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    Predefinito Domenica fra la Circoncisione e l'Epifania (3 gennaio) - Santissimo Nome di Gesù

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Santissimo Nome di Gesù

    3 gennaio - Memoria Facoltativa

    Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel 1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.

    Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina.

    Martirologio tradizionale (Domenica fra la Circoncisione e l'Epifania): Festa del Santissimo Nome di Gesù.

    Il significato e la proprietà del nome

    Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia.
    In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere.
    Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega.
    Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione.
    Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili.

    Il nome nelle società antiche

    Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza.
    I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie.
    Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza.

    Il nome nella mentalità semitica

    Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia.
    Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.).
    In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”.
    Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc.
    Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi.
    Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome.
    Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore.
    Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire.
    Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati.

    Il nome di Dio nella Bibbia

    L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.
    Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto.
    I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome).
    Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo.

    Il nome del Padre

    Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
    Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui.
    Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana.
    Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio.
    Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24).

    Il nome del Signore Gesù

    Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25).
    Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio.
    Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi:
    Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
    Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”.
    Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio.
    Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio.
    Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”.
    La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13).
    I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore.
    L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

    Il culto liturgico del Nome di Gesù

    Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico.
    Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494).
    Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721.
    Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa.
    Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.

    Il trigramma di san Bernardino da Siena

    Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro.
    Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
    Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
    Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.
    Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
    Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore.
    Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.
    Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
    Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”. Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
    Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
    In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

    La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
    Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.

    Autore: Antonio Borrelli

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    GIOVANNI PAOLO II

    UDIENZA GENERALE


    Mercoledì, 14 gennaio 1987

    1. Con la catechesi della scorsa settimana, seguendo i più antichi simboli della fede cristiana, abbiamo iniziato un nuovo ciclo di riflessioni su Gesù Cristo. Il Simbolo apostolico proclama: “Credo . . . in Gesù Cristo, suo unico Figlio (di Dio)”. Il Simbolo niceno-costantinopolitano, dopo aver definito con precisione ancora maggiore la divina origine di Gesù Cristo come Figlio di Dio, prosegue dichiarando che questo Figlio di Dio “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e . . . si è incarnato”. Come si vede, il nucleo centrale della fede cristiana è costituito dalla duplice verità che Gesù Cristo è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo (la verità cristologica), ed è la realizzazione della salvezza dell’uomo, che Dio Padre ha compiuto in lui, Figlio suo e Salvatore del mondo (la verità soteriologica).

    2. Se nelle precedenti catechesi abbiamo trattato del male, e in particolare del peccato, lo abbiamo fatto anche per preparare il ciclo presente su Gesù Cristo Salvatore. Salvezza infatti significa liberazione dal male, in particolare dal peccato. La Rivelazione contenuta nella sacra Scrittura, a cominciare dal Proto-Vangelo (Gen 3, 15) ci apre alla verità che solo Dio può liberare l’uomo dal peccato e da tutto il male presente nell’esistenza umana. Dio, mentre rivela se stesso come Creatore del mondo e suo provvidente Ordinatore, si rivela contemporaneamente come Salvatore: come colui che libera dal male, in particolare dal peccato causato dalla libera volontà della creatura. È questo il culmine del progetto creativo attuato dalla Provvidenza di Dio, nel quale mondo (cosmologia), uomo (antropologia) e Dio salvatore (soteriologia) sono strettamente legati.

    Come infatti ricorda il Concilio Vaticano II, i cristiani credono che il mondo è “creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto . . .” (Gaudium et Spes, 2).

    3. Il nome “Gesù”, considerato nel suo significato etimologico, vuol dire “Jahvè libera”, salva, aiuta. Prima della schiavitù di Babilonia veniva espresso nella forma “Jehosua”: nome teoforico che contiene la radice del santissimo nome di Jahvè. Dopo la schiavitù babilonese prese la forma abbreviata “Jeshua”, che nella traduzione dei Settanta fu trascritto con “Jesoûs” da cui l’italiano “Gesù”.

    Il nome era alquanto diffuso, sia al tempo dell’antica sia della nuova alleanza. È infatti il nome che portava Giosuè, che dopo la morte di Mosè introdusse gli Israeliti nella terra promessa: “Egli, secondo il significato del suo nome, fu grande per la salvezza degli eletti di Dio . . . per assegnare il possesso a Israele” (Sir 46, 1). Gesù, figlio di Sirach, fu il compilatore del libro del Siracide (Sir 50, 27). Nella genealogia del Salvatore, riportata nel Vangelo secondo Luca, troviamo enumerato “Er, figlio di Gesù” (Lc 3, 28-29). Tra i collaboratori di san Paolo è presente anche un certo Gesù, “chiamato Giusto” (cf. Col 4, 11).

    4. Il nome Gesù, tuttavia, non ebbe mai quella pienezza di significato che avrebbe assunto nel caso di Gesù di Nazaret e che sarebbe stato rivelato dall’angelo a Maria (cf. Lc 1, 31ss.) e a Giuseppe (cf. Mt 1, 21). All’inizio del ministero pubblico di Gesù, la gente intendeva il suo nome nel senso comune di allora.

    “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. Così dice uno dei primi discepoli, Filippo, a Natanaele il quale ribatte: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1, 45-46). Questa domanda indica che Nazaret non era molto stimata dai figli di Israele. Nonostante ciò, Gesù fu chiamato “Nazareno” (cf. Mt 2, 23), o anche “Gesù da Nazaret di Galilea” (Mt 21, 11), espressione che lo stesso Pilato utilizzò nell’iscrizione che egli fece porre sulla croce: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” (Gv 19, 19).

