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  1. #21
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    LIBERALISMO: GALLO, PD LONTANO DA COSA ROSSA, VICINO A CENTRO CATTOLICO

    (ASCA) - Roma, 26 ott - Sui valori liberali il Partito Democratico si e' allontanato molto dalla Cosa rossa e si e' avvicinato al centro cattolico. Lega e An sono concentriche. E' liberale il dna di radicali, socialisti e liberaldemocratici. Forza Italia di per se' sarebbe molto piu' liberale. Il Pri e' il vero opposto della cosa rossa. Questo il ''diagramma'' elaborato dal prof. Riccardo Gallo (presidente dell'Istituto per la promozione industriale), ed illustrato nel corso di una conferenza sui valori liberali tenutasi oggi a Milano. Per arrivare alla configurazione grafica del liberalismo, Gallo ha individuato 7 aree fondamentali in cui si esplicano i valori civili e politici (dispotismo della politica, liberalismo politico, giustizia, laicita', squilibrio demografico mondiale, occidente e rapporti transatlantici, liberta' di espressione) e 5 aree di valori economici, sociali e culturali (liberalismo economico, finanza pubblica, ambiente e bioetica, energia, ricerca). Per ciascune di queste aree, Gallo ha definito quale e' oggi nel nostro paese la questione ''fondamentale irrisolta, spartiacque tra chi vuole un'Italia e chi ne vuole un'altra'' ed ha estratto un quesito chiaro, per un totale di 12 questioni e 12 quesiti. A cui hanno risposto rappresentanti autorevoli dei partiti italiani. Da qui la mappa del posizionamento delle forze politiche in termini di liberalismo. A valle del diagramma sia per valori liberali politici che economici troviamo la cosa rossa, in un'area centrale il Pd, i partiti cattolici, An e Lega; nella parte alta dello schema Pri, Capezzone, liberaldemocratici, radicali e tutti i socialisti. Ben posizionata Forza Italia ma ci si aspettava di piu'.

    tratto da http://notizie.alice.it/notizie/poli...,13363039.html

  2. #22
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    LIBERALISMO/ GALLO: PRI E RNP I PARTITI CON ANIMA PIU' LIB-DEM
    Economista La Sapienza: 'cosa rossa' in coda al diagramma

    Milano, 26 ott. (Apcom) - Repubblicani, radicali e tutti gli ex socialisti promossi da una parte, 'cosa rossa' bocciata dall'altra. Sono questi i due estremi del diagramma, presentato oggi, per misurare la diffusione delle idee liberaldemocratiche nei partiti italiani. Autore dello studio è Riccardo Gallo, professore di Economia applicata all'università romana La Sapienza. Il docente ha individuato sette aree legate ai valori civili e politici (dispotismo della politica, liberalismo politico, giustizia, laicità, squilibrio demografico mondiale, occidente e rapporti transatlantici, libertà di espressione). Altre cinque aree riguardano i valori economici, sociali e culturali (liberalismo economico, finanza pubblica, ambiente e bioetica, energia, ricerca).

    Grazie a una serie di domande collegate alle 12 aree che Gallo ha posto a rappresentanti dei partiti italiani è emersa una pagella del tutto negativa, sia per valori liberali politici sia economici per la 'cosa rossa'. Il Partito democratico si piazza al centro, poco distante dai cattolici, da An e dalla Lega. Buon risultato per Forza Italia, a tre quarti della classifica. Quasi in vetta, la Rosa nel pugno insieme a tutti i socialisti della diaspora, Daniele Capezzone, i Liberaldemocratici e il Pri.

    "E' stato difficile trovare una base su cui far riconoscere i veri liberaldemocratici
    - ha detto Gallo durante l'incontro - perchè i partiti italiani che si richiamano a quella tradizione o citano quei valori sono sempre di più, compreso il Partito democratico, ma quelli davvero liberali sempre di meno". Un concetto condiviso anche dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, secondo il quale i valori liberali si affermano sempre più, ma anche una "versione caricaturale" degli stessi. A suo parere alla base di una "rivoluzione del rapporto tra Stato e cittadini" deve esserci il concetto di sussidiarietà: dare spazio a uomini, donne, singoli e associati "cui noi vogliamo delegare solo la gestione dei servizi, ma parte del potere decisionale su quei servizi". Fondamentale anche, ha concluso, riconoscere il ruolo centrale della famiglia.

    Al convegno "Verso la Costituente Liberal-democratica Europea. Valori liberali: quelli veri e quelli falsi" hanno partecipato anche l'ex presidente del Senato Carlo Scognamiglio e il presidente del Pri Giorgio La Malfa. Domenica alle 12 è previsto anche un intervento del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi.

    tratto da http://notizie.alice.it/notizie/poli...,13364375.html

  3. #23
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    Viviamo in un mondo politico nelle città della paura solitaria poco a poco vai nel mezzo ma non sai nemmeno perche' sei qui
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    I miei dubbi restano.....gli studi sono evidentemente di parte e personalmente, nonstante l'autorevolezza della fonte, non ne condivido i risultati....

  4. #24
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    Citazione Originariamente Scritto da nuvolarossa Visualizza Messaggio
    JohnMill, quando si accetta di vivere le proprie specificita' all'interno di una Federazione politica di partiti "simili" ... bisogna, democraticamente, saper mediare le proprie peculiarita' con quelle altrui ...
    Parole sante

    e se insieme ai repubblicani si associassero radicali, socialisti e liberali potrei dare il voto anchio anche sapendo di finire fra gli sconfitti

    Saluti

  5. #25
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    Verso la Costituente Liberal-Democratica Europea - Valori liberali: quelli veri e quelli falsi

    Da Radio Radicale documenti audiovideo ... clicca sotto ...

    http://www.radioradicale.it/scheda/238590
    http://www.radioradicale.it/scheda/238587
    http://www.radioradicale.it/scheda/238588
    http://www.radioradicale.it/scheda/238589

  6. #26
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    Conferenza sui Valori Liberali: Quelli veri e quelli falsi
    Partito Liberal-Democratico Europeo * La Voce Repubblicana
    Milano, Circolo della Stampa 26 ottobre 2007
    Sintesi della Relazione introduttiva
    di Riccardo Gallo, Università di Roma La Sapienza

    Il risultato finale della Relazione di Riccardo Gallo può essere visualizzato nel seguente diagramma:



    Per arrivarci, dobbiamo ripercorrere il filo logico della relazione. La premessa è che oggi in Italia i partiti che si richiamano alla tradizione liberaldemocratica sono sempre di più, quelli davvero liberali sempre di meno. Anzi, in tanta confusione viene voglia di riaffermare quei valori e prendere le misure di liberalismo a tutte le maggiori forze rappresentate in Parlamento.

    Per farlo, Gallo ha individuato come fondamentali 7 aree in cui si esplicano i valori liberali civili e politici (dispotismo della politica, liberalismo politico, giustizia, laicità, squilibrio demografico mondiale, Occidente e rapporti transatlantici, libertà di espressione) e 5 aree di valori economici, sociali e culturali (liberalismo economico, finanza pubblica, ambiente e bioetica, energia, ricerca). Per ciascuna di queste aree, in collaborazione con uno studioso della singola materia, Gallo ha definito quale è oggi nel nostro paese la questione fondamentale irrisolta, spartiacque tra chi vuole un'Italia e chi ne vuole un'altra, e ha estratto un quesito chiaro, breve, dirimente. Dunque, 12 questioni e 12 quesiti.

    A questo punto Gallo ha inserito i 12 quesiti in un questionario con una risposta da scegliere tra 5 alternative possibili: molto d'accordo (5 punti), d'accordo (4), neutrale (3), in disaccordo (2), molto in disaccordo (1).

    Ha poi fatto compilare il questionario a rappresentanti autorevoli delle maggiori forze politiche italiane. In alcuni casi, in uno sforzo di semplificazione, ha ipotizzato la nascita di nuove formazioni politiche attraverso l'aggregazione di forze tra esse molto omogenee. Quando per ragioni pratiche non è stato possibile ottenere la compilazione autentica, Gallo li ha compilati sotto la propria responsabilità con l'aiuto * quesito per quesito * degli stessi 12 intellettuali studiosi che l'avevano assistito nella formulazione delle questioni e dei quesiti. Per far ciò nel modo più scrupoloso, ha anche attinto ai più recenti documenti (programmi e/o manifesti) pubblicati dagli stessi partiti.

    Ha così rivolto l'attenzione a: Alleanza nazionale, Lega Nord, Forza Italia, Partito Repubblicano Italiano, Centro cattolico (Udc + Udeur), Partito democratico, Radicali + tutti i Socialisti, Liberaldemocratici, Cosa rossa (Verdi + Prc + Pdci + Sinistra democratica).

    Gallo ha poi costruito una mappa del posizionamento delle forze politiche in termini di liberalismo. Per far ciò, ha tracciato un diagramma avente sull'asse orizzontale il punteggio totale delle risposte ai quesiti civili e politici. E sull'asse verticale il punteggio totale delle risposte ai quesiti economici, sociali e culturali.

