Visualizza Risultati Sondaggio: La miglior battaglia della Storia. La più gloriosa

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  • Battaglia di Trafalgar

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  • Battaglia di Teutoburgo

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  • Battaglia di Gaugamela

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  • Battaglia di Balaklava

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  • Battaglia delle Termopili

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  • Battaglia di Berlino

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  • Battaglia di Stalingrado

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  • Battaglia dell'Idaspe

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  • Battaglia di Gettysburg

    1 1.52%
  • Battaglia di Gerusalemme

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  • Battaglia di Maratona

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  • Battaglia di Lepanto

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  • Battaglia di Costantinopoli

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  • Battaglia di Austerlitz

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  • Battaglia di Caporetto

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  • Battaglia di Vienna

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  • Battaglia di Goito

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  • Altre

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Risultati da 91 a 100 di 119
  1. #91
    WHY SO SERIOUS?
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    ASCOLI PICENO. CERTI UOMINI NON CERCANO QUALCOSA DI LOGICO, COME I SOLDI. NON SI POSSONO NE' COMPRARE NE' DOMINARE. NON CI SI RAGIONA E NON CI SI TRATTA. CERTI UOMINI VOGLIONO SOLO VEDER BRUCIARE IL MONDO.
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    Predefinito Battaglia di Trafalga

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    Siamo ovunque
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    Regniamo sui fiumi di porpora.

  2. #92
    WHY SO SERIOUS?
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    ASCOLI PICENO. CERTI UOMINI NON CERCANO QUALCOSA DI LOGICO, COME I SOLDI. NON SI POSSONO NE' COMPRARE NE' DOMINARE. NON CI SI RAGIONA E NON CI SI TRATTA. CERTI UOMINI VOGLIONO SOLO VEDER BRUCIARE IL MONDO.
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    Predefinito Battaglia di Trafalgar

    Data: 21 OTTOBRE 1805
    Luogo: CAPO DI TRAFALGAR (Sulle coste occidentale della Spagna, nell'Atlantico).
    Eserciti contro: INGLESE e FRANCESE-SPAGNOLO
    Contesto: GUERRE NAPOLEONICHE
    Protagonisti:
    ORAZIO NELSON (Ammiraglio, comandante della flotta inglese)
    CUTHBERT COLLINGWOOD (Ammiraglio inglese)
    PIERRE-CHARLES VILLENEUVE (Ammiraglio, comandante della flotta francese)
    DUMANOIR-LEPELLEY (Ammiraglio francese)
    DON VICENTE BALTHAZAR CISNEROS (Ammiraglio spagnolo)
    MAGON (Ammiraglio spagnolo)



    LA BATTAGLIA.

    Il 21 ottobre 1805 a Trafalgar si combatte la partita decisiva sul mare tra Inghilterra e Francia.

    Tutto ha inizio quando Napoleone Bonaparte decide di invadere l'Inghilterra. Dopo aver ammassato le sue truppe a Boulogne, nel nord della Francia, per poi trasbordarle sul suolo inglese, il suo piano prevedeva l'annientamento della flotta inglese, sicuramente superiore a quella francese. E Napoleone era consapevole di tutto ciò. Infatti, il piano d'invasione non potè mai essere messo in atto, in quanto la flotta francese, ancorata a Cadice, non era riuscita a forzare il blocco inglese, e il suo ammiraglio, Villeneuve, era indeciso sul da farsi. Fu proprio l'Imperatore dei francesi ad ordinargli di prendere il mare, di passare per Gibilterra ed entrare nel Mediterraneo e sbarcare gli uomini, destinati in precedenza a Boulogne, in Italia.

    Questi ordini perentori provocano nell'ammiraglio Villenueve una tremenda confusione e, sapendo anche di essere stato sostituito al comando della flotta, decide, il 20 ottobre 1805, di uscire da Cadice e di dare battaglia.

    L'ammiraglio Nelson, comandante della flotta inglese, non aspetta altro. Sono mesi che sta rincorrendo la flotta francese per distruggerla e confermare la potenza dell'Inghilterra sui mari.

    Il piano che Nelson aveva preparato per lo scontro consisteva nella più importante rivoluzione strategica e tattica mai avvenuta fino a quel momento nella guerra sui mari. Fino a quel momento le battaglie navali si erano sempre combattute tra due squadre che si affrontavano su due linee parallele, sparandosi addosso quando si incrociavano. La novità di Nelson consisteva nel dividere la sua squadra in due file avanzanti affiancate e parallele, per poi colpire perpendicolarmente la formazione nemica.

    Se tutto andrà come Nelson ha previsto, la battaglia dovrebbe aver luogo presso il Capo di Trafalgar, sulle coste occidentali della Spagna, nell'Atlantico, fra Cadice e Gibilterra. E così è.

    Il 21 ottobre del 1805 le due flotte arrivano a portata di vista. La flotta di Francia naviga con l'avanguardia al comando dell'ammiraglio Dumanoir-Lepelley, seguono le navi spagnole di Cisneros e quindi quelle di Villeneuve, con in testa la nave ammiraglia "Bucentaure". Contro di esse puntano le due formazioni inglesi: una al comando di Nelson sulla "Victory" e l'altra agli ordini del vice ammiraglio Collingwood.

    La flotta inglese è inferiore a quella del nemico: ventisette vascelli, quattro fregate e due corvette, con un totale di circa diciassettemila uomini; Villeneuve, invece, ha trentatrè vascelli, cinque fregate e due corvette, per un totale di venticinquemila uomini.

    La battaglia di Trafalgar si svolse proprio come aveva previsto Orazio Nelson. Collingwood, poco prima di mezzogiorno, è il primo a piombare nello schieramento nemico, puntando direttamente addosso al vascello spagnolo "Santa Anna" e colpendo così il fianco del nemico, scompaginandolo.

    La squadra di Nelson arriva circa un'ora dopo, e si precipita sull'ammiraglia nemica, riuscendo ad isolarla. Di colpo la flotta franco-spagnola si trova divisa in tre tronconi. A questo punto lo scontro di Trafalgar aveva già il suo vincitore. Ma un gravissimo pericolo corse proprio l'ammiraglia inglese "Victory", quando si vide venire addosso la nave francese "Redoutable" decisa a speronarla, ma un'eccellente virata di Nelson impedì al vascello nemico lo speronamento.

    La battaglia proseguiva con scontri accaniti. La maggior parte dei comandanti francesi e spagnoli erano stati uccisi e lo stesso Villeneuve si arrese al nemico consegnandosi alla fregata britannica "Conqueror". Nel giro di poche ore egli aveva assistito alla tragica conclusione della sua carriera e aveva subito l'onta di una sconfitta di proporzioni incalcolabili.

    Alle 16 e 40 del 21 ottobre 1805 la battaglia era finita. Le perdite franco-spagnole furono di settemila uomini, tra morti e feriti; quelle inglesi di quattrocento morti e milleduecento feriti.

    Tra i morti cera lui, Orazio Nelson, il quale non è vissuto abbastanza per assistere al suo trionfo.

    Appena giunto sul luogo del combattimento, verso l'una e trenta, l'ammiraglio inglese veniva colpito, da un tiratore scelto francese che era a bordo della "Redoutable", da un colpo solo alla spalla che gli perforò il polmone. Riuscì a resistere agonizzante fino alla fine della battaglia, poi spirò.

    Trafalgar rimane la più grande battaglia navale della storia della vela, la più gloriosa nella storia dell'Inghilterra. Nelson era morto appagato. Lo scopo della sua vita era stato raggiunto.

