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  1. #11
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    Era pure il tempo degli "anni formidabili", del Sessantotto e dintorni, delle occupazioni, delle uova alla Scala, delle "maggioranze silenziose", dell'eversione "nera" preludio agli anni di piombo, al terrorismo brigatista, ai grandi scandali Sindona, Banco Ambrosiano, Ior, alla mafia che s'insinua nella Milano della finanza. A Washington, l'Italia preoccupava fin troppo. I "falchi" dell'amministrazione Usa agitavano lo spettro di un governo di sinistra in un Paese strategicamente fondamentale per gli Stati Uniti, per via anche di numerose ed importanti basi militari. Le reti Stay Behind e la loggia P2 lavoravano nell'ombra e cercavano di pilotare l'opinione pubblica italiana contro le sinistre, contro i sindacati, contro il movimento studentesco. Lo scopo era quello di portare a Palazzo Chigi un governo autoritario ed anticomunista. La bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano fu il drammatico e traumatico pretesto per accusare gli estremisti di sinistra e in particolare gli anarchici (il caso Valpreda). Giuseppe Pinelli, arrestato, durante una pausa degli interrogatori, volò "accidentalmente" da una finestra del quarto piano, alla Questura centrale milanese. La sera del 20 dicembre, l'ambasciatore americano Arkley telegrafò a Washington: "Bisogna prepararsi ad uno scenario alla greca", fu il suo dispaccio riservato. Il riferimento era al golpe dei colonnelli, i quali, appoggiati dagli americani, si impossessarono del potere ad Atene. Ci sarebbero voluti altri vent'anni per conoscere l'implicazione della P2 nella vicenda.

    Quel doloroso pomeriggio di trentacinque anni fa stavo camminando per corso Europa, dopo aver appena attraversato piazza Fontana, assieme a Beppe L.R., un compagno di facoltà (Scienze Politiche) della Statale, quando sentimmo la violentissima esplosione: "E' scoppiata una caldaia!", gridò qualcuno, l'idea di un attentato di quella portata, in pieno centro e in un luogo così affollato era ancora molto remota a quei tempi. Dove era successo, lo capimmo subito: perchè vedemmo tutti correre verso piazza Fontana. Ricordo il fumo che usciva dai finestroni e dal portone della Banca, lì ci passavo davanti almeno quattro volte al giorno, e la vedevo sempre affollata. C'era la vecchia abitudine - un paio di volte la settimana - di restare nel grande salone interno anche dopo l'orario di chiusura, a far contrattazioni, a discutere: la clientela era formata per lo più da agricoltori e mediatori della provincia. Così come non potrò mai più dimenticare il sangue che colava in largo e in lungo per tutto il marciapiede, fin sulla strada, a fiotti, a ruscelletti. E poi, i lamenti dei feriti, le grida concitate dei vigili urbani accorsi dalla vicinissima piazza Fontana che cercavano di far cordone per impedire alla folla di entrare, i tranvieri (lì c'era una sorta di capolinea) che sono stati tra i primissimi a portare soccorso, le sirene delle "pantere" e delle "gazzelle", l'arrivo dei trafelati cronisti (tra i quali l'amico Massimo Nava, allora lavorava per l'Avvenire, oggi è corrispondente del Corsera da Parigi), quello degli studenti capitanati da Mario Capanna, l'atmosfera plumbea di quel grigio dicembre, l'angoscia della gente. Era come se avessero colpito al cuore Milano: da quel venerdì pomeriggio, nulla fu più come prima.

  2. #12
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    Citazione Originariamente Scritto da Malik Visualizza Messaggio
    Cogliones postaci tutti i tuoi amichetti brigatisti...
    Eccoli... a te!

