«L'Italia tradisce gli obiettivi di Kyoto»
Legambiente, Wwf e Greenpeace denunciano: «Il piano nazionale delle emissioni presentato a Bruxelles da Bersani e Pecoraro Scanio vanifica gli impegni Onu e soprattutto apre un'autostrada alle centrali a carbone»
Matteo Bartocci. da Il Manifesto 27.12.06 p. 7
Roma
«Per la prima volta dai tempi di Mussolini l'Italia ha scelto di mettere il carbone al centro della sua politica energetica». Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente, prova a buttarla sul ridere ma scherzi a parte sembra davvero finita la «luna di miele» delle associazioni ambientaliste con il governo.
Da Legambiente, Wwf e Greenpeace infatti arrivano in questi giorni bordate di critiche al «piano nazionale delle emissioni» che dovrà recepire il protocollo di Kyoto spedito poco prima di Natale dai ministri Bersani e Pecoraro Scanio a Bruxelles per l'approvazione. «Questo testo - dicono in coro le ong - accontenta un solo grande protagonista: il carbone». Una fonte energetica che sembrava superata dalla storia. Il piano, denunciano, è per molti versi addirittura peggiore di quello varato dagli «Attila» Berlusconi-Matteoli. Le accuse sono circostanziate e saranno presto riferite in una lettera congiunta a una Commissione europea di per sé poco tenera con i furbi: l'eurocommissaria Dimas infatti ha già respinto 9 piani europei su 10 accogliendo solo quello della Gran Bretagna di Blair. E' dunque difficile che il progetto italiano faccia eccezione.
Primo: secondo le ong il piano varato dall'Italia non rispetta Kyoto perché prevede 209 milioni di tonnellate (Mt) di Co2 in atmosfera e non 186 come avrebbe richiesto un taglio reale del 6,5% delle emissioni previste dal trattato (come prevedeva in effetti la bozza preparata in estate dal ministero dell'ambiente).
Secondo: il settore termoelettrico, quello su cui è più semplice intervenire con obiettivi «sostenibili» non riceve nessuna penalizzazione ma anzi aumenta la sua quota di altri 10 Mt. In particolare, denunciano le ong, il governo Prodi apre una vera autostrada ai progetti di riconversione al carbone in cantiere soprattutto da parte dell'Enel. Il carbone costa poco ma inquina molto in termini di «gas serra» (quasi il triplo del gas) e avrà riservati tutti per sé ben 10,3 Mt su 12 delle quote inquinanti che le aziende acquistano sul mercato. Quote già con un nome e cognome e dunque meno costose che se fossero messe all'asta come vuole la direttiva europea. Quote in più consentite proprio grazie ai tagli (da 28,5 a 3 Mt) agli impianti al Cip6 che, a meno che non vengono spenti dall'oggi al domani invece continueranno a funzionare comprando quote inquinanti sul mercato.
Fabrizio Fabbri, ex Greenpeace e oggi «caponegoziatore» del ministero dell'ambiente nel gabinetto di Pecoraro Scanio accoglie solo in parte le critiche degli ambientalisti: «Abbiamo ridotto il danno. Questo è un piano di mediazione con il ministero dello sviluppo, la bozza preparata da noi a luglio era certamente molto più condivisibile. Soprattutto il tetto complessivo lascia a desiderare». La trattativa, tutta a porte rigorosamente chiuse, tra gli sherpa di Bersani e quelli dell'ambiente è stata molto serrata.
Dubbi sul carbone? «Nessun paese europeo ha penalizzato il carbone - ricorda Fabbri - e paradossalmente l'Italia rispetto agli altri ne ha ancora troppo poco (il 17 per cento della produzione elettrica nazionale, ndr) non obbligare a diversificare le quote in base a un benchmark unico come noi volevamo (una quota inquinante di riferimento valida per tutti che penalizzi le energie peggiori, ndr) è una falla del sistema dell'emission trading. Ma a parte quella di Civitavecchia autorizzata dal governo Berlusconi la discussione sulla riconversione a carbone di tutte le altre centrali è ancora aperta». Completo disaccordo invece sul rischio di aumento in bolletta: «Il problema non riguarda solo gli impianti in regime Cip6, che io comunque considero un'indecenza, i costi in bolletta possono aumentare per tutti se le imprese o le aziende lo decidono». E il Cip6? «Che dovevamo fare? - conclude Fabbri - dargli tutte le quote? Le abbiamo ridotte stabilendo il principio che quelle in più le paghino sul mercato. E' vero che a novembre l'autorità per l'energia ha già concesso alle imprese in Cip6 di scaricare tutti i costi di Kyoto in bolletta però il governo potrà intervenire nel prossimo Dpef (che parte proprio dal 2008) per dissuaderla dal garantirgli ancora gli extra-costi».
«La scomoda verità è che il ritorno al carbone non ci farà raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra», dice Giuseppe Onufrio direttore delle campagne di Greenpeace. «Il programma dell'Unione indica obiettivi per lo sviluppo di fonti rinnovabili e per l'efficienza energetica ma al momento nell'azione di governo non c'è traccia di tutto questo. Chiediamo che vengano fissati obiettivi vincolanti e coerenti con gli impegni assunti in campo internazionale» conclude Francesco Tedesco, della CampagnaClima di Greenpeace.
«Kyoto è un'opportunità se consente di guardare al futuro - concorda Edoardo Zanchini - il piano delle emissioni doveva servire proprio a progettare la politica di domani in chiave di efficienza e riduzione dell'inquinamento, invece è diventato una sorta di gestione a tavolino tra soggetti già esistenti che, soprattutto con il carbone, rischia di ipotecare qualsiasi politica seria in materia ambientale». Conclude Riccardo Liburdi, funzionario dell'Apat dimesosi a giugno proprio per la gestione del registro delle emissioni: «Il piano toglie la possibilità di crescere agli impianti efficienti, come quelli a biomasse in Trentino Alto Adige, e accoglie tutte le richieste dei grandi produttori sul carbone».