    5. La gente chiamò Gesù “il Nazareno” dal nome del luogo in cui egli risiedette con la sua famiglia fino all’età di trent’anni. Sappiamo tuttavia che il luogo di nascita di Gesù non fu Nazaret ma Betlemme, località della Giudea, a sud di Gerusalemme. Lo attestano gli evangelisti Luca e Matteo. Il primo, in particolare, fa notare che a causa del censimento ordinato dalle autorità romane, “Giuseppe, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2, 4-6).

    Come avviene per altri luoghi biblici, anche Betlemme assume un valore profetico. Rifacendosi al profeta Michea, Matteo ricorda che questa cittadina è stata designata come luogo della nascita del Messia: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te infatti uscirà un capo che pascerà il mio popolo Israele” (Mt 2, 6). Il profeta aggiunge: “. . . le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mt 5, 1).

    A questo testo si riferirono i sacerdoti e gli scribi che Erode aveva consultato per rispondere ai Magi che, giunti dall’Oriente, domandavano dove era il luogo della nascita del Messia.

    Il testo del Vangelo di Matteo (Mt 2, 1): “Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode”, si rifà alla profezia di Michea, alla quale si riferisce anche l’interrogativo riportato nel quarto Vangelo: “Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?” (Gv 7, 42).

    6. Da questi particolari si deduce che Gesù è il nome di una persona storica, vissuta in Palestina. Se è giusto riconoscere credibilità storica a figure come Mosè e Giosuè, a maggior ragione va accolta l’esistenza storica di Gesù. I Vangeli non ci riferiscono in dettaglio la sua vita perché non hanno scopo primariamente storiografico. Sono però proprio i Vangeli che, letti con onestà di critica, portano a concludere che Gesù di Nazaret è una persona storica vissuta in uno spazio e tempo determinati. Anche da un punto di vista puramente scientifico deve suscitare meraviglia non chi afferma, ma chi nega l’esistenza di Gesù, come hanno fatto le teorie mitologiche del passato e come ancora oggi fa qualche studioso.

    Per quanto riguarda la data precisa della nascita di Gesù, i pareri degli esperti non sono concordi. Si ammette comunemente che il monaco Dionigi il Piccolo, quando nell’anno 533 propose di calcolare gli anni non dalla fondazione di Roma, ma dalla nascita di Gesù Cristo, sia caduto in errore. Fino a qualche tempo fa si riteneva che si trattasse di uno sbaglio di circa quattro anni, ma la questione è tutt’altro che risolta.

    7. Nella tradizione del popolo israelitico il nome “Gesù” ha conservato il suo valore etimologico: “Dio libera”. Per tradizione erano sempre i genitori che imponevano il nome ai loro figli. Invece nel caso di Gesù, figlio di Maria, il nome fu scelto e assegnato dall’alto già prima della nascita, secondo l’indicazione dell’angelo a Maria, nell’annunciazione (Lc 1, 31) e a Giuseppe in sogno (Mt 1, 21). “Gli fu messo nome Gesù” - sottolinea l’evangelista Luca - perché con questo nome “era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc 2, 21).

    8. Nel progetto disposto dalla Provvidenza di Dio, Gesù di Nazaret porta un nome che allude alla salvezza: “Dio libera”, perché egli è in realtà ciò che il nome indica, cioè il Salvatore. Lo testimoniano alcune frasi, presenti nei cosiddetti Vangeli dell’infanzia, scritti da Luca (Lc 2, 11): “. . . vi è nato . . . un salvatore”, e da Matteo (Mt 1, 21): “egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Sono espressioni che riflettono la verità che è rivelata e proclamata da tutto il Nuovo Testamento. Scrive ad esempio l’apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi: “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi . . . e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore (Kyrios, Adonai) a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11).

    La ragione dell’esaltazione di Gesù la troviamo nella testimonianza resa a lui dagli apostoli i quali proclamarono con coraggio: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).

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    Predefinito Dall'opera sul «Vangelo eterno» di san Bernardino da Siena

    (Sermone 49, art. 1 - Opera Omnia, IV, pp. 495 ss).

    Il Nome santissimo dagli antichi Patriarchi e Padri fu desiderato, con tanta ansietà aspettato, con tanti sospiri, con tante lagrime invocato, ma nel tempo della grazia misericordiosamente è stato donato. Scompaia il nome dell'umana sapienza, non si senta nome della vendetta, rimanga il nome della giustizia. Donaci il nome della misericordia, risuoni il nome di Gesù nelle mie orecchie, poiché allora veramente la tua voce è dolce e grazioso il tuo volto.

    Grande fondamento della fede pertanto è il Nome di Gesù, per il quale siamo fatti figli di Dio. La fede della religione cattolica consiste nella conoscenza e nella luce di Gesù Cristo; che è illuminazione dell’uomo, porta della vita, fondamento della salute eterna. Se qualcuno non lo ha o lo ha abbandonato, è come se camminasse senza luce nelle tenebre e per luoghi pericolosi ad occhi chiusi; e sebbene splenda il lume della ragione, segue una guida cieca quando segue il proprio intelletto per capire i segreti celesti, come colui che intraprenda la costruzione della casa senza curarsi del fondamento, oppure, non avendo costruita la porta, cerca poi di entrare per il tetto.

    Questo fondamento è Gesù, porta e luce che, mostrandosi agli erranti, indicò a tutti la luce della fede per la quale è possibile ricercare il Dio sconosciuto, e ricercandolo credere, e credendo trovarlo. Questo fondamento sostiene la Chiesa fondata nel Nome di Gesù.