    ten col Sergio Acciai (Firenze, in sonno, fascicolo 113)
    dott Pierluigi Accornero (Viarigi, 321)
    rag Giacomo Agnesi (Roma, 169)
    dott Enrico Aillaud (Roma, 560)
    dott Aldo Alasia (Buenos Aires, 150)
    dott Gioacchino Albanese (Roma, 913)
    dott Raffaele Albano (La Spezia, 286)
    cap Amedeo Aldegondi (Torino, 425)
    ten col Vito Alecci (Milano, 789)
    magg Giuseppe Aleffi (Pisa, 762)
    dott Alessandro Alessandrini (Roma, 728)
    amm Achille Alfano (Livorno, capo gruppo 12, fasc 450)
    gen Giovanni Allavena (Roma, 505)
    prof Canzio Allegriti (Torino, 94)
    principe Giovanni Alliata di Montereale (Roma, passato al Grande Oriente, 361)
    dott Italo Aloia (Cosenza, 173)
    Bruno Alpi (Ancona, in sonno, 426)
    dott Roberto Amadi (Milano, 364)
    dott Antonio Amato (Cagliari, 807)
    dott Wilfrido Ambrosini (Verona, in sonno, 112)
    avv Walter Amendola (Brasile, 615)
    dott Aristide Andreassi (Roma in sonno, 170)
    avv Loris Andreini (Montecatini, 417)
    dott Mario Andreini (Verona, 177)
    on Clement Anet Bile' (Costa d'Avorio, 765)
    dott Franco Angeli (Montevarchi, 153)
    dott Ennio Annunziata (Roma, 134)
    prof Fausto Antonini (Roma, 1)
    prof Giuliano Antonini (Roma, 2)
    Renzo Antonucci (Pisa, 736)
    col Pietro Aquilino (Perugia, in sonno, 358)
    dott Giuseppe Arcadi (Reggio Calabria, 3)
    dott Aldo Arcuri (Benevento, 4)
    dott Romolo Arena (Roma, 848)
    dott Giacomo Argento (Roma, 384)
    dott Sergio Argilla (La Spezia, 270)
    on Gian Aldo Arnaud (Torino, 726)
    dott Carlo Arnone (Firenze, 393)
    dott Francesco Aronadio (Roma, 944)
    dott Renato Aschieri (Milano, 917)
    dott Giuseppe Attinelli (Palermo, 942)
    on dott Angelo Atzori (Oristano, capo gruppo 2, fasc 651)
    avv Alfredo Aubert (Torino, in sonno, 287)
    col Mario Aubert (Milano, in sonno, 427)
    Alberto Aureggi (Roma, 727)
    dott Jose' Avila (Brasile, 599)
    rag Vittorio Azzari (Roma, 171)
    rag Gilberto Bacchetti (Firenze, 834)
    cap Vasco Bacci (San Vito, 5)
    dott Enzo Badioli (Roma, 581)
    dott Francesco Baggio (Vicenza, 732)
    dott Urio Bagnoli (Roma, in sonno, 6)
    gen col Enrico Baiano (Reggio Emilia, in sonno, 175)
    Pietro Baldassini (Firenze, 394)
    cap Giorgio Balestrieri (Livorno, 907)
    dott Giorgio Ballarini (Firenze, 701)
    on Pasquale Bandiera (Roma, 114)
    dott Guido Barbaro (Torino, 851)
    dott Vito Barbera (Livorno, morto, 182)
    rag Franco Barducci (Firenze, 702)
    gen Tommaso Barile (Roma, in sonno, 420)
    dott Giovanni Barilla' (Palermo, 288)
    dott Hippolito Barreiro (Buenos Aires, 689)
    geom Giovanni Bartolozzi (Firenze, 705)
    dott Federico Barttfeld (Buenos Aires, 479)
    on Antonio Baslini (Milano, 483)
    dott Giuseppe Battista (Roma, 518)
    dott Alberto Battolla (La Spezia, 800)
    avv Salvatore Bellassai (Palermo, 289)
    avv Girolamo Bellavista (Palermo, morto, 7)
    dott Danilo Bellei (Bologna, 484)
    ing Enzo Bellei (Roma, in sonno, 178)
    dott Ottorino Belli (Firenze, 229)
    dott Mario Bellucci (Perugia, in sonno, 174)
    on Costantino Belluscio (Roma, 540)
    prof Nello Bemporad (Firenze, 115)
    dott Giorgio Beninato (Roma, 563)
    dott Silvio Berlusconi (Milano, 625)

  3. #13
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    Cogliones postaci tutti i tuoi amichetti brigatisti...
    Se preferisci, questo nel quale si evidenzia come "il vizietto" del depistaggio lo avete tuttora... .....


