| Giovedì 11 Gennaio 2007 - 13:02 | Lorenzo Chialastri |

Con la busta paga del mese di dicembre 2006, undici milioni di lavoratori dipendenti del settore privato hanno ricevuto la documentazione relativa al Tfr. Viene a compiersi definitivamente il cambiamento dell’uso del trattamento di fine rapporto, iniziato dal governo Dini, incoraggiato da quello D’Alema, pianificato da quello Berlusconi e “finalmente” anticipato di un anno dal primo ministro Prodi. Non c’è che dire, una bella concertazione tra le parti, stesso anelare, bel gioco di squadra quando si parla di privatizzazioni e liberalizzazioni l’accordo è sempre unico.
Quest’ultima riforma, come tutte le altre, non può ricordarci, almeno a quelli che hanno una volontà “resistente”, come oramai sia stato definitivamente sancito, e benedetto, il “nuovo arco costituzionale”. Il nuovo arco costituzionale, comprendente il precedente (quello fondato sull’antifascismo), è in grado di contenere, dandone legittimità e diritto di vita, ai soli partiti, movimenti e associazioni, che hanno abbracciato la causa del liberismo economico, e anche a quelli, nel falso gioco della libertà democratica e nell’adempiendo della recitazione delle parti, che sono in grado di criticare il mito fondante dell’adesione, l’imperialismo capitalistico, a patto che lo facciano come puro esercizio dialogico pubblicitario, ovvero come essenziale, inutile, esercizio orale, di tipo sofistico, ma comunque vada, qualunque cosa poi dicano, supportandolo, quando lo si richieda, nella sostanza.
In breve, torniamo alla “riforma” in questione: il Tfr maturato fino in data 31 dicembre 2006 rimarrà in azienda, come era stato finora, mentre il Tfr maturato dal 1 gennaio 2007 secondo parere scritto del lavoratore potrà prendere due direzioni distinte.
Prima possibilità: versare il Tfr nei fondi pensioni, chiusi o aperti, gestiti da banche, finanziarie e assicurazioni.
Seconda possibilità: lasciarlo in azienda. In questo caso, per tutte le aziende con più di cinquanta dipendenti, il Tfr verrà portato in un fondo della Tesoreria Centrale di Stato, a questo fondo il governo potrà attingere per la sovvenzione delle “grandi opere pubbliche”.
Per i lavoratori che non fanno esplicita scelta scritta vedranno dipartire il Tfr verso un fondo pensioni aziendale di riferimento, se esiste, altrimenti in caso contrario sarà travasato all’Inps.
Visto quanto, non potendo le aziende gestire più in totale il gruzzolo dei lavoratori, avendo aperto ai concorrenti finanziari, la Confindustria non ha neanche fatto in tempo a lamentarsi(?) che il governo ha previsto in Finanziaria milioni di euro di compensazione alle aziende.
La propaganda liberista, quella che assicura grandi opportunità economiche per i lavoratori, è da tempo che lavora al fine di una risoluzione del Tfr in forma complementare.
Tutti i fondi pensione rientrerebbero in unico statuto uniformato, secondo il quale per i lavoratori aderenti viene creata una casa a parte all’interno in ciascun istituto, ciò al fine di tutelare il lavoratore in caso di fallimento. Una volta che il lavoratore avrà aderito ad un fondo, non potrà più tornare in dietro, potrà entrarci in qualunque momento se non lo aveva fatto prima, ma una volta dentro potrà solo cambiare fondo dopo due anni, e questo non a costo zero. Aderire ai fondi pensione è come un sacramento, lo si ha per tutta la vita, la scelta può essere una condanna eterna più simile ad un “girone infernale”. Ancora, in caso di licenziamento il lavoratore potrà avere la sua somma in totale soltanto dopo quattro anni. Mentre, completato il percorso lavorativo, arrivato alla pensione, il pensionando potrà recuperare al massimo il 50% subito, mentre il resto dell’ammontare sarà spalmato con assegno mensile. Si assicura tra l’altro che la rendita proveniente dai fondi pensione è reversibile (ci mancherebbe altro).