    Per rappresentare correttamente l'importanza diversificata delle varie forze politiche, Gallo ha ricostruito il numero di deputati e di senatori di ciascuna di esse. Poiché per le elezioni del 2006 le liste non consentono di dedurre l'appartenenza degli eletti ai rispettivi partiti, poiché inoltre ora sono nati il Partito democratico e i Liberaldemocratici, poiché infine gli ipotizzati Centro cattolico e Cosa rossa avrebbero parlamentari oggi appartenenti a partiti diversi, Gallo con l'ausilio di funzionari di Camera e Senato ha scorporato e riaggregato numeri e percentuali giungendo alla seguente tabella: (clicca sotto)

    http://www.pri.it/Convegno%20Milano/Image6.gif

    A questo punto, è stato possibile realizzare il diagramma, esposto all'inizio di questa nota, nel quale ciascuna forza politica è rappresentata con un cerchio di raggio proporzionale alla rispettiva percentuale di deputati e senatori.

    Si tratta di una mappa molto ricca e suscettibile di interessantissime analisi politiche.

    * * *

    Vediamo ora in estrema sintesi i 12 pacchetti di questioni irrisolte e quesiti

    Aree civili e politiche

    1. Dispotismo della politica

    1.1 Questione

    In Italia nel corso degli anni la politica ha sempre più invaso gli spazi della società, è venuto meno il principio di separazione tra amministrazione e politica, i poteri costituzionali e quello giudiziario sono stati pressati da una maggioranza * sia essa di centro-sinistra o di centro-destra * che si comporta come se fosse tale per sempre, le risorse collettive sono state espropriate in nome di una pletora di interessi pubblici presunti o malintesi o, peggio, traditi nella gestione politica: basti pensare che i dualismi storici della società italiana (territoriali, generazionali), il cui superamento era obiettivo delle politiche riformiste, oggi sono addirittura ampliati. È forse troppo sostenere che in Italia, nel dopoguerra, si è andata instaurando una via italiana al dispotismo della politica?

    1.2 Quesito. Condividi che:

    Oggi in Italia il problema centrale sia il controllo politico asfissiante in ogni sfera della vita civile, economica, culturale e che il primo rimedio sia varare norme costituzionali che segnino i confini della legalità, separino rigidamente i poteri e consentano di ridurre la fiscalità generale?

    2. Liberalismo politico

    2.1 Questioni

    In Italia, soprattutto nel novecento, la penetrazione di concezioni nazionaliste o socialiste ha marginalizzato la tradizione liberal-democratica, la quale è stata conosciuta solo grazie a movimenti illuminati minoritari. Si sono avute conseguenze negative sullo stesso ordine legale e sulla progressiva restrizione dell'autonomia dei singoli. Gli individui invece vanno rispettati nei loro diritti inviolabili e non già considerati quali semplici componenti di un organismo più vasto: la collettività. Le visioni che subordinano le libertà dei singoli ad ogni (vero o presunto che sia) "interesse generale" sono in quanto tali del tutto incompatibili con un ordine di giustizia, così come è illegittimo ritenere che gli individui esistano solo quali membri di comunità e loro componenti.

    2.2 Quesiti

    2.2.1 Condividi che le istituzioni statali non possono invadere gli spazi di autonomia della società civile e delle sue articolazioni: famiglia, associazioni, comunità?

    2.2.2 Condividi che gli apparati pubblici possono operare solo in funzione sussidiaria, intervenendo a sostegno di tali realtà soltanto quando esse non appaiano in grado di affrontare autonomamente i problemi che sono chiamate a risolvere?

    3. Giustizia

    3.1 Questione

    Tra le tante, quella a monte di tutte è che in Italia la magistratura è organizzata in correnti, in ciò riproducendo la configurazione dell'assemblea legislativa. Il potere giudiziario, pertanto, importa da quello legislativo i presupposti per un'inevitabile ideologizzazione e politicizzazione. Il principio liberale della separazione tra i poteri dello Stato è così violato. Le conseguenze inevitabili sono: rapporti conflittuali; inquinamento da contrapposizione di rappresentanza politica; carriera dei magistrati non per merito, ma per appartenenza a correnti; demotivazione dei magistrati migliori; i magistrati entrano in politica, poi tornano, inevitabilmente condizionati. Il CSM, organo disciplinare di autogoverno, ha una maggioranza di membri togati. Questo è un cascame di "correntocrazia" e impedisce una reale vigilanza.

    3.2 Quesito. Ritieni giusto:

    Impedire che i magistrati si organizzino in correnti ed entrino in politica?

    4. Laicità: Stato * Religioni

    4.1 Questione

    Stato e Chiesa sono stati protagonisti di rapporti complessi e complicati nella storia d'Italia. La stessa revisione del Concordato, voluta e realizzata dall'allora presidente del Consiglio Craxi e dal cardinal Casaroli, non fu nitidamente liberaldemocratica, nel senso della necessaria separazione tra la sfera del cittadino e quella del credente. Eppure quel mondo, quei problemi, quegli interrogativi sembrano lontani.

    Oggi in Occidente la questione della laicità dello Stato, della libertà di fede, dello stesso ruolo pubblico delle religioni presenta aspetti nuovi e diversi. La legislazione sulle cittadinanze, sull'immigrazione, sulle minoranze è divenuta argomento di lotta politica pressoché quotidiana, non più soltanto oggetto di riflessione storica e costituzionale.

    4.2 Quesito. Ritieni che:

    Oggi in Italia la Costituzione, le leggi, le forze dell'ordine, la scuola debbano diffidare della retorica del multiculturalismo e operare invece perché sia credibile uno Stato laico, garante di libertà, ma attento alle esigenze di sicurezza e di integrazione delle minoranze nei propri valori occidentali?

    5. Squilibrio demografico mondiale

    5.1 Questione

    L'accrescimento della popolazione mondiale continua, insieme all'usura di risorse naturali, sia in società opulente, sia in quelle preindustriali e indigenti. Nel 1968 gli abitanti della Terra erano 3,5 miliardi, nel 2005 6,5 miliardi. Occorrono decisi passi verso un minimo sistema di equilibrio globale. Misure coercitive sulla natalità sarebbero però illiberali. Una società liberale si fa carico dei diritti fondamentali dei più deboli.

    5.2 Quesito

    Premesso che è giusto che gli Stati assistano in misura sostenibile i cittadini più deboli * sia i propri, sia quelli di nazioni in via di sviluppo * nei loro diritti fondamentali (istruzione, sanità), ritieni opportuno che le organizzazioni mondiali e le chiese religiose si adoperino affinché, con adeguati programmi anche scolastici, le popolazioni della Terra vengano educate alla responsabilità individuale e familiare del controllo delle nascite?

    6. Occidente e rapporti transatlantici

    6.1 Questione

    La via per la pace e il progresso dell'umanità passa attraverso l'allargamento di aree di libertà e di affermazione del diritto dei popoli. La scorciatoia del pacifismo si è dimostrata non efficace e forse è anche controproducente. La Nato è stata strumento di difesa dell'area di libertà dei paesi occidentali. Un cambiamento di leadership in Europa (in parte già avvenuto) e negli Stati Uniti potrebbe avere conseguenze molto importanti sul futuro delle relazioni transatlantiche.

    Quesito. Ritieni opportuno che:

    Nella gestione delle questioni globali la posizione dell'Unione Europea venga definita in sintonia con gli Stati Uniti?

    7. Libertà di espressione

    7.1 Questione

    Il pluralismo dei media è diretto a consentire la libertà di espressione e costituisce un principio comune a tutti i paesi liberaldemocratici. In Italia oggi il pluralismo dell'informazione è tutelato dall'intervento pubblico, in tre direzioni: misure di sostegno economico, fissazione di limiti alle quote di mercato, vincoli all'organizzazione distributiva. Il sostegno economico pubblico però diventa inevitabilmente pressione politica e contraddice lo stesso obiettivo di libertà di espressione. La Commissione europea sta svolgendo uno studio.

    Quesito. Condividi che:

    La piena libertà di espressione si misuri non solo con l'assenza di misure repressive per i reati di opinione, ma anche con l'esistenza di un sistema dell'informazione non sovvenzionato, né monopolizzato e realmente autonomo dal potere politico?

    Aree economiche, sociali e culturali

    8. Liberalismo economico

    8.1 Questioni

    8.1.1 Oggi il dibattito sulla globalizzazione è praticamente identico a quello degli anni settanta sul Capitalismo. Ugo La Malfa (1975) diceva: "il capitalismo costruisce società a benessere crescente ma diversifica troppo i redditi di popolazioni e gruppi sociali, aumenta il benessere di zone integrate e trascura le altre, non corregge squilibri di fondo, né del resto spetta ad esso di farlo". L'Italia perde competitività e pezzi di sistema economico. Tentazioni protezionistiche alimentano ad arte timori occupazionali. Invece l'ampliamento dell'offerta e l'abbassamento dei prezzi sarebbero fatti molto positivi. Anche l'Italia necessita di politiche correttive, non protezionistiche, per la piena liberazione delle energie imprenditoriali e lavorative esistenti.

    8.1.2 La liberalizzazione del mercato dei servizi a rete in Italia è incompiuta: nella telefonia mobile è alquanto avanzata; nella telefonia fissa è quasi ferma; nell'energia è aperto solo il mercato all'ingrosso elettrico, mentre nel gas lo è molto poco, nell'acqua la riforma del 1994 è stata attuata (e oggi persino ridiscussa) solo su una parte del territorio nazionale; nelle autostrade manca una seria regolazione, con la conseguenza che le società private concessionarie fanno profitti record; i servizi pubblici locali si sono modernizzati nelle regioni del Nord e del Centro (prima aziende, ora imprese pubbliche o miste, in corso di aggregazione), nelle regioni meridionali si fa ricorso ancora all'affidamento solo in house, non per gara. Mancano investimenti in infrastrutture. I monopoli non sono stati scalfiti. Si oscilla tra situazioni che presentano redditività eccessiva ad altre nelle quali i costi sono coperti con tassazione.

