| Martedì 16 Gennaio 2007 - 19:19 | Andrea Perrone |

Continuano i tentativi di Ankara di soddisfare le richieste degli euroburocrati per entrare nell’Ue, nonostante il recente veto di Bruxelles del dicembre scorso, che ha di fatto congelato i negoziati.
Si moltiplicano, comunque, le iniziative in sede europea per superare l’impasse sulla adesione di Ankara all’Ue. Dopo una colazione di lavoro tenutasi a Palazzo Chigi, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e il primo ministro italiano Romano Prodi si sono dichiarati favorevoli a proseguire i negoziati per l’ingresso della Turchia. Segno che per Bruxelles e Washington Ankara è diventato un punto essenziale degli interessi economico-politici atlantici. Non a caso Barroso, ha precisato che l’intezione è di “proseguire i negoziati per l'adesione della Turchia all'Europa, che saranno lunghi e complessi” e che “la Turchia dovrà compiere tutti i passi necessari”. Il Professore ha ovviamente condiviso la posizione di Barroso e ha aggiunto che “questo vale anche per i Balcani”.
Non è una novità, infatti, che entrambi - espressione dell’Europa delle banche - rappresentano i più accesi fautori di Ankara nell’Ue come bastione degli interessi di Washington e di Israele. Inoltre, la volontà dichiarata di Ankara di soddisfare le richieste Ue viene molto apprezzata dagli ambienti e dagli uomini politici di Bruxelles sebbene i popoli di Austria, Germania, Francia, Grecia e Cipro, e non soltanto, si dichiarino nettamente contrari all’adesione turca all’Ue. Persino il candidato filo-atlantico per l’Eliseo dell’Unione per un movimento popolare (Ump), Nicolas Sarkozy, ha insistito sull’importanza che l’Europa “chiarisca i propri confini esterni”. Secondo il candidato francese alle presidenziali “la Turchia non ha vocazione a entrare nell’Unione europea”. Sarkozy è stato particolarmente chiaro, dicendo di non considerare questo Paese come membro del nostro continente e quindi ha escluso una sua possibile ammissione nell’Unione. Come dire che l’eventuale ingresso di Sarkozy all’Eliseo coinciderebbe col blocco a lungo termine dei negoziati per l’adesione di Ankara all’Europa comunitaria, andando così in controtendenza alla maggior degli euroburocrati.
Intanto, l’ambasciatore turco all’Ue, Volkan Bozkir, ha dichiarato che il suo Paese intende rispondere allo stop dell’Unione “accelerando” le riforme richieste da Strasburgo. Bozkir ha poi affermato che Ankara sta cercando di approfittare dell’ultimo tentativo a lei concesso dