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    Predefinito Modernizzazione e identità - Modelli di sviluppo per la Nuova Italia

    Da oltre venti anni il nostro Paese viene fatto oggetto di analisi e programmi che ruotano sulla necessità di un profondo e radicale cambiamento. Modernizzare l’Italia è stato lo slogan che ha attraversato tutte le epoche recenti della nostra vita politica, dalla parabola craxiana alla nascita della Seconda Repubblica, alla reiterata sfida tra i due poli di centrodestra e centrosinistra, fino alla crisi del sistema politico che oggi stiamo vivendo. Le motivazioni di questa tensione si sono evolute nel tempo: prima il superamento delle sclerosi ideologiche degli anni’70, poi l’entrata nell’euro, infine la sfida della globalizzazione dei mercati.
    Ma il ritardo invece di diminuire è cresciuto, le divisioni tra Nord e Sud sono aumentate, la capacità di competizione e di sviluppo si è affievolita, sempre più spesso si parla di declino del nostro sistema-paese e di scomparsa dello stato-nazione.
    È legittimo chiedersi se tutti questi fallimenti siano attribuibili solo a limiti e difetti del nostro popolo, al peso delle contraddizioni e dei blocchi che abbiamo ereditato dalla nostra storia politica, sociale ed economica? E se, invece, le riforme di volta in volta proposte non fossero appropriate al “caso italiano”? I modelli di sviluppo che hanno ispirato queste riforme sono realmente positivi e compatibili con la nostra identità nazionale?
    Queste domande rimandano ad un problema molto più generale che deriva dalle dinamiche della globalizzazione: lo sviluppo è uguale per ogni comunità nazionale e territoriale, la modernizzazione segue ovunque strade omologabili agli stessi standard e agli stessi modelli?
    Il “pensiero unico” che si presenta come ideologia della globalizzazione non nega la diversità dei contesti sociali e storici, ma pensa che queste diversità debbano essere rese progressivamente funzionali al modello di sviluppo dettato dal “mercato unico globale”.
    La fondazione “Nuova Italia”, al contrario, muove la propria ricerca dalla convinzione che la modernizzazione possa e debba seguire strade diverse, modelli di sviluppo alternativi fondati sul valore delle identità. Le identità che si manifestano nel riconoscimento della centralità della persona umana e delle diverse forme di appartenenza comunitaria.
    La modernizzazione deve trasformare in progetto l’identità nazionale e l’appartenenza europea, valorizzando in nome del principio di sussidiarietà i legami ed i “mondi vitali” che esistono all’interno della società civile, e contemporaneamente aprendosi al dialogo con le altre comunità nazionali in nome dei principi di solidarietà e di reciprocità.
    Ecco perché alla vigilia di una nuova fase di riforme che dovrebbero trasformare lo scenario economico e sociale italiano, è necessario alimentare un dibattito libero da ogni pregiudizio ideologico e da ogni contrapposizione settaria.
    Si ripete in questi mesi che le riforme più serie e profonde non potranno essere prodotte da uno solo dei due schieramenti del bipolarismo, che sono necessarie intese trasversali e “mentalità costituente”. Di fronte a questi appelli - che vengono anche dal Capo dello Stato - nessuno può tirarsi indietro, a patto che il terreno di incontro tra i diversi schieramenti non sia di natura tecnocratica e che il risultato non sia subalterno al pensiero unico del mercato globale.
