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Risultati da 1 a 10 di 117

Discussione: A Valle Giulia

  1. #1
    DaBak
    Ospite

    Predefinito A Valle Giulia

    Con chi bisognava stare a Valle Giulia?

    Con i contestatori
    Con i missini
    Ne con gli uni ne con gli altri.

  2. #2
    DaBak
    Ospite

    Predefinito

    Inserire foto...

  3. #3
    DaBak
    Ospite

    Predefinito

    A CHI IL '68? A NOI...
    Adriano Scianca



    Ma che ci facevano i fascisti a Valle Giulia? Una domanda che dev’essere risuonata spesso nelle menti incredule dei custodi di ogni ortodossia, così a disagio di fronte ad un fenomeno sociale (la partecipazione dei giovani di destra alla celebre battaglia urbana sessantottina) che irriverentemente si sottrae ad ogni lettura conformista. A caldo si trovarono le chiavi di lettura più scontate: irresponsabilità giovanile, lapsus ideologico, immaturità politica o magari la sempreverde “intelligenza col nemico”. Più tardi, si preferì invece falsificare semplicemente i fatti ed occultare i ricordi sgraditi. È così che nell’immaginario collettivo, il ’68 è diventato la grande avventura rivoluzionaria della meglio gioventù progressista, indomita sulle barricate nonostante la violenza antisociale e reazionaria di “fasci” e polizia. Una ricostruzione falsa e tendenziosa, che tende ad appiattire e banalizzare la complessità di una rivolta che ebbe almeno all’inizio tratti creativi, libertari e innovativi assolutamente non riconducibili alle stantie categorie del politichese.

    Malgrado la vulgata, tuttavia, non è mancato chi, in questi anni, ha tenuto vivo il ricordo della verità storica, prima sussurrata e trasmessa quasi sotericamente, poi pian piano emersa in superficie, fino a suscitare la curiosità degli studiosi, finalmente decisi ad estendere un salutare revisionismo anche agli eventi del dopoguerra. Il libro su La destra e il ‘68, di Alessandro Gasparetti (Settimo Sigillo, 2006) si colloca esattamente nell’alveo di questa nouvelle vague storiografica. Il testo intende mostrare, grazie ai resoconti giornalistici di quegli anni, le disparate e spesso contrapposte reazioni del variegato mondo della destra ai cambiamenti politici, sociali e culturali di fine anni ’60. La ricerca minuziosa e accurata delle fonti mostra in modo chiaro l’assoluta trasversalità tanto dell’entusiasmo quanto dei timori che gli eventi del ’68 suscitarono nella società italiana di quegli anni. È così che le analisi vetero-togliattiane e ‘L’Unità’ finiranno per convergere con quelle delle testate conservatrici che della rivolta non capiranno nulla fino alla fine, mentre viceversa non pochi ragazzi del FUAN e delle organizzazioni extraparlamentari di destra si ritroveranno in piazza a braccetto coi compagni. L’episodio di Valle Giulia, con FUAN-Caravella e Avanguardia Nazionale a guidare le cariche, è quindi solo l’espressione più eclatante di un fenomeno di convergenze parallele già da tempo in atto.

    Ma, di nuovo: come è stato possibile tutto ciò? Per comprenderlo bisogna scoprire un altro Sessantotto, quello che non ha il profilo torvo dei “Katanga” milanesi o l’occhio cattivo dei dreamers bertolucciani. Ovvero il Sessantotto della gioventù che in America scopriva Tolkien (“Frodo lives!”, gridavano gli hippies) e divorava la letteratura beat di Keruac, l’anticonformista considerato dalla critica di sinistra un qualunquista perdigiorno, e di quell’Allen Ginsberg che nel settembre del 1967 si era recato come in pellegrinaggio da Ezra Pound a Portofino. Era il ’68 in cui i Led Zeppelin irrompevano sulla scena rock squarciando l’ipocrisia del falso impegno (“Non ci interessa il potere, la rivoluzione, alzare i pugni chiusi nell’aria”, ebbe a dichiarare Robert Plant) a colpi di barbari inni elettrici intrisi di riferimenti tolkieniani, celtici, vichinghi o neopagani; il ’68 delle ballate hard-folk dei Jetro Tull, il cui leader e flautista Ian Anderson dichiarava candidamente a Radio Montecarlo che sinché in Italia ci fossero volute le bandiere rosse per cantare, il suo gruppo avrebbe volentieri disertato il belpaese; il ’68 degli Who, che a Woodstock cacciavano a pedate dal palco Abbie Hoffman che li aveva interrotti per intonare il solito sermone rosso ed il cui film Tommy, basato sull’omonimo album, veniva così descritto dalla Voce della Fogna: “un film fatto in esclusiva per noi; un film di cui siamo i soli a detenere la chiave interpretativa! È Zarathustra adattato alla rock generation, Evola su schermo panoramico su un fondo di chitarra elettrica e sintetizzatore!” (Cfr. Nico Forletta, “Il rock in fondo a destra”, ‘L’Indipendente’ 7, 14, 21 agosto, 4 e 11 settembre 2004). Nello stesso tempo nelle hit parade italiane sfondava “La bambola”, dell’algida ed aristocratica Patty Pravo e l’anno dopo usciva nelle sale americane “Il mucchio selvaggio”, capolavoro politicamente scorretto del céliniano Sam Peckinpah.