    Commemorazione 2 agosto 2006

    Discorso di paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna


    ....Nel manifesto di quest'anno abbiamo scritto:
    LA MEMORIA È PATRIMONIO DI TUTTI
    ASSICURARE ALLA GIUSTIZIA I MANDANTI E' DOVERE DI CHI PRESIEDE LE ISTITUZIONI
    Noi riteniamo che sia giunto il momento in cui chi presiede le istituzioni si assuma finalmente il dovere di assicurare alla giustizia i mandanti; solo negli anniversari vengono presi solenni impegni, buoni per essere rinnovati negli anniversari successivi.
    Dal 2 Agosto 1980 ad oggi si sono susseguite 7 legislature e 23 Governi, nessun impegno concreto è stato messo in atto per raggiungere l'obiettivo di colpire i mandanti. Il fallimento di un'intera generazione politica che non è stata capace di vincere l'omertà di Stato a scapito della verità.
    Mandanti e ispiratori politici della strage di Bologna sanno bene che quelle condanne pongono le basi per arrivare a loro ed è per questo che, ancora oggi, c'è chi si adopera per inquinare e cancellare quanto è stato ricostruito in anni di faticose indagini.
    L'ultimo tentativo di depistaggio, in ordine di tempo, è venuto dalla Commissione parlamentare Mitrokhin dove, pur di scagionare fascisti e piduisti e non arrivare ai mandanti, si è tentato, ancora una volta, di avallare un'inesistente pista internazionale secondo la quale, l'attentato del 2 agosto 1980, sarebbe opera di terroristi vicini a Carlos. Questi, inseguiti, non si capisce bene da chi, avrebbero abbandonato un carico d'esplosivo alla stazione di Bologna che, casualmente, scoppiò. Dunque saremmo di fronte ad una nuova versione dello scoppio della caldaia, primo di una lunga serie di orribili intossicazioni delle indagini.
    Noi parenti delle vittime abbiamo ormai perso il conto dei tentativi di depistaggio che si sono succeduti, ma non abbiamo perso la determinazione nel voler smentire chi cerca con ogni mezzo di insabbiare la Verità scomoda emersa dai processi.
    Sarebbe bastato leggere anche solo poche righe delle sentenze per capire che la bomba che ha devastato la stazione aveva un meccanismo ad innesco, ed è dunque assolutamente impossibile che lo scoppio potesse essere accidentale.
    Questo è un dato incontrovertibile, quindi la maggioranza della commissione Mitrokhin ha compiuto un vero e proprio depistaggio istituzionale.
    Evidentemente i fatti e la Verità contano poco per chi, come Andrea Colombo e Sandro Provvisionato , si è buttato a capofitto nel sostenere l'improponibile "teorema Carlos" fornendo un perfetto quanto sconfortante esempio di depistaggio mediatico.
    Naturalmente anche il Presidente Emerito On. Francesco Cossiga, nel 1980, Presidente del Consiglio e come tale responsabile politico della strage e da sempre sostenitore affettuoso di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti , si è affrettato a dare il suo appoggio alla nuova pista mediorientale.
    Noi vogliamo ricordare che i vertici dei servizi segreti, sia quello militare che quello civile, rispettivamente nelle persone del Generale Santovito e del Generale Grassini, entrambi iscritti alla loggia massonica P2, sono stati nominati dal III governo Andreotti che aveva come Ministro dell'Interno lo stesso Presidente Emerito On. Francesco Cossiga.
    Tali ambigui comportamenti, la tenace insistenza nei depistaggi costanti e reiterati, dimostrano che, per alcuni politici e giornalisti, qualsiasi ricostruzione alternativa, anche la più insostenibile, è buona purché scagioni i terroristi fascisti Francesca Mambro e Valerio Fioravanti; purché distolga l'attenzione dai rapporti tra lo stragista Valerio Fioravanti e i servizi segreti; purché allontani l'idea dell'intreccio tra vertici politici, terroristi neofascisti, loggia massonica P2, banda della Magliana, uomini dei servizi di sicurezza, intreccio scellerato che sta all'origine dell'attentato alla stazione di Bologna.
    Far credere che sulle stragi non si sappia nulla quando invece le cose si sanno e molte altre, volendo, si potrebbero sapere: anche questo è un depistaggio ....

  4. #14
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    Forse che alla commissione Betullas-Scaramellati quanto dice l'inventore del "contratto con gli italiani", all'epoca "piano di Rinascita Democratica" possa far ricordare qualcosa?....

