Movimento per l’Autonomia della Romagna
Forlì, 2 aprile 2007I romagnoli sono, forse, “figli di un Dio minore”?
E’ tempo di Congressi partitici. In queste ultime settimane, cortesemente invitati, abbiamo partecipato con piacere a diversi Congressi locali di forze componenti la “Casa delle Libertà”, constatando, con interesse, che la questione autonomistica romagnola continua a far parte del loro primario impegno ad ogni dimensione. Cosa della quale li ringraziamo vivamente. E testimoniando, per quanto ci concerne, che tale rivendicazione non è assolutamente in disarmo. E viene quotidianamente alimentata dalle discriminazioni che il governo regionale emiliano—romagnolo consuma nei nostri confronti, nonché dal continuo procedere in tutta Europa del processo autodeterminativo ed autogestionario. Fortemente sollecitato, anche come antidoto, rispetto all’avanzata della “globalizzazione”. Ciò che stimola la salvaguardia e la valorizzazione delle varie identità locali.
Non è, forse, questo il vero significato della nascita, in questi anni, senza contestazioni di sorta da parte dei precedenti “partners”, della Repubblica Slovacca e di quella Montenegrina? E, su di un piano più interno, ma egualmente significativo, dei territori autonomi ella Scozia e del Galles nella tradizionalista Inghilterra, della forte autonomia Basca e di altri territori spagnoli? E che dire della Confederazione Svizzera, la più antica del mondo, dove, in questi ultimi decenni, i tradizionali 22 Cantoni sono saliti a 26 ?
E, in realtà tanto diverse, queste storiche modifiche si sono verificate secondo le regole della democrazia e del popolo sovrano. Ai cittadini interessati è stata data una scheda referendaria, ed il parere della maggioranza è di venuto legge per tutti. Del resto, ad una dimensione ovviamente diversa, quanto avvenuto recentemente nell’Alta Valmarecchia in funzione del ritorno in Romagna (dalle Marche) di quelle popolazioni.
In questo quadro estremamente generalizzato, e con quanto disposto dagli articoli 5 e 132 della nostra Costituzione, sembra persino impossibile che esista ormai da vent’anni un Movimento, il nostro, il quale, forte di 90 mila adesioni, chiede non il dono dall’alto della Regione Romagna, come è accaduto di ogni altra Regione italiana, Molise compreso, ma il coinvolgimento degli elettori locali perché decidano, col loro voto, se restare legati all’Emilia, oppure divenire la ventunesima Regione del Paese. Avendone tutti i titoli storico— culturali, economici, demografici, ecc.
Per essere più chiari, ai fini dell’espletamento del referendum romagnolo, fino all’anno 1993 si erano detti d’accordo, alla nostra dimensione, la DC, il PSI, il PRI ed altre formazioni minori. Lasciando di tale orientamento anche testimonianze parlamentari. In diversi Consigli comunali, pur dichiarandosi contrario alla Regione Romagna, non si era manifestato sfavorevole neppure il PCI. Ed anche di questo restano tracce nei vari archivi comunali.
Con la nascita della cosiddetta seconda Repubblica, non è mancato da subito il favore dei quattro partiti della Casa delle Libertà, ma, l’accresciuto “potere di coalizione” del PDS—DS, ha irrigidito i suoi atteggiamenti negativi anche sulla questione referendaria, ed ha portato dalla sua parte, anche per gli aspetti referendari, le restanti forze. Il discorso è, ovviamente, riferito ai vertici delle formazioni partitiche locali. Non alla loro base ed alla generica pubblica opinione, le quali seguono il nostro impegno con crescente interesse.
Siamo, comunque, al punto nel quale il quadro partitico nazionale e locale sembra volersi profondamente modificare, coinvolgendo in prima persona parte de gli eredi del PCI e della DC. Parlo dell’obiettivo “nascita Partito Democratico” non come somma di due realtà politiche già in campo (i DS e la Margherita), ma come realizzazione, anche sul piano della discontinuità e di un aggiornamento dei valori e degli obiettivi, di una forza riformista, europea, sollecita a quanto di nuove si esprime nelle realtà di riferimento. Democratica, dunque, a pieno titolo.
In data 18 febbraio scorso il Comitato regionale del Movimento per l’Autonomia della Romagna ha inviato alla Federazioni romagnole dei citati due parti. ti un proprio documento, col quale si permette chiedere una risposta di coerenza rispetto agli obiettivi ed ai valori conclamati ed al quadro europeo di riferimento, in relazione non al problema “autonomia romagnola”, bensì al referendum indicato dall’art.132 della Costituzione e largamente praticato, per casi analoghi, nell’intero nostro continente, ed altrove.
Non ci sarebbe dispiaciuto che, della questione, si fosse parlato nelle recenti occasioni congressuali, trattandosi indubbiamente di problema localmente prioritario ed attuale. In grado di evidenziare, nell’approccio comportamentale, reali novità.
Non è, forse, “democratico” chiamare in causa il popolo che la Costituzione definisce “sovrano”? E non è, parimenti, “europeo” e “riformista” trattare l’oltre milione di romagnoli alla stessa stregua, e riconoscendo le stesse prerogative, di ogni altra realtà, sia essa inglese o spagnola, iugoslava o cecoslovacca o svizzera?
E che cosa hanno i romagnoli di diverso, sul piano del trattamento istituzionale, dal Molise, che nel 1963 DC e PCI promossero al ruolo di Regione autonoma, staccandolo dagli Abruzzi, pur senza il milione di abitanti ed il referendum popolare previsti dalla Costituzione? Sono, forse, figli di un Dio minore?
Ecco, dunque, una occasione significativa per indicare, oltre le parole, la direzione di marcia di una forza politica veramente impegnata ad aggiornarsi guardando al mondo ed al futuro senza più gli schemi del “centralismo democratico” e del “potere per il potere”, bensì come autorevole interprete di ciò che sale dal Paese sul piano del nuovo e del partecipativo. Contrariamente, siamo soltanto alla propaganda ed alla dissociazione fra le parole ed i comportamenti.
Stefano Servadei - Fondatore del M.A.R.
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