    Il cambiamento richiede a tutti sacrifici e superamento dell’interesse particolare, ma questi sacrifici non possono essere fondati sulla rinuncia all’identità e alle appartenenze. I gruppi intermedi possono essere spinti a superare se stessi in nome del bene comune, non essere cancellati in nome di un livellamento dettato dalle burocrazie della politica. I lavoratori possono superare le vecchie forme di tutela e di rigidità del mercato del lavoro, solo a fronte di una crescita di partecipazione e di democrazia economica. I territori e le comunità che vi abitano, possono accettare di essere inscritti in un modello di sviluppo più ampio solo se il prezzo non è la devastazione e lo sradicamento. Le imprese potranno offrire responsabilità sociale se otterranno libertà dalle burocrazie e riconoscimento della loro centralità nell’economia reale. Le famiglie possono salvarsi dall’individualismo egoista e dal “familismo amorale” solo attraverso la solidarietà tra le generazioni e la consapevole appartenenza a comunità più ampie. Anche le regole del commercio internazionale e dell’integrazione europea devono comprendere l’identità dei popoli e l’interesse nazionale.
    Le riforme di cui ha bisogno l’Italia nell’epoca della globalizzazione richiedono dunque un maggiore rispetto delle regole del mercato e della concorrenza, una più netta consapevolezza delle compatibilità economiche e degli obblighi dell’appartenenza europea, un paragone più crudo tra i nostri modelli di solidarietà sociale e quelli dei paesi in via di sviluppo. Bisogna spazzare via ogni forma di rendita e di parassitismo, ogni monopolio e ogni privilegio, soprattutto dei soggetti economicamente più forti. Ma tutto questo sarà possibile se altre forme di solidarietà sociale saranno messe in movimento, se il modello di sviluppo saprà trarre energia dall’identità delle persone, delle comunità e delle imprese. L’autonomia della società civile, il principio di sussidiarietà, il riconoscimento del merito e della concorrenza, la democrazia come partecipazione politica e sociale, la cultura comunitaria e il rispetto per l’ambiente e il territorio, sono fondamenti di questo salto di paradigma.
    Abbiamo l’ardire di pensare che tutto questo valga particolarmente per l’Italia. Fuori da ogni nazionalismo chiuso e da ogni patriottismo retorico, siamo consapevoli dei caratteri “speciali” della nostra comunità nazionale. Punto di incontro tra civiltà diverse, frontiera fra il Nord e il Sud del mondo, paese della qualità del vivere e del produrre, patrimonio di storia, di arte e di paesaggio, sede della missione universale di Roma, la nostra nazione può e deve immaginare un proprio autonomo ed originale modello di sviluppo. Con la consapevolezza che tutte queste virtù nascondono al proprio interno profonde fragilità e terribili contraddizioni.
    La fondazione “Nuova Italia” sarà quindi laboratorio di confronto trasversale, punto di incontro di “volenterosi”, motore di un riformismo non conformista. I poli politici e culturali si devono legittimare reciprocamente oltre l’alternanza dei governi in carica, i traguardi storici possono essere raggiunti con una mobilitazione comune, la politica potrà essere rigenerata solo dal superamento del settarismo partitico. Tutto questo senza consociativismo e trasformismo, senza cancellazione delle storie e delle appartenenze politiche, senza mettere in crisi il bipolarismo che fonda tutte le democrazie occidentali.
    La consapevolezza dell’identità e l’apertura al prossimo non sono termini opposti, sono modi di essere strettamente correlati. È chiuso ed aggressivo chi è debole nelle proprie radici. Questo vale per gli individui, i gruppi e i popoli. Anche per i “popoli” del centrodestra e del centrosinistra.


    Da questa lettura derivano i filoni di ricerca e di confronto su cui si muoverà la fondazione “Nuova Italia”:
    1) L’AGENDA DELLE RIFORME PER LA COMPETITIVITÀ
    2) IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ E IL WELFARE COMUNITARIO
    3) LO SVILUPPO SOSTENIBILE E L’IDENTITÀ DEI TERRITORI
    4) IL DIALOGO TRA LE CIVILTÀ ATTRAVERSO LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
    5) L’INTERESSE NAZIONALE NELL’INTEGRAZIONE EUROPEA E NEL MERCATO GLOBALE

    Gianni Alemanno

    www.destrasociale.org

    www.francescosallustio.tk

  2. #2
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