    Tratto da “Licio Gelli – Parola di Venerabile”, di Sandro Neri, Aliberti Editore


    IL GRANDE VECCHIO
    «Viezzer, con l’autorizzazione di Maletti, mi disse: “Perché non ti iscrivi alla P2, così potrai conoscere qualcosa…” e io, con molta superficialità e molta leggerezza, accettai». Antonio Labruna in Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Nuova Eri/Mondadori, 1992


    Dal 3 al 5 maggio 1965, a Roma, il convegno organizzato dall’Istituto Pollio all’Hotel Parco dei Principi. Titolo: «La guerra rivoluzionaria». L’incontro, che riunì militari, militanti di destra, rappresentanti del mondo politico e imprenditoriale, era finalizzato a mettere a punto una strategia contro l’infiltrazione del marxismo nella società occidentale. Lei partecipò a quel convegno? Condivideva quell’ossessione del pericolo comunista?
    No, non partecipai all’incontro, di cui non so nulla. Il pericolo comunista invece era evocato continuamente. Si sentiva dire: «Addavenì Baffone». Dove Baffone non era Stalin, ma la rivoluzione popolare. Era un modo per dire che se il potere fosse passato ai comunisti sarebbe stato eliminato tutto ciò che non andava.

    L’Italia sotterranea comincia a pianificare quella che verrà definita la strategia della tensione. Qualcosa di anomalo era avvenuto già nel luglio del ’64, quando in casa del democristiano Tommaso Mormino si era tenuta una riunione con Aldo Moro, Benigno Zaccagnini, il capo della polizia Angelo Vicari e il generale Giovanni De Lorenzo, da tempo al vertice del Sifar. Tema dell’incontro: la crisi del primo governo Moro, un esecutivo aperto al Psi. Che c’entravano i capi degli apparati di sicurezza?
    Il generale De Lorenzo aveva preparato un piano di trasferimenti e voleva distribuire gli ufficiali di sua fiducia nelle zone d’Italia che reputava strategiche.

    Con le elezioni della primavera del 1968 fallisce l’unificazione tra socialisti e socialdemocratici, l’unica forza che poteva isolare il Pci. Moro teorizza la “strategia dell’attenzione”, aprendo ai comunisti.
    Era un momento di distensione. Si puntava a una diversa collaborazione tra le forze politiche. I tempi stavano cambiando, si imponevano scelte nuove. Forse nessuno si aspettava di dover fare i conti con un fenomeno come il Sessantotto. Quando cominciò, pensammo in molti che sarebbe passato come una moda. Invece durò e lasciò un segno profondo. Tanto da incidere nella società e nella politica, anche di oggi.

    Dopo Piazza Fontana, hanno appurato le recenti inchieste sull’attentato, toccava al ministro Rumor dichiarare lo stato d’emergenza. Ma nel discorso televisivo seguito alla notizia della strage non lo fece. Si trovò mai a discutere di quanto avvenuto?
    No. Della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano sapevo quanto avevo letto sui giornali. Era stato arrestato Pietro Valpreda, le prime indagini seguivano la pista anarchica…

    Il 1969 è anche l’anno della nomina ad ambasciatore americano in Italia di Graham Martin, che credo lei abbia conosciuto. Fu molto criticato anche negli Usa per l’atteggiamento tenuto nei suoi anni a Roma; ebbe contrasti anche con la Cia. Perché?
    Con la Cia avevano tutti dei contrasti. Voglio dire tutti gli alti funzionari dell’Amministrazione. Anche all’interno dell’Agenzia ci sono battaglie. Si è visto anche in tempi recenti, quando le sbagliate valutazioni alla base della guerra con l’Iraq sono costate la testa al vertice del servizio segreto americano. Io ho conosciuto Martin attraverso Philip Guarino negli Stati Uniti. Ci vedevamo a Roma, all’ambasciata americana. Al secondo piano della palazzina c’è sempre stata una rappresentanza della Cia. Martin parlava spesso di democrazia senza sapere, forse, cosa sia veramente. È un vecchio vizio tutto americano: gli Usa cercano di imporre la democrazia ovunque, obbligando gli altri Paesi ad accettarla, ma il fine è conquistare sempre più spazio per loro. Sulla situazione politica italiana di allora il conflitto era evidente. C’era chi, ignorando i cambiamenti in atto, considerava l’Italia una colonia americana. In fondo, gli Usa ci hanno sempre considerato dei vinti.

