Gran Torino
Eastwood tra sacrificio e redenzione
Ieri sera chi vi scrive ha visto anche lui, finalmente, “Gran Torino”. Purtroppo non a cinema, ma a casa, su DVD. L’ho fatto dopo aver letto molto sul film in questione, comprese alcune riflessioni postate su Politica in rete. E il giudizio che dò al riguardo è altamente positivo.
Gran Torino, ultima opera cinematografica di Clint Eastwood, è davvero un bel film, oserei dire “edificante”, che ha molte cose da dire, specie a chi non è interessato a distruggere, ma a conservare.
La critica si è soffermata sui temi dell'immigrazione e dell'integrazione razziale, passandolo agli onori delle cronache come un film antirazzista. Questo certamente è vero e non potrebbe essere altrimenti, ma il razzismo non è il metro (o almeno non è certamente l’unico metro) per comprendere e dunque pienamente apprezzare un'opera densa di significati. Gran Torino è infatti un film che, lontano da buonismi politicamente corretti, ci parla del bisogno di redenzione in un’ottica esplicitamente cattolica, di chi oppone ai desideri di onore e vendetta quelli di pace e sacrificio.
Walt Kowalsky è un vecchio operaio della Ford, ancora legato ai valori coi quali è cresciuto e che le nuove generazioni di americani – compresi i suoi figli e nipoti – gli stanno a poco a poco portando via. Ora che la sua amata moglie è morta, a Kowalsky non sembra rimanere altro che una mitica auto Ford, la Gran Torino, che conserva gelosamente nel garage.
Walt non ama gli stranieri, specie gli immigrati asiatici suoi vicini di casa. Li considera fonte di disordine sociale e degenerazione morale. Inoltre ci ha combattuto contro durante la guerra in Corea e le cicatrici di quell’esperienza crudele ancora gli bruciano dentro. L’aver dovuto uccidere gli ha infatti indurito l’animo e lo ha allontanato dalla chiesa. Adesso Walt è vecchio, malato e solo.
L’occasione per riscattarsi e trovare la vera pace gliela offronono paradossalmente i suoi “esotici” vicini e un giovane prete, che si reca da lui per volere della moglie. Riguardo entrambi Walt finirà col ricredersi. Essere cristiani non significa non sapere cosa siano la vita e la morte. Non tutti gli immigrati sporcano, rubano e ammazzano. Quelli che ha accanto sono persone oneste e profondamente tradizionaliste con le quali Kowalsky scoprirà di avere molto in comune.
Tao, un ragazzino timido e impacciato, viene costretto dal cugino a seguirlo in una gang di giovani sbandati e il suo rito d’iniziazione sarà quello di rubare la Gran Torino del vecchio Kowalsky. Ma Tao è di un’altra pasta rispetto agli altri e fallirà nell’impresa. Kowalsky imbraccia il suo fucile e allontana la gang diventando per i suoi vicini una sorta di eroe. I Hmong, saputo ciò che ha combinato il loro ragazzo, mandano Tao a lavorare da Kowalsky per una settimana e il vecchio Walt, dopo un’iniziale diffidenza gli si affeziona al punto da istruirlo come un vero padre e trovandogli persino un lavoro stabile ed onesto.
La gang risponde all'affronto subito rivoltandosi contro Tao e la sua a famiglia, in una spirale di violenze che culminerà nello stupro di Sue, la sorellina. A questo punto i Hmong si aspettano che Kowalsky li vendichi e certamente Walt non vuole sottrarsi a questa responsabilità. A lui ormai sta a cuore il futuro dei suoi vicini e non vuole essere responsabile di una faida che si protragga nel sangue. Kowalsky vuole che Tao e i suoi possano avere un futuro di pace, senza l’incubo corrente di incorrere nella vendetta altrui.
Ragion per cui, sapendo ormai di essere sulla via del tramonto, afflitto da un male incurabile, prima accetta l’invito rivoltogli con insistenza dal giovane prete di liberarsi dai pesi morali che lo tormentano, confessandosi, quindi decide di affrontare la gang solo e disarmato.
Il sacrificio di Walt fa sì che l’intero gruppo di delinquenti venga arrestato dalla polizia e che i suoi vicini di casa possano vivere al riparo della paura e della violenza. La sua Gran Torino andrà così a Tao, il giovane Hmong destinato a portare avanti i valori e le speranze di Walt Kowalsky.
Davvero un bel film e un grande Eastwood, che interrogandosi sul significato della vita e della morte ci riporta, ancora una volta, a fare i conti con la religione dei nostri padri.
Mr. Right