    Ecco come George Trevelyan scrive di Orazio Nelson nel libro "Storia d'Inghilterra":

    "...Pitt...aiutò a scovare Nelson, uno dei più giovani ammiragli in ruolo; e insistette perché proprio lui fosse mandato a riconquistare il controllo del Mediterraneo, che per più di un anno era stato un lago francese. Il risultato fu la battaglia del Nilo. La battaglia del Nilo (1° agosto 1798) fu infatti uno degli avvenimenti fondamentali di tutta quanta la guerra. Ridiede vita alla potenza navale inglese nel momento in cui pareva stesse vacillando, e proprio da quella zona in cui era stata espulsa; e Trafalgar coronò di gloria una campagna ormai conclusa e una vita che aveva pienamente realizzata l'opera sua"

    Noi siamo i padroni.
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  3. #93
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    Predefinito Battaglia di Austerlitz

    Data: 2 DICEMBRE 1805
    Luogo: AUSTERLITZ (Località della Moravia)
    Eserciti contro: FRANCESE E AUSTRO-RUSSO
    Contesto: GUERRE NAPOLEONICHE
    Protagonisti:
    NAPOLEONE BONAPARTE (Imperatore dei francesi)
    FRANCESCO I (Imperatore d'Austria)
    ALESSANDRO I (Zar di Russia)
    GIOACCHINO MURAT (Maresciallo francese)
    LOUIS-NICOLAS DAVOUT (Maresciallo francese)
    JEAN-BAPTISTE BERNADOTTE (Maresciallo francese)
    NICOLAS-JEAN SOULT (Maresciallo francese)
    MICHEL NEY (Maresciallo francese)
    JEANNE LANNES (Maresciallo francese)
    CHARLES OUDINOT (Maresciallo francese)
    DOMINIQUE VANDAMME (Maresciallo francese)
    FRANZ VON WEYROTHER (Capo di Stato maggiore austriaco)
    MICHAIL KUTUZOV (Generale russo
    PETR BRAGATION (Generale russo)
    DOCTOROV (Generale russo)



    LA BATTAGLIA.

    La battaglia di Austerlitz comincia da lontano, quando a Boulogne, sulle rive della Manica, Napoleone capisce che l'invasione dell'Inghilterra è impossibile e quindi bisogna trasferire le truppe nel cuore dell'Europa, perché nel frattempo, il 9 agosto 1805, si era costituita contro di lui la Terza Coalizione, formata da Inghilterra, Svezia, Austria e Russia.

    Cè realmente il rischio che gli Alleati, riuscendo a mettere insieme un elevato numero di uomini, riescano ad isolare Napoleone al Nord e marciare sull'Italia, su Parigi, sull'Hannover, sulla Baviera.

    Per quanto riguarda l'Austria, lo spostamento delle proprie truppe è il seguente: l'arciduca Carlo, fratello dell'imperatore, punta su Mantova e Peschiera, con novantamila uomini, per poi arrivare a Milano; l'arciduca Giovanni, anch'egli fratello di Francesco I, avanza nel Tirolo con ventitremila uomini; l'arciduca Ferdinando con il Capo di Stato Maggiore di Vienna, feldmaresciallo Karl Mack, sta per entrare in Baviera con sessantamila uomini. Per i russi, invece, si sa che il generale Kutuzov è in marcia per raggiungere Monaco alla testa di trentacinquemila uomini.

    Questa enorme massa di soldati dovrebbe, alla fine, concentrarsi a Strasburgo, dove è in attesa l'imperatore d'Austria.

    Napoleone deve quindi prevenire la terribile minaccia e applicare la sua ormai classica manovra strategica, separando gli avversari e battendoli uno per volta. La Grande Armèe, a tappe forzate, si dirige sulla Baviera, dove il piano napoleonico prevede che il primo colpo deve essere portato contro l'arciduca Ferdinando e il feldmaresciallo Mack. Questi ultimi sono intrappolati a Ulma, con la Foresta Nera alle spalle, e Napoleone li ha circondati.

    Il 20 ottobre del 1805 il feldmaresciallo Mack si arrende senza quasi combattere, mentre l'arciduca Ferdinando riesce a fuggire in tempo con circa novemila uomini, i resti di un'armata sconfitta. Ora a Napoleone non resta che affrontare direttamente Francesco I d'Austria e Alessandro I di Russia, orfani della loro armata di Baviera.

    La battaglia di Austerlitz, che diventerà famosa come la battaglia dei "tre imperatori", sarà, per Napoleone, la vittoria più brillante e sfolgorante di tutta la sua epopea.

    Austerlitz è una località della Moravia, tra i fiumi Goldbach e Littawa, a pochi chilometri da Brno.

    Qui, il 2 dicembre 1805, i due eserciti si trovano l'uno di fronte all'altro. Gli Alleati sono schierati sulla destra del fiume Littawa, mentre i francesi sulla destra del fiume Goldbach. Nel mezzo si trovano le alture di Pratzen e Napoleone si è collocato di fronte all'altopiano, mentre gli austro-russi stanno dietro.

    Napoleone ha a disposizione circa settantamila uomini contro i novantamila alleati russi e austriaci. Lo schieramento dei due eserciti è il seguente. L'ala sinistra francese, a nord, è formata dalle truppe di Iannes e di Murat, e in un secondo tempo di Oudinot e di Bernadotte. Contro di loro si oppone l'ala destra alleata del principe Bragation. Il centro francese è affidato a Soult, con Saint-Hilaire e Vandamme divisionari: hanno di fronte Przbysewski, Langeron e Kollowrath. L'ala destra francese è al comando di Davout e di Legrand, contro i quali avanzeranno Buxhowden, Kienmayer e Doctorov. La riserva francese è affidata alla Guardia imperiale, comandata in un primo tempo da Oudinot, mentre la riserva alleata è affidata al Granduca Costantino e al principe Giovanni del Liechtenstein.

    Sono i russi a muoversi per primi, intorno alle sette di mattina, e procedendo su sette colonne riescono a cacciare i francesi da alcuni villaggi intorno ad Austerlitz. Ma è tutto quanto Napoleone concede loro. Infatti, egli scatena al centro l'attacco, lasciato sguarnito dagli alleati, e mentre Kutuzov tenta invano di prendere l'altopiano di Pratzen, eccolo aggredito furiosamente da Vandamme e da Saint-Hilaire. E' un corpo a corpo accanito e i soldati cadono a migliaia da ambedue le parti. Verso le nove la nebbia comincia a diradare e spunta il sole. Sarà il famoso "sole di Austerlitz", passato alla storia per le citazioni che Napoleone, d'ora in avanti, continuerà a fare.

    Nel frattempo il maresciallo Soult sta sfondando in direzione di Krzenowitz, Lannes e Murat attaccano a nord la debole ala destra alleata del principe Bragation. Murat con le sue cariche di cavalleria travolge ogni ostacolo e s'infila anch'egli al centro. Poco dopo l'una del pomeriggio l'ala destra e il centro degli Alleati sono oramai fuori causa. Quando Napoleone vede la fanteria russa, al comando di Doctorov, ripiegare sugli stagni di Monitz e sul lago Satschan, ordina alla propria artiglieria di sparare sulle lastre di ghiaccio da cui sono ricoperti, mentre le fanterie francesi inseguono il nemico in una ritirata che, a poco a poco, diventa fuga precipitosa.

    Moltissimi soldati austro-russi annegano nelle gelide acque del lago.

    Alle 3 del pomeriggio le forze francesi sferrano l'attacco finale alle truppe di Buxhowden, le quali vengono messe in fuga. A Nord Bragation lascia il proprio campo e si dà ad una fuga precipitosa.

    Alle 5 Napoleone Bonaparte ordina il cessate il fuoco. Siamo a dicembre e a quell'ora sta già scendendo il buio. In quelle condizioni non è possibile inseguire il nemico. Bisogna accontentarsi della grande vittoria.

    Si contano le perdite. Sono stati uccisi undicimila soldati russi e quattromila austriaci, dodicimila sono stati fatti prigionieri e 180 cannoni sono stati perduti. Da parte francese, milletrecento morti, settemila feriti, cinquecento prigionieri. Per gli Alleati una disastrosa sconfitta.

    Subito dopo la battaglia Napoleone pronuncia una delle sue frasi celebri che rimarrà nella storia: "Un giorno basterà dire Ero alla battaglia di Austerlitz perché si risponda Ecco un valoroso".