    8.2 Quesiti

    8.2.1 Condividi che per partecipare vincendo alla competizione mondiale occorra in Italia rifuggire da tentazioni protezionistiche e occorra adottare politiche di correzione dell'economia reale che concorrano a liberare le enormi energie imprenditoriali e lavorative esistenti?

    8.2.2. Condividi che l'unico interesse da tutelare sia quello degli utenti e non quello di chi ne ha il comando politico (pubblico), né degli azionisti (privati) di società di servizi, né dei lavoratori dipendenti, e che per far ciò il principio da far valere subito e ovunque sia quello della concorrenza per il mercato?

    9. Finanza pubblica

    9.1 Questione

    L'abnormità della spesa pubblica, del debito pubblico, il livello eccessivo di fiscalità generale sono il risultato di quanto avvenuto, per 60 anni, in termini di: controllo politico della sfera economica e sociale; invadenza delle Istituzioni statali negli spazi di autonomia della società civile e delle sue articolazioni; l'esproprio delle risorse collettive in nome diinteressi pubblici malintesi. Una riduzione della fiscalità non può essere rimessa ai tempi di un pieno riassorbimento del debito pubblico ma, se la si vuole misura drastica, essa resta possibile solo con un radicale ritiro della mano pubblica e un conseguente robusto taglio della spesa pubblica corrente.

    Quesito. Condividi che:

    Il livello di fiscalità generale debba diminuire in misura elevata e che ciò sia possibile non senza un ritiro della mano pubblica e un robusto taglio della spesa pubblica corrente?

    10. Ambiente e bioetica

    10.1 Questione

    Per i liberali, inclusi quelli cattolici, l'ambiente è un bene disponibile per l'Uomo, che ne porta la responsabilità di condivisione verso i suoi simili e verso le generazioni future (centralità responsabile dell'Uomo; superiorità ontologica su animali, ma rispettandoli senza farli soffrire) (Per gli ambientalisti verdi, l'ambiente è un bene non disponibile). L'Uomo è titolare del proprio corpo. È legittimo fare Ogm, ferma restando la responsabilità e le conseguenze da danni. Va garantita la libertà di ricerca senza interventi proibizionistici ispirati a ragioni ideologiche.

    10.2 Quesito. Condividi che:

    10.2.1 L'Ambiente è un bene disponibile per l'Uomo, che ha responsabilità verso suoi simili e generazioni future?

    10.2.2 È il malato e non il medico, né la società ad avere la piena titolarità del proprio corpo nella malattia, nella vecchiaia, nella fase finale della vita?

    11. Energia

    11. 1 Questioni

    Volenti o nolenti dovremo ridurre l'uso di combustibili fossili per la produzione dell'energia. Rimarrebbero solo la fonte nucleare e quella solare, con tutte le tecnologie disponibili per trasformarla: idroelettrica, eolica, solare diretta (FV, termoelettrico e termico), biomasse e biocarburanti. Oggi sono installati nel mondo reattori nucleari di II e di III generazione; sono in costruzione reattori di III generazione; per una disponibilità di reattori commerciali di IV generazione ci vogliono non meno di 20-30 anni. Per produrre l'energia equivalente a quella di un solo reattore nucleare (il cui investimento ammonta a 3 miliardi di €) è necessario un investimento in energia eolica almeno doppio (6 miliardi in 6000 turbine eoliche) e uno in energia fotovoltaica almeno di 20 volte (60 miliardi in pannelli).

    11.2 Quesiti. Condividi che:

    11.2.1 Si debba procedere anche in Italia, come già sta avvenendo nel resto del mondo industrializzato o in via di sviluppo, all'installazione di reattori nucleari di III generazione?

    11.2.2 Si debba rivedere criticamente la posizione, pur "politicamente corretta", nei confronti di tecnologie che sono un ostacolo alla produzione d'energia abbondante ed economica di cui il nostro Paese ha bisogno?

    12 Ricerca

    12.1 Questione

    Tra le conseguenze del '68 tra i parametri fondamentali dell'organizzazione del mondo scientifico è sparito il "merito", esistono ancora scorie di Ope legis, esami di gruppo, ventisette collettivo garantito, assemblearismo e pletoricità degli organi di governo, pauperismo e mentalità antiindustriale, sindacalizzazione e distacco dal mondo produttivo. Ripristinare il merito significa adeguarsi alle sfide della globalizzazione, alla necessità di competitività, all'impegno giovanile in termini di sviluppo scientifico e tecnologico.

    12.2 Quesiti. Condividi che:

    L'inserimento e l'affermazione di un giovane nel contesto della ricerca debbano dipendere da suoi meriti elevati e non dal tempo trascorso in condizioni di precariato? E l'assegnazione dei fondi di ricerca debba essere decisa non dalle istituzioni pubbliche con criteri politici, ma sulla base di meccanismi di valutazione del merito scientifico che ricalchino criteri obiettivi e prestabiliti?

    tratto da http://www.pri.it/Convegno%20Milano/...onfMilano1.htm

  7. #27
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    Competitività del Paese/Esigenza divenuta primaria
    Crescita: meno leggi, più controlli

    Intervento di Sergio Dompé, presidente Dompé Farmaceutici spa, durante la tavola rotonda di venerdì 26 ottobre 2007 al convegno "Valori liberali: quelli veri e quelli falsi", Circolo della Stampa", Milano.

    di Sergio Dompé

    Libertà e crescita: il valore dell'eccellenza

    Scriveva Albert Camus: "La libertà non è altro che la possibilità di essere migliori".

    Eccellere, rilanciare continuamente la propria capacità innovativa, essere competitivi assumono nell'attuale contesto una valenza più ampia rispetto al passato. Non più scelte individuali, ma veri e propri valori sociali, come chiave per la crescita economica, sociale, scientifica.

    La diffusione delle tecnologie e la globalizzazione hanno reso la concorrenza internazionale molto più intensa, con una forte variabilità dei risultati tra chi (Paesi, settori, aziende o territori) sa interpretare questo processo e chi ne rimane sorpreso e, spesso, sconfitto.

    L'evoluzione economica così è sempre più legata alle caratteristiche individuali e alla capacità di adattarsi alla mutata situazione ed essere competitivi sulla scena internazionale.

    Tuttavia una crescita legata a performance "di nicchia" ha due limiti: individuale, legato non tanto alla dimensione della stessa, ma alla difficoltà di continuare a perseguire la qualità necessaria a produrre vantaggio competitivo reale sostenibile; sociale, perché in un'economia di risultati "bipolari", la crescita resta bassa e genera comunque tensioni all'interno del Sistema socio-economico.

    Per questo lo sviluppo non può essere il semplice prodotto degli animal spirits individuali, ma richiede anche regole e scelte politiche, per rendere il nostro Paese competitivo e attraente, mettendo in rete le sue tante eccellenze "di nicchia", nel pubblico e nel privato, e aumentando le opportunità perché esse possano crescere e diventare sempre di più.

    Deve prevalere la cultura del merito e dell'eccellenza, per identificare i tanti Centri in cui il Paese sa distinguersi nel contesto internazionale, e su questi concentrare gli investimenti, rifiutando la logica della frammentazione delle (già scarse) risorse.

    Solo così l'Italia può puntare a generare valore, creando le risorse e la massa critica necessaria ad una crescita più ampia e diffusa.

    Libertà e burocrazia: meno leggi, più controlli

    Per puntare a una crescita più sostenuta l'Italia ha bisogno di un nuovo approccio culturale, ma non può prescindere da adeguate risorse per gli investimenti.

    Oggi la spesa pubblica italiana supera il 50% del PIL, mentre gli investimenti pubblici ammontano solo al 4% e il debito pubblico ci costringe ogni anno a destinare il 5% del PIL agli interessi passivi: quasi 10 volte quanto lo Stato spende per investimenti in R&S!

    La riduzione del debito pubblico è essenziale per aumentare le risorse pubbliche da destinare ai necessari investimenti materiali e immateriali. Un obiettivo che non può essere raggiunto con un aumento della pressione fiscale, ma agendo dal lato della spesa.

    Bisogna però essere consapevoli che gran parte della spesa pubblica non è comprimibile, perché già più bassa rispetto agli altri Paesi europei (ad esempio la spesa sanitaria pro capite è più bassa del 15%, addirittura del 30% quella per i farmaci), o lo sarà solo lentamente (come nel caso degli stipendi pubblici, della spesa per interessi o della Previdenza * per cui spendiamo invece il 10% in più che negli altri Paesi in termini pro capite).

    È così decisivo razionalizzare al più presto la Pubblica Amministrazione e ottimizzarne i servizi, togliendo un peso significativo che grava sulla competitività del Sistema.

    Ad esempio (fonte Ambrosetti - The European House): nel 2006 i costi amministrativi in Italia sono stati pari al 4,6% del PIL; gli imprenditori impiegano circa 90 giorni all'anno (il 42,5% del totale) per rispettare gli adempimenti amministrativi e le procedure burocratiche (che arrivano a costare anche il 10% del costo del lavoro); l'Italia è 82ma nella classifica della Banca Mondiale per quanto riguarda l'esistenza di un ambiente normativo ed amministrativo che facilita l'attività di impresa.

    Si aggiunga poi che la burocrazia in Italia costa più che in altri Paesi (5.564 euro in Italia, 4.115 in Germania, 5.182 nel Regno Unito, 3.427 in Spagna), una differenza che nasce non dal costo del personale ma da quello per il funzionamento della "macchina pubblica", il più alto nell'Unione europea (fonte Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre).

