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    Riprendo il solito thread per segnalare testi, articoli, riviste su Eurasiatismo e Geopolitica e argomenti a loro affini.
    Chiedo al moderatore di mettere il threrad in rilievo.

  2. #2
    Tringeadeuroppa
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    beh, per ovvi motivi consiglio tutto il catalogo delle Edizioni All'Insegna del Veltro
    http://www.insegnadelveltro.it/

  3. #3
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    Allora segnaliamo anche la recentissima novità: L'imperialismo ebraico nelle fonti della tradizione rabbinica, di Gian Pio Mattogno.

  4. #4
    Forumista senior
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    Gian Pio Mattogno, L'imperialismo ebraico nelle fonti della tradizione rabbinica, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 2008, pp. 286, € 20,00




    Fin dall'antichità classica gli ebrei sono stati accusati - per usare una terminologia moderna - di "imperialismo mondialista". Questa accusa ha accompagnato il popolo ebraico lungo l'intero corso della sua storia secolare, fino ai giorni nostri.

    Secondo gli avversari di Israele, il "popolo eletto" sarebbe animato da una esplicita vocazione messianico-imperialistica, da una fanatica volontà di dominio su tutti i popoli della terra, considerati idolatri, empi e impuri.

    Gli apologeti giudei e i loro ausiliari replicano che tutto ciò è frutto dell' "ignoranza", del "pregiudizio" e della "giudeofobia" degli antisemiti, e dunque assolutamente falso.

    Questo studio si propone di dimostrare, sulla scorta della stessa letteratura giudaica, che l'accusa di imperialismo mossa agli ebrei è tutt’altro che infondata. Dalla Bibbia ebraica e da innumerevoli testi, antichi e moderni, della tradizione rabbinica emerge, in un sinistro scenario apocalittico, la vera natura dell'èra messianica: il dominio universale del "popolo eletto" e il destino di morte, distruzione e asservimento riservato a tutti i popoli della terra.







    Gian Pio Mattogno si occupa da tempo di varie tematiche relative alla questione ebraica. Collaboratore di diverse riviste, per i tipi delle Edizioni all'insegna del Veltro ha pubblicato: La rivoluzione borghese in Italia (1700-1815), 1989; La rivoluzione borghese in Italia (Dalla Restaurazione ai moti del 1831), 1990; La massoneria e la rivoluzione francese,1990. Sulla questione ebraica ha pubblicato: L'antigiudaismo nell'Antichità classica, Ed. di Ar, 2002 e Il non-ebreo nella letteratura rabbinica (Consulenza tecnica di parte presentata al Tribunale di Pisa, Sezione distaccata di Pontedera), 2004; inoltre ha curato la pubblicazione di: J. Pohl, K. G. Kuhn, H. De Vries de Heekelingen, Studi sul Talmud, Edizioni all'insegna del Veltro,1992; La Questione Ebraica, 1, agosto 1998, Ed. di Ar; Gruppo di Ar, Johann Andreas Eisenmenger e il "Giudaismo svelato", Ed. di Ar, 2008.

  5. #5
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    CRNJANSKI MILOS


    ...La prima parte di "Migrazioni" si chiudeva con il ritorno del nobile Vuk Isakovic dalla guerra, all'inizio dell'estate 1745. Siamo ora nell'anno 1752: il governo di Maria Teresa ha deciso la smobilitazione delle truppe serbe e quel sogno - raggiungere una nuova patria, una terra slava, la Russia - viene raccolto dal nipote di Vuk, Pavle Isakovic. Sarà lui a guidare il suo popolo attraverso le steppe, i fiumi, le foreste e i laghi dell'Est. Ma solo per scoprire che nulla è come doveva essere, e che la terra promessa non esiste: mai Pavle potrà convincersi che "un'acacia sul Don o sul Begej è sempre un'acacia".

