12%), specie nel (fondamentale) segmento degli indecisi (meno 19%).
Proprio la crisi di popolarità del Professore ha spinto alcuni a guardarsi attorno, per individuare un eventuale possibile successore: secondo le rilevazioni più recenti, il più popolare in questo momento è D'Alema (15% di indicazioni), seguito, quasi a pari merito da Bertinotti e Rutelli (14%) e, subito dopo, da Veltroni e Fassino. Ma, con tutta probabilità, anche costoro si scontrerebbero con i medesimi problemi. In realtà, le difficoltà del governo non sembrano dipendere solo da chi lo dirige, quanto, soprattutto, dalla sua eterogeneità interna. La quale è in larga misura frutto a sua volta della legge elettorale, che obbliga di fatto alla formazione di coalizioni così ampie. Insomma, è anche il « porcellum » (così è stata chiamata l'attuale normativa che disciplina le elezioni) a determinare la persistente inefficacia dell'azione governativa nel nostro Paese. Ed è proprio la sensazione, sempre piu diffusa, della «impossibilità» di governare, per qualunque esecutivo, ad alimentare la sfiducia crescente in tutte le istituzioni.
Renato Mannheimer
12 dicembre 2006