"L'abitatore del Lazio primitivo pensava che l'acqua che scaturiva dalla sorgente o che scorre nel ruscello, il fiume, le onde del mare fossero vive perché si muovono e riteneva questo loro atto volontario.
Così il Sole e la Luna che danno luce muovendo il loro arco nel cielo, la folgore che saetta, il vento che soffia, lo stormire delle foglie nel bosco, il sasso che rotola nel pendio, il fuoco che arde, l'erba che cresce.
Gli era ragionevole pensare che le cose, le piante e gli animali comprendessero e sentissero come lui e quindi anche che essi potessero parlare alle cose che per lui erano importanti, anche se non lo mostravano palesemente, e, se interrogati, era logico attendersi da essi delle risposte.
Se l'uomo non capiva cosa avessero da dirgli le cose, le piante, gli animali che lo circondavano, voleva dire che non era abbastanza in sintonia con loro. Aiutavano in queste difficoltà interpretative il vates (l'uomo savio) o la casmena (la donna savia) che sapevano tradurre il linguaggio divino scaturito dalla sorgente, dal vento, dal passo di un animale, dal canto di un uccello. Così come la sorgente gorgogliava ed il vento suonava tra le fronde essi traducevano la parola divina agli altri uomini, o viceversa la esponevano alla divinità con la cadenza ritmica di un carmen, cioè di un canto accompagnato dal suono di un flauto a quattro note : assai semplice era il verso, orecchiabile e di genere quantitativo, che veniva detto saturnio (da Saturno nel senso di antichissimo)".
Da L. Quilici "Roma primitiva e le origini della civiltà laziale" Roma 1979 p. 212