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Domizio Visualizza Messaggio
    CRNJANSKI MILOS


    ...La prima parte di "Migrazioni" si chiudeva con il ritorno del nobile Vuk Isakovic dalla guerra, all'inizio dell'estate 1745. Siamo ora nell'anno 1752: il governo di Maria Teresa ha deciso la smobilitazione delle truppe serbe e quel sogno - raggiungere una nuova patria, una terra slava, la Russia - viene raccolto dal nipote di Vuk, Pavle Isakovic. Sarà lui a guidare il suo popolo attraverso le steppe, i fiumi, le foreste e i laghi dell'Est. Ma solo per scoprire che nulla è come doveva essere, e che la terra promessa non esiste: mai Pavle potrà convincersi che "un'acacia sul Don o sul Begej è sempre un'acacia".
    Ho appena preso la prima parte, ma non so quando la leggerò.
    Qualche commento?
    Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio.

  7. #7
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    Thumbs up Aldo Ferrari - La Foresta e La Steppa

    LA FORESTA E LA STEPPA: IL MITO DELL'EURASIA NELLA CULTURA RUSSA
    recensione di Stefano Vernole

    Aldo Ferrari, La foresta e la steppa: il mito dell'Eurasia nella cultura russa, Scheiwiller 2003

    Il concetto di Eurasia sembra essere stato usato per la prima volta dal geologo austriaco Eduard Suess (1831-1914) e ripreso dagli eurasisti per concepire un'idea della Russia quale autonomo spazio bicontinentale esteso dai Carpazi al Pacifico, distinto tanto dalla penisola europea quanto dalle regioni meridionali dell'Asia. Secondo questa prospettiva l'Eurasia appare come un'immensa pianura, il cui territorio sostanzialmente omogeneo si divide però in quattro zone botaniche da nord a sud: tundra, taiga, steppa, deserto. Un'unità geografica che viene posta a fondamento della vita culturale e politica dei popoli insediati al suo interno. Ma chi sono gli eurasisti e quali sono le suggestioni ai quali per primi essi hanno dato una sistemazione organica? Essi contano tra le proprie fila alcune delle figure più note dell'emigrazione russa degli anni Venti del nostro secolo, quella seguita alla rivoluzione bolscevica. Da Nikolaj Trubeckoj (1890-1938) e Roman Jacobson (1896-1982), linguisti tra i più celebri del Novecento, a Georgij Florowskij (1893-1979), indiscussa autorità della teologia russa contemporanea, sino a Georgij Vernadskij (1887-1973), per decenni patriarca dell'insegnamento di storia russa nelle università statunitensi. Negli ambienti dell'emigrazione essi vengono visti con diffidenza, perché le loro tesi non rientrano in nessuno dei due principali campi dell'opposizione anti-comunista, quello monarchico-conservatore e quello democratico-liberale. Ciò che viene contestato è soprattutto la loro insistenza sull'aspetto non occidentale, "turanico ed asiatico" della cultura russa. Già la principale opera di Trubeckoj è una critica all'egocentrismo della cultura occidentale, alla sua pretesa universalità e alla sua tradizione nazionale, appiattita su due sole posizioni entrambe da stigmatizzare: l'una sciovinistica - affermazione aprioristica della superiorità del proprio popolo sugli altri, l'altra cosmopolita - rifiuto delle differenze fra le culture e volontà di unificarle in una sola universale. La sua concezione morfologica della storia è simile a quella di altri pensatori russi quali Danilevskij e Leont'ev così come alle indicazioni del tedesco Spengler (1) e si preoccupa di studiare soprattutto gli aspetti antropologici dei popoli eurasisti. Gli altri esponenti del movimento eurasista si dividono funzionalmente i compiti: Jakobson studia le affinità linguistiche, Savickij i fattori geografici e geopolitici, Vernadskij quelli storici, mentre Alekseev e C'cheidze definiscono il progetto politico (2). Nella loro visione complessiva i popoli dell'Eurasia, dalla Galizia alla Muraglia Cinese, nel tentativo di creare un impero unitario su tutta la sua superficie, sembrano aver