    Il Nome di Gesù è luce ai predicatori, poiché fa luminosamente risplendere, annunciare e udire la sua parola. Da dove credi che provenga tanta improvvisa e fervida luce di fede in tutta la terra, se non dalla predicazione del Nome di Gesù? Forse che Dio non ci ha chiamati all'ammirabile sua luce attraverso la luce e la dolcezza di questo Nome? A coloro che sono illuminati e che vedono in questa luce, giustamente l'Apostolo dice: «Una volta eravate tenebre, ora siete luce nel Signore: camminate dunque quali figli della luce».

    O nome glorioso, o nome grazioso, o nome amoroso e virtuoso! Per mezzo tuo vengono perdonate le colpe, per mezzo tuo vengono sconfitti i nemici, per te i malati vengono liberati, per te coloro che soffrono sono irrobustiti e gioiscono! Tu onore dei credenti, maestro dei predicatori, forza di coloro che operano, tu sostegno dei deboli! I desideri si accendono per il tuo calore e ardore di fuoco, si inebriano le anime contemplative e per te le anime trionfanti sono glorificate nel cielo: con le quali, o dolcissimo Gesù, per questo tuo santissimo Nome, fa' che possiamo anche noi regnare. Amen!

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    Predefinito Dal "Discorso sulla sobrietà e la virtù" di Esichio Sinaita.

    De temperantia et virtute, I, 5; II, 167; I, 32; II, 150; 1, 42.62.96; 11, 173.180.185.194; 1, 29, in PG 93, 1481.1533.1491.1528.1493.1300 1509.1536.1537.1540.1541.1489.

    L'attenzione (ossia la vigilanza) è l'esichia costante del cuore, libera da ogni pensiero; sempre e perennemente essa respira e invoca Cristo Gesù, Figlio di Dio e Dio: lui solo. Con lui si schiera coraggiosamente contro i nemici, affermando con fede che solo lui ha il potere di perdonare i peccati.
    Mediante l'invocazione che sta abbracciata continuamente a Cristo, il solo che conosca i cuori nel segreto, l'anima cerca di nascondere con ogni mezzo agli uomini il proprio diletto e l'intimo travaglio: lo fa perché il maligno non trovi possibilità d'introdurre in lei di soppiatto la sua malizia e cancelli l'opera più bella fra tutte.
    Farà naufragio facilmente un pilota stolto in tempo di procella se, dopo aver cacciato via i marinai e buttato remi e vele in mare, lui stesso dorme; ma più facilmente sarà travolta dai demoni un'anima che ha trascurato la vigilanza e l'invocazione del nome di Gesù Cristo, quando incominciano gli assalti.

    Bisognerebbe fuggire l'eccessiva familiarità come veleno d'aspide ed evitare le molte conversazioni come serpenti e razza di vipere, poiché queste cose hanno la forza di stabilire l'anima nella completa dimenticanza del combattimento interiore. Purtroppo la fanno discendere dalla gioia eccelsa della purezza del cuore.
    L'esecrabile dimenticanza si oppone all'attenzione come l'acqua al fuoco e di ora in ora le diviene nemica sempre più forte.
    Infatti dalla dimenticanza perveniamo alla negligenza, dalla negligenza al disprezzo, all'indolenza e alla sconveniente concupiscenza. E così ci volgiamo di nuovo indietro come il cane al proprio vomito.
    Fuggiamo dunque l'eccessiva confidenza come veleno di morte; mentre il cattivo possesso della dimenticanza e di ciò che ne consegue, si cura con la scrupolosa custodia dell'intelletto e la continua invocazione del Signore nostro Gesù Cristo. Senza di lui non possiamo far nulla (Cf Gv 15,5).

    Quando avremo cominciato a governare l'attenzione dell'intelletto, cercheremo di armonizzare l'umiltà con la vigilanza e uniremo la preghiera alla confutazione del maligno. Allora cammineremo bene sulla via della conversione, mettendo ogni studio a spazzare, adornare e pulire la casa del nostro cuore dalla malignità con l'adorabile e santo nome di Gesù, come luce di lampada.
    Ma se avremo fiducia solo nella nostra vigilanza o attenzione, ben presto spinti dai nemici ci volteremo indietro, cadremo ed essi, fraudolenti e astutissimi, ci atterreranno.
    Verremo così ancora più impigliati dalle loro reti, cioè dai pensieri cattivi; o anche saremo sgozzati facilmente da loro, perché non abbiamo la forte spada del nome di Gesù Cristo.
    Solo questa sacra spada, roteata molto saldamente, in un cuore solitario, sa radunarli e farli a pezzi, arderli e renderli oscuri, come fa il fuoco con la paglia.
    Ma c'è di più: proprio in questa vittoria, il nome di Gesù diventa perfettamente sensibile e insegna al cuore sperimentato del lottatore che Dio in persona è il nostro aiuto: lui purifica il cuore da ogni immagine diabolica perché davanti a lui tutto cede e gli è sottomesso.