    "Riqualificare la spesa pubblica è un imperativo urgente e ineludibile per lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni", si trova scritto nel Libro Verde sulla spesa pubblica recentemente pubblicato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, che mostra come i risultati del settore pubblico in Italia per performance ed efficienza siano peggiori della media Europea.

    Con una significativa eccezione: il Servizio Sanitario Nazionale dove, pur esistendo complessivamente margini per significativi miglioramenti gestionali, l'Italia figura ai primi posti delle classifiche internazionali dell'OMS per rapporto qualità/prezzo/accessibilità.

    Un passaggio importante per rendere più efficiente la nostra PA sarebbe quello di avere metà delle leggi (e delle interpretazioni) e il doppio dei controlli, con un rapporto che, per ogni richiesta da parte delle imprese, domandi delle contropartite, totalmente verificabili a una data prestabilita, e un meccanismo che preveda premi o penalizzazioni a seconda dei risultati.

    Una logica simile a quella della Borsa, dove si viene puntualmente controllati e, per ogni sbaglio o scostamento da quanto promesso, si è puniti nella quotazione del titolo.

    Una maggiore qualità della risposta pubblica ai bisogni dei cittadini e degli imprenditori potrebbe anche essere un volano per la crescita.

    La Commissione Europea stima infatti che una Better Regulation e la riduzione degli oneri amministrativi del 25% entro il 2012 porterebbe un aumento del PIL dell'1,5%, risorse che, se investite in Ricerca e Sviluppo, ci consentirebbero di raggiungere l'obiettivo di Lisbona.

    Libertà e ruolo del cittadino: diritti e doveri per una crescita sostenibile

    Negli ultimi mesi si è molto parlato dei diritti del cittadino, ad esempio come consumatore o utente. Una riscoperta dell'individuo che presuppone un richiamo ai valori liberali.

    Ma il perseguimento degli interessi individuali della tradizione liberale è molto diverso da un freddo egoismo, perché trova due limiti: uno esterno (ad esempio nell'amministrazione della giustizia) e uno interno, nella "simpatia" per i propri simili * come la chiama Adam Smith - che fa sì che tra gli interessi personali, vi sia anche l'approvazione da parte loro.

    Questo ha un'implicazione nell'equilibrio fra i diritti di autonomia e ricerca dell'interesse particolare e i doveri di responsabilità nei propri comportamenti e della loro sostenibilità, quando si considerino tra i propri simili anche le generazioni future.

    A maggior ragione in Italia, dove i limiti di Sistema e le prospettive economiche e demografiche pongono problemi strutturali di gestione razionale di risorse limitate.

    La Sanità ne è un esempio tra i più significativi. A fronte delle sfide demografiche è necessario un patto tra Governo, Regioni e tutte le parti interessate per l'appropriatezza delle prestazioni e la responsabilizzazione nei comportamenti di tutti, per evitare, come in questi anni, che una parte, troppo spesso le imprese, sia chiamata illegittimamente a sostenere il ripiano, oltre che delle proprie quote di sfondamento, anche di quelle altrui.

    A fine 2007 l'Italia avrà una spesa per medicinali ferma sui livelli del 2001, mentre le altre voci di spesa sanitaria saranno cresciute più del 40%.

    Una situazione incompatibile con lo sviluppo, nella quale la farmaceutica, pesando il 16% della spesa sanitaria pubblica, si è trovata a fare fronte al 50% dei tagli, con gravi effetti sull'occupazione del settore e le sue capacità di crescita.

    Una visione liberale deve invece saper trovare in modo pragmatico un equilibrio tra diversi obiettivi, ricercando percorsi di sviluppo sostenibile, che non compromettano la possibilità delle future generazioni di usufruire delle attuali risorse, comprese quelle industriali.

    Ad esempio, per la Sanità - la prima industria del Paese (1,5 milioni di addetti che generano l'11% del PIL) a cui la farmaceutica dà un apporto significativo * questo significa rispondere alla crescente domanda di Salute, alla necessità di governare responsabilmente la spesa, ma anche a quella di garantire condizioni che permettano la crescita innovativa delle imprese.

    Sono tre principi chiave che devono essere perseguiti congiuntamente, perché non c'è crescita sostenibile se anche solo uno di essi viene lasciato indietro.

    Altri esempi possono essere fatti rispetto al rapporto tra sviluppo e ambiente, domanda energetica, ammodernamento delle infrastrutture, gestione del ciclo dei rifiuti.

    Infine, un maggiore equilibrio tra diritti e doveri è fondamentale per adottare un approccio più condiviso, sistematico e meno "emergenziale" per la soluzione dei problemi strutturali.

    Se è infatti necessario imboccare da subito la strada giusta, lo è altrettanto essere consapevoli che i molti nodi del Sistema Paese non saranno sciolti da nessun singolo provvedimento, ma solo dalla costanza e dalla coerenza dei comportanti ("il prezzo della libertà è una continua vigilanza", come sosteneva Karl Popper).

    tratto da http://www.pri.it/Convegno%20Milano/DompeMilano.htm

  8. #28
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    Necessità di un nuovo soggetto/Sull'esempio europeo
    Serve il dialogo tra famiglie illustri

    Sintesi dell'intervento del segretario nazionale del P.L.I. Stefano De Luca durante la tavola rotonda di venerdì 26 ottobre 2007 al convegno "Valori liberali: quelli veri e quelli falsi", Circolo della Stampa", Milano.

    di Stefano De Luca

    Il tema scelto per il seminario, "Valori liberali: quelli veri e quelli falsi", mi pare molto appropriato. Infatti, mentre le nostre idee appaiono vincenti e mentre i partiti liberali in Europa e nel mondo riscuotono successi, ultimo dei quali è quello del Partito Liberale polacco, in Italia proliferano soggetti politici che, in relazione alle convenienze del momento, si definiscono liberali, ma non lo sono. Esiste, invece, un largo elettorato alla ricerca di un soggetto autonomamente liberale. Il PLI, che nel '94 aveva deciso di sciogliersi, dopo alcuni anni ha deciso di ricostituirsi quale presidio storico culturale politico e morale della più antica tradizione liberale italiana, quella che va da Cavour a Croce, da Amendola a Malagodi, da Gobetti a Valitutti, da Giolitti a Martino.

    Questa presenza ha dato fastidio perché ha reso visibile che il presunto liberalismo da mercatino rionale (o da supermarket) nulla aveva a che vedere con la secolare tradizione della cultura del liberalismo politico, come si è realizzato soprattutto nel paesi anglosassoni.

    Più volte i due maggiori partiti della tradizione liberal-democratica italiana, il PLI e il PRI, hanno cercato la via di un dialogo che portasse al superamento di alcune divergenze divenute anacronistiche.

    Tali tentativi non hanno avuto successo, probabilmente anche a causa della scarsa fortuna elettorale che hanno avuto le liste presentate in comune.

    L'Italia di oggi impone un rinnovato sforzo per realizzare l'unità delle forze veramente liberali per contrastare un sentimento diffuso di repulsione della politica, che finirebbe con il favorire scorciatoie illiberali ed autoritarie.

    Già da alcuni mesi il PLI e il PRI lavorano intorno al progetto di una Federazione liberale-democratica. Nel solco di un simile progetto il Congresso del PLI ha dato mandato alla nuova dirigenza di ricercare le condizioni per costituire un nuovo soggetto politico, rappresentativo di tutta l'area culturale liberale, in grado di presentarsi autonomamente alle elezioni e di superare la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale. Infatti senza una forza autonoma, eletta con le proprie liste e con il proprio simbolo, sarà impossibile far sentire la nostra voce e qualificarla come l'unica alternativa alla antipolitica dilagante.

    Abbiamo partecipato in questi mesi a tutte le iniziative che si muovono in tale direzione, registrando la difficoltà di superare l'individualismo a volte pernicioso dei liberali e cogliendo, invece, le opportunità che emergono di fronte alla necessità di dare risposte concrete e politicamente corrette ai problemi della società italiana.

    Daniele Capezzone ne ha agitati alcuni, sui quali il mondo liberale è riuscito a ritrovarsi tutto. Infatti tra di noi non esistono divergenze sulla necessità di ridurre la pressione fiscale, difendere la proprietà privata, garantire la concorrenza, sostenere il merito e quindi, con la riforma della scuola e dell'Università, privilegiare il sapere e non il diploma.

    Analogamente condividiamo la necessità di restituire al cittadino la sovranità, che in gran parte gli è stata espropriata, insieme alla urgenza di liberarlo dalla oppressione di una burocrazia costosa e arrogante, che finisce con l'essere soltanto fonte di spreco di denaro pubblico e di limitazione di libertà del cittadino nella intrapresa economica.

    Ci ritroviamo unanimemente nel pretendere che il nostro Paese difenda, senza incertezze, la propria collocazione occidentale e recuperi il ruolo perduto in Europa.

    Concordiamo sulla necessità di porre fine allo scontro ormai insostenibile tra politica e magistratura restituendo al mondo politico la credibilità e l'autorevolezza al fine di riportare l'ordine giudiziario nel proprio alveo, ma, allo stesso tempo, garantendone la piena autonomia e indipendenza.