mantenuto per millenni caratteri simili. Il popolo russo, la cui progressiva espansione porta alla stabile occupazione dello spazio eurasiatico, ha raccolto l'eredità dei nomadi che per lungo tempo l'hanno dominato. Storia russa e storia dell'Eurasia negli ultimi secoli vengono così a coincidere e compito del movimento è quello di sviluppare nel proprio popolo la piena coscienza di questa missione. In questa ricostruzione storica una valutazione spicca significativamente, l'influsso positivo della dominazione tatara sulla Russia, che non solo ne ha lasciato intatta la specificità spirituale ma le ha anche fornito un formidabile modello politico-militare. E' interessante notare come per gli eurasisti abbia poca importanza l'ideologia della "Terza Roma" (3), in quanto la "translatio imperii" davvero decisiva riguarda il passaggio dal khan tataro al gran principe di Mosca (4). Proprio dopo la conquista dei khanati di Kazan e Astrachan (1551-1556) la propensione geopolitica di Mosca si rivolge sempre più verso Oriente, utilizzando i contadini per dissodare gli immensi spazi conquistati e la subetnia cosacca per difenderli (5). Pur riprendendo alcuni elementi slavofili, gli eurasisti introducono molte innovazioni nella cultura russa, in quanto ne evidenziano la dimensione orientale, asiatica e turanica. Dal ballo alla gamma musicale pentatonale, dalla fiaba all'epos eroico, persino la recezione dell'ortodossia bizantina avviene secondo modalità psichiche simili a quelle turaniche. L'assenza tra i russi ortodossi di una vera e propria ricerca teologica è infatti parallela a quanto si osserva tra i turchi mussulmani, essendo entrambi alieni da speculazioni astratte e propensi ad accogliere la fede come un dato integrale e definitivo. L'Eurasia rappresenta perciò una "terza via", sia a livello storico-culturale che socio-politico: non può essere totalmente Europa ma neppure Asia. Nel suo studio linguistico Jacobson vuole dimostrare la sostanziale affinità del sistema fonetico nelle lingue euroasiatiche, indipendentemente dalla loro collocazione. In quest'unione linguistica sono compresi il ramo russo delle lingue slave, le lingue ugro-finniche orientali e alcune lingue caucasiche turche, tutte caratterizzate dall'assenza di tono e dalla distinzione tra consonanti dure e molli. Le teorie geopolitiche di Savickij ribadiscono invece il diritto della Russia ad essere considerata il vero "Regno di Mezzo", avendo essa ereditato il ruolo di mediazione tra Europa e Asia toccato per millenni ai nomadi delle steppe euroasiatiche. Egli profila una Russia-Eurasia quale complesso sistema unitario capace di conciliare popoli e tradizioni culturali differenti, in virtù di uno specifico "ambiente" ("mestorazvitie"), concetto in larga misura corrispondente al "Raum" della geopolitca tedesca e al "Grossraum" del giurista Carl Schmitt. Lontani dal marxismo e dal capitalismo, gli eurasisti auspicano un'élite non classista né nazionale, la cui selezione deve avvenire per cooptazione sulla base della rappresentanza professionale. La conciliazione di diritti e doveri, libertà dei singoli e salute dello Stato, sono raggiungibili solo attraverso strumenti giuridici organici, caratteristici dell'antico diritto russo. All'interno dell'auspicata libera confederazione euroasiatica i russi devono solo essere i primi "inter pares" e riconoscere le aspirazioni di tutti i popoli alla conservazione della cultura nazionale e religiosa. L'unità storico-territoriale dell'Eurasia è in grado di creare un'unitaria e differenziata personalità culturale di tipo "sinfonico", non semplice somma ma armonia di voci diverse. In campo economico è necessario conservare l'iniziativa privata, regolandola però verso l'interesse generale sulla base della mentalità russa tradizionale, che ignora il concetto "latino" assoluto di proprietà ed è a favore invece di uno condizionato. Attraverso una complessa rete di linee