Su tutti i fondi pensione complementari c’è il controllo della Covip (Commissione di vigilanza pensioni). In una recente radiotrasmissione, il presidente della Covip, spiegando la necessità e la bontà dell’adesione ai fondi pensione, ricordava che un lavoratore che andrà in pensione nel 2040, riuscirà ad incassare il 46- 47% massimo di quello che percepisce ora. Con il fondo complementare, sempre a detta del presidente, si punta ad un incremento del 20%, al fine di arrivare ad un valore fino al 70% dell’attuale. Questo significa che nella visione più rosea, un lavoratore perderà comunque non meno del 30%, al quale va aggiunta la perdita netta di quella che una volta era chiamata liquidazione, poi Trattamento di fine rapporto, poi un solo ricordo impresso nella mente dei nonni.
Ricordiamo, proprio perchè tra qualche anno sarà un concetto non più pensabile, che la liquidazione ai lavoratori dipendenti corrispondeva, grossomodo, ad una mensilità che il datore di lavoro accantonava, per il lavoratore, per ogni anno di lavoro. Cessato il rapporto lavorativo, il lavoratore poteva contare sulla pensione Inps, frutto dei suoi contributi mensili, più un bel contante che aveva sognato per tutta la vita, non avendo mai potuto avere tanti soldi tutti insieme. Ora perderà il contante, il Tfr, oltre che la pensione manomessa dai guastatori della riforma Dini.
Il concetto di liquidazione si basava su una naturale esigenza umana, almeno fino a poco tempo fa, chiamata “risparmio”. Di questi tempi ove regna la speculazione bancaria sull’esistenza degli uomini, diventa impensabile il risparmio, tutto viene a muoversi o può muoversi con le promesse finanziarie, basta una firma, non servono soldi subito, basta legarsi l’anima ad una banca e il gioco è fatto. Il Tfr in questo mondo è un’eccezione, si deve lavorare sul debito e sugli interessi. Non la tranquillità del risparmio che sa accontentarsi, perché per sua natura finito, ma saper guardare al di là dei nostri desideri, fino la dove “sua maestà economia del consumo” comanda.
Il 4 agosto 1995 il Senato approva la legge 335 sulla riforma delle pensioni. Cgil, Uil e Cisl esultano, la legge prevede il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo per tutti i lavoratori che in data 1 gennaio 1996 non hanno una contribuzione di 18 anni, questo significa che se nel sistema retributivo era fatto un conteggio sugli ultimi dieci stipendi percepiti dal lavoratore, con il passaggio al sistema contributivo, il ricalcolo è fatto su tutti gli stipendi. Il nuovo sistema dimezza le pensioni e invita a forme integrative di fondi, prima chiusi e poi aperti, e di fatto sancirà nel tempo un passaggio da un sistema pensionistico di tipo pubblico ad uno di tipo esclusivamente individualistico e quindi privato. E pensare che questa legge viene chiamata tuttora riforma, e non contro-riforma.
Riassumendo, un lavoratore che andrà in pensione dopo una vita di contributi, se fortunato, non avrà più una decorosa pensione, né il Tfr. A questa concreta forma di impoverimento, deve essere aggiunto che se ha avuto il coraggio di aver figli, questi non avranno nessun contratto collettivo ma individuale, come la pensione del padre, nonché dovrà pagarsi i servizi, tutti anche quelli di prima necessità. E’ di questi giorni il grido d’allarme degli organi centrali europei a proposito del debito pubblico italiano, s’è detto che esploderà se non si faranno le riforme strutturali di cui il Paese (il Paese?) ha bisogno. Sempre lo stesso allarme che fece da panacea giustificazionista per le dismissioni e svendite dei patrimoni e aziende di Stato, che non portarono alla minima riduzione del solito debito.