    Ecco come Leone Tolstoj descrive il preludio della battaglia di Austerlitz in "Guerra e pace":

    "...Alle cinque di mattina era ancora affatto buio. Le truppe del centro, della riserva e l'ala destra di Bragation stavano ancora immobili; ma sull'ala sinistra le colonne di fanteria, di cavalleria e di artiglieria, che dovevano per le prime scendere dalle alture per attaccare il fianco destro francese e respingerlo, secondo l'ordine di operazione, verso le montagne della Boemia, già si movevano e avevano cominciato ad alzarsi dai loro giacigli. Il fumo dei fuochi di bivacco, nei quali si gettava tutta la roba inutile, pungeva gli occhi. Era freddo e scuro. Gli ufficiali, in fretta, bevevano il tè e facevano colazione, i soldati masticavano biscotti, battevano ritmicamente i piedi per scaldarsi, e si affollavano intorno ai fuochi. Le guide austriache si aggiravano fra le truppe russe e con ciò davano il segnale dell'avanzata. Appena si mostrava un ufficiale austriaco presso l'alloggio di un comandante di reggimento, il reggimento cominciava a mettersi in moto: i soldati correvano via dai fuochi, nascondevano le pipe negli stivali, i sacchi sui carri, prendevano i fucili dai fasci e si mettevano in riga. Gli ufficiali si abbottonavano le uniformi, si mettevano le loro sciabole e tasche e giravano per le file gridando gli ordini".
    Noi siamo i padroni.
    Noi siamo gli schiavi.
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  4. #94
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    Predefinito Battaglia Moscova-Borodino-Beresina

    Data: 22 GIUGNO-16 DICEMBRE 1812
    Luogo: RUSSIA
    Eserciti contro: FRANCESE e RUSSO
    Contesto: GUERRE NAPOLEONICHE
    Protagonisti:
    NAPOLEONE BONAPARTE (Imperatore di Francia)
    ALESSANDRO I (Zar di Russia)
    LOUIS-ALEXANDRE BERTHIER (Capo di Stato Maggiore francese)
    GIOACCHINO MURAT (Comandante della cavalleria francese)
    JACQUES-ETIENNE MACDONALD (Maresciallo francese)
    LEFEBVRE (Maresciallo francese)
    MORTIER (Maresciallo francese)
    DAVOUT (Maresciallo francese)
    OUDINOT (Maresciallo francese)
    NEY (Maresciallo francese)
    EUGENIO DE BEAUHARNAIS (Vicerè dItalia)
    MICHAIL KUTUZOV (Comandante in capo delle forze russe)
    MICHAIL BOGDANOVIC barone BARCLAY DE TOLLY (Generale russo)
    PETR IVANOVIC BRAGATION (Generale russo)
    ALEKSANDR TOMASOV (Generale russo)

    LA CAMPAGNA.

    Quando nel 1812 Napoleone invade la Russia, nessuno al mondo, dai tempi di Carlomagno, ha mai avuto tanta potenza.

    Nel 1805 ad Austerlitz ha sbaragliato gli austro-russi, dopo aver distrutto ad Ulma l'armata austriaca di Mack, costringendo Vienna, col trattato di Presburgo, a cedergli il Veneto, il Tirolo, il Trentino, l'Istria e la Dalmazia. Nell'ottobre del 1806 il re di Prussia, Federico Guglielmo III, ha osato sfidarlo. Il 14 dello stesso mese Napoleone ha distrutto il suo esercito a Jena e ad Auerstadt; il 27 è entrato a Berlino, un mese dopo, il 28, a Varsavia.

    Gli restano i russi, che gli sono sfuggiti ad Austerlitz. Li sconfiggerà ad Eylau l8 febbraio del 1807 e a Friedland il 14 giugno dello stesso anno.

    Il 25 giugno 1807, su una zattera ancorata al centro del fiume Niemen, a Tilsit, Napoleone e lo zar di Russia si incontrano. La pace firmata il successivo 7 luglio sancisce per Napoleone una grande vittoria: la Russia aderirà al blocco continentale contro l'odiata Inghilterra, unica nazione a resistergli.

    Nel 1811 lo zar Alessandro I rompe l'alleanza con Napoleone, riaprendo le frontiere alle merci britanniche. Alla fine dello stesso anno nasce la Sesta Colazione antinapoleonica. Riunisce Russia, Inghilterra, Spagna e Portogallo. L'Austria, questa volta, è a fianco di Napoleone.

    Come sempre l'imperatore francese anticipa le mosse degli avversari.

    Il 22 giugno del 1812 Napoleone dichiara guerra alla Russia e raduna il suo esercito d'invasione in Polonia, sulle rive della Vistola. Oltre mezzo milione di uomini, un esercito mai visto prima nella storia, formato per metà da francesi e metà da alleati. Molti dei generali che comandano questi ultimi sono stati più volte in passato sconfitti da Napoleone.

    Verso la fine di giugno l'esercito napoleonico penetra in Russia e avanzando nell'immensa pianura non incontrano truppe russe ma solamente qualche contadino allibito o indifferente.

    L'armata procede, in quel deserto, col caldo soffocante, su due ali e un centro. Il capo di Stato Maggiore è il maresciallo Louis-Alexandre Berthier; comandante della cavalleria Gioacchino Murat, re di Napoli; comandante dell'artiglieria, il generale Lariboisiere. L'armata di sinistra è affidata al maresciallo MacDonald. Al centro l'armata principale con Napoleone e i veterani di Francia e la Guardia imperiale, e i marescialli Lefebvre, Mortier, Bessières, Davout, Oudinot, Ney. Al suo fianco l'armata d'Italia del vicerè Eugenio de Beauharnais. Infine, all'estrema destra, il corpo d'armata austriaco affidato al generale Schwarzenberg.

    Dall'altra parte, i russi sono divisi in tre armate. La prima è agli ordini del generale Bogdanovic; la seconda è comandata dal generale Bragation, uno degli sconfitti di Austerlitz, e la terza, di riserva, dipende dal conte Tomasov. Il comandante supremo dell'esercito russo, all'inizio delle ostilità, è il ministro della guerra Barclay de Tolly.

    Dopo circa due mesi di avanzata su un terreno che il nemico brucia e devasta prima di abbandonarlo, ecco che lo zar Alessandro, stanco di veder le sue truppe ritirarsi e non capendo che si tratta di una manovra strategica, il 20 agosto sostituisce Barclay de Tollay e pone al comando supremo dell'esercito il generale Kutuzov, già comandante delle forze russe ad Austerlitz. Ma quello che lo zar non immagina è che il nuovo capo supremo continuerà la strategia del suo predecessore, portandola fino alle estreme conseguenze.

    Intanto l'esercito di Napoleone continua l'avanzata senza incontrare resistenza. Per la campagna di Russia aveva previsto una durata di venti giorni, ma già comincia a rendersi conto che ne occorreranno molti di più.

    Il 13 agosto Napoleone passa il fiume Dniepr e viene a sapere che le armate di Barclay e di Bragation, circa duecentomila uomini in tutto, sono riuscite a riunirsi a Smolensk. Napoleone cerca di circondare la città e di prenderli in trappola, ma Bragation sfugge ancora una volta, mentre Barclay riesce a resistere per due giorni, il 17 e il 18 agosto, all'attacco del corpo davanguardia del maresciallo Ney. Quando i francesi entrano nella città, la trovano in fiamme e abbandonata dai russi. Non cè più niente. Napoleone aveva sperato di impossessarsi a Smolensk delle riserve dei russi, indispensabili per la sopravvivenza della Grande Armèe. Invece, nulla.

    Lasciata Smolensk, Napoleone si trova di fronte, il 7 settembre, nei pressi del villaggio di Borodino, sulle sponde del fiume Moscova, centoquarantamila russi con duecento cannoni al comando di Kutuzov. Napoleone ha con sé centotrentamila soldati e quattrocento cannoni.

    L'imperatore ha schierato le sue forze con il principe Eugenio all'ala sinistra, il maresciallo Davout alla destra, il maresciallo Ney al centro, la Guardia di Riserva. Murat comanda la cavalleria.

    Alle sei di mattina le artiglierie francesi aprono il fuoco ed immediatamente si scatena la lotta su un fronte lungo tre chilometri. Eugenio si impadronisce subito di Borodino, mentre Ney e Davout attaccano la formidabile difesa del centro russo, detta la "Grande Ridotta".

    I combattimenti sono cruenti e le perdite molto alte. Un primo successo francese è la conquista della posizione detta delle tre Frecce. Adesso bisogna prendere la Grande Ridotta. Inizia l'attacco il principe Eugenio, consapevole di dover vincere ad ogni costo. E' un massacro. Eugenio conquista la Grande Ridotta, poi la perde. Nel frattempo una delle divisioni del principe Eugenio cede e cè il rischio di un crollo dell'intero fronte francese.

    Ancora una volta è la cavalleria, nel pomeriggio, a risolvere la battaglia. Il suo comandante in capo, Murat, manda all'attacco i cavalleggeri ed espugna definitivamente la Grande Ridotta. Ora bisognerebbe completare la vittoria inseguendo il nemico e distruggerlo. Allora sì che lo zar Alessandro dovrebbe rassegnarsi a chiedere l'armistizio. Per far tutto questo Napoleone dovrebbe scatenare all'attacco la Guardia, ma egli tergiversa, non vuole precludersi la possibilità di lanciare forze fresche all'assalto di Mosca. Rifiuta l'impiego della Guardia e commette un grave errore, perché i russi riescono a ripiegare convinti, tutto sommato, di essere i vincitori. Ognuna delle due parti grida vittoria e Napoleone nomina Ney principe della Moscova e dall'altra parte lo zar crea Kutuzov maresciallo.