    Nel 1971 l’assistente di Giovanni Leone le chiede di appoggiare la sua elezione a presidente della Repubblica. Quelle elezioni passeranno alla storia per il loro travagliatissimo iter: Leone arrivò al Colle dopo 23 scrutini, durati dal 9 al 24 dicembre 1971. La candidatura del senatore napoletano era stata avanzata all’ultimo, dopo che Fanfani aveva ritirato la sua e al termine di una riunione notturna della Dc convocata proprio per decidere quale nome sostenere. Leone aveva prevalso su Moro per tre voti in tutto, ma tanto bastò a spianargli la strada per il Quirinale. Questo, a grandi linee, il contesto. Quale fu esattamente il suo ruolo?
    L’avvocato Venturi, assistente del senatore Leone, mi invitò nel suo ufficio in viale Cristoforo Colombo e chiese l’aiuto della massoneria. Disse di aver saputo che potevo contare su centoquaranta fra senatori e deputati. Leone mi piaceva e assicurai la disponibilità a fornire il nostro appoggio. Lo confermai anche a lui, inviandogli una lettera il giorno prima delle elezioni, auspicando che tutto andasse per il meglio. Tutti i parlamentari iscritti alla P2 o comunque vicini alla loggia votarono per Leone, che infatti andò al Quirinale forte di 518 voti contro i 408 di Nenni, 6 di Pertini e 25 dispersi. L’avvocato Venturi non tardò a ringraziarmi per tutto questo, anche a nome del neopresidente.

    Più tardi ricevetti una lettera di convocazione al Colle. Il 10 aprile del 1972 ebbi anche un incontro privato con Leone, presente pure Lino Salvini. Il capo dello Stato mi invitò a tenermi in costante contatto col suo segretario personale, il dottor Nino Valentino. Successivamente, sarei stato regolarmente invitato a ogni occasione ufficiale, specie se c’erano ospiti internazionali; a volte mi faceva recapitare gli inviti qui ad Arezzo dal corriere-motociclista. Inoltre fu a me che Leone chiese un suggerimento per una svolta nella politica del Paese ed è così che ho iniziato a lavorare allo Schema R.

    Col tempo i suoi rapporti con Leone si guasteranno. Tanto che, all’indomani delle dimissioni del presidente, verranno addossate a lei le cause della sua caduta. Auspicata per un motivo preciso: far pagare al presidente il suo mancato appoggio a un piano politico di svolta autoritaria.
    Un’accusa falsa. In quello scandalo erano coinvolte molte persone, tra cui Francesco Cosentino. Anche lui, che era segretario della Camera dei deputati, aveva dovuto dimettersi. Ricordo, a questo proposito, che prima di lasciare l’incarico era venuto da me a chiedere consiglio. Cosentino era una figura di spessore; il padre, presidente della Camera dei deputati, era stato segretario particolare di De Nicola. Comunque, era venuto da me dicendo: «Mi hanno chiesto di restare al mio posto, ho risposto che preferirei lasciare ma la Dc insiste che respingerà le mie dimissioni». Eravamo in piazza di Spagna. Gli avevo risposto: «Ciccio – perché è così che lo chiamavano gli amici – non rassegnare le dimissioni perché non aspettano altro che tu le presenti. La Dc le accetterà eccome. E le userà per lavarsi le mani». Non mi aveva ascoltato e aveva perso la poltrona, come era facile immaginare. Successivamente, forse come riparazione, Cosentino verrà messo al vertice di una nota federazione di alberghi: la Ciga.

    Parlavamo, però, di Leone. Davanti alla Commissione Anselmi l’ex presidente l’accuserà di aver usato l’agenzia Op di Mino Pecorelli per attaccarlo «come forma di ritorsione sia per il fallimento dei suoi tentativi di inserirsi nell’entourage presidenziale sia per il denegato sostegno a Carmelo Spagnuolo».
    Ma noi a Leone abbiamo sempre voluto bene. E glielo dimostrammo quando ci fece chiedere da Lefèbvre, suo amico e consigliere personale, di far cessare gli attacchi lanciati a lui da Mino Pecorelli, il direttore della rivista «Op», anche lui iscritto alla loggia. Fui io, personalmente, a mettere in contatto il presidente con Mino e gli attacchi cessarono. Credo, a onor del vero, dietro il pagamento di alcuni milioni di lire. Di Spagnuolo, ricordo che sperava nella nomina a capo della polizia ma che perse quest’opportunità proprio a causa di un improvviso contrasto con Leone. Ma noi ci tenemmo fuori.

