«...E poi ho iniziato a colpirli: così, così e così...». Ha alzato il braccio, la mano chiusa a pugno, e ha cominciato a fendere l’aria: una, due, tre volte, all’infinito. Rosa Bazzi, l'altra mattina davanti al giudice che ascoltava il suo racconto, sembrava non volersi fermare più. Mimava la mattanza, digrignava i denti, spiegava come aveva rigirato i corpi ormai inermi sotto le sue mani, come aveva tagliato la gola a Youssef, per far capire bene con quale furia cieca, con quanta cura. Precisa, come al solito. «Sempre più forte, signor giudice, sempre di più. Volevo essere sicura che morissero...». Era come se rivivesse istante per istante la sera del massacro in casa di Raffaella Castagna. Era come se uccidesse di nuovo i mostri che agitavano la sua mente, il suo demone. Se stessa. E quando finalmente ha smesso di parlare, di sprangare e accoltellare l’aria, nell’umida saletta interrogatori del carcere di Como, è sceso il gelo. «Si sieda, per favore», ha sussurrato il gip Nicoletta Crema, sconvolta.
Lo stesso odio
Sono verbali per stomaci forti quelli raccolti negli interrogatori di questi giorni prima dai pm della Procura e poi dal gip. Ma mentre Olindo Romano è sembrato ormai più distante, quasi catatonico nella sua ricostruzione dei fatti, la moglie Rosa Bazzi parlando degli omicidi di Raffaella Castagna, della madre Paola, del piccolo Youssef, ha mostrato di essere ancora animata dalla stessa furia assassina, dall’identico odio che la sera dell’11 dicembre l’aveva spinta a salire con il marito Olindo, armati di spranga e coltelli, le scale dell’appartamento di via Diaz a Erba. Dopo aver raccolto la spranga caduta di mano ad Olindo, lei colpì con una tale violenza le teste delle due donne «che mi si ruppero i guanti che indossavo». Due paia per ciascuno: uno di lattice e, sopra, uno da muratore. Ma una lacrima, un pentimento, un rimorso, almeno per il bambino ucciso? [B]«Niente, hanno raccontato tutto con freddezza, quasi come se non si trattasse di loro»[/B], risponde l’avvocato Pietro Troiano, diviso tra il dovere professionale di difendere due assassini e l’istinto di disgusto per ciò che hanno fatto. Il legale rivela anche un particolare che agli atti non c’è, perché Rosa gliel’ha raccontato nei pochi minuti in cui sono rimasti soli a parlare: «Quella sera, mentre io colpivo con la spranga e il coltello la testa di Raffa e di Paola, mentre tagliavo la gola a Youssef, Olindo mi diceva: “Ma cosa stai facendo? basta, smettila, fermiamoci...”».
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L’aggravante
Ma c’è di più. Perché nel provvedimento, oltre a ribadire l’aggravante della premeditazione (l’uso dei guanti, i tentativi andati a vuoto nei giorni precedenti) e la particolare efferatezza del crimine per l’omicidio del piccolo Youssef, quando il giudice fa riferimento alle condizioni necessarie per la detenzione in carcere degli indagati, oltre al pericolo di fuga e all’inquinamento probatorio (dovuto alla distruzione nell’inceneritore di armi e vestiti) parla anche di possibilità di reiterazione del reato.
Indicando chiaramente il sopravvissuto Mario Frigerio e il marito di Raffaella Castagna, Azouz Marzouk, come possibili obiettivi della coppia assassina, come si evincerebbe da frammenti di frasi intercettati durante il lungo mese d’indagini. Olindo e Rosi insomma temevano concretamente di essere riconosciuti da Frigerio e il fatto che il netturbino avesse raccontato a una vicina della sua intenzione di volerlo andare a trovare in ospedale, ha reso ancor più concreta la possibilità che nella mente diabolica dei coniugi si fosse affacciata l’ipotesi di compiere l’ennesimo omicidio. Per Marzouk invece, l’ipotesi di essere assassinato era più remota, anche se il timore di essere affrontati dal tunisino, avrebbe potuto indurre Rosi e Olindo ad agire preventivamente.
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