    Le perdite sono spaventose. I russi morti sono quarantacinquemila, i feriti ventimila. I francesi, diecimila morti e ventimila feriti

    Per i francesi è stata la battaglia della Moscova, per i russi la battaglia di Borodino.

    Il 14 settembre 1812 i francesi entrano a Mosca. Lo zar Alessandro ha accettato il parere di Kutuzov di non fermarsi a difenderla, di abbandonarla al nemico. Il governatore Rostopcin ordina di dar fuoco alla città. I francesi, investiti dall'immenso incendio, tentano di salvare il salvabile. Ma inutilmente. Mezza Mosca sarà devastata e ci vorranno quattro giorni prima che l'incendio venga domato. Le diserzioni e il malcontento tra le truppe di Napoleone cresce di giorno in giorno. L'imperatore, visto l'avvicinarsi del grande freddo, ordina la ritirata. Il 19 ottobre i francesi lasciano Mosca. Dei cinquecentomila uomini partiti, ora la Grande Armèe ne conta poco più di duecentomila.

    Napoleone ha lasciato di retroguardia il maresciallo Mortier con diecimila uomini, per proteggere la partenza dell'armata.

    La colonna francese in ritirata, un'immensa striscia di "spettri" punta verso sud su Kaluga, ma, improvvisamente, il 24 ottobre Kutuzov le sbarra la strada a Malojaroslavez. I russi sono superiori numericamente e il combattimento dura ben diciotto ore senza sosta. Il principe Eugenio, con la sua armata, riesce ad aprirsi la strada permettendo alla colonna, il 25 ottobre, di riprendere la marcia.

    Intanto Kutuzov continua nella sua azione di logoramento e il primo novembre attacca nuovamente Eugenio a Viasma e poi a Krasnoi. Nonostante che il principe si batta sempre bene, il ripiegamento in qualche caso diventa fuga. La marcia dei francesi in ritirata si è trasformata in tragedia, sconfitti, soprattutto, dal terribile inverno russo. Quando il 9 novembre Napoleone arriva a Smolensk il termometro segna dodici gradi sotto zero, e dieci giorni più tardi scenderà oltre i trenta. Nelle vicinanze della città cè Kutuzov, la sua ombra.

    Dopo Smolensk la Grande Armèe è ridotta a soli cinquantamila uomini efficienti. Napoleone arriva a Orsa il 19 novembre con Murat e Eugenio. Ora si dovrà varcare la Beresina, affluente di destra del Dniepr, sperando che il letto ghiacciato del fiume sopporti il peso delle truppe.

    Alle spalle dei francesi ci sono tre corpi d'armata russi, al comando di Kutuzov, che pedinano i francesi in ritirata e aspettano di distruggerli quando arriveranno al fiume e là rimarranno bloccati.

    Nel frattempo i francesi riescono a scoprire un guado e si apprestano ad attraversarlo. Ma bisogna resistere agli attacchi dei russi. Mentre le truppe dei marescialli Oudinot e Ney tengono a bada il nemico, il 26 novembre inizia l'attraversamento della Beresina. Tra una confusione enorme. Napoleone passa il fiume nel pomeriggio del 27 novembre, sotto i colpi delle artiglierie russe.

    Per l'intera giornata del 28 novembre continua il transito dei soldati, mentre il generale francese Victor li protegge combattendo eroicamente contro i cosacchi che assalgono i suoi uomini con micidiali cariche. Nella tarda mattinata del 29 novembre tutto è finito. I morti francesi sono circa ventimila, i russi hanno perduto diecimila uomini. I ventimila rimasti di un esercito di cinquecentomila uomini si dirigono verso Vilna.

    Il 5 dicembre Napoleone parte per Parigi e nomina Murat suo successore alla guida dei resti della Grande Armèe.

    Il 16 dicembre i resti dell'esercito francese passano il Niemen e sono in salvo in Polonia. I morti del colossale disastro superano i trecentomila, in cinque mesi di campagna.

    L'ultimo soldato di Francia a varcare il ponte sul Niemen è il maresciallo Ney, il più coraggioso, il più irriducibile dei marescialli.

    Così si conclude la campagna di Russia e così comincia la fine di Napoleone.

    Ecco come il conte de Rochechouart, che serviva nell'esercito russo, descrive le sofferenze sopportate dai due eserciti durante la terribile ritirata nel libro "Souvenirs" in "Napoleone Bonaparte":

    "...La notte tra il 28 e il 29 novembre fu spaventevole. Al nevischio che ci accecò per tutta la durata del combattimento, succedette, quasi senza transizione, un freddo di 18 gradi che andò via via aumentando fino alla nostra entrata a Vilna, dove il termometro di Rèaumur, cosa inaudita in quella stagione e anche in quel paese, giunse a 29 gradi...Noi seguivamo così da vicino l'esercito francese che i furieri del nostro quartier generale arrivavano al momento in cui l'ultima casa che aveva abitato l'imperatore Napoleone era abbandonata dai suoi i quali di mutuo accordo, per così dire, con i nostri furieri che non li inquietavano menomamente, li lasciavano prendere possesso della stessa casa, per stabilirvi il quartier generale russo. Dal primo dicembre in poi, non si parlò più di battersi, ma di marciare il più rapidamente possibile verso Vilna. Dapprima, il 30 novembre, mi trovai sul posto dove l'esercito francese aveva effettuato il passaggio della Beresina. Nulla al mondo avrebbe potuto essere più triste e più straziante. Si vedevano i cadaveri ammonticchiati di una folla diuomini, di donne, di bambini, di soldati di tutte le armi e di diverse nazioni, cavalli, calessi, cannoni, cassoni sfondati prima dall'artiglieria del corpo di Wittgenstein, di quello di Kutuzov, di quello di Platov e infine del nostro, che giacevano ancora lì, gelati, schiacciati dai fuggiaschi e finiti dalla mitraglia russa".
    Noi siamo i padroni.
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  5. #95
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    Predefinito Battaglia di Jena

    Denominazione: BATTAGLIA DI JENA e AUERSTADT
    Data: 14 OTTOBRE 1806
    Luogo: JENA (Città della Germania, nella Turingia orientale)
    Eserciti contro: FRANCESE e PRUSSIANO
    Contesto: GUERRE NAPOLEONICHE
    Protagonisti:
    NAPOLEONE BONAPARTE (Imperatore dei francesi)
    FEDERICO GUGLIELMO III (Re di Prussia)
    DUCA DI BRUNSWICK (Comandante in capo dell'esercito prussiano)
    Principe HOHENLOHE (Generale prussiano)
    ERNST von RUCHEL (Generale prussiano)
    DAVOUT (Maresciallo francese)
    MURAT (Maresciallo francese)
    SOULT (Maresciallo francese)
    AUGERAU (Maresciallo francese)

    LA BATTAGLIA.

    Nel 1806 l'esercito francese di stanza in Germania, dal Reno al Danubio, poteva contare su centosessantamila uomini, con il quartier generale situato a Monaco. Essi formavano sei corpi d'armata ed erano comandati, finchè non fosse tornato Napoleone, dal generale Louis-Alexandre Berthier, uno dei migliori ufficiali dell'esercito francese.

    Il 9 ottobre 1806 la Prussia, inconsapevole dell'arretratezza del suo esercito, dichiarava guerra alla Francia, potente e vittoriosa. Alla Prussia si affiancavano, come alleati, la Russia e l'Inghilterra: nasceva la Quarta Coalizione.

    A questo punto la Grande Armèe francese è già sul piede di guerra, e il concentramento è fissato a Magonza. Napoleone parte, alla volta di quella città, il 24 settembre, accompagnato dall'imperatrice Giuseppina e dal principe Talleyrand. Va a prendere il comando dell'esercito.

    I suoi primi ordini sono i seguenti: il corpo d'armata di Augerau raggiungerà Francoforte il 2 ottobre; quello di Bernadotte muoverà su Norimberga; quello di Ney si radunerà ad Ansbach; quello di Davout sarà a Bamberga il 3 ottobre; quello di Lefebvre a Kjonigshofen, l'artiglieria e i rifornimenti a Wurzburg. Il maresciallo Soult si troverà ad Amberg il 4 ottobre.