    Gli inesperti sappiano anche questo: non possiamo in alcun modo vincere i nemici incorporei e invisibili, che vogliono il male e sono saggi nel danneggiare, veloci, leggeri ed esperti in guerra, dai tempi di Adamo fino ad oggi, poiché siamo esseri corporei, pesanti e piegati a terra col corpo e col pensiero; questo è possibile solo per mezzo della perpetua vigilanza dell'intelletto e dell'invocazione di Gesù Cristo, Dio e creatore nostro.
    E per gli inesperti bastano la preghiera di Gesù e l'impulso a provare e conoscere il bene; per gli esperti, la pratica, la prova e il sollievo del bene sono il migliore costume e maestro.
    In realtà, dall'esperienza noi apprendiamo il grande bene della continua invocazione del Signore Gesù contro i nemici spirituali qualora si voglia purificare il proprio cuore. E vedi come concorda l'esperienza con la testimonianza della Scrittura: Preparati all'incontro con il tuo Dio, o Israele (Am 4,12), dice Amos profeta. E anche l'Apostolo afferma: Pregate incessantemente (1 Ts 5, 17).

    Dal ricordo e dalla invocazione continua del Signore nostro Gesù Cristo risulta uno stato divino nel nostro intelletto, se non trascuriamo la continua supplica interiore a lui e la stretta vigilanza con un impegno stabile.
    Ma davvero, facciamo di avere sempre da compiere l'opera dell'invocazione di Gesù Cristo, nostro Signore, opera da ricominciare sempre senza posa. Gridiamo con cuore di fuoco così da ricevere in parte il santo nome di Gesù.
    La continuità infatti è madre dell'abitudine, sia per la virtù sia per il vizio, e l'abitudine poi ha forza di natura.
    E l'intelletto, giunto a tale stato, cerca i nemici, come un cane che va a caccia della lepre nella boscaglia. Ma il cane cerca la selvaggina per divorarla, e l'intelletto invece per annientare i nemici.

    Con la preghiera continua il cielo della mente si conserva puro dalle nubi tenebrose, dai venti degli spiriti del male. E quando il cielo del cuore si conserva puro, non è possibile che non si accenda in esso la divina luce di Gesù.
    Se invece siamo gonfi di vanagloria, di alterigia, di ostentazione, tentiamo di sollevarci verso ciò che è irraggiungibile e ci troviamo senza soccorso da parte di Gesù. Perché Cristo, esempio di umiltà, odia tali cose.
    Dunque, se vuoi veramente coprire di vergogna le immaginazioni e vivere l'esichia, avendo un cuore vigilante con facilità, la preghiera di Gesù si unisca al tuo respiro; in pochi giorni vedrai questo verificarsi.

    Con il cuore istruito nella sapienza, cerchiamo di vivere sempre, secondo il salmista, respirando di continuo Cristo Gesù, potenza e sapienza di Dio (1 Cor 1,24).
    Se svigoriti da una qualche circostanza avversa, trascureremo l'attività spirituale, il mattino seguente di nuovo cingiamo bene i fianchi dell'intelletto, e ricominciamo ancora con forza l'opera, sapendo che non c’è possibilità di una difesa per noi che abbiamo conosciuto il bene se non lo facciamo.
    Veramente beato colui che si è così congiunto nella mente alla preghiera di Gesù e lo invoca senza interruzione nel cuore, come l'aria è unita ai nostri corpi o come la fiamma alla cera. E il sole passando sopra la terra farà giorno, ma il santo e adorabile nome del Signore Gesù, risplendendo di continuo nella mente, genererà innumerevoli pensieri fulgidi come il sole.

    Sii sempre occupato nel tuo cuore col pensiero umile e il ricordo della morte, il biasimo a te stesso, la confutazione del maligno e l'invocazione di Gesù Cristo. Se camminerai ogni giorno sobriamente con queste armi, per la via stretta ma lieta e gioiosa della mente, perverrai alla santa contemplazione degli eletti. Riceverai la luce dei profondi misteri da Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3), in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9).
    Accanto a Gesù sentirai che lo Spirito santo ha invaso la tua anima; da lui riceve la luce l'intelletto dell'uomo, per vedere a volto scoperto. Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo (1 Cor 12,3). Questo garantisce misticamente ciò che l'invocazione ricerca.

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    Predefinito Dalle Catechesi battesimali di san Cirillo di Gerusalemme.

    Catecheses mystagogicae X, 3-4.12-13.16.20, in PG 33, 661.665.677.681.689.

    Tu credi nell'unico Signore nostro Gesù, Figlio unigenito di Dio. Diciamo che Gesù Cristo è "unico", perché unica è la filiazione. Diciamo "unico", perché tu non abbia a distinguere in molti figli una realtà che ha molte denominazioni.
    Egli è detto Porta (Gv 10,7), però il nome non ti deve far pensare a un oggetto di legno; si tratta invece di una porta spirituale, viva, che opera una cernita tra quelli che vi entrano.
    E' detto Via (Gv 14,6): non però una via che con i piedi si calpesta, ma quella che conduce al Padre dei cieli.
    E' detto Agnello (At 8,32; Is 53,7), ma non è irragionevole, perché con il suo prezioso sangue purifica dai peccati la terra; agnello che è condotto dal tosatore e sa far silenzio se occorre.
    Agnello che è pure detto Pastore (Gv 10,11), poiché colui che affermò: Io sono il buon Pastore (Gv 10,11) è agnello a motivo della sua natura e pastore a causa della sua misericordiosa divinità.
    Potremmo continuare elencando molti altri nomi; tuttavia, se essi sono numerosi, unico è il loro contenuto.

