| Domenica 14 Gennaio 2007 - 19:45 | Daniele Scalea |

E dunque, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è finalmente riuscito a deliberare il varo delle sanzioni contro la Repubblica Islamica d’Iran, rea di perseguire un programma nucleare, ufficialmente a fine pacifico, a detta dei nemici di Tehran in violazione del Trattato di non-proliferazione nucleare (sì, proprio quello mai siglato da Israele... che ora punta il dito contro il paese persiano!).
Le sanzioni sono state votate all’unanimità: dunque, anche col favore di Russia e Cina, le quali avrebbero potuto, volendo, porre il veto. Molti hanno storto il naso, memori dell’analoga esperienza italiana, e col medesimo metro di giudizio hanno valutato la questione. Allora, quasi tutti i paesi del mondo s’unirono nelle misure punitive varate dalla Società delle Nazioni (su sollecitazione dell’Inghilterra e della Francia), e pertanto potevano essere considerati ostili; la Germania, invece, che si schierò apertamente dalla nostra parte, era palesemente un’amica. Pertanto, ragionando in maniera analoga, si dovrebbe concludere che Mosca e Pechino si sono alla fin fine rivelate dei paesi nemici di Tehran. Molti sono giunti a questa conclusione e l’hanno espressa pubblicamente. Adriano Rebecchi, uno dei dirigenti del Movimento Nazional-Popolare, ha diffuso un suo commento nel quale, espresso il suo condivisibile sdegno per quest’ennesima prevaricazione atlantista, si mostrava convinto che quest’evento segnasse la fine di qualsiasi “sogno d’alleanze eurasiatiche”. Credo che in questo caso il solitamente acuto Rebecchi abbia compiuto un errore di valutazione, rifacendosi al già noto schema del 1936, senza considerare però un’importantissima, anzi fondamentale, variabile. Allora esistevano al mondo numerose grandi potenze, e cioè (in ordine di considerazione presso i coevi): Inghilterra, Germania, Francia, Italia, USA, Unione Sovietica e Giappone. Costoro, tutto sommato, si bilanciavano l’un l’altra: era il famoso sistema dell’equilibrio di potenza, o di “globalizzazione multipolare”. Oggi invece (a cavallo tra gli anni di grazia 2006 e 2007) la situazione è la seguente: un’unica superpotenza globale, gli USA, supera ampiamente in potenza (almeno in quella percepita) tutte le altre potenze del pianeta. Siamo, come si dice in gergo, in un sistema di “globalizzazione unipolare”. La differenza dove sta? Ebbene, se nel 1936 l’Italia invadeva l’Etiopia, numerosi altri paesi erano già pronti a punirla con sanzioni economiche. Se nei medesimi anni la Germania ristabiliva il proprio Lebensraum, si sprecavano le condanne formali e la pace europea si poteva salvaguardare solo attraverso accomodamenti raggiunti nei vari congressi, il più famoso quello di Monaco; ma poi quando Hitler, nel 1939, in spregio delle precedenti assicurazioni rilasciate a Londra, Parigi e Roma, decideva di completare l’opera di riunificazione nazionale con la riconquista di Danzica, l’Inghilterra e la Francia arrivavano al punto di scendere in guerra pur di difendere la Polonia. Nel 2006, invece, se la Russia difende la propria integrità territoriale in Cecenia, chiede il rispetto dei diritti dei suoi connazionali in Estonia e pretende di gestire liberamente le proprie risorse naturali, allora è (quasi) universalmente bollata di “imperialismo” e “autoritarismo”, e quasi rischia che l’Unione Europea e gli USA adottino ritorsioni; ma se gli USA decidono d’invadere proditoriamente uno o più Stati sovrani, violando ogni singolo articolo delle Convenzioni di Ginevra, nessuno può comunque reagire. Come si sarà capito, i rapporti di forza sono ben diversi e la diplomazia vi si deve adeguare.
Alla luce di questa fondamentale distinzione tra quella che era la situazione prebellica, e quella che è oggi (dopo la Guerra Fredda), possiamo chiederci: Russia e Cina hanno tradito l’Iran? Putin e Hu Jintao sono dei felloni vendutisi a Bush, come crede Rebecchi e molti altri con lui? La mia risposta è no.
