Medio Oriente sul baratro
Zvi Schuldiner
Il presidente palestinese Abu Mazen in un discorso ampiamente atteso ha detto che indirà elezioni anticipate per decidere il futuro del popolo palestinese.
Abu Mazen è stato ben attento a non annunciare una data definitiva, nel momento in cui alcuni vedono in questa decisione un modo per dare vita a un governo di unità nazionale. Ma le dichiarazioni del presidente palestinese intensificano la crisi già grave in cui si dibatte il popolo palestinese.
E la tensione interna nella società palestinese sembra farsi sempre più effervescente e accelera pericolosi processi di disgregazione interna, aumentando al contempo i rischi di una ripresa della guerra israelo-palestinese con maggiore intensità rispetto al mese passato.
La relativa tregua a Gaza ha messo a tacere per alcune settimane i falchi israeliani che appoggiavano un'azione militare più spinta, volta a porre fine al lancio di missili Qassam che piovevano quotidianamente su Sderot e i suoi dintorni ma destinata in realtà a far cadere il governo di Hamas. Negli ultimi giorni tutti gli schemi cominciano a saltare e il rischio di una sanguinosa esplosione si fa sempre più serio.
Quando si siglò la tregua, pareva che la linea pragmatica di Hamas si era imposta, con l'aiuto dell'Egitto, sulla linea militare. Il costante lancio di missili sulla popolazione di Sderot aveva creato una situazione che rendeva imminente un'azione militare israeliana. Sembrava anche avvicinarsi il momento della liberazione del soldato israeliano prigioniero a Gaza grazie ai negoziati con le varie ali di Hamas.
Tutti questi eventi non possono essere considerati separatamente. Diversi fili, alcuni assai oscuri, incrociano oggi frontiere e interessi. La fazione più attivista di Hamas - che ha respinto varie proposte dei pragmatici e sarebbe l'organizzatrice del sequestro del soldato - è appoggiata o gode dell'ospitalità siriana. In Libano aumenta la tensione e la minaccia della guerra civile plana su una società che, dopo l'omicidio dell'ex premier Rafic Hariri, si è un po' liberata della presenza sirio-iraniana.
Paradossalmente, la guerra con Israele ha rafforzato Hezbollah; il che vorrebbe dire un ritorno sirio-iraniano nel paese, considerato una seria minaccia non solo da Israele ma anche da vari paesi arabi. Ma per gli stessi siriani questa situazione è assi problematica.
Se la loro alleanza con l'Iran li spinge ad appoggiare Hezbollah e facilita un possibile ritorno in Libano - una specie di protettorato siriano con seri vantaggi economici per un buon numero di generali siriani - questa alleanza ritarda la possibilità di riconciliazione con l'Occidente, elemento chiave per una ripresa economica che le classi dominanti di Damasco cercano da anni.
Da Washington, James Baker, già segretario di stato con il padre di George W. Bush, cerca di moderare Bashar el Assad, ma non è detto che ci riuscirà. Baker e il vecchio Bush padre rappresentano la linea americana conservatrice che, consapevole degi antichi interessi americani nella regione, cerca l'intesa, la conciliazione.
Ed è consapevole che, per questo, dovrà esercitare una grande pressione su Israele. Ma Bush figlio, ancora ostaggio dei nefasti consigli dei superfalchi nonostante il disastro in Iraq, pensa che la forza sia più utile dei consigli di Baker.
Assad vedrebbe anche di buon occhio un'apertura che lo liberi anche dall'abbraccio iraniano e faciliti le sue relazioni con gli altri paesi arabi, ma è ancora in una posizone troppo debole per farlo in modo chiaro e con più forza. In questo contesto, i palestinesi non sono riusciti a raggiungere un accordo che permetta loro di formare un governo di unità nazionale. L'entourage di Abu Mazen, con non poco appoggio israeliano e americano, sogna un rapido ritorno sulla scena che permetta loro di continuare a godere delle delizie del potere anche in questi tempi difficili. E così è arrivata la sorpresa di Ismail Haniyeh, che per la prima volta è uscito dal paese ed è andato in Iran. Questo viaggio ha voluto dire che la retorica dell'ala pragmatica è cambiata radicalmente: Ismail Haniyeh ha promesso che non ci sarà nessun riconoscimento d'Israele, mentre i suoi anfitrioni ripetevano che Israele deve essere cancellata dalle mappe geografiche e gli assicuravano appoggio economico per i palestinesi. L'arrivo di Haniyeh a Gaza con più di 30 milioni di dollari di moneta contante e sonante è stato previsto dai servizi segreti americani ed egiziani e, dopo varie manovre, il premier palestinese è arrivato senza soldi e a piedi. A questo punto, cominciano gli spari, al termine di una settimana assai difficile che lo ha costretto ad anticipare il suo ritorno. La tensione tra i vari gruppi palestinesi ha raggiunto nuovi apici questa settimana, quando gruppi apparentemente in relazione con le forze islamiche assassinorono tre bambini, figli di uno dei capi della forza militare di Al Fatah. A Ramallah, Al Fatah ha promesso vendetta. A Gaza, gli attentati tra i vari gruppi sono aumentati. Quando la tensione palestinese cresce, ricomincia anche la pioggia di missili sulla popolazione civile israeliana intorno a Sderot, una sorta di ostaggio per i più diversi circoli palestinesi, che usano queste mosse per infastidire o interrompere passi diplomatici dei loro rivali. Abu Mazen parla di elezioni in un futuro prossimo - sin dare date - e il governo di Hamas respinge la decisione. Le voci dei due campi sono peraltro confuse e forse la chiave per comprendere si trova nelle dichiarazioni di Gjbril Raj'ub, ex capo della sicurezza in Cisgiordania per Al Fatah, secondo cui il ritorno al governo di unità nazionale è l'unico modo per uscire dall'impasse. Le mani che cercano di influenzare il complesso piatto che si cucina in questi giorni sono diverse e animate da interessi anche contrastanti. Israele e gli Stati uniti da un lato; l'Iran dall'altro. Tra questi due estremi, la compelssa realtà del mondo arabo, con i suoi vari interessi. A margine, e senza che una linea chiara che permetta di controbilanciare gli oscuri interessi in gioco, l'Unione europea, con italiani e spagnoli che solo qualche settimana fa sembravano voler svolgere un ruolo più importante che nel passato. Se prevarranno le forze che portano a uno scontro interno, i palestinesi vivranno uno dei momenti più tragici della loro storia. Il che darà al governo israeliano una scusa per rinnovare una linea di aggressione e sangue. Solo una forte pressione degli attori esterni potrebbe portare a una soluzione concilitoria che permetta di superare questo momento difficile per il Medioriente.