    Unico è il Signore Gesù Cristo, e il suo nome ammirabile fu preannunziato indirettamente dai profeti. Dice Isaia: Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco-, ha con se la sua mercede (Is 62,11). Ora, Gesù in ebraico significa Salvatore; la grazia prof etica, prevedendo l'uccisione di lui da parte dei Giudei, nascose il suo nome, perché non fossero più pronti a insidiarlo qualora lo avessero conosciuto. Gesù invece ricevette il nome non da uomini ma - è evidente - da un angelo; e questi non venne di suo arbitrio, ma, inviato da Dio a Giuseppe, gli disse : Tu lo chiamerai Gesù. Dandone poi subitola motivazione, soggiunse: Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21).
    Rifletti attentamente: se ancor prima di nascere aveva un popolo, vuol dire che egli esisteva già prima della nascita. Il Signore dal seno materno mi ha chiamato (Is 49,1), dice il profeta, sostituendosi a Cristo, appunto perché l'angelo doveva annunziare da parte di Dio che egli avrebbe avuto nome Gesù.
    In ebraico Gesù significa Salvatore, mentre in greco vuol dire colui che risana. Davvero Cristo è il medico delle anime e dei corpi, colui che cura gli spiriti. Risana le pupille dei ciechi e dona luce agli intelletti; è medico degli zoppi visibili e conduce a penitenza i piedi dei peccatori, dicendo al paralitico: Non peccare più. E: Prendi il tuo lettuccio e cammina (Gv 5,14.8). Siccome il corpo era diventato paralitico per il peccato dell'anima, Cristo curò prima lo spirito, per ridare poi la salute anche alle membra.
    Quindi, se uno giace ammalato spiritualmente per le sue colpe, ha il medico; e se uno ha ancora poca fede gli dica: Aiutami nella mia incredulità (Mc 9,24). E se uno è affetto da infermità fisiche, non si scoraggi, perché Cristo cura anche queste ferite; si accosti, riconoscendo che Gesù è il Signore.
    Gli Ebrei ammettono infatti ch'egli è Gesù, ma poi negano che sia Cristo. Perciò l'Apostolo afferma: Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo ? (1 Gv 2,22).

    Questo Gesù Cristo è colui che si presenta come il sommo sacerdote dei beni futuri che, per la magnificenza della sua divinità, rende anche noi partecipi del suo nome. I re della terra comunicano agli uomini il titolo della loro regalità. Gesù Cristo, invece, che è il Figlio di Dio, ci ha resi degni di essere chiamati cristiani.
    Se uno prima non credeva, ora creda; se uno era già fedele, d'ora in poi progredisca nella fede e riconosca colui del quale porta il nome.
    Sei detto cristiano: rispetta il tuo nome. Non avvenga mai che per colpa tua sia bestemmiato il Signore nostro Gesù, il Figlio di Dio. Piuttosto splendano le tue opere davanti agli uomini, perché vedendole, essi glorifichino il Padre che è nei cieli (Cf Mt 5,16).
    A lui sia gloria ora e per i secoli eterni. Amen.

  6. #6
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    Predefinito Dal Trattato "Sul Principio" di Origene.

    11, 6, 2, in PG 11, 210 s.

    Fra tutte le cose meravigliose che si possono dire di Cristo, ve n'è una che supera assolutamente l'ammirazione di cui è capace lo spirito umano; e la fragilità tipica del nostro intelletto non sa come comprenderla o immaginarla. L'onnipotenza della maestà divina, la Parola stessa del Padre, la Sapienza di Dio, nella quale sono state create tutte le cose - le visibili e le invisibili - si è lasciata racchiudere nei limiti di un uomo apparso in Giudea. Questo è l'oggetto della nostra fede: ma c'è di più. Noi crediamo che la Sapienza di Dio è entrata nel seno di una donna e che è nata tra i vagiti e i pianti come tutti i neonati.
    Riscontriamo in lui sia i lineamenti umani comuni alla nostra debolezza di mortali, sia i lineamenti divini propri soltanto della somma e ineffabile natura divina. Di fronte a ciò l'intelligenza umana, troppo angusta, è presa da tale stupore che non sa cosa dire e come orientarsi. La nostra contemplazione, meditando nello stesso Gesù le verità delle due nature, deve essere riverente e timorosa, evitando sia di attribuire all'ineffabile essenza divina cose indegne o sconvolgenti, sia di dare apparenze illusorie negli eventi storici.
    In verità, spiegare tali realtà a intelligenze umane e cercare di esprimerle a parole, è impresa superiore alle forze, al linguaggio e alla capacità che mi sono state date. Penso che superi anche le possibilità stesse degli apostoli. Ancor più la spiegazione di questo mistero trascende forse tutto l'ordine delle potenze celesti.

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    Predefinito Dai "Capitoli pratici e teologici" di Simeone il Nuovo Teologo

    Nn. 108.101, in PG 3, 373s.371.

    Quale scopo persegue l'economia dell'incarnazione del Dio Verbo, proclamato in tutta la Scrittura, letto, ma non riconosciuto da noi? Non è forse quello di renderci partecipi di ciò che è suo, dopo che egli si è fatto partecipe di ciò che è nostro? Per questo il Figlio di Dio divenne figlio dell'uomo: per fare noi uomini figli di Dio, innalzando per grazia la nostra stirpe a ciò che egli è per natura, col generarci dall'alto nello Spirito santo e subito introdurci nel regno dei cieli; o piuttosto col farci dono di avere il regno dei cieli dentro di noi. Così noi non siamo nella speranza di entrare in esso, ma già lo possediamo, esultando nel grido: La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3).
    Esaminiamo ora come possiamo glorificare Dio: non altrimenti da come egli fu glorificato nel Figlio. Con le cose con cui il Figlio ha glorificato il Padre suo, anche il Figlio è stato glorificato dal Padre, Quelle, facciamole anche noi con zelo, per glorificare Colui che ha accettato di essere chiamato Padre nostro, che sei nei cieli (Mt 6,9) e operiamo al fine di essere glorificati da lui con la gloria del Figlio, quella che aveva da lui, prima che il mondo fosse.
    E queste cose sono la croce, cioè la morte a tutta la realtà mondana, le tribolazioni, le prove di ogni genere e il resto dei patimenti di Cristo. Se sopportiamo ciò con molta pazienza, noi imitiamo i patimenti di Cristo e con essi glorifichiamo il Padre nostro e Dio, come figli per grazia e coeredi di Cristo.