    Alla Sorbona, nel frattempo, si proclamava la morte della bandiera rossa comunista e di quella nera anarchica in nome di una rinnovata creatività ludica, mentre l’attualità filosofica vedeva l’esplosione della Nietzsche-Renaissance che ridicolizzava in nome di Zarathustra proprio quel linguaggio dialettico che qualche anno dopo sarebbe diventato il tedioso brand dei contestatori ormai invecchiati. Segnali piccoli e grandi che fanno comprendere come quei giovani che gravitavano intorno a MSI e dintorni rientrassero a pieno titolo e senza ulteriore bisogno di conferme nell’ésprit du temps dell’epoca.

    Del resto, nella tradizione politica e culturale che quei giovani avevano alle spalle, i temi caldi del ’68 erano attuali da almeno mezzo secolo. Riconoscere che i primi a portare la “fantasia al potere” siano stati i legionari di D’Annunzio a Fiume, come ha fatto varie volte la studiosa Claudia Salaris, è, ad esempio, quasi banale. Lo stesso dicasi per l’ovvia constatazione che un certo spirito giovanilistico, antiborghese ed antiamericano era già diffuso in Italia negli anni venti e trenta. Più interessante è forse scoprire come molte delle rivendicazioni studentesche sessantottine siano state anticipate e persino superate dall’invettiva di un Marinetti che nel 1909 dichiara “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie”. E che dire di Giovanni Papini, che nel 1914 proclamava: “Bisogna chiuder le scuole - tutte le scuole. Dalla prima all'ultima. […] Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto s'accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative”. Su un piano meno provocatorio e più concreto, è sorprendentemente un Martin Heidegger, venti anni dopo, ad assumere posizioni sessantottine ante litteram. A farlo notare è Ernst
    Nolte, ex studente del filosofo: “La sua [di Heidegger] visione dell’università, con il tentativo di un cambiamento radicale che le voleva imprimere, presenta molte analogie con l’esperienza studentesca del Sessantotto […]. Heidegger pensava a una università senza più ruoli gerarchici. A qualcosa che fosse un corpo unico, in cui le specializzazioni non diventassero così dominanti da impedire la comunicazione fra le parti. Desiderava che si creasse una sorta di comunione tra docenti e studenti […]. Uno dei punti della riforma cui Heidegger aveva pensato doveva riguardare i rapporti all’interno dell’università. Studenti e professori per almeno sei settimane l’anno avrebbero dovuto fare vita in comune in un campus, svolgendo in egual misura il lavoro intellettuale e manuale” (in Gnoli e Volpi, L’ultimo sciamano, Bompiani 2006). Bisognerebbe ugualmente ricordare come negli ambienti nazionalisti tedeschi di inizio novecento fosse già di casa il miscuglio di ecologia e libertà sessuale, fino a giungere a vere e proprie esaltazioni (teoriche e pratiche) dell’omosessualità (vedi Hans Blüher ed i Wandervogel). Né mancavano curiosi antecedenti delle comuni hippy: tale era, in fondo, Humanitas, la comunità dell’artista Karl Wilhelm Diefenbach, apostolo della rinuncia al superfluo con tanto di tunica e sandali, di cui faceva parte anche Hugo Hoppener, in arte “Fidus”, noto pittore völkisch in auge fino agli anni ’40. Ma non possiamo non citare anche la comunità svizzera del Monte Verità, fondata sulla base di analoghi principi da Ida Hofmann e Henri Oedenkoven e frequentata da Hermann Hesse, Rainer Maria Rilke, Erich Maria Remarque ed Otto Gross. Tentativi forse strampalati, ma non di meno significativi di un certo spirito dell’epoca. È poi interessante notare come persino un certo tipo di pacifismo, per quanto non ottusamente irenistico ed umanitarista, abbia trovato spazio in autori come Pound, Drieu o Céline, almeno a sentire il finlandese Tarmo Kunnas in quello che Renzo De Felice ha definito “il più bel libro mai scritto sull’ideologia fascista”, ovvero La tentazione fascista (Akropolis 1981).

    Mille rivoli, insomma, ed un solo fiume di anticonformismo e ribellione libertaria che dagli esordi impetuosi del novecento arriva fino a travolgere ogni cosa con i moti studenteschi, per poi disseccarsi e quasi estinguersi nel successivo conformismo progressista. Ben vengano, allora, dieci, cento, mille libri come quello di Alessandro Gasparetti a salvare la freschezza del Sessantotto dall’acidità dei “sessantottini”.



    Adriano Scianca

  4. #4
    NonNobisDomine
    Ospite

    Predefinito

    i sto' con i veri camerati ed essi stavano col movimento studentesco

    almirante boia

  5. #5
    Marco-Torino
    Ospite

    Predefinito

    con i contestatori

  6. #6
    Wir bleiben Braun!
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    Pistolero, bounty killer...un brutto cliente-vi farete le donne che sono state mie vi prenderete anche tutte le mie malattie-MICHAEL REGENER LIBERO!-
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    Citazione Originariamente Scritto da Marco-Torino Visualizza Messaggio
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    .

  7. #7
    NonNobisDomine
    Ospite

    Predefinito

    almirante ha fatto caricare anche dei camerati....

  8. #8
    SubZero
    Ospite

    Predefinito

    Citazione Originariamente Scritto da Marco-Torino Visualizza Messaggio
    con i contestatori
    STRAQUOTO!

  9. #9
    NonNobisDomine
    Ospite

    Predefinito

    Chi è che ha votato

    Nè con gli uni ne con gli altri ?

  10. #10
    F.S.MI
    Ospite

    Predefinito

    con i contestatori

    il fine giustifica i mezzi

 

 
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