Prepariamoci alle necessità imposte dal debito pubblico, quelle che trovano eco nella corrente di pensiero chiamata “riformista”, prossimi obiettivi: la sanità e la pubblica istruzione. Quindi il nostro povero lavoratore dovrà fare i conti anche con una assistenza sanitaria che se ci sarà, sarà soltanto a pagamento, e visto che il figlio non trova lavoro, regolamentato, se vuole farlo studiare sarà costretto ad ipotecare quel poco che ha, per mandarlo all’università. Oppure, come negli Usa, aggiungere alle scadenze che il ragazzo avrà (una volta trovato lavoro) mutuo per la casa, rata macchina, finanziaria elettrodomestici, anche l’assegno mensile, con gli interessi, da girare alla banca che gli aveva fatto credito per le spese alla “university”.
Allora tornando all’origine del discorso, il TFR, come lavoratore è difficile dire tecnicamente quale sia la scelta meno peggio da fare. L’apertura del mercato delle pensioni assomiglierà a una cabala con grandi margini probabilistici, l’unica certezza prescinde da un discorso che si lega alle “necessità del mercato”, la sicurezza economica per ogni uomo non può essere appesa a un investimento finanziario, a una speranza di una buona speculazione, o alla carità di sacrestia. Questo tipo di sicurezza, per una società propriamente evoluta, deve essere una certezza.
Per il momento l’unica cosa certa che appare è che l’economia resta pur una scienza, e in quanto tale deve dare giuste previsioni almeno a breve scadenza, ma rimane il dubbio, che si fa sempre più certezza, che il calcolo esatto di guadagno sia stato fatto, studiato, nei soliti interessi delle banche, delle finanziarie e delle assicurazioni.
Per questo motivo l’entusiasmo dei sindacati padronali nei fondi pensioni non va riscontrato, come alcuni maligni suggeriscono, nel fatto che alcuni fondi sono da loro stessi gestiti, magari sia soltanto così, ma piuttosto in una resa smisurata, senza precedenti nel campo dell’associazionismo dei lavoratori, mirante sempre più a trasformare il Sindacato in un’assicurazione. Per un compiacere “senza forse e senza dubbi”, così da poter rivendicare un posto al sole nella grande armata plutocratica del Nuovo Arco Costituzionale Atlantico.
Vale la pena ricordare, dato il tema trattato, come nel Cile della dittatura di Augusto Pinochet, con due decreti furono cancellate le forme di previdenza pubblica a vantaggio dei fondi privati. Facendo semplici considerazioni possiamo arrivare a conclusioni paradossali, come ad esempio che da noi le dittature imponevano le pensioni pubbliche per tutti, in Sud America invece le dittature spazzavano il pubblico in favore del privato. Da noi le democrazie smantellano lo Stato Sociale (istituti previdenziali pubblici compresi), in Sud America le democrazie impongono lo Stato Sociale e l’assistenza per tutti.
Strano modo di ribaltare visioni e concetti, nello spazio e nel tempo, ma l’uso dell’algebra binaria del tipo: il contrario di democrazia è dittatura, il contrario di dittatura è democrazia, non funziona. Non funziona ancor di più se agli attori considerati facciamo seguire le loro conseguenze. Questo approccio logico non è pertinente, come non è più spiegabile la realtà contemporanea utilizzando stereotipi obsoleti quali antifascismo e anticomunismo.
Nel normale, doveroso sforzo umano, dialettico, del voler catalogare eventi e fatti, per trarre poi conclusioni più generali, è necessario studiare non freddi opposti, come quelli sopra, ma sistemi di relazioni più complessi ove appare un elemento dominante che ha facoltà d’amalgamare presunte dicotomie. Nel nostro tempo è impossibile giungere a spiegazioni reali se si prescinde dal considerare come fattore dominante il fattore “americanismo”. Non c’è logica politica binaria che tiene, tutto va considerato in base al rapporto di familiarità, o meglio di subalternità, all’americanismo. Esiste per ciascuno di noi, così fino alle nazioni, un grado di permeabilità al fattore dominante. Acquisito ciò, processi derivanti da origini antitetiche improvvisamente appaiono in una nuova luce di coerenza.
Scusate se per qualcuno si è andati fuori tema, ma esiste un sottile, ma poi non tanto, filo: un arco che lega tutto… anche il Tfr.