  8. #8
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    Predefinito Dalle Omelie varie di san Cirillo di Alessandria

    Homiliae diversae, XII, in PG 77, 1042-1050.

    Abbiamo visto ultimamente un neonato giacere in una mangiatoia, l'Emmanuele avvolto in fasce come un qualsiasi bimbo, ma festeggiato come Dio dai cori degli angeli.
    Saranno essi ad annunziare ai pastori la sua nascita. Gli abitanti del cielo avevano infatti ricevuto da Dio Padre l'altissimo privilegio di predicare per primi il Cristo Signore.
    Oggi vediamo il Dio legislatore sottomettersi alla legge mosaica, suddito di essa come un uomo.
    Per questo Paolo, pieno di sapienza, dice: Quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge (Gal 4,3-5).
    Cristo riscattò dalla legge coloro che stavano sotto la legge, non quelli che ne erano i custodi. Come li riscattò? Adempiendola, ma in altro modo, per cancellare il peccato della prevaricazione di Adamo.
    Per noi egli si mostrò davanti al volto del Padre, obbediente e sottomesso in tutto. Sta scritto infatti: Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti (Rm 5,19).
    Con noi Cristo chinò il capo sotto la legge, perché bisognava che egli adempisse tutta la giustizia, secondo il disegno di Dio.

    Di cuore Cristo si accollò la nostra povertà, per renderci ricchi dei suoi beni. Osservalo offrirsi al Padre come uno di noi, secondo l'usanza, anche se è sua madre a far tutto.
    Possibile che restò sconosciuto a tutti gli abitanti di Gerusalemme? Proprio nessuno di quella gente lo riconobbe? Come poté mai succedere una simile cosa?
    Tramite i profeti, Dio Padre aveva predetto che un giorno sarebbe apparso suo Figlio per salvare chi era perduto e illuminare chi giaceva nelle tenebre.
    Sta' a sentire uno di quegli oracoli: Faccio avanzare la mia giustizia: non è lontana; la mia misericordia si rivelerà (Cf Is 46,13), e: La mia salvezza risplenderà come lampada (Cf Is 62,1). Cristo stesso è misericordia e giustizia. Egli ebbe compassione di noi e ci ha giustificati, dopo che grazie alla fede ci ha lavati da ogni macchia di peccato.
    Come una fiaccola che avanza rompendo le tenebre della notte, Cristo appare a quelli che erano immersi nell'oscurità e nella notte dello spirito, avvolgendoli di luce divina.
    Egli fu dunque introdotto nel tempio come un bambino appena nato che succhia il latte. Il beato Simeone, almeno lui insignito di grazia profetica, lo prese tra le braccia e, al colmo della gioia, rese grazie a Dio.

    Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele segno di contraddizione.
    L'Emmanuele fu infatti posto da Dio Padre nelle fondamenta di Gerusalemme come pietra angolare, scelta e preziosa.
    Ma Israele non adorò l'Emmanuele, benché fosse suo Signore e suo Dio, né volle credere in lui. Essi cozzarono contro quella pietra a causa della loro incredulità, si schiantarono e precipitarono.
    Molti altri invece si rialzarono; furono quelli che seppero accoglierlo nella fede.
    Costoro furono trapiantati dal culto legale a quello spirituale. Mentre prima avevano uno spirito di schiavitù, ora ricevono lo spirito che libera, lo Spirito Santo: resi partecipi della natura divina, ingioiellati dell'adozione a figli, sperano di attingere la città dell'alto, il regno dei cieli.
    Quanto al segno di contraddizione, esso simboleggia la croce preziosa che la sapienza paolina definisce come scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1 Cor 1,23).
    Questo segno di contraddizione sembra follia per chi si perde, ma è salvezza e vita per chi ne riconosce la potenza.

    Simeone annunzia alla Vergine Maria: A te una spada trafiggerà l'anima.
    Forse il vegliardo intende per "spada" il dolore che si abbatté sopra di lui al vedere sulla croce il Cristo che lei aveva generato, senza ancora poter sapere che sarebbe risorto più forte della morte.
    Non ti stupire che la Vergine lo ignorasse; gli apostoli stessi mostrarono una fede tanto fiacca al punto che il beato Tommaso non avrebbe affatto creduto se non avesse messo le dita nel costato di Cristo e toccato il posto dei chiodi dopo la risurrezione. Eppure gli altri discepoli gli avevano ben dichiarato che Cristo era risorto dai morti e si era manifestato a loro.
    Ci è utile qui ciò che l'evangelista ispirato insegna narrando quegli avvenimenti. Egli ci mostra tutto quello che il Figlio, fatto carne, soffrì a causa nostra e per noi; il Verbo di Dio non ha disdegnato di assumere la nostra fragilità, perché gli rendessimo gloria come Redentore, Signore, Salvatore e Dio.
    A lui e con lui a Dio Padre e allo Spirito Santo è dovuta la gloria e il potere nei secoli dei secoli. Amen.