ferroviarie, aeree e automobilistiche che la colleghino più efficacemente con l'Asia, essa sarà in grado di raggiungere l'indispensabile autarchia economico-sociale. Nel 1928, però, dopo la formulazione di questo progetto, gli eurasisti si dividono in due campi: il circolo praghese di orientamento conservatore e anticomunista, quello parigino progressista e filosovietico. La spaccatura, dovuta anche all'evidenza della stabilizzazione sovietica sulla base della dottrina marxista-leninista, determina il rapido esaurimento del movimento, sancito nel 1938 dalla morte di Trubeckoj. Ma se qualcuno dovesse considerare gli eurasisti solo degli ingenui utopisti, cadrebbe in errore. Aldo Ferrari, forte di una bibliografia di 48 pagine, ci regala uno splendido affresco su quanto profondo sia stato e sia ancora oggi l'interesse russo per un Oriente interno alla propria cultura. Partendo dalla dominazione mongola, durata dal 1240 al 1480, che vede la Russia profondamente inserita nel sistema delle steppe euroasiatiche fondato da Gengis Khan. Se con le riforme petrine (6) quest'influsso viene minimizzato e condannato, le istituzioni civili e militari della nazione rimangono in realtà di origine mongolo-tatara. Basti pensare all'intenso processo di naturalizzazione della nobiltà tatara e mussulmana; molti dei nomi più noti della Russia moderna rispecchiano quest'origine, da Derzavin a Jusupov, a Turgenev, Karamzin, Suvurov, Kutuzov... Ampie tracce rimangono anche nel lessico russo, non solo in termini "negativi" quali "kat" ("carnefice"), "kandaly" ("catene"), ma anche in parole "neutre" o "positive" come "bogaty" ("eroe") e "tovarisc" ("compagno"). In tutta la sua storia, malgrado la Chiesa Ortodossa veda nell'Islam un male assoluto e Caterina II riconfermi energicamente la svolta petrina, la Russia continua a costituire uno spazio aperto agli influssi orientali. Ciò perché Mosca non ebbe un Impero... ma fu un Impero, che procedette sulla base di spinte espansionistiche tradizionali più che modernamente coloniali. Un percorso lentamente maturato nel corso dei secoli, costituito da rapporti costanti, pacifici e bellici con i paesi confinanti, perché nella steppa non è ben chiaro dove e quando si marchino i confini della patria e perché il predominio russo non si basò mai sul senso di superiorità etnica tipico invece degli Imperi occidentali. Un atteggiamento ravvisabile decisamente anche nella letteratura: dalla capacità di consonanza universale che Dostoewskij e Puskin attribuiscono al popolo russo, alle molteplici speculazioni sul messianismo dell'idea russa, fino alle imposizioni sovietiche del popolo russo come "grande fratello". Ma testimoniato anche dal più influente intellettuale mussulmano operante all'interno dell'Impero zarista, Ismail Gasprinskij (1851-1914), che sottolinea la grande umanità dimostrata dai russi nei confronti dei popoli soggetti, così come dall'opera del console nell'Impero ottomano Konstantin Leont'ev (1831-1891), sostenitore della benignità degli influssi turanici sulla storia di Mosca (7). Oggi, dopo la caduta del Muro di Berlino, quella che Aldo Ferrari ha definito la "tentazione eurasista", riprende vigore. La ritroviamo nell'ideale geopolitico della rivista "Elementy" diretta da Aleksandr Dugin (8), che auspica una formazione sopranazionale continentale estesa da Dublino a Vladivostok e fortemente contrapposta all'Occidente anglo-statunitense. Tra le sue file troviamo significativamente la principale autorità religiosa dei mussulmani russi, il muftì Talgat Tadzudin. Ma anche nel neo-eurasismo accademico di Andrej Panarin e delle riviste "Acta Eurasica" e "Evraziskij Vestink", ispirati al policentrismo politico-culturale. In tempi di "guerre di civiltà", l'eurasismo potrebbe invece fornire elementi utili alla coesistenza dei popoli e delle culture, a patto di non considerare la "civiltà occidentale" come un modello esportabile ovunque.