    Dobbiamo, nel prossimo futuro, ripensare intensamente alla necessità di rivedere il nostro Welfare, per eliminare alcune insostenibili rendite di posizioni clientelari e per combattere la povertà, crescente in modo preoccupante, soprattutto nell'ambito delle giovani generazioni. Dobbiamo inoltre riprendere la nostra antica battaglia per la laicità dello Stato, per restituire al cittadino, ormai trasformato in suddito, i diritti che troppi anni di catto-comunismo strisciante gli hanno tolto. Infine ci compete elaborare un progetto di ambientalismo liberale, non punitivo, ma in grado di integrarsi con lo sviluppo e di diventare opportunità per nuove occupazioni.

    Da questo Seminario di Milano e dal Convegno che il Partito Liberale Italiano ha indetto nei giorni 9, 10 e 11 novembre a Fiuggi, proprio con il tema "Verso un unico soggetto dei liberali", dovrà uscire il documento dei principi liberali e il progetto per una nuova forza politica, che non sia soltanto la somma di PLI-PRI (o di quel che rimane di questi antichi e gloriosi partiti). Dovremo saper coinvolgere anche gli amici di Capezzone e tutti coloro, e sono molti, anche se attualmente senza partito, che sono alla ricerca di una casa dei liberali, intesa innanzitutto come servizio al Paese, dopo il buio quindicennio del "bipolarismo all'italiana" per inaugurare una nuova stagione protesa verso la modernizzazione.

    tratto da http://www.pri.it/Convegno%20Milano/DeLucaMilano.htm

  9. #29
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    "Valori liberali: quelli veri e quelli falsi"
    Tavola rotonda introduttiva

    Introduzione di Franco Debenedetti

    Questa tavola rotonda e i contributi degli illustri partecipanti, hanno lo scopo di introdurre le discussioni che si svolgeranno nelle 4 sessioni parallele di domani. Queste prenderanno in esame 4 settori della vita pubblica per ciascuno dei quali verranno analizzati, immagino, casi in cui i principi liberali sono stati seguiti e casi in cui sono stati traditi. Per arrivare domenica alla consegna delle medaglie, è il caso di dirlo, al valore.

    Non è quindi questo il nostro compito, e lo dico con vero senso di sollievo. Noi oggi dobbiamo creare lo scenario, evitando di rivelare trama e finale, dire che è l'assassino. Noi per fortuna non diamo voti. Il nostro ruolo è animare, magari anche con provocazioni, le discussioni di domani, offrendo, se possibile, qualche suggerimento metodologico che serva ad inquadrarle.

    Dato che è più facile, inizio con la provocazione, chiedendo: "liberale" è un aggettivo o un sostantivo?

    Provo a spiegarmi con un esempio. Quando diciamo che la "riforma" Bersani che ha annullato il costo della ricarica dei telefonini ad ogni evidenza non è una riforma liberale, "liberale" è chiaramente un aggettivo.

    Che cosa succede quando invece ci chiediamo se Bersani è un liberale? usiamo il termine come aggettivo, cioè ci chiediamo se Bersani è dotato di cultura liberale, oppure come sostantivo, cioè ci chiediamo se Bersani è un liberale che fa politica?

    Generalizzando: sono liberali-sostantivo solo quelli che esplicitamente si identificano con il pensiero e la tradizione liberale, come Zanone nel PD, Capezzone nei radicali, Della Vedova nella CdL, tanti tra i Repubblicani? O sono liberali-aggettivo anche quanti, e sono molti di più, provenendo da storie e con appartenenze diverse, usano categorie liberali nella loro analisi e iniziative politiche?

    Ancora: le riforme liberali (aggettivo) sono con un po' di ottimismo, di sinistra, ma dov'è l'irriducibile ottimista che oserebbe affermare che i liberali (sostantivo) sono tutti di sinistra?

    E quindi mi fermo e prego anche gli illustri panelisti di fermarsi essi pure, di evitare che questo diventi un dibattito sulla legge elettorale e sulle coalizioni. Pronto al limite a usare i poteri del moderatore: non sarebbe carino verso i partecipanti ai futuri lavori.

    Usiamo allora categorie più asettiche e scientifiche, prese a prestito dalla teoria dei giochi. Diciamo che i giochi politici ammettono equilibri multipli: dati certi profili di preferenza dei cittadini, più di una alternativa è accettabile dalla società. Questa indeterminatezza è il prezzo inevitabile che si deve pagare se non si vogliono sistemi dittatoriali. Scegliere tra equilibri multipli è il problema sociale fondamentale, perché da questa scelta dipende il benessere delle persone: e la scelta dipende da come si coordinano tra loro i partecipanti al gioco.

    Secondo Adam Smith, un gruppo ottiene il massimo risultato quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé stesso: "il risultato migliore si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé". John Nash formula un risultato più completo: "il risultato migliore si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo, secondo la teoria delle dinamiche dominanti".

    L'insuccesso nel trovare un accordo sulle regole e sul leader può produrre una situazione di anarchia, in cui tutti soffrono. Il tipo di equilibrio su cui i giocatori si coordinano, diciamo il leader che viene scelto, dipende dall'ambiente in cui sono vissuti, dalla cultura e tradizioni che hanno assorbito dalla cultura. Essi focalizzano l'attenzione dei giocatori su un tipo di equilibrio, li inducono ad attendersi che si verifichi, e quindi razionalmente a "giocarlo". Grazie a questo "focal-point effect" (il concetto impiegato da Thomas Shelling) i fattori culturali influenzano il comportamento razionale dei giocatori nelle scelte di istituzioni sociali quali i diritti di proprietà, la giustizia, l'autorità politica, le relazioni sociali e le reputazioni. Questa del "focal-point effect" é un'idea che ha le sue radici nel patrimonio culturale liberale. Hume diceva che l'opinione pubblica potrebbe essere il solo metro di misura in questioni di morale, perché la base fondamentale della morale sociale è che la gente ha bisogno di coordinarsi; e che il fondamento del potere politico generalmente dipende non da un precedente consenso della popolazione – e cioé da un contratto sociale alla Hobbes - ma solo da un comune riconoscimento.

    Cosa c'entra tutto questo con il convengo di oggi? C'entra nel trovare i criteri per giudicare il "valore" di un'attività politica. Un modo è il confronto con una platonica idea del liberismo. Un altro modo è in relazione alla capacità di produrre assetti liberali nella società, di far sì che il gioco produca un equilibrio di un certo tipo anzichè di un altro: e, per quello che abbiamo accennato, questo si ottiene se la cultura liberale, i temi liberali hanno un "focal-point effect" sui partecipanti al gioco politico. Da un lato c'è il problema di come i politici liberali-sostantivo agiscono e si organizzano nella vita politica. Dall'altro lato c'è il problema di come fare perché i valori liberali-aggettivo innervino il patrimonio culturale dei partecipanti al gioco politico, e inneschino quell'effetto di focalizzazione che fa scegliere un equilibrio piuttosto che un altro. Per dirla in modo ancora più esplicito: da un lato c'è il tema della visibilità politica dei liberali-sostantivo; dall'altro quello della invisibilità della cultura liberale-aggettivo.

    Che relazione c'è tra i due? L'organizzazione e la collocazione dei liberali-sostantivo influiscono e no, e in che senso sull'effetto di focalizzazione su valori liberali-aggettivo? Queste sono le domande che propongo ai partecipanti alla tavola rotonda.

    tratto da http://www.pri.it/Convegno%20Milano/...ettiMilano.htm

  10. #30
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    Una prospettiva per i liberaldemocratici/Nucara: "E' necessario un salto culturale"
    Sfida guardando al futuro nella storica tradizione del Pri

    Riproduciamo la relazione scritta del segretario nazionale del Pri presentata al convegno milanese "Valori liberali: quelli veri e quelli falsi", Circolo della Stampa, 28 ottobre 2007.

    di Francesco Nucara

    Nel cercare di trarre le conclusioni dei tre giorni di lavoro del nostro convegno, desidero innanzitutto rivolgere un ringraziamento a tutti gli autorevoli esponenti del mondo scientifico, culturale, imprenditoriale, professionale e politico che hanno portato il loro contributo di idee e di proposte nel nostro dibattito, aiutandoci a definire una posizione "liberale" sui grandi temi aperti della società italiana. Mi sarebbe difficile ricordare tutti, ma non posso non sottolineare l'impegno di Franco Debenedetti che ci ha accompagnato lungo tutto il percorso di questa conferenza.

    Desidero inoltre dare atto del suo appassionato sforzo all'amico Riccardo Gallo, che ha coordinato i lavori per la definizione del "Manifesto liberale", un primo e determinante passo sulla strada verso la Costituente liberal-democratica europea che in questa iniziativa abbiamo voluto indicare. Inoltre è giusto ricordare l'impegno profuso dagli amici milanesi: De Angelis, Del Pennino ed Arosio, ma soprattutto desidero ringraziare il Vice – Segretario Camerucci.

    Un obiettivo ambizioso: quello di superare la frammentazione che in questi cinquant'anni di vita democratica hanno conosciuto le forze della democrazia laica e riformatrice, che ha trovato un primo momento con il patto federativo sottoscritto dal PRI e dal PLI nella scorsa primavera.

    Quando il richiamo ai valori liberali è ormai diffuso tra quasi tutti i partiti, non possiamo non affermare con orgoglio che quella che Giorgio Amendola definì con una certa supponenza la "cultura dei vinti" si sia dimostrata, alla luce della storia, essere, invece, la "cultura vincente".

    Se le forze liberaldemocratiche in Italia sono rimaste asfittiche lo dobbiamo alla cultura dominante di due forze illiberali: i clericali ed i comunisti.

