Corriere della sera. 13/01/2007
I rinunciataridi Angelo Panebianco «Li abbiamo fermati. Partita chiusa»: il lapidario commento del segretario di Rifondazione, Giordano, sembra riassumere bene il senso dell'incontro di Caserta e, soprattutto, chiarisce chi siano i vincitori. Prodi ha indicato un vaste programme (avrebbe detto De Gaulle) che delinea la direttiva di marcia del governo. Di questo programma che parla di crescita, di infrastrutture (ma che succederà alla Tav?), eccetera, i punti salienti sembrano riguardare il forte impegno di spesa per il Mezzogiorno e la decisione di non fare la riforma dello «Stato sociale » (pensioni incluse) senza averla prima concordata con le parti sociali, con i sindacati.
La «fase due», per la quale si erano spesi Fassino e Rutelli, è archiviata, come volevano sia Prodi che l'ala massimalista della coalizione. E’ stata rinviata (ossia, tolta dall’agenda politica) quella riforma delle pensioni che solo poche settimane fa era stata indicata come lo strumento della riscossa riformista, di riforma della pubblica amministrazione non si dice nulla, e anche le liberalizzazioni subiscono uno stop, essendo state delegate, su richiesta di Rutelli, a un’apposita «cabina di regia». Ed è noto che ci si affida alle cabine di regia quando ci sono disaccordi al momento insormontabili che si spera di comporre con il tempo.
Domanda: come mai i riformisti hanno rinunciato a combattere? Forse la spiegazione sta nei numeri, e cioè negli eccellenti conti dello Stato. Non solo già prima dell'estate, con il governo appena insediato, era saltato fuori un inaspettato e forte incremento del gettito fiscale, ma ora si scopre addirittura che c'è stato anche un eccezionale miglioramento del deficit italiano: al punto che già per il 2006 l'Italia è scesa sotto il 3% (del rapporto deficit/ Pil, secondo Maastricht). Per inciso, forse i tanti che avevano parlato di «disastro economico» provocato dal governo del centrodestra dovrebbero chiedere scusa all’ex ministro dell’Economia, Tremonti: il disastro, manifestamente, non c'era. Forse i riformisti si sono detti: con questi numeri ci potrebbe essere crescita economica anche senza bisogno di impegnarsi in logoranti guerre con sindacati, massimalisti e lobbies varie per riformare in profondità Stato sociale, pubblica amministrazione, eccetera. E se arriverà la crescita economica, i consensi per il centrosinistra torneranno a salire senza bisogno di riforme politicamente costose.
Ma forse c'è anche un’altra spiegazione. Quanto è accaduto a Caserta sembra la conferma di ciò che l'economista Nicola Rossi ha detto abbandonando i Ds: il riformismo, secondo Rossi, è in quell'area politica una pianta ormai essiccata. Forse è vero, tutto sommato, quanto dice Prodi, ossia che la contrapposizione massimalisti/riformisti sia solo una semplificazione giornalistica (nella quale, per alcuni mesi, ha creduto anche chi scrive). Forse, semplicemente, i «riformisti» non esistono o sono troppo deboli e dispersi per avere voce in capitolo. Come pensa, appunto, Rossi.
Forse bisognerebbe dare un’occhiata più attenta alla natura di quei partiti (e alle aspirazioni dei loro militanti e dei loro elettori) che siamo soliti chiamare «riformisti». Se non altro, perché è così che si sono sempre autodefiniti.
13 gennaio 2007
le bugie hanno le gambe corte. quelle di prodi saranno lunghe si e no 2millimetri