    Note:
    (1) Nikolaj Danilewskij (1822-1885) è considerato uno dei maggiori teorici del panslavismo e del nazionalismo russo contemporaneo. Oswald Spengler è autore del celeberrimo "Tramonto dell'Occidente" e della coppia concettuale "Kultur-Zivilisation". Il primotermine, "Kultur", indica lo stadio creativo e fecondo di una forma di vita cui si riconnettono le comunità umane, mentre il secondo "Zivilisation" allude al progressivo isterilirsi di una cultura nella sua fase declinante, caratterizzata dall'intellettualismo razionalistico.
    (2) Nikolay Nicolaevic Alekseev (1827-1881) elabora il progetto una giurisprudenza nazionale che rifiuta le teorie dell'Occidente e accoglie invece dal modello bizantino il principio iosifiliano del servizio totale, combinandolo con quello misericordioso della contemplazione e della trasfigurazione esicastica.
    (3) Sull'idea di una missione provvidenziale mondiale affidata alla Russia cfr. Aldo Ferrari, "La Terza Roma", All'insegna del Veltro, 1986.
    (4) Fra XIV e XV secolo sulle grandi pianure dell'Europa centrale e meridionale domina il khanato turco-mongolo dell'Orda d'Oro con capitale Saray (l'attuale Astrakan): la sua estensione dal Mar Nero al Lago d'Aral giunge a Nord fino ai confini della Finlandia. Gradualmente, la divisione dell'Orda d'Oro favorisce la resistenza dei principati russi sotto la guida di quello di Mosca; la caduta di Costantinopoli nel 1453 offre a quest'ultimo la possibilità di presentarsi come erede dell'Impero Bizantino e protettore della Chiesa Ortodossa: nasce l'idea della "Terza Roma".
    (5) L'influsso della steppa sui cosacchi è visibile sin dalla loro stessa denominazione: "kazan" è infatti una parola di origine turca che secondo l'etimologia più diffusa significa "uomo-libero"-"vagabondo".
    (6) Pietro il Grande (1689-1725) è il terzo zar della dinastia dei Romanov e imprime allo Stato russo una decisa spinta verso l'occidentalizzazione, sia nell'innovazione tecnologica che nella vita sociale. La decisione più significativa riguarda lo spostamento della capitale da Mosca a San Pietroburgo, da lui fondata nel 1703 sulle rive del golfo di Finlandia.
    (7) Sul pensiero di Leont'ev cfr. "Bizantinismo e mondo slavo", All'insegna del veltro, 1987.
    (8) Sulla visione "Tradizionalista" di Dughin cfr. la raccolta di saggi "Continente Russia", All'insegna del Veltro, 1991.