    Ancora oggi i clericali sono variamente sparsi nei due schieramenti e abbiamo due partiti comunisti doc che hanno come riferimento Fidel Castro. E' anche vero che i cattolici sono cosa ben diversa dai clericali. Come la storia ci ha insegnato ci sono cattolici come Gallarati Scotti che sanno anche essere laici.

    "Andiamo avanti senza mostrare paura ma soprattutto senza averne". Il futuro non può che darci ragione e non importa se saremo noi o le prossime generazioni a raccoglierne i frutti.

    E le indicazioni e le proposte della "cultura storicamente vincente" si rivelano sempre più come quelle che meglio possono offrire una soluzione complessiva dei problemi di governo di una società industriale avanzata come quella italiana.

    Tradizione ed innovazione: sta in questo binomio il senso più profondo della lunga transizione italiana. Abbiamo bisogno della nostra storia per ricordarci da dove veniamo. Ma non possiamo rimanere prigionieri di un passato che le grandi trasformazioni del mondo contemporaneo hanno consegnato al ricordo delle generazioni più anziane. La sfida, di fronte alla quale si trovano tutte le culture politiche, è quella di non perdere la propria identità, ma al tempo stesso di rinnovarne le forme ed i contenuti. Capita in Italia, dove le principali forze politiche hanno dovuto cambiare nomi, formule organizzative, simboli e punti di riferimento programmatico. Capita in Europa, dove il cambiamento è stato ancora più profondo, al punto da determinare la nascita di nuovi paesi, all'indomani del crollo del muro di Berlino e della storica sconfitta del dispotismo sovietico.

    Fenomeni di questa portata, dove il termine storico rischia d'essere riduttivo, non potevano non coinvolgere anche il più antico partito della storia italiana. Ecco allora che questo nostro convegno ha un valore fondativo. Marca un passaggio. Si sviluppa su un tronco antico, quello della tradizione repubblicana, per approdare verso quel nuovo mondo che, per molti versi, deve essere ancora pienamente compreso ed analizzato. Si tratta di fenomeni nuovi ed ancora non del tutto esplorati. Si pensi a quanto sta accadendo nella riorganizzazione dei mercati finanziari, dove la pur grande esperienza delle banche centrali fa fatica a dominare il presente. Oppure ai mutati equilibri planetari: l'emergere di nuove potenze, come la Cina o l'India, che rischia di ridimensionare il peso ed il ruolo di tutto l'Occidente. Mentre i venti di guerra ne lambiscono i confini.

    Occorre un grande salto culturale, capace di fornire nuove chiavi di lettura. Un rinnovato impegno nella ricerca delle soluzioni possibili, senza smarrire il senso di una più antica tradizione. E non per rimanere attaccati alla propria identità, ma perché in quella storia vi sono ancora gli strumenti che consentono, se correttamente utilizzati, di trovare le risposte giuste ai problemi del momento. E' un'operazione difficile. Ma queste difficoltà non hanno mai spaventato i repubblicani. Ne hanno, al contrario, sollecitato l'orgoglio ed il gusto per la sfida. Se così non fosse stato, non vi sarebbe stata quella tenace, per quanto solitaria battaglia, che portò all'apertura degli scambi, nell'immediato dopoguerra, in un momento così difficile e drammatico. Quando la maggioranza delle forze politiche e sociali italiane sembrava ancora tentata dalle lusinghe del protezionismo e dell'isolazionismo. Oggi tutti riconoscono che quelle scelte mutarono nel profondo le prospettive di sviluppo di un Paese distrutto dalla guerra, abbandonato dalle sue vecchie classi dirigenti, lasciato alla mercé degli eserciti stranieri. Un Paese vinto, ma non domo. Pronto a risorgere non appena un nuova classe dirigente ebbe la forza di indicargli la strada da seguire.

    Perché – come ci ha insegnato Ugo La Malfa – dobbiamo imparare qualcosa anche da Gramsci, che ha ricordato che "le idee sono grandi in quanto sono attribuibili, cioè in quanto rendono chiaro un rapporto reale che è immanente nella situazione (…) I grandi progettisti parolai sono tali appunto perché della ‘grande idea' lanciata non sanno vedere i vincoli con la realtà concreta, non sanno stabilire il progetto reale di attuazione. Lo statista di classe intuisce simultaneamente l'idea e il processo reale di attuazione: compila il progetto e insieme il "regolamento" per l'esecuzione".

    Fu un miracolo: non solo economico. Un popolo che rialzava la testa, che si rimboccava le maniche e con il sacrificio di milioni di cittadini riconquistava un posto tra le grandi democrazie occidentali, conquistando l'ammirazione di chi credeva, all'estero, che tutto fosse perduto. Un miracolo, appunto. Ma non uno scherzo del destino. Perché dietro quelle scelte c'erano valori antichi, in grado di fecondare il presente, per quanto drammatica fosse la situazione della Nazione.

    Allora l'innovazione politica e culturale ebbe un ruolo decisivo. Fu il motore che accese le speranze e l'impegno massiccio per riconquistare le posizioni perdute. I repubblicani fecero la loro parte nel progettare questo nuovo percorso. Furono in grado di esercitare questo ruolo perché seppero interpretare le pulsioni più profonde di una borghesia consapevole di sé e delle proprie contraddizioni. Sì: delle proprie contraddizioni. I repubblicani, infatti, non sono mai stati liberisti puri. Non lo sono stati e non lo saranno certo ora. I Repubblicani seppero in quel momento storico essere contemporaneamente, nel passato, nel presente e nel futuro.

    Non hanno mai creduto nelle facoltà salvifiche del mercato, che resta uno strumento potente, ma che non può essere abbandonato a se stesso. Un mercato non regolato, non fecondato dalla presenza attiva di uno Stato in grado di regolarlo nelle forme nuove imposte dal dinamismo dei processi storici, è destinato, inevitabilmente, a generare fenomeni di entropia. Di disordine strutturato, come mostra appunto la crisi dei mercati finanziari, alla quale ho fatto cenno poc'anzi. Non è quindi questa la prospettiva. Il problema di fondo è quello di governare le contraddizioni di una società complessa, come quella che è di fronte ai nostri occhi. Sciogliere i nodi relativi, con gradualità e razionalità. Senza avere la supponenza utopistica di eliminare queste contraddizioni dall'orizzonte temporale del presente. Chi ha tentato questa strada, come nell'esperienza del socialismo reale, non solo è stato sconfitto, ma quella sconfitta ha determinato un costo tremendo per il genere umano, tingendo di sangue e di sofferenze il secolo che ci siamo lasciati alle spalle.

    Viviamo in una realtà contraddittoria, nella quale dobbiamo continuare a muoverci. Ma come? Le categorie del semplice liberismo non bastono più. L'approdo – questa è almeno l'indicazione del nostro convegno – non può che essere diverso. Il liberalismo al quale pensiamo è quello liberal-democratico. Dove il termine democratico riflette, in larga misura, l'esperienza e le novità culturali della migliore tradizione anglo-sassone.

    Ossia il tentativo di coniugare la difesa strenua dei diritti individuali di libertà con un'esigenza di partecipazione collettiva, tentativo che riflette uno dei postulati della società moderna. Libertà e partecipazione, diritti e doveri, aiuto ai più deboli e responsabilità personale, merito e bisogno, modernizzazione e recupero dei valori più antichi. Sono questi i binomi del lessico democratico, che fa germogliare il vecchio albero del liberalesimo. E' questo l'ambiente culturale che fa da sfondo a quel mondo borghese che ha ormai risolto in radice le vecchie contrapposizioni di classe, generando, tuttavia, nuove contraddizioni, nuovi bisogni e nuove povertà.

    Fatti individuali e determinanti di carattere sociale: tra questi due elementi non ci sarà contraddizione, se una buona politica sarà in grado di armonizzarne i profili. Un occhio attento alle condizioni del singolo, l'altro ai processi di sviluppo più complessivo. Vi è complementarietà tra questi due elementi. Lo sviluppo economico crea opportunità per il singolo, la presenza del quale è, tuttavia, indispensabile per realizzare gli obiettivi di carattere nazionale. Una presenza, si badi bene, che deve essere fattiva. Ricordando le parole di Alcide De Gasperi, occorre chiedersi cosa può fare lo Stato per il singolo cittadino. Ma anche domandarsi cosa può fare quest' ultimo per lo Stato. Coniugando i due termini del problema, sarà possibile raggiungere quella sintesi, che non risolve alla radice le contraddizioni della modernità, ma ne sposta in avanti i relativi equilibri.

    Si tratta di un processo non solo italiano, anzi: in Europa il suo sviluppo è ancora più avanzato. Lì i liberal-democratici sono una forza reale. Non sono forse ancora in grado di competere apertamente con le culture dominanti, quelle di matrice cattolica e socialista; tuttavia nell'organizzazione della Comunità occupano uno spazio destinato a crescere. Basti pensare a quello che accade nei paesi che si sono liberati da poco dal giogo comunista. Le difficoltà, naturalmente, non mancano, ma sono di natura diversa. Cristiani e socialisti, in Europa, sono più avanti nella loro contaminazione culturale con le idee ed i principi del liberalesimo. Si pensi solo ai laburisti di Tony Blair o ai cristiani di Angela Merkel. A differenza dell'Italia, il rispetto dei principi di libertà individuale e delle forme della democrazia, in quelle formazioni, è stato, storicamente, l'elemento di rottura che li ha caratterizzati rispetto all'ortodossia pansovietica.