    Leone l’accusava di avere passato carte e informazioni compromettenti alla giornalista Camilla Cederna che con il suo lavoro portò alla luce lo scandalo degli Hercules C-130 acquistati in cambio di tangenti e contribuì a spingere il presidente a rassegnare le dimissioni.
    Guardi, io ho avuto solo un incontro con Camilla Cederna. E la vicenda Leone non c’entra affatto. Fu Bruno Tassan Din, il direttore generale della Rizzoli, a parlarmi di lei, chiedendomi di risolverle un problema che aveva avuto alla frontiera, con i doganieri. Lo feci e successivamente la Cederna venne qui, ad Arezzo, per ringraziarmi. Dopo quella circostanza non ci siamo più visti. Ma posso assicurarle che non le ho mai passato una sola informazione. Né in quel nostro unico colloquio né successivamente.

    L’attentato di Peteano e la strage di piazza della Loggia a Brescia sono state lette come il tentativo delle frange più estreme di vendicarsi per essere state abbandonate dalle istituzioni. Molti uomini di quelle istituzioni erano nella P2. Lei che ne pensa?
    Penso che il fine dello stragismo in Italia fosse quello di destabilizzare. C’erano movimenti interessati a modificare alcuni assetti. Creare paura doveva servire a trovare una giustificazione per instaurare un potere forte. Credo che la soluzione di gialli come quello di piazza della Loggia andasse cercata a livelli altissimi.

    Quali, precisamente? Si spieghi meglio.
    Dico: chi controllava i movimenti che operavano in quegli anni? Chi stabiliva i compiti? A domande come questa si è tentato di rispondere formulando dei teoremi, ma nessuno in realtà è riuscito ad arrivare al vertice della piramide.

    E la punta della piramide dov’è? In Italia o all’estero?
    Non ho mai creduto a un livello straniero. Bisognava indagare in Italia.

    La commissione stragi presieduta da Pellegrino ha definito Paolo Emilio Taviani uno dei grandi fautori del “partito americano” in Italia. Lei l’ha conosciuto? Che ricordo ha di lui?
    L’ho conosciuto che era ministro. È stato anche a capo della Difesa. Di lui posso dire che era un uomo forte, vicino agli americani, certamente. E questa è la ragione per cui gli Usa avevano caldeggiato il suo arrivo al vertice della Difesa. Avevano bisogno di un politico fidato con cui colloquiare.

    Il 29 maggio 1974 Taviani, allora ministro dell’Interno, scioglie l’Ufficio affari riservati del Viminale. A capo della struttura, dal 1968, c’era il prefetto Umberto Federico D’Amato, che lei vorrà nella loggia. Personaggio controverso, si è sospettato abbia avuto un ruolo nella strategia della tensione. Lei che giudizio conserva?
    Umbertino, come lo chiamavamo noi, era un ottimo elemento. Un professionista preparatissimo e anche uno splendido cuoco. Ci invitava a cena, a me e a Fanelli, ai tempi segretario amministrativo della loggia, ed erano serate piacevolissime. D’Amato aveva personalità e una grande grinta; ma dimostrava anche cultura. Sembrava conoscere tutto. E poi era un cervello organizzativo. D’altronde era il capo dei servizi. Il suo ufficio era né più né meno che una copia della sede del Sid. Ed era forse anche meglio: l’Ufficio affari riservati schedava tutti, un’attività molto capillare. D’Amato, che aveva un “archivio degli scheletri nell’armadio” di tutti gli uomini a capo delle istituzioni, arrivò a essere più potente del ministro da cui dipendeva. Perché se il ministro aveva bisogno di sapere qualcosa, doveva chiederlo a lui.

    Sempre la commissione Pellegrino ha raccolto la testimonianza di un esperto di strategie internazionali, Stefano Silvestri, convinto che lei fosse collegato a circoli americani come quello interno all’università di Georgetown, a Washington. Il circolo era frequentato da Alexander Haig, Henry Kissinger, Michael Ledeen, Claire Sterling. Li ha conosciuti tutti?
    Conoscevo Haigh, il capo della Nato. Passò le consegne all’ammiraglio Gino Birindelli. Kissinger, il segretario di Stato americano, l’ho incontrato alcune volte. È stato detto che fosse venuto anche a trovarmi, qui a Villa Wanda, ma non è vero. In Italia ci siamo incontrati solo a Firenze e a Roma, entrambe le volte per colazione.