  8. #8
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    ELEFANTI EFFERVESCENTI




    Lodovico Ellena, Si può ancora criticare l'Islam?, Tabula Fati, Chieti 2009



    Come informa una lunga nota biobibliografica alle pp. 61-62, l'Autore dello scritto che dà il titolo a questo libriccino "è nato a Torino nel 1957, ha viaggiato molto e si è laureato in filosofia a Torino. Ha avuto discreta notorietà con il gruppo neopsichedelico Effervescent Elephants, con l'edizione di vari dischi. È stato vice-preside, poi direttore, in un liceo torinese. Svolge numerose attività politiche e collabora a vari giornali".
    Metà delle sessanta pagine del volumetto sono però firmate da altre personalità: Mario Borghezio, Emanuele Pozzolo, San Tommaso d'Aquino, Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Un eterogeneo quartetto, questo, che non deve essere ovviamente identificato con il gruppo neopsichedelico Effervescent Elephants, anche se una certa nota psichedelica nel libretto in esame non manca.
    Infatti l’effervescente Mario Borghezio, prefatore dell'opera, richiamandosi agli scritti allucinogeni di quell'Alexandre Del Valle di cui ci siamo già occupati altrove (Claudio Mutti), lancia un accorato grido d'allarme per avvertirci del pericolo incombente rappresentato dall'instaurazione, già in atto, di una vera e propria dittatura islamica: "Siamo, volenti o nolenti, di fronte a un potere mondiale ed universale di censura pronto a sanzionare con mezzi violenti ogni e qualsiasi infrazione ai dettami della sharia".
    A quanto pare, parecchia acqua è passata sotto i ponti del divino Eridano da quando l'on. Borghezio, in veste di sottosegretario del primo governo Berlusconi, accoglieva con tutti gli onori al Ministero della Giustizia i dirigenti dell'UCOII; o da quando il tribuno leghista faceva parlare dalla tribuna di San Pellegrino Terme gli oratori dei Murabitun, mentre un paio di giovanotti caucasici (un inguscio e un ceceno), da lui presentati come "veri eroi", gridavano "Allahu akbar" davanti a una platea di attoniti militanti padanisti.
    Meno effervescente di Borghezio, il candidato della Lega Nord al consiglio comunale di Vercelli, Emanuele Pozzolo, riesce nondimeno anche lui ad evocare, nella sua Presentazione (pp. 9-14), le atmosfere oniriche ed allucinanti di un'esperienza psichedelica. Qui l'evasione dalla realtà è ottenuta mediante la riscrittura dei versetti coranici: dopo averne citati quattro in una traduzione alquanto approssimativa e in una forma mutila ed avulsa dal contesto, Pozzolo conclude la sua breve scelta antologica riferendo un versetto addirittura inesistente (p. 9). Una così particolare acribia filologica consente al candidato leghista di enunciare la sua "evidentissima verità" (p. 10): "ovunque l'Islam venga a contatto con tradizioni altre da sé non risulta in grado di sapervisi rapportare in termini pacifici" (p. 10).
    Un po' più interessante è invece il giudizio di San Tommaso d'Aquino sull'Islam, riportato alle pp. 49-50; giudizio che, come è stato detto, "ha un'importanza capitale, non solo perché ci indica quali fossero le conoscenze e le opinioni che aveva intorno ad esso [=all'Islam] un così grande uomo, ma anche perché servì lungamente di norma alla massima parte dei controversisti" (A. Malvezzi, L'islamismo e la cultura europea, Sansoni 1956, p. 107). Nel libretto ovviamente non si fa cenno del fatto che lo stesso San Tommaso affermava di esser debitore di alcuni concetti attinenti la beatitudine celeste ad Alfarabi, Avicenna, Avempace ed Averroè, i quali a loro volta li avevano desunti dal Corano (G. Gabrieli, Intorno alle fonti orientali della Divina Commedia, Tip. Vaticana 1919, p. 41).
    Altrettanto interessante il quadro dell'Islam abbozzato da Sant'Alfonso Maria de' Liguori e riportato alle pp. 51-60: esso mostra come questo settecentesco difensore del cattolicesimo ignorasse, al pari degl'intellettuali razionalisti contemporanei, le nuove fonti d'informazioni che l'orientalismo aveva pur tuttavia messe a disposizione. I secoli erano evidentemente trascorsi invano, se, per sostenere una caratteristica tesi cattolica (Non può esser vera la religione maomettana), il doctor Ecclesiae era costretto a riproporre il vieto ritornello della "libidine" e delle "sozzure della carne" quali caratteristiche della cultura islamica, anche se per amor di equità bisogna dargli atto di essersi astenuto dal ripetere il topos trito e ritrito secondo cui i musulmani adorerebbero... la dea Venere.
    Veniamo infine allo scritto di Lodovico Ellena che dà il titolo al libriccino. Tale scritto, ci avverte l'Autore stesso, "nacque come taccuino di appunti" (p. 17). Ma appunti sono rimasti, privi di qualunque organicità, sicché il lettore non può non restare colpito dal carattere frammentario e raccogliticcio del testo. Esso è costituito di due capitoli slegati tra loro, il primo dei quali ripropone qualche banale argomento di polemica antislamica desunto dagli scritti di vari agit prop (Guido Olimpio, Ayaan Hirsi Ali, Christopher Hitchens, Tim Leedom, Maria Murdy ecc.), mentre il secondo è un puro e semplice elenco di citazioni tratte dall'Apologia dell'islamismo di Laura Veccia Vaglieri (fantasiosamente qualificata come "musulmana italiana"), da L'Islam di Alessandro Bausani e... da un articolo apparso sul quotidiano della famiglia Elkann-Ovadia.
    Tra le personali affermazioni dell'intellettuale torinese, bisogna però citarne una che è veramente degna di nota: quella che attribuisce ai musulmani non il culto di Venere, né quello di Bafometto (Claudio Mutti), bensì "la venerazione di una pietra già adorata dai persiani nel culto dedicato a Crono, dio del tempo" (p. 20).