    Inizia così la campagna napoleonica in terra di Germania. La battaglia che tolse di scena la Prussia si combattè il 14 ottobre 1806, contemporaneamente a Jena e ad Auerstadt.
    Jena era una bella città della Turingia orientale, e a venti chilometri di distanza si trovava il villaggio di Auerstadt.

    La battaglia di Jena inizia alle 7 del mattino, quando i prussiani del generale Hohenlohe muovono dalla città verso Weimar, temendo un accerchiamento. Verso le nove, quando finalmente la fitta nebbia comincia a levarsi, Hohenlohe si accorge di essere attaccato non soltanto da Soult alla sua sinistra, ma anche da Ney e da Lannes al centro, e da Augerau sulla destra.

    Il comandante prussiano, vistosi in trappola, comincia a mandare messaggeri al generale Ruchel, invitandolo ad affrettarsi con le forze di riserva e a raggiungerlo sul campo di battaglia.

    Purtroppo Ruchel tardò e quando le sue avanguardie comparvero al limite della pianura, poco dopo l'una, Hohenlohe aveva già impartito l'ordine di ritirata e le sue truppe ripiegavano in disordine. E qui avvenne il peggio. Gli uomini di Ruchel, destinati a portare aiuto ai colleghi in combattimento, vennero coinvolti nella loro fuga. Una catastrofe.

    Le sorti della battaglia furono decise dall'intelligente impiego della cavalleria di Murat e dalla Guardia quando, nel primo pomeriggio, vennero lanciate a dare l'ultimo colpo al nemico.

    I prussiani lasciarono sul campo quindicimila tra morti e feriti, e altrettanti furono i prigionieri. Gli ufficiali e i soldati prussiani superstiti si diedero alla fuga in direzione di Weimar inseguiti dalla cavalleria francese che ne fece una strage.

    Alle 3 del pomeriggio a Jena si era già finito di combattere e l'armata di Hohenlohe, oltre a quella di Ruchel, caduto in battaglia, non esisteva più. I francesi avevano perduto solamente, tra morti e feriti, cinquemila uomini.

    Napoleone verso sera tornò nel suo accampamento e solo là seppe che cosa era accaduto ad Auerstadt, e si rese conto di non aver sconfitto il grosso dell'esercito nemico, ma solo il fianco delle forze prussiane, mentre era toccato al maresciallo Davout, al comando soltanto di ventiseimila soldati, sconfiggere il grosso dell'esercito prussiano di re Federico Guglielmo III ad Auerstadt.

    Davout, nonostante l'inferiorità numerica, attaccò per primo e subito, sotto i colpi dei francesi, cadde il comandante in capo prussiano Brunswick. Guglielmo avrebbe potuto prendere in mano il comando dell'esercito o sostituire il generale defunto, ma, titubante com'era, non fece né l'una né l'altra delle due cose, rendendo così esitante la manovra del suo esercito.

    Alle 10 del mattino, sempre del 14 ottobre 1806, i generali prussiani Schmettau e Wartensleben contrattaccano. Il primo viene subito travolto dal fuoco francese, rimanendo morto sul terreno, mentre Wartensleben, dopo un successo iniziale, viene affrontato personalmente da Davout e costretto a ritirarsi.

    Quando queste due divisioni furono sopraffatte e la destra prussiana completamente distrutta, Davout poteva considerare vinta la battaglia di Auerstadt, lo stesso giorno della vittoria di Napoleone a Jena.

    Il re prussiano Federico Guglielmo, ancora convinto di trovarsi di fronte Napoleone, ordina la ritirata. Le tre divisioni del maresciallo francese intrappolarono quanto restava dell'esercito prussiano e lo eliminarono.

    Alle 12 e 30, dell'armata reale prussiana non cera più che un gruppo di fuggiaschi.

    Ecco come Francois-Renè de Chateaubriand ricostruisce l'inizio della campagna napoleonica del 1806 nel libro "Napoleone"

    Nel corso dell'anno 1806, scoppia la Quarta Coalizione. Napoleone parte da Saint-Cloud, arriva a Magonza, a Salisburgo si impadronisce dei magazzini del nemico. A Saalfeld è ucciso il principe Ferdinando di Prussia. Il 14 ottobre, sulla duplice battaglia di Auerstadt e di Jena, la Prussia scompare...Il bollettino prussiano dice tutto in una sola riga: "L'esercito del re è stato sconfitto. Il re e i suoi fratelli sono vivi".

    Il duca di BrunswicK sopravvisse di poco alle sue ferite; nel 1792, il suo proclama aveva fatto sollevare la Francia; egli mi aveva salutato lungo la strada quando, povero soldato, andavo a raggiungere i fratelli di Luigi XVI...Erfurt capitola, Lipsia è conquistata da Davout; sono forzati i passaggi dell'Elba; Spandau cede; a Potsdam, Bonaparte fa prigioniera la spada di Federico. Il 27 ottobre 1806, il grande re di Prussia, ode, nella polvere intorno ai suoi palazzi vuoti, risuonare le armi in un modo che gli rivela la presenza di granatieri stranieri: Napoleone è arrivato"
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  6. #96
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    Predefinito Battaglia di Lipsia

    Data: 16-19 OTTOBRE 1813
    Luogo: LIPSIA (Città della Germania)
    Eserciti contro: FRANCESE e RUSSO-PRUSSIANO-AUSTRIACO-SVEDESE)
    Contesto: GUERRE NAPOLEONICHE
    Protagonisti:
    NAPOLEONE BONAPARTE (Imperatore dei francesi)
    PRINCIPE DI SCHWARZENBERG (Comandante dell'armata di Boemia)
    JEAN BAPTISTE BERNADOTTE (Comandante dell'armata del Nord dei coalizzati)
    BLUCHER (Feldmaresciallo prussiano)
    CONTE DI BENNIGSEN (Comandante dell'armata di Polonia)
    GIOACCHINO MURAT (Maresciallo francese)
    MORTIER (Maresciallo francese)
    NEY (Maresciallo francese)
    PONIATOWSKI (Generale dell'esercito francese)

    LA BATTAGLIA.


    Dopo la disfatta della campagna di Russia e il minaccioso pericolo di un attacco degli Stati alleati nella Sesta Coalizione antinapoleonica, Napoleone deve ricostruire l'esercito francese e chiama a raccolta il maggior numero di giovani e non giovani in grado di combattere.

    Siamo nel 1813. Mentre l'imperatore mette insieme le forze destinate a bloccare i russi e i loro freschi alleati, il vicerè Eugenio si impegna a contenerne l'avanzata, fino all'arrivo di Napoleone. In un primo tempo tenta di fermarsi a Francoforte, quindi indietreggia a Glogau ed infine, il 6 marzo 1813, raggiunge Wittenberg sull'Elba. Il 7 febbraio i russi sono entrati a Varsavia. Il 27 marzo, Dresda, capitale della Sassonia, è occupata dal vecchio feldmaresciallo prussiano Blucher. Al principe Eugenio non resta che concentrare i pochi uomini e mezzi a sua disposizione intorno a Magdeburgo, augurandosi che Napoleone giunga il più presto possibile.

    L'imperatore raduna il suo esercito a Erfurt, in Turingia, e si ricongiunge con Eugenio alla Saale, un affluente dell'Elba. Verso la fine di aprile le sue truppe varcano questo fiume e cominciano ad avanzare verso Merseburg e verso Naumburg.

    Inizia così l'avventura che porterà Napoleone alla battaglia di Lipsia, detta la "Battaglia delle Nazioni". La battaglia comincia il 16 ottobre del 1813 verso le 8 del mattino.

    Si apre con scontri a nord e a sud di Lipsia. Alle 11 l'attacco delle forze coalizzate è ancora in corso, caotico e frammentario. I francesi bloccano le forze di Merveldt e Kleist, mettendo in fuga Gorcakov. Nel pomeriggio Napoleone ordina il contrattacco. Il suo piano consiste in un forte fuoco di concentramento di artiglieria, con la cavalleria di Murat lanciata a sfondare al centro, aprendo la strada all'avanzata delle fanterie. Ma sia la cavalleria che la fanteria francesi non sono più quelle di Austerlitz, di Wagram e di Jena. I russi resistono bene e addirittura ributtano il nemico. La prima giornata di battaglia può dirsi conclusa in parità. Ingenti le perdite: per gli alleati circa trentamila uomini, mentre per i francesi venticinquemila.