    Per Giovanni Pellegrino della commissione stragi, nel ’74, dopo lo scaricamento delle frange della destra radicale è alla P2 che viene affidata la nuova fase di guerra sotterranea. La strategia, stavolta, è di puntare allo spostamento dell’asse politico italiano attraverso un progetto di seconda repubblica di tipo gollista.
    Ma no, no. Il nostro era un progetto di repubblica presidenziale, non gollista. Basta leggere le linee del Piano di rinascita democratica per capirlo.

    Sempre Pellegrino, nelle pagine del libro-intervista Segreto di Stato, dichiara: «Ho sempre pensato che Gelli fosse solo un esecutore». Chi c’era sopra di lei?
    Nessuno, sopra Gelli c’era soltanto Gelli. La P2 dipendeva dal Grande Oriente d’Italia. Ogni iniziativa di rilievo doveva essere discussa preventivamente col Gran Maestro. Prima con Ascarelli, poi con Gamberini, quindi con Salvini e infine con Battelli.

    Aggiunge anche: «È lecito chiedersi se all’interno della P2 sia maturata la scelta di non contrastare pienamente il terrorismo rosso, perché quel fenomeno avrebbe potuto essere utilizzato per realizzare i piani di modifica istituzionale del Paese».
    Le organizzazioni terroristiche erano segrete. Se non sono state contrastate a sufficienza è solo perché l’assoluta clandestinità in cui operavano, la loro struttura di formazioni paramilitari, rendevano difficile affrontarle. Le Br in particolare mettevano a segno azioni da manuale. Basti pensare al sequestro Moro.

    12 - Continua


    Dagospia 04 Dicembre 2006

  5. #15
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    Beh... dobbiamo mettere il video del discorso della discesa in campo di Berlusconi o i primi manifesti di bambini gaudienti con la scritta Fozza Itaja per appassionare i Betullas Scaramellati?

  6. #16
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    Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
    Questo diceva il pedofilo Pasolini.

    Per il resto, ora i comunisti sono per la terza legislatura (lo furono in parte in quella del '94-'96) di nuovo al governo. Visto che siete così sicuri delle vostre tesi, della parte buona contro la parte cattiva, perchè non rimuovete i segreti di stato, una volta per tutte?

  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da bianconero Visualizza Messaggio
    Questo diceva il pedofilo Pasolini.

    Per il resto, ora i comunisti sono per la terza legislatura (lo furono in parte in quella del '94-'96) di nuovo al governo. Visto che siete così sicuri delle vostre tesi, della parte buona contro la parte cattiva, perchè non rimuovete i segreti di stato, una volta per tutte?
    Eppero'... da buon (ex)granata pensavo di doverti massacrare di legnate come i precedenti Betullas, pero' a parte l'inizio indegno... la conclusione e' condivisibile.

  8. #18
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    Citazione Originariamente Scritto da Antiglobal Visualizza Messaggio
    Eppero'... da buon (ex)granata pensavo di doverti massacrare di legnate come i precedenti Betullas, pero' a parte l'inizio indegno... la conclusione e' condivisibile.
    Perchè ex granata?

  9. #19
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    Citazione Originariamente Scritto da bianconero Visualizza Messaggio
    Perchè ex granata?
    Ex del calcio.... tutto.
    Tutti a gridare al gol, ammazzarsi di improperi se va bene e di botte se va meglio con le tiforie opposte perche' gli altri facciano soldi con le partite truccate ed i diritti TV?
    No grazie.

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da bianconero Visualizza Messaggio
    Questo diceva il pedofilo Pasolini.

    Per il resto, ora i comunisti sono per la terza legislatura (lo furono in parte in quella del '94-'96) di nuovo al governo. Visto che siete così sicuri delle vostre tesi, della parte buona contro la parte cattiva, perchè non rimuovete i segreti di stato, una volta per tutte?
    Già.

    E' dal 1992 che hanno in mano la Presidenza della Repubblica e negli ultimi 25 anni, iniziando con Scalfaro, passando per Mancino, Napolitano, la Jervolino, Bianco e ora Amato, hanno avuto ripetutamente in mano il ministero dell'Interno (ed anche quello della Difesa).

    E quanti dei "famigerati" documenti hanno fatto conoscere all'opinione pubblica?

    Nessuno.

    Si preferisce continuare ad illudere la gente che basti togliere il segreto di stato, quando in realtà il segreto di stato sui reati inerenti stragismo e terrorismo da due decenni non esiste più......
    E' questo l'idolo no global????

 

 
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