    Claudio Mutti


    http://www.claudiomutti.com/index.ph...=4&id_news=164

  9. #9
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    François Thual, IL MONDO FATTO A PEZZI, Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2008, pp. 126, € 15,00



    Recensione di Augusto Marsigliante

    L’ultimo lavoro di François Thual, Il mondo fatto a pezzi, riveste a mio avviso una notevole rilevanza per chiunque abbia un qualche interesse nell’ambito della geopolitica.

    Questo per una serie di ragioni. Innanzitutto perché delinea con estrema chiarezza e fondatezza di argomenti gli scenari geopolitici attuali nel panorama internazionale. In secondo luogo perché conferma ancora una volta, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, la validità del metodo geopolitico come chiave di lettura dei conflitti attuali, passati e futuri, come ben dimostra il colloquio finale tra l’Autore e Tiberio Graziani, che impreziosisce un lavoro già di per sé notevole: una dottrina, quella geopolitica, che è anche –o forse soprattutto- prassi, poiché “codifica le possibilità che gli Stati hanno di dispiegarsi sulla scena internazionale” (pagg. 116-117), e che conferma “l’irreversibile divisione del mondo contemporaneo in due blocchi contrapposti, quello dei dominanti e quello dei dominati” (pag.112).

    Il tema principale di cui si occupa l’Autore consiste nella considerevole proliferazione di Stati sulla scena internazionale che si è avuta in particolare nel XX secolo: una fase che ha preso il posto di quella precedente, caratterizzata dai processi di colonizzazione-decolonizzazione. La drammaticità di tale situazione ci è chiara fin dalla copertina di questo libro, che mostra quanto oggi l’Europa sia frammentata in tutta una serie di Stati e staterelli, somiglianti più ad un puzzle che ad un entità geopolitica che si pretenda autonoma in campo militare economico e politico, in una parola, sovrana.

    La situazione attuale, più che rispondente ad un disegno geopolitico ben preciso e studiato a tavolino, risulta figlia di una serie di scelte strategiche concrete attuate dalle grandi potenze.

    Tali potenze sono denominate dall’Autore “La Triade”: America del Nord, Europa Occidentale e Giappone. Le scelte attuate da tali potenze sullo scacchiere internazionale hanno contribuito a creare l’attuale scenario, che non è immobile e stabile, quanto suscettibile di numerosi ed il più delle volte drammatici cambiamenti. Un panorama in continua evoluzione quindi, anche in virtù del fatto che non sempre i movimenti di tali grandi potenze sono stati univoci: pur perseguendo il medesimo disegno, ossia quello di trarre il massimo profitto, le potenze della Triade hanno talvolta cercato di disgregare entità geopolitiche omogenee al fine di indebolirle, talvolta invece hanno favorito la nascita di aggregazioni statuali disomogenee con l’intento di attirarle nell’orbita della propria influenza. In che modo e in quale lasso di tempo il lettore avrà modo di scoprirlo addentrandosi nella lettura di questo breve ma ficcante volumetto.