  9. #9
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    Predefinito

    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 183-187

    DOMENICA FRA LA CIRCONCISIONE E L'EPIFANIA
    FESTA DEL SANTISSIMO NOME DI GESÙ


    Per celebrare questa festa, fu dapprima scelta la seconda domenica dopo l'Epifania, che ricorda il banchetto delle nozze di Cana. È nel giorno nuziale che la Sposa assume il nome dello Sposo, e questo nome d'ora in poi testimonierà che essa appartiene a lui. La Chiesa, volendo onorare con un culto speciale un nome per essa così prezioso, ne univa dunque il ricordo a quello delle Nozze divine. Oggi, essa riallaccia all'anniversario stesso del giorno in cui fu imposto, otto giorni dopo la nascita, la celebrazione di quell'augusto Nome.

    L'antica alleanza aveva circondato il Nome di Dio di un profondo terrore: quel nome era per essa tanto formidabile quanto santo, e l'onore di proferirlo non spettava a tutti i figli d'Israele. Dio non era ancora stato visto sulla terra a conversare con gli uomini, non si era ancora fatto uomo lui stesso per unirsi alla nostra debole natura: non potevano dunque dargli quel Nome d'amore e di tenerezza che la Sposa dà allo Sposo.

    Ma quando è giunta la pienezza dei tempi, quando il mistero d'amore è sul punto di apparire, scende innanzitutto dal cielo il Nome di Gesù, come un anticipo della presenza del Signore che deve portarlo. L'Arcangelo dice a Maria: "Gli imporrai il nome di Gesù"; ora Gesù vuoi dire Salvatore. Quanto sarà dolce a pronunziarsi, questo nome, per l'uomo che era perduto! Questo solo Nome quanto riavvicina già il cielo alla terra! Ve n'è forse uno più amabile o più potente? Se a questo divin Nome ogni ginocchio deve piegarsi in cielo, in terra e nell'inferno, vi è forse un cuore che non si commuova d'amore al sentirlo pronunciare? Ma lasciamo descrivere a san Bernardo la potenza e la dolcezza di questo Nome benedetto. Ecco come egli si esprime in proposito nel suo xv Sermone sul Cantico dei Cantici:

    "Il Nome dello Sposo è luce, cibo, medicina. Esso illumina, quando lo si rende noto; nutre, quando vi si pensa in segreto; e quando lo si invoca nella tribolazione, procura la dolcezza e l'unzione. Percorriamo, di grazia, ognuna di tali qualità. Donde pensate che si sia potuto diffondere nell'universo intero la grande e improvvisa luce della Fede, se non dalla predicazione del Nome di Gesù? Non è forse per la luce di quel Nome benedetto che Dio ci ha chiamati alla sua stessa mirabile luce? Illuminati da essa, e vedendo in quella luce un'altra luce, sentiamo san Paolo che ci dice giustamente: Voi eravate una volta tenebre; ma ora siete luce nel Signore.

    Ma il Nome di Gesù non è soltanto luce, è anche cibo. Non vi sentite dunque riconfortati ogni qual volta richiamate al vostro cuore quel dolce Nome? Che altro c'è al mondo che nutra tanto la mente di colui che Lo pensa? Che cos'è che, allo stesso modo, ristori i sensi indeboliti, dia energia alle virtù, faccia fiorire i buoni costumi e mantenga gli onesti e casti affetti? Ogni cibo dell'anima è arido se non è imbevuto di quest'olio, è insipido se non è condito con questo sale.

    Quando voi mi scrivete, il vostro dire non ha per me alcun sapore, se non vi leggo il Nome di Gesù. Quando discutete o parlate con me, tutto il vostro discorso non ha per me alcun interesse se non vi sento risonare il Nome di Gesù. Gesù è miele alla mia bocca, melodia al mio orecchio, giubilo al mio cuore; ed oltre a questo, una medicina benefica. Qualcuno di voi è triste? Che Gesù venga nel suo cuore, passi di qui nella sua bocca, e subito, alla venuta del Nome divino che è vera luce, scompare ogni nube, e torna il sereno. Qualcuno cade nel peccato oppure incorre, disperando, nei lacci della morte? Se invoca il Nome di Gesù, non comincerà subito a respirare e a vivere nuovamente? Chi mai restò nell'indurimento del cuore come fanno tanti altri; o nel torpore delle gozzoviglie, nel rancore o nel languore del tedio? Chi mai, avendo in sé esaurito la sorgente delle lacrime, non l'ha sentita d'improvviso scorrere più abbondante e più soave, appena è stato invocato Gesù? Qual è quell'uomo che, timoroso e preoccupato in mezzo ai pericoli, invocando quel Nome di forza non abbia sentito subito nascere in sé la fiducia e svanire la paura? Chi è colui, vi chiedo, che sbattuto e vacillante in balia dei dubbi, non ha all'istante - lo dico senza esitare - visto risplendere la certezza all'invocazione di un Nome così luminoso? Chi, nell'avversità, mentre era in preda alla sfiducia, non ha ripreso coraggio al suono di quel Nome di valido aiuto? Sono queste infatti le malattie e i languori dell'anima ed esso ne è il rimedio.