    In Italia è diverso. Nell'attuale maggioranza vi sono ampie formazioni politiche che ancora si richiamano al comunismo. Altre che non hanno avuto il coraggio di una revisione critica reale. Cattolici, d'osservanza dossettiana, più attenti ai problemi del sociale che non a quelli delle libertà e delle responsabilità. Qui la contaminazione è fallita contro il muro di una rigidità ideologica, seppure a volte camuffata, che ha preservato vecchi valori e modi d'essere di quella tradizione. Lo spazio per far vivere valori autentici della tradizione liberale e democratica, in quei contenitori, è quindi più angusto. Minoranze illuminate che non pesano e non incidono.

    Dobbiamo sfondare quei muri. Per farlo è necessario che le forze liberal-democratiche escano allo scoperto. Si qualifichino come formazioni autonome per combattere dall'esterno e non dall'interno le forme di sopraffazione, morbide se si vuole, ma estremamente resistenti. L'Europa in questa sfida, come già avvenne nell'immediato dopoguerra, può aiutarci. Può rappresentare una sponda, nella costruzione di quella realtà sopranazionale che non può limitarsi solo all'economia ed alla finanza. Queste sono le ragioni, di carattere più generale, per le quali i rapporti con queste realtà dovranno divenire più intensi. Le ragioni per cui, con questo convegno, vogliamo aprire una fase nuova nella storia della politica italiana.

    Malessere

    Sappiamo di non essere soli. La presenza di esponenti dell'attuale maggioranza, a questo nostro convegno, lo dimostra. Abbiamo ascoltato i loro ragionamenti. Abbiamo colto i segni del loro malessere. Non così diversi, del resto, dai nostri. I valori che ci uniscono sono, in larga parte, comuni. Così come il desiderio di uscire dalle secche dell'attuale sistema politico. La nostra esortazione è quella ad andare avanti. Sia nel centrodestra che nel centrosinistra è necessario lottare per abbattere muri e steccati. Per far sì che quelle idee camminino sempre di più con le gambe degli uomini, in un accresciuto consenso. Da parte nostra faremo tutto il possibile per accelerare le necessarie convergenze, per sostenere un progetto ambizioso che sedimenti un comune sentire.

    Non siamo frettolosi, ma pazienti. Rispettiamo i tempi della politica e delle reciproche convinzioni. Non chiediamo ad alcuno scelte di schieramento, ma solo di non rinunciare alla lotta per l'affermazione delle proprie idee. Sulla cui difesa dobbiamo dimostrare determinazione ed intransigenza. Il resto verrà, quando i tempi saranno maturi. Quando nelle coscienze sarà cresciuta la voglia non solo "del dire", ma anche "del fare". Siamo fiduciosi. Abbiamo aspettato tanto, ma alla fine il muro dell'ideologia illiberale è crollato: tanto a destra, quanto a sinistra. Non aspetteremo altrettanto. I tempi si sono accorciati. La globalizzazione spinge verso fenomeni di omologazione. I comunisti italiani possono ancora resistere, sognando Fidel Castro, ma è un incubo inconsapevole destinato a sciogliersi alle prime luci del giorno.

    Andiamo, quindi, avanti sulla strada che questo convegno ha tracciato. Abbiamo dedicato quattro sessioni dei nostri lavori all'approfondimento dei temi che devono caratterizzare una piattaforma programmatica originale, per definire le linee di un manifesto liberale che non pretende di essere esaustivo, ma di rappresentare una base su cui cercare di costruire un impegno comune.

    Forze laiche

    Non vi è chi non colga, in proposito, come certe acquisizioni dei nostri valori da parte delle maggiori forze politiche siano il frutto dello stimolo critico, delle puntuali e serrate polemiche svolte in tutti questi anni da parte delle forze di ispirazione laica. Ma, malgrado le trasformazioni intervenute, nelle forze che fanno parte dei due grandi schieramenti che contrassegnano la vita politica italiana permane un tipo di approccio ai problemi complessivi del Paese in cui non è preminente la preoccupazione di interpretare gli "interessi generali", ma piuttosto la tendenza a concepire gli strumenti di governo come mezzi attraverso i quali aggregare il consenso.

    La risposta ad interessi settoriali, di categoria o puramente localistici, come strada attraverso la quale organizzare la raccolta delle adesioni elettorali resta un difetto assai diffuso.

    Dicendo questo, non voglio equiparare – come spiegherò, a breve – i due schieramenti che si contrappongono nella vita politica italiana, ma sottolineare l'esigenza di un maggior ruolo e di una più incisiva presenza delle forze che della tradizione repubblicana, liberale e radicale sono eredi ed interpreti.

    Ma per ciò – ecco il senso del nostro odierno convegno – è necessaria una ricomposizione della diaspora laica. Nella consapevolezza che solo il recupero di un'unità tra le diverse forze, che dialetticamente ed anche con collocazioni politiche contrapposte, hanno rappresentato le articolazioni attraverso le quali si è sviluppata la presenza liberal-democratica nella vita politica e nella storia del Paese, e la riconduzione ad un loro momento di sintesi, possono offrire la piattaforma per il loro rilancio e la loro capacità di influire sulle scelte delle forze egemoni dei due schieramenti.

    E non a caso abbiamo collocato l'obiettivo della Costituente liberal-democratica in una prospettiva europea. E lo abbiamo fatto richiamandoci all'ELDR.

    Negli altri Paesi europei esiste, infatti, un'articolazione politica tripolare (o quadripolare) in cui una forte componente liberal-democratica esercita ruolo ed influenza, accanto ai due grandi schieramenti, a quello conservatore, ex democristiano, oggi ribattezzato "popolare", e a quello social-democratico; e vi è poi, in alcune Nazioni, una componente di sinistra alternativa. Ognuno con una sua precisa fisionomia. E le composizioni delle maggioranze e dei Governi sono il frutto degli accordi tra queste forze nella loro autonomia.

    In Italia, invece, l'improvvisato bipolarismo, imposto da un sistema elettorale maggioritario, calato in un contesto di forze politiche non omogenee tra loro, ha imposto alle forze liberal-democratiche di trovare benevola accoglienza in uno dei due schieramenti senza possibilità di esercitare alcuna reale influenza sugli stessi, se non quella di sollecitare le componenti "liberal" dei maggiori partiti (Forza Italia da un lato, l'Ulivo, oggi Partito Democratico, dall'altro). Questo ha determinato diverse scelte di collocazione dei liberal-democratici.

    Voci inascoltate

    Non a caso venerdì hanno parlato qui esponenti politici del centro-destra, altri del centro-sinistra, con accenti eguali, ma le cui voci restano spesso - o addirittura quasi sempre - inascoltate negli schieramenti di appartenenza.

    Collocare la ricomposizione nella prospettiva europea non significa solo scegliere un terreno su cui abbiamo forti riferimenti esterni, ma cogliere l'occasione offerta da una legge elettorale rigorosamente proporzionale per trovare un punto comune di riferimento in cui l'autonomia di tutti i liberal-democratici si può affermare prescindendo dalla contingente appartenenza odierna ad uno dei due schieramenti nazionali.

    Certo mentirei a me stesso prima che a voi se non dicessi che questa prova deve essere solo il punto di partenza per una più stretta intesa anche sul piano politico italiano.

    Ma credo non si possa pensare di gettare il cuore oltre l'ostacolo, se prima non si è misurata l'altezza dell'ostacolo.

    E sul piano nazionale di ostacoli ne esistono almeno due. Il primo è la legge elettorale, il secondo la nostra capacità di aggregare consenso. Sulla legge elettorale devo ribadire una mia radicata convinzione. La valutazione di un sistema elettorale non può rapportarsi al fatto che esso sia in grado o meno di realizzare una democrazia dell'alternanza, quanto piuttosto alle sue capacità di garantire sia un'effettiva governabilità sia la possibilità di espressione delle diverse realtà culturali e sociali presenti nel Paese.

    Una legge elettorale come la nostra, che costringe all'inseguimento del voto marginale ed impone quindi coalizioni eterogenee, che poi non sono in grado di assicurare una reale capacità di governare, ma dànno vita solo a maggioranze rissose incapaci di guidare lo sviluppo economico e sociale del Paese, non serve.

    Legge elettorale

    Oggi molto si parla della necessità di realizzare un bipolarismo "flessibile" rispetto all'attuale realtà di un bipolarismo "rigido". Da questo punto di vista credo che non si possa eludere il problema della legge elettorale. Non so quanto durerà questa legislatura e se sarà essa ad affrontare l'argomento. Ma questo è un tema che non può sfuggire alla nostra comune riflessione.

    E se l'orientamento prevalente fosse quello di mantenere il premio di maggioranza per la coalizione vincente, dovremo batterci perché non venga stabilita alcuna forma di sbarramento. E ciò non solo per consentire un diritto di tribuna alle diverse espressioni politiche e sociali che sono radicate nella realtà italiana, ma anche perché, una volta garantita la cosiddetta, ripeto, cosiddetta, governabilità col premio di maggioranza, non ha senso imporre la scelta dell'esclusione della rappresentanza parlamentare, a chi del premio di maggioranza non voglia usufruire, ma desideri mantenere la propria individualità.

    Ma al di là del problema rappresentato dalla legge elettorale vi è il discorso della nostra capacità di aggregare un consenso che vada al di là delle tradizionali appartenenze di partito e dal richiamo ai meriti del passato. Questi ultimi sono assai importanti. Ma non basta dire: noi l'avevamo detto.

    Occorre dire quello che faremo, cosa proponiamo, quale prospettiva indichiamo per la società italiana e soprattutto per le giovani generazioni. Non voglio entrare nei dettagli, ma mi preme sottolineare almeno alcuni punti.