    Notevoli sono anche i passaggi dedicati alla parte orientale del continente eurasiatico, in particolare Russia e Cina. Si ha così modo di scoprire che, pur essendo -o essendo stati- entrambi i paesi sotto il controllo del Partito Comunista, questi due grandi imperi hanno attuato strategie geopolitiche diverse. Nel caso della Russia, inoltre, il suo dissolvimento ha dato inevitabilmente il la alla nascita di una miriade di entità statuali.

    Nell’evidenziare i processi disgregatori che hanno dato luogo alla nascita di decine di Stati -una cinquantina nell’ultimo dopoguerra, ben 195 oggi!- l’Autore conferisce a tali entità un differente grado di dignità (pag.15): esistono veri e propri Stati, corrispondenti a sentimenti identitari ben configurati e preesistenti alla nascita dello Stato stesso; vi sono invece altri Stati in cui un particolarismo di qualche tipo ha preceduto la costruzione di consolidamenti identitari, essendo in molti casi prodotto artificiale di costruzioni create a tavolino. Per non parlare di quelle microparticelle che l’Autore chiama, a ragione, nano-Stati: minuscoli arcipelaghi divenuti paradisi fiscali o microscopiche entità amministrative gelose delle proprie esigue risorse.

    La tendenza che abbiamo potuto osservare negli ultimi decenni è quindi di tipo prevalentemente disgregatrice -anche se, come accennato, esistono delle eccezioni-, come dimostra -ultima in ordine di tempo- la nascita del narco-stato fantoccio del Cossovo. Questa “libido sovranista” (pag. 107) da parte di entità troppo deboli per sostenere un onere gravoso come la sovranità, non ha fatto altro che creare una miriade di Stati-clienti a sovranità limitata (“consumatori consenzienti di sovranità”, pag. 27), soggetti ai capricci delle potenze che li controllano. “La frammentazione del mondo” infatti “rafforza i paesi forti e indebolisce i paesi deboli”, essendo oltretutto evidente che rappresenta “un mezzo di dominio e di controllo più efficace di quello costituito dai vecchi imperi coloniali” (pagg. 24-25). Si tratta insomma del sempre valido principio del divide et impera. Nelle sue conclusioni, il Nostro, stilato un bilancio più che esaustivo della situazione attuale, delinea quelli che saranno secondo lui gli sviluppi che si potranno aprire in un prossimo futuro, individuando contesti “a bassa sismicità geopolitica” e “ad alta sismicità geopolitica” (pag.85). Un affresco condivisibilmente pessimista, considerato che difficilmente tali cambiamenti potranno avvenire in maniera indolore.

    Volendo addivenire ad una conclusione al termine di questo breve viaggio attraverso le macerie dei grandi imperi della Storia, si può intravedere nei processi che hanno portato allo scenario geopolitico attuale –e credo che il dimostrarlo sia stato uno degli intenti dell’Autore- un unico fil rouge, una tendenza di fondo che aiuta a capire come tali accadimenti non siano quasi mai frutto del caso, quanto siano un miscuglio imponderabile di necessità, egoismo ed interesse.

    Un’annotazione aggiuntiva va fatta, a parer mio, anche sul linguaggio utilizzato: grazie ad una serie di abili metafore mutuate in particolar modo dall’ambito medico, si ha l’opportunità di leggere quello che con ogni probabilità costituisce un unicum, dal punto di vista del linguaggio, nel panorama degli studi geopolitici.

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    Pipes Richard - Il conservatorismo russo e i suoi critici

    Editore: Rubbettino

    € 18,00

    La Russia ha sempre coltivato una sorta di "tentazione autocratica". Lungo la storia del pensiero politico russo infatti sono stati molti i pensatori che hanno teorizzato che la Russia può prosperare solo sotto un regime autocratico. Il libro di Pipes costruisce un ritratto del pensiero conservativo russo, dei timori di disintegrazione dello stato e delle varie teorie alternative che nel frattempo si è cercato di elaborare.
    Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio.

 

 
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