Mosca e Pechino hanno sfruttato il loro diritto di veto per procrastinare il più possibile il pronunciamento del Consiglio di Sicurezza (stiamo parlando d’oltre un anno!), riuscendo però nel contempo a mantenere la palla nel campo della diplomazia, e non in quello dell’azione violenta ed unilaterale tanto cara a Washington e Tel Aviv. Nel dicembre 2006 sono infine arrivate queste benedette (maledette) sanzioni. Nulla di simile, però, col caso iracheno: quelle strangolarono un paese, queste sono limitate alla sola attività nucleare e, dunque, arrecheranno ben poco danno all’Iran. Inoltre, la risoluzione non menziona in alcun punto la possibilità d’un intervento militare contro la nazione persiana. Se i Russi ed i Cinesi si fossero messi di traverso, negando agli USA qualsiasi soddisfazione, questi ultimi sarebbero forse già passati alle vie di fatto contro l’Iran, e né Mosca né Pechino si sarebbe trovate nelle condizioni di difendere l’alleato, vista la loro manifesta inferiorità militare. Invece, agendo così come hanno fatto, sono riusciti ad inchiodare Washington, per oltre un anno, in estenuanti trattative diplomatiche in seno all’ONU, ed ora per almeno un altro anno la Casa Bianca sarà legata al rispetto di questa risoluzione, dovendo cioè accontentarsi delle sole sanzioni. Nel frattempo l’Iran guadagna tempo: giungono copiosi gl’investimenti cinesi che permetteranno di sviluppare il settore energetico (dunque d’incassare valuta forte, da reinvestire nell’ammodernamento della struttura produttiva e difensiva del paese), sono acquistati pezzi pregiati dell’industria bellica russa e cinese, è ulteriormente sviluppato il già invidiabile arsenale missilistico, si rafforzano le “branche esterne” di Tehran, cioè Hezbollah e le formazioni sciite irachene.
Capisco che qualcuno possa storcere il naso di fronte a certe finezze diplomatiche, ma la politica si fa non solo col cuore, ma anche con l’astuzia. Inoltre, l’eventualità d’un conflitto armato tra Iran e USA, che fino a pochi mesi fa sembrava potesse scoppiare da un momento all’altro, dovrebbe essere scongiurata almeno per qualche tempo. Questo per alcune buone ragioni:
1) come appena detto, le manovre russo-cinesi hanno invischiato gli atlantisti ed i sionisti nel pantano delle diplomazia ONU, dal quale non potranno uscire, credo, prima d’un anno (al minimo);
2) l’Iran, anche volendo, non potrà sviluppare l’arma atomica prima di qualche anno (anche se le stime sono poi estremamente variabili: si va dai due ai cinque o ai dieci e passa). Washington e Tel Aviv, anche se dovessero restare fermi nella loro decisione d’impedire a Tehran l’acquisizione del deterrente atomico, cercheranno di sfruttare al massimo questo tempo di cui dispongono prima di ricorrere all’ultima ratio;
3) la recente sconfitta elettorale dei repubblicani, negli USA, ha segnato il declino (se momentaneo o definitivo, sarà il tempo a rivelarcelo) della fazione neoconservatrice (e dei “falchi liberal”, loro alleati nel Partito Democratico) - principale sostenitrice dell’attacco all’Iran, sia per riguardo verso Israele, sia perché cred che soggiogando Tehran risolverà i propri problemi in Iraq - e riportato in auge i realisti (gente come Kissinger, Brzezinski, Scowcroft), i quali sono sì imperalisti quanto i neo-cons, ma hanno un approccio più pragmatico e meno ideologico: per loro, lo stallo in Iraq si risolve in Iraq, e non in Iran;
4) finché quasi tutte le truppe statunitensi sono bloccate in Iraq, appare altamente improbabile che gli USA attacchino l’Iran. Innanzi tutto, perché per farlo dovrebbero muoverle proprio dal teatro iracheno, che già così è incredibilmente instabile ed assomiglia più ad una trappola che ad un retroterra per ulteriori avanzate; in secondo luogo, perché gli sciiti iraniani insorgerebbero immediatamente e, come suggerì la breve ma incisiva rivolta primaverile del 2004 (che tra l’altro fu condotta dal solo Esercito del Mahdi), i soldati occupanti difficilmente riuscirebbero a resistere nel paese.
5) Israele, dopo la sconfitta patita quest’estate contro la resistenza libanese, ha perduto la propria nomea d’invincibilità: la popolazione ebraica ha ora pochissima fiducia in Olmert e Perez, certo proverà ancora per un po’ una certa ripulsa all’avventurismo militare, mentre i vicini abitanti arabi hanno il morale alle stelle. In particolare, il filo-iraniano Hezbollah ha già mostrato cosa sa fare quand’è sulla difensiva e, se gli alleati iraniani dovessero essere attaccati, potrebbe dimostrarlo anche in fase offensiva.
Pertanto, credo che per i prossimi due anni almeno sia altamente improbabile un attacco statunitense all’Iran. Ma, ovviamente, quando si parla di alcolizzati che vedono Dio anche sotto la poltrona (Bush), nessuna previsione razionale può essere spacciata per assolutamente certa...