    Intanto stanno arrivando i rinforzi per i coalizzati: Bernadotte, che aveva abbandonato Napoleone per schierarsi col nemico, con settantamila uomini e il generale russo Bennigsen con altrettanti. Da questo momento l'imperatore si troverà di fronte un esercito nemico di quattrocentomila soldati, con 1500 cannoni.

    La giornata del 17 ottobre trascorre in tranquillità, con gli eserciti nemici che si osservano.

    Per il giorno 18 il comando supremo dei coalizzati aveva previsto almeno sei attacchi concentrici contro i francesi. Mai come ora, in tutte le guerre napoleoniche, si erano forse trovati in una simile situazione di vantaggio. Al mattino presto Napoleone ordina, seppure in ritardo, di restringere il fronte e i combattimenti iniziali che furono confusi con scaramucce di contenimento. Nel pomeriggio la situazione precipitò. Mentre Bernadotte e Bennigsen entravano nella lotta, Napoleone ricevette una notizia drammatica: il corpo d'armata di Sassonia aveva disertato ed era passato ai coalizzati. Un colpo durissimo per lo schieramento francese. Nelle file napoleoniche si apriva un vuoto difficile da colmare.

    A questo punto l'imperatore, consapevole di non poter più difendere Lipsia, ordina la ritirata generale verso il Reno e passare il fiume Elster.

    Nelle prime ore del mattino del 19 ottobre 1813 la ritirata dei francesi è in pieno svolgimento. A Lipsia sono rimasti trentamila francesi, al comando di Poniatowski, con il compito di bloccare l'avanzata del nemico e consentire il transito delle truppe dell'imperatore. Ha affidato il compito al generale Dulauloy di far saltare il ponte di Lindenau dopo il transito dell'ultimo soldato francese. Invece succede che il ponte viene fatto saltare quando ancora è in corso il transito delle truppe. La conseguenza è che trentamila uomini restano bloccati a Lipsia, senza possibilità di scampo.

    I francesi intrappolati perdono la testa e si accalcano confusamente sulle rive del fiume. Le truppe coalizzate avanzano sparando nel mucchio. Il tiro al bersaglio provoca una strage. Il maresciallo Oudinot si salva a nuoto, mentre Poniatowski, buttatosi anche lui nelle acque gelide dell'Elster, viene trascinato via dalla corrente. Nel pomeriggio i superstiti sono costretti ad arrendersi. Il bilancio delle perdite è gravissimo. In quattro giorni di battaglia i coalizzati hanno avuto cinquantaquattromila tra morti e feriti contro i trentottomila francesi, oltre a trentamila prigionieri.

    Il risultato della sconfitta di Lipsia fu per Napoleone la perdita di quanto restava dell'impero a est del Reno. Baviera, Sassonia e Wurttemberg lo avevano abbandonato. Il declinante prestigio dell'imperatore avrebbe tra breve subito l'umiliazione del voltafaccia dei marescialli, dell'abdicazione, della partenza per l'Elba

    Ecco come Francois-Renè Chateaubriand scrive di Napoleone uomo politico nel libro "Napoleone"
    " ...Bonaparte era un poeta dell'azione, un genio immenso nella guerra, uno spirito instancabile, abile e giudizioso nell'amministrazione, un legislatore operoso e ragionevole. Per questo egli fa tanto colpo sull'immaginazione dei popoli, e ha tanta autorità nel giudizio degli uomini positivi. Ma come politico egli lascerà sempre a desiderare agli occhi degli uomini di stato. Questa osservazione, sfuggita alla parte più grande dei panegiristi, diverrà, ne sono convinto, l'opinione definitiva che resterà di lui; spiegherà il contrasto fra le sue azioni prodigiose e i loro miseri risultati. A Sant'Elena, lui stesso ha condannato severamente la sua condotta politica su due punti: la guerra di Spagna e la guerra di Russia; avrebbe potuto estendere la sua ammissione ad altre colpe. I suoi ammiratori più entusiasti non sosterranno forse che biasimandosi si è ingannato su se stesso.

    Bonaparte agisce contro ogni prudenza, per non parlare nuovamente di quanta odiosità era nell'atto, uccidendo il duca dEnghien: legava un peso alla sua vita. Nonostante i puerili apologeti, questa morte fu il lievito segreto delle discordie che esplosero più tardi fra Alessandro e Napoleone, come fra la Prussia e la Francia.

    L'impresa contro la Spagna fu assolutamente un abuso: la penisola era sua; poteva trarne il partito più utile: invece ne fece una scuola per soldati inglesi e, attraverso la insurrezione di un popolo, il principio della propria distruzione".
    Noi siamo i padroni.
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  7. #97
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    Predefinito Battaglia di Waterloo

    Denominazione: BATTAGLIA DI WATERLOO
    Data: 18 GIUGNO 1815
    Luogo: MONT SAINT-JEAN (Villaggio belga, a 18 km da Bruxelles e a 5 km da Waterloo)
    Eserciti contro: FRANCESE e INGLESE-PRUSSIANO
    Contesto: GUERRE NAPOLEONICHE
    Protagonisti:
    NAPOLEONE BONAPARTE (Comandante in capo dell'armata francese)
    NICOLAS SOULT (Maresciallo francese, capo di Stato Maggiore)
    EMMANUEL GROUCHY (Maresciallo francese, comandante della cavalleria)
    MICHEL NEY (Maresciallo francese)
    DROUET DERLON (Generale francese)
    REILLE (Genarale francese)
    GERARD (Generale francese)
    ARTHUR WELLESLEY, DUCA DI WELLINGTON (Comandante in capo degli alleati)
    BLUCHER (Feldmaresciallo prussiano)
    DORNBERG (Generale inglese)
    KRUSE (Generale inglese)
    MAITLAND (Generale inglese)



    LA BATTAGLIA.

    Come in molti altri casi della storia la battaglia avrebbe dovuto prendere un nome diverso, quello di Mont Saint-Jean, il paesino più vicino al luogo dove si svolse. La località di Waterloo, che si trova a cinque chilometri dal centro della lotta, in pratica non c'entrava nulla. Vi ebbe parte soltanto perché in una delle case del villaggio il comandante in capo degli alleati, Wellington, vi pose il suo quartier generale.

    Il centro della battaglia, di quel 18 giugno del 1815, stava un po più a sud, in una vasta pianura, nei pressi di un incrocio di quattro strade chiamato Quatre Bras. In meno di cinque chilometri quadrati si apprestavano ad affrontarsi circa 140 mila uomini con più di 400 cannoni.

    Soffermiamoci ora sugli avvenimenti che hanno portato alla battaglia di Waterloo.

    Napoleone Bonaparte, dopo essere avventurosamente fuggito dall'isola d'Elba, sbarca in trionfo a Golfe Juan e il 20 marzo 1815 rimette piede alle Tuiliers. Ma il Congresso di Vienna ha deciso, il 25 marzo, la costituzione della Settima Coalizione tra Inghilterra, Austria, Russia, Prussia e altri stati minori, per eliminare, una volta per tutte, Napoleone dalla faccia dell'Europa. Per questo sono state messe insieme cinque armate, forti complessivamente di ben ottocentomila uomini. Esse sono state affidate ad eccellenti comandanti: Wellington, Blucher, Schwarzenberg, Frimont, Barclay de Tolly.

    Napoleone, fisicamente appesantito, meno energico d'un tempo, non è riuscito a trovare a Parigi i consensi degli anni passati. Anche il suo esercito non possiede né i mezzi né l'entusiasmo di una volta. Molti marescialli di grande prestigio hanno tradito: Murat, Marmont, Victor e Berthier. Soult e Ney, dopo essere passati al servizio dei Borboni durante i Cento Giorni, sono ritornati, e l'imperatore li ha perdonati.

    Napoleone sa benissimo che deve giocare la sola carta che gli rimane: riaprire le ostilità e anticipare il nemico. E lo farà con una puntata sul Belgio per impedire alle forze inglesi di Wellington di congiungersi con quelle prussiane di Blucher, e impedire loro di marciare su Parigi con duecentomila uomini. E lo farà mentre queste due armate sono ancora in fase di concentramento, e prima che sul Reno le altre tre armate alleate siano pronte con il compito di invadere la Francia.