    Se il problema di fondo dell'economia italiana è rappresentato dal peso del debito pubblico accumulatosi in questi anni e dalla continua crescita della pressione fiscale che grava sulle imprese non meno che sui bilanci delle famiglie, è indispensabile una vera politica di tagli della spesa pubblica corrente, incidendo sulle grandi voci degli esborsi per il personale, delle prestazioni sociali e dei trasferimenti agli enti locali.

    Solo operando su queste voci in modo non marginale sarà possibile rimettere ordine nei nostri conti pubblici e rendere possibile una concreta riduzione della pressione fiscale.

    Ma per questo è necessario non piegarsi alle rivendicazioni settoriali e localistiche e respingere richieste che, nel nome del "sociale", compromettono ogni sforzo di risanamento.

    Occorre saper resistere alle richieste provenienti dal settore del pubblico impiego anche se lo stesso rappresenta un consistente bacino elettorale.

    Occorre – a differenza di quanto ha fatto l'attuale governo – prendere atto che, con l'aumento delle aspettative di vita, non è pensabile che il nostro sistema previdenziale regga senza un consistente aumento dell'età pensionabile, come è avvenuto o sta avvenendo negli altri Paesi europei.

    Occorre abbandonare la retorica pseudo-federalista e prendere atto che oggi le amministrazioni periferiche sono libere nella spesa, ma non sono responsabili nel reperimento delle risorse che dovrebbero finanziarla.

    Questo provoca sperperi e sprechi. Alimenta le clientele e non migliora i servizi resi ai cittadini.

    Oltre a ciò nel sistema dei poteri locali perdura la sovrapposizione di diversi sistemi di governo, con moltiplicazione della spesa per il ceto politico.

    Bisogna in questo settore avere il coraggio di voltare decisamente pagina, da un lato con la realizzazione di un vero federalismo fiscale che responsabilizzi le amministrazioni regionali e locali, riducendo al minimo i trasferimenti erariali, dall'altro con una rigorosa semplificazione dei livelli di governo locale.

    A questo proposito l'amico Del Pennino ha presentato due emendamenti alla legge finanziaria al Senato per l'abolizione delle Comunità montane e dei Consigli di circoscrizione nei Comuni con popolazione inferiore a 300.000 abitanti. Ritengo, per parte mia, di dover presentare al più presto alla Camera, e sono certo che gli amici Capezzone e Della Vedova converranno, una proposta di legge costituzionale per l'abolizione delle Province.

    Rigore

    Mi rendo conto che muoversi in queste direzioni può voler dire andare in controtendenza, determinare le reazioni di quanti potranno ritenersi penalizzati, ma sono convinto che in un Paese maturo, qual è oggi il nostro, una piattaforma di rigore che rifiuti i compromessi e non indulga alle contingenti e contraddittorie pressioni, se adeguatamente illustrata, può incontrare quei consensi di cui abbiamo bisogno per dare vita a una grande forza liberal-democratica.

    Il problema centrale dell'economia nazionale resta, in ogni caso, quello della crescita e dello sviluppo. Questo obiettivo deve divenire la priorità assoluta della politica economica e dell'impegno collettivo.

    Nelle mutate condizioni dell'economia mondiale, si fa sviluppo solo se tutti gli attori – dalle Istituzioni alle forze sociali – finalizzano a questo i loro sforzi principali. Lo Stato, come abbiamo già detto, deve comprimere la spesa corrente per ridurre la pressione fiscale e realizzare i necessari investimenti nelle indispensabili infrastrutture. Non è un obiettivo impossibile.

    I contribuenti italiani hanno versato al fisco più del richiesto e del dovuto. La delusione è stata quella di vedere che a questi sforzi ha corrisposto solo un aumento della spesa corrente e di quella improduttiva.

    In questa prospettiva voglio fare un accenno ad altri due argomenti che sono stati affrontati nelle sessioni tematiche di sabato: quelli relativi alla libertà di ricerca e alle questioni istituzionali, con particolare riferimento ai costi della politica.

    Il tema della libertà della ricerca è particolarmente caro a chi rappresenta, come noi, le istanze laiche e respinge ogni tentativo di porre limiti alla ricerca scientifica, in nome di scelte ideologiche.

    Ciò non vuol dire ignorare i rapporti tra etica e scienza. Significa semplicemente che non si deve avere paura della scienza e delle scoperte scientifiche e invocare in modo distorto il principio di precauzione per imporre un limite a ricerche che sono finalizzate al bene dell'umanità. Per questo ci siamo battuti contro la legge 40 sulla procreazione assistita, per questo difendiamo la ricerca sugli OGM contro la quale si è creato un curioso fronte che va da Alemanno a Pecoraro Scanio (ecco un esempio delle contraddizioni presenti sia nel centro-destra che nel centro-sinistra), per questo abbiamo difeso e difendiamo l'utilizzo dell'energia nucleare.

    Rifiutiamo il fondamentalismo verde, ma siamo altrettanto se non più preoccupati dalle pressioni vaticane.

    Per tale motivo mi auguro siano prive di fondamento le notizie di stampa delle scorse settimane che descrivono l'amico Presidente Berlusconi attento a studiare i documenti di Oltre-Tevere (che riguardavano la sentenza del giudice di Cagliari che ha consentito ad una coppia sarda di fare la diagnosi preimpianto e quella della Cassazione sul caso Englaro) al fine di sollevare, attraverso una delibera del Senato, un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta per queste due sentenze.

    Costi della politica

    Non ci uniamo al "crucifige" di quanti, con atteggiamenti guitteschi, o con "scoop" giornalistici, tendono a delegittimare l'intero sistema politico.

    Non sappiamo, infatti, cosa c'è dietro l'angolo di queste campagne, che troppo ricordano gli attacchi al "parlamentarismo imbelle" ante '22.

    Né ci dimentichiamo gli eccessi di "Mani Pulite": non a caso oggi Di Pietro cavalca la tigre dell'antipolitica.

    Ma sappiamo che molto va cambiato nel nostro sistema politico, ma con raziocinio e senza furore. Cominciando, come ricordavo prima, da una semplificazione del sistema dei poteri locali. Modificando, ma in modo non improvvisato, come avviene nel testo approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera, il nostro bicameralismo perfetto.

    Riducendo il numero dei parlamentari e dei componenti del Governo. Stabilendo una rigorosa differenziazione tra le competenze del potere politico e quelle degli organi burocratici e amministrativi.

    Riducendo l'intervento pubblico nell'economia, incominciando da una vera liberalizzazione dei servizi pubblici locali attraverso il ricorso generalizzato a procedure competitive ad evidenza pubblica.

    Modificando la composizione del CSM per battere le tendenze presenti nella magistratura a chiudersi in una logica corporativa.

    Per finire con una regolamentazione giuridica dei partiti, con una consistente riduzione del finanziamento pubblico e con l'incentivazione delle forme di finanziamento volontario.

    Ecco amici, queste sono le prime indicazioni per definire una piattaforma di incontro, tra le disperse forze liberal-democratiche, che ritengo di dover trarre da queste nostre giornate di dibattito.

    So che siamo solo all'inizio, che è un percorso che dovrà essere completato e arricchito, ma credo che sia questo l'inizio opportuno.

    Mi sottrarrei però al mio compito se ritenessi sufficiente indicare l'obiettivo delle elezioni europee e la prospettiva futura di avere un'autonoma forza liberal-democratica nel nostro Paese e non mi soffermassi sulle più vicine scadenze cui possiamo essere chiamati.

    La condizione del Governo e della maggioranza è infatti pre-comatosa e diversi fattori lasciano credere che il Paese potrà essere chiamato alle urne per il rinnovo delle Camere prima della scadenza europea.

    E, se così fosse, alle urne andremmo con questa legge elettorale che impone di necessità una scelta di schieramento.

    Ora so – vi ho accennato anche prima – che, se un'opzione di schieramento deve essere fatta, non esiste tra quanti hanno partecipato ai nostri lavori un comune sentire.

    Creeremo le premesse per il nostro futuro specifico ruolo, al di là dell'attuale bipolarismo ingessato.

    Voglio chiudere citando queste parole di Adolfo Omodeo pronunciate in un discorso del 1944 : "Il liberalismo che pareva spegnersi vent'anni fa, contro cui Mussolini ed i suoi servi lanciavano sprezzanti ingiurie, risorge battagliero, con un'animazione che si genera dalla sua coscienza religiosa… Ha conseguito un dinamismo nuovo perché nella trasformazione, già accennata, la fede del Cavour si è arricchita di fermenti Mazziniani… Il motivo cavouriano del progresso e delle riforme è venuto a coincidere con l'anelito missionario del Mazzini. Il quale irrideva la libertà quietistica, la formula ‘libertà per chi la possiede' e propendeva per quella forma missionaria, che noi possiamo definire della ‘libertà liberatrice. Noi abbiamo appreso con durissime esperienze che la libertà si mantiene solo espandendosi, ampliando la cerchia dei liberi, combattendo una lotta perenne contro tutte le servitù".

    Libertà liberatrice dai bisogni, nell'economia, nella laicità individuale e collettiva, nella scienza, nella scuola, nella politica, dal Vaticano. Libertà liberatrice dell'anima repubblicana. Cento anni per la Repubblica, molto meno per l'Europa. Sempre protagonisti dei percorsi della storia.

    tratto da http://www.pri.it/Convegno%20Milano/...elazMilano.htm

 

 
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