    Certamente, e posso provarvelo con quelle parole: Invocami, dice il Signore, nel giorno della tribolazione, e io ti libererò, e tu mi onorerai. Nulla al mondo arresta così decisamente l'impetuosità dell'ira e riduce ugualmente la gonfiezza della superbia. Nulla guarisce così perfettamente le piaghe della tristezza, comprime le irruenze della dissolutezza, spegne la fiamma della cupidigia, estingue la sete dell'avarizia, e distrugge tutti gli stimoli delle passioni disoneste. In verità, quando io nomino Gesù, ho davanti un uomo dolce e umile di cuore, benigno, sobrio, casto, misericordioso, in una parola splendente di ogni purezza e santità. È lo stesso Dio onnipotente che mi guarisce con il suo esempio, e mi rinforza con la sua assistenza. Tutte queste cose echeggiano nel mio cuore quando sento risuonare il Nome di Gesù. Così, in quanto è uomo, io ne ricavo degli esempi per imitarli, e in quanto è l'Onnipotente, ne ricavo un sicuro aiuto. Mi servo di quegli esempi come di erbe medicinali, e dell'aiuto come d'uno strumento per tritarle, e ne faccio così una mistura tale che nessun medico potrebbe farne una simile.

    O anima mia, tu hai un antidoto eccellente, nascosto come in un vaso, nel Nome di Gesù! Gesù, infatti è un nome salutare e un rimedio che non risulterà mai inefficace per nessuna malattia. Che esso sia sempre nel tuo cuore, e nella tua mano: di modo che tutti i tuoi sentimenti e tutti i tuoi atti siano diretti verso Gesù".

    Questa è dunque la forza e la soavità del santissimo Nome di Gesù, che fu imposto all'Emmanuele il giorno della sua Circoncisione; ma, siccome il giorno dell'Ottava di Natale è già consacra a celebrare la divina Maternità, e il mistero del Nome dell'Agnello richiedeva solo per sé una propria solennità, è stata, istituita la festa di oggi. Il suo primo promotore fu nel XV secolo, san Bernardino da Siena, che stabilì e propagò l'usanza di rappresentare, circondato di raggi, il santo Nome di Gesù ridotto alle sue prime tre lettere JHS, riunite in monogramma. Questa devozione si diffuse rapidamente in Italia, e fu incoraggiata dall'illustre san Giovanni da Capistrano, dell'Ordine dei Frati Minori al pari di san Bernardino da Siena. La Santa Sede approvò solennemente tale omaggio al Nome del Salvatore degli uomini, e nei primi anni del XVI secolo Clemente VII, dopo lunghe istanze, accordò a tutto l'Ordine di san Francesco il privilegio di celebrare una festa speciale in onore del santissimo Nome di Gesù.

    Roma estese successivamente questo favore a diverse Chiese ma doveva venire il momento in cui ne sarebbe stato arricchito lo stesso Ciclo universale. Fu nel 1721, dietro richiesta di Carlo VI imperatore di Germania, che il Papa Innocenzo XIII decretò che la festa del santissimo Nome di Gesù fosse celebrata in tutta la chiesa, e la fissò allora alla seconda Domenica dopo l'Epifania.
    EPISTOLA (At 4,8-12). - In quei giorni; Pietro ripieno di Spirito Santo, disse: Capi del popolo, ed anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul beneficio fatto ad un malato, affin di sapere in qual modo questo sia guarito, sia noto a voi tutti, e a tutto il popolo d'Israele, come in nome del Signor nostro Gesù Cristo Nazareno che voi crocifiggeste e Dio risuscitò da morte, in virtù di questo nome costui è salvo dinanzi a voi. Questa è la pietra riprovata da voi, costruttori, la quale è divenuta la pietra angolare. Ne c'è in altro salvezza. E non v'è altro nome Sotto il cielo dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.
    Lo sappiamo, o Gesù: nessun altro nome fuorché il tuo poteva darci la salvezza. Quel nome infatti significa Salvatore. Sii benedetto per esserti degnato di accettarlo; sii benedetto per averci salvati! Tu appartieni al cielo, e assumi un nome della terra, un nome che può pronunciare una bocca mortale: unisci dunque per sempre la natura divina e quella umana. Rendiamoci degni di tale alleanza, e facciamo in modo che non ci avvenga mai di romperla.
    VANGELO (Lc 2, 2-1). - In quel tempo: Come passarono gli otto giorni per la circoncisione del fanciullo, gli fu posto nome Gesù, com'era stato chiamato dall'Angelo prima che nel seno materno fosse concepito.
    È nel momento della prima effusione del tuo sangue nella Circoncisione, o Gesù, che hai ricevuto il tuo Nome; e doveva essere così, poiché quel nome significa Salvatore, e noi non potevamo essere salvati che dal tuo sangue. Quella felice alleanza che tu vieni a stringere con noi ti costerà un giorno la vita, l'anello nuziale che imporrai alla nostra mano mortale sarà immerso nel tuo sangue, e la nostra vita immortale sarà il prezzo della tua morte crudele. Il tuo Nome santo ci dice tutte queste cose, o Gesù, o Salvatore! Tu sei la Vite, e c'inviti a bere il tuo Vino generoso, ma il celeste grappolo sarà duramente spremuto nel frantoio della giustizia del Padre celeste, e potremo inebriarci del suo divino liquore solo dopo che sarà stato violentemente staccato dal ceppo e frantumato. Che il tuo nome santo, o Emmanuele, ci richiami sempre alla mente questo sublime mistero, il suo ricordo ci preservi dal peccato e ci renda sempre fedeli!
    PREGHIAMO

    O Dio, che hai costituito il tuo Figlio Unigenito Salvatore del genere umano, ed hai voluto che fosse chiamato Gesù, concedici propizio di godere nel cielo la vista di Colui, del quale in terra veneriamo il santo Nome.

  10. #10

 

 
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