    Napoleone non può permettersi di dare battaglia quando le due armate nemiche sono riunite perché egli dispone soltanto di 89 mila fanti, 22 mila cavalieri e 11 mila artiglieri con 366 cannoni. Questa armata del Nord era così composta: Sotto Napoleone, comandante in capo, stavano il capo di stato Maggiore maresciallo Nicolas Soult, il comandante della cavalleria Emmanuel Grouchy, che aveva anche il comando dell'ala destra dell'armata, il maresciallo Ney, comandante dell'ala sinistra, di riserva la Guardia imperiale affidata al maresciallo Mortier.

    In questo momento tra le due armate alleate c è un ampio spazio vuoto e Napoleone intende inserirvi il cuneo del suo esercito. Egli, il 12 giugno 1815, lascia segretamente Parigi per raggiungere il suo esercito in Belgio. Il 13 è ad Avesnes, il 14 a Beaumont dove sono concentrate le sue forze: cinque corpi d'armata più la riserva di cavalleria e la Guardia imperiale.

    L'imperatore conta sul fattore sorpresa, ma deve rinunciarvi subito perché il 15 giugno il generale Bourmont, che comanda la 14a divisione del 4° Corpo d'armata di Gerard, diserta e passa al nemico con il suo Stato Maggiore, e confida al nemico i piani di battaglia e la consistenza delle forze di Napoleone. L'imperatore non si scoraggia per questo grave avvenimento. Egli ha già deciso di attaccare le forze prussiane di Blucher con l'ala destra, comandata da Grouchy.

    All'alba del 15 giugno 1815 la prima parte di quella che sarà la battaglia di Waterloo prende avvio. Il maresciallo Grouchy deve sbaragliare le forze di Blucher e poi spostarsi in aiuto di Ney che quello stesso giorno, con l'ala sinistra, darà addosso a Wellington.

    Il vecchio feldmaresciallo prussiano ha schierato le sue truppe nella piana di Ligny, a circa cinque chilometri a sud-est di Quatre Bras. I francesi attaccano con impeto, anche con assalti alla baionetta, perfino lungo i viottoli di campagna e tra le tombe del cimitero. Alle sei di sera il villaggio di Ligny brucia. Due divisioni prussiane resistono, ma il formidabile urto dei granatieri della Guardia spezza la loro resistenza. I prussiani lottano con accanimento, ma ripiegano e lungo il corso del fiumiciattolo di Ligny subiscono le ripetute cariche della cavalleria francese. Lo stesso Blucher rimane ferito ma riesce, dopo aver lasciato sul terreno sedicimila uomini, a sganciarsi definitivamente da Grouchy e a fargli perdere le tracce.

    E questa sarà la chiave della sconfitta napoleonica di Waterloo: perché Grouchy non ha distrutto a Ligny i prussiani, secondo le speranze di napoleone, ma li ha soltanto parzialmente sconfitti, consentendo loro di ripiegare e, avendone perduto il contatto, per due giorni continuerà a vagare alla loro ricerca, anche quando l'imperatore lo farà raggiungere dal generale Etienne Gerard con l'ordine di accorrere a Waterloo, dove la presenza dei suoi trentamila uomini diventa di ora in ora risolutiva.

    Intanto il maresciallo Ney conquista la posizione strategica di Quatre Bras ma, inspiegabilmente, subito dopo ordina alla sua avanguardia di ritirarsi su Frasnes, quattro chilometri a sud di Quatre Bras. Un mistero.

    La sera del 16 giugno il duca di Wellington viene informato delle mosse di Napoleone e subito ordina di fare arretrare le truppe avanzate di Quatre Bras su Mont Saint-Jean, accorciando così il fronte, con la speranza che Blucher possa arrivare in tempo per consentirgli di non venire colto di sorpresa.

    Alle nove del mattino del 18 giugno 1815 Napoleone, a cavallo, lascia la fattoria di Le Caillou e passa in quella detta della Belle Alliance, sulla destra del castello di Hougoumont. Sarà il suo osservatorio per la battaglia.

    Occorre aspettare le undici e trenta del mattino per cominciare una battaglia che, nei piani di Napoleone, avrebbe dovuto essere scatenata non al più tardi delle sette. Ma è stato necessario ritardare per forza a causa del terreno reso fradicio dalla pioggia e quindi non certo idoneo per lo spostamento dei cannoni. Bisognava aspettare un minimo di rassodamento del terreno.

    Ora Quatre Bras, nodo cruciale del campo di battaglia, è nuovamente in mano ai francesi, ma è stato ripreso in ritardo, permettendo così al duca di Wellington di far ripiegare comodamente le sue truppe dietro Mont Saint-Jean, con la divisione di Chassè sulla destra e il corpo di Sassonia Weimar sulla sinistra, mentre al centro stanno le forze di Dornberg, di Kruse, di Maitland.

    Il piano di Napoleone prevede un attacco di disturbo da parte del maresciallo Ney al castello di Hougoumont, per ingannare Wellington sulle reali intenzioni dei francesi, quindi dovrà sfondare al centro in direzione della fattoria della Haie Sainte e di Mont Saint-Jean, e sulla destra, in direzione dell'altra fattoria di Papelotte. Poi, raggiunto da Grouchy, dovrà andare avanti oltre Waterloo e la notte si dormirà a Bruxelles conquistata. Tutto questo in teoria.

    Quando alle 11 e 35 del 18 giugno 1815, con tre colpi di cannone sparati dall'artiglieria della Guardia, Napoleone dà il segnale dell'attacco, certo non può immaginare che Waterloo rappresenterà per lui una tremenda sconfitta, soprattutto per la testardaggine di Grouchy, i ritardi e la confusione di Ney, l'inefficienza di Soult.

    La giornata di Waterloo inizia con il finto attacco di Ney al castello di Hougoumont. Il maresciallo ha affidato questo compito al comandante del 2° Corpo, generale Reille, il quale, a sua volta, ha distaccato per l'impresa la 6a divisione agli ordini del fratello di Napoleone, Girolamo, con il preciso ordine di attaccare, ingannare il nemico e fermarsi dopo aver occupato le vie d'accesso al castello.

    Invece Girolamo Bonaparte manda all'assalto l'intera divisione che, avanzando allo scoperto, incappa nel micidiale fuoco dei fucili nemici. Così, quella che doveva essere semplicemente una scaramuccia, diventa una battaglia vera e propria. Hougoumont sembra diventare improvvisamente importante e altre forze vi vengono dirottate per sostenere la divisione di Girolamo.

    Il combattimento va avanti per l'intera giornata, impegnando molte truppe francesi che sono necessarie altrove, e alla fine Hougoumont non viene nemmeno conquistato.

    L'offensiva principale deve invece svilupparsi al centro, per cercare di sfondare lo schieramento nemico. Tocca a Ney, che affida l'azione di rottura al Corpo d'armata del generale Drouet d'Erlon. Gli ordini per Drouet sono semplici: deve muovere su Mont Saint-Jean, conquistando le fattorie della Haie Sainte e, più a destra, di Papelotte. Il generale dispone di circa ventimila uomini divisi in quattro divisioni. Alla testa di quella di sinistra, che attaccherà la Haie Sainte, ci sarà lo stesso Ney.

    Dopo mezz'ora di fuoco intenso da parte dell'artiglieria francese, alle 13 e 35 inizia l'operazione. La fanteria francese avanza ma è seriamente ostacolata dal terreno non ancora del tutto prosciugato.

    Mentre l'enorme testuggine francese avanza esposta al fuoco nemico, ecco che Napoleone scorge, dal suo osservatorio, l'arrivo di truppe dalla parte di Saint Lambert. Dopo poco tempo viene a sapere che quelle che stanno per arrivare sono l'avanguardia delle truppe prussiane. Napoleone non si scompone. Egli suppone che dietro loro ci deve essere il maresciallo Grouchy che le sta inseguendo da due giorni. Invece la supposizione risulterà errata. Dietro ai prussiani no c è nessuno e Blucher porterà la sua armata a Waterloo e Grouchy non si farà vedere.

    Intanto i ventimila uomini di Drouet d'Erlon avanzano sulla salita verso Mont Saint-Jean, facili bersagli del fuoco inglese. Contro di loro si lanciarono prima la divisione di Picton, che in quella lotta perderà la vita, e poi la carica della cavalleria di Uxbridge, la Somerset Household Brigade di lord Raglan, qui trentenne, che sarà in tempi successivi il comandante del corpo di spedizione inglese in Crimea.

    Tale era l'impeto dei cavalieri inglesi che, dopo aver travolto le file di Drouet d'Erlon, continuarono sullo slancio fin sotto le mura della Belle Alliance, dove si trovava Napoleone, finendo col farsi massacrare dai cannoni francesi. Nonostante tutto questo, l'offensiva di Drouet, che aveva lasciato sul terreno un terzo degli effettivi, poteva considerarsi fallita. Ma a questo punto Ney decide di dare man forte a Drouet. Mentre si è giunti ormai quasi alle cinque del pomeriggio, cinquemila cavalieri francesi vengono mandati all'assalto. L'idea della carica è di Ney, Napoleone non gli aveva ordinato nulla di simile.

    La fanteria di Wellington, con un micidiale fuoco di fucileria, abbatteva a colpo sicuro uomini e cavalli. Tuttavia l'avanzata della cavalleria francese continuava con cariche che si susseguivano con indomito coraggio.

    Nel frattempo Napoleone spedisce due divisioni del 4° Corpo d'armata di riserva del generale Lobau a contrattaccare i prussiani.

    Ney, al centro di un'orrenda carneficina, conduce ancora una volta all'attacco novemila cavalieri, su un fronte di seicento metri, tra la Haie Sainte e Hougoumont. Ma ancora una volta la fanteria inglese respinge l'attacco, anche se poco dopo deve arretrare e alla fine la Haie Santie cade in mano ai francesi. A questo punto Napoleone potrebbe impiegare la Guardia, ma l'imperatore non è più quello di Austerlitz, e temporeggia.

    Comincia a scendere la sera e si combatte ancora con esito incerto. Ney continua ad attaccare con disperazione e dei novemila uomini andati all'assalto ne tornano soltanto quarantatrè. Finalmente Napoleone decide di impiegare la Guardia, ma è troppo tardi. Manda la Giovane Guardia a tenere la posizione di Plancenoit per bloccare il feldmaresciallo Blucher ma, dopo due ore di lotta furibonda, i prussiani riescono a passare e allora non resta che la Vecchia Guardia, i veterani di tutte le vittorie.

    Guidata dal generale Morand, la Vecchia Guardia riprende Plancenoit, ma verso le 19 e 15 si capisce che il suo eroismo non porterà ad alcun risultato. Duemila soldati inglesi compaiono all'improvviso, come sbucate da sottoterra, e la prima ondata dei francesi viene abbattuta.

    Per ben tre volte il generale Cambronne, del primo cacciatori della Guardia, riporta a morire i suoi soldati nell'ultimo quadrato. Ad uno ad uno quei leggendari eroi cadono, sotto l'ammirazione stessa del nemico. Nessuno si arrende. La leggenda racconta che prima di cadere ferito alla testa, Cambronne avrebbe risposto all'invito di Maitland di arrendersi con la famosa frase: "La Guardia muore ma non si arrende".

    Qualche reparto della Guardia comincia a sbandarsi e a retrocedere. Se la Guardia indietreggia, significa che non cè più scampo.

    Nel frattempo Blucher è riuscito ad insinuarsi tra Drouet e Lobau e nelle prime ombre della sera prende Plancenoit. Di Grouchy nessuna traccia e la sua latitanza nel momento cruciale ha deciso le sorti della battaglia.

    I francesi sono in rotta. Gli ultimi soldati della Guardia si sacrificano per consentire a Napoleone di fuggire.

    Sul terreno rimangono venticinquemila francesi, ventimila inglesi e settemila prussiani. I francesi prigionieri sono settemila. L'unico indenne è Grouchy con i suoi trentamila inutili soldati, il quale conoscerà l'esito della battaglia solo il giorno dopo.

    Waterloo conclude la grande avventura napoleonica e cambia la storia dell'Europa.

    Poco dopo un mese, il 15 luglio, Napoleone Bonaparte, abbandonato dai suoi stessi compatrioti, si consegnerà agli inglesi.

    Ecco come Victor Hugo descrive le fasi finali della battaglia di Waterloo ne: "I miserabili":

    "...Il cielo era stato coperto tutto il giorno. All'improvviso, in quello stesso momento (erano le otto di sera), le nubi si squarciarono sull'orizzonte e lasciarono passare, attraverso gli olmi della strada di Nivelles, il grande e sinistro fulgore del sole di porpora che tramontava: ad Austerlitz, era stato visto sorgere. Ogni battaglione della Guardia, in quel tragico finale, era comandato da un generale: erano presenti Friant, Michel Roguet, Harlet, Mallet, Poret di Morvan. Quando gli alti colbacchi dei granatieri della Guardia, col gran fregio metallico in forma d'aquila, apparvero, simmetrici, allineati, tranquilli e superbi nella foschia di quella zuffa, il nemico sentì il rispetto della Francia; credette di vedere venti vittorie entrare sul campo di battaglia ad ali spiegate, e coloro ch'erano vincitori, ritenendosi vinti, indietreggiarono. Ma Wellington gridò: "In piedi, guardie, e mirate giusto", e il reggimento delle guardie, sdraiato dietro le siepi, s'alzò; un nugolo di mitraglia crivellò la bandiera tricolore, fremendo intorno alle nostre aquile, tutti si scagliarono e incominciò la suprema carneficina.

    La Guardia imperiale sentì nell'ombra che l'esercito fuggiva intorno ad essa, sentì il grande crollo della disfatta, sentì il "Si salvi chi può" che aveva sostituito il "viva l'imperatore"; e, con la fuga dietro di sé, continuò ad avanzare, sempre più fulminata e sempre più morente, ad ogni passo che faceva...Ney, smarrito, grande di tutta l'altezza della morte accettata, soffriva a tutti i colpi, in quella tormenta. Là ebbe il quinto cavallo ucciso sotto di sé; sudato, con gli occhi fiammeggianti e la schiuma alle labbra, con l'uniforme sbottonata, una spallina tagliata in mezzo dalla sciabolata d'una "horse guard" e l'aquila metallica della decorazione ammaccata da una palla, sanguinante, infangato e magnifico, con in pugno una spada spezzata, gridava: "Venite a vedere come muore un Maresciallo di Francia sul campo di battaglia". Invano: egli non morì".
    Noi siamo i padroni.
    Noi siamo gli schiavi.
    Siamo ovunque
    e da nessuna parte.
    Regniamo sui fiumi di porpora.

  8. #98
    ...filtra la verità!
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    Citazione Originariamente Scritto da Gasmask Visualizza Messaggio
    Io ho votato, nonostante subisca molto il fascino delle Termopili, per la Battaglia di Berlino. L'ho scelta per via della vicinanza storica che mi nutre della consapevolezza che è stato possibile anche in un periodo di declino quale è l'età contemponarea tendere al Sacro, alla Tradizione, questo attraverso gli immutabili principi di Fedeltà ed Onore. La carica di magica suggestione che sprigionano le immagini di quel manipolo di valorosi e gli scritti che ne celebrano le gesta eroiche è imparagonabile.
    Altre Battaglie non menzionate nel sondaggio che ricordo con piacere:
    - La Battaglia di Ponte Nuovo che vide i corsi difendere la propria sovranità al cospetto della Corona francese, a cui l'isola fu ceduta dai genovesi. E' qui, in questo episodio storico, che è narrata l'epopea del Generale Pasquale Paoli.
    - La tentata rivoluzione siciliana del 1820 in cui pochi e male organizzati uomini d'altri tempi si oppose all'umiliazionte perpetrata loro da Ferdinando di Borbone che accetto il "diktat" illuminista della Costituzione. Le uniche forze euopee a far quadrato contro questa deriva sovversiva furono quelle che formarono la Santa Alleanza.
    Come non ricordare anche la Battaglia di Hakodate. Il culmine di una vera e propria Guerra Civile giapponese in cui i difensori della Tradizione Samurai contrapposero l'ultima disperata opposizione all'avanzare della modernizzazione del paese, dunque alla perdita delle identitarie radici che caratterizzavano il paese del Sol levante. E' egregiamente romanzata nel film "L'ultimo Samurai".

  9. #99
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    Bella scelta...
    Però alcune sono simboliche in quanto già praticamente segnate.
    Comunque l'episodio chiave per la nostra civiltà è la Seconda Guerra Punica.
    Se scrivo con questi caratteri e mi esprimo con questa lingua, lo devo a quella guerra.
    Esisteva un bellissimo saggio che ne rende in pieno il significato, questo il titolo. La vittoria disperata

  10. #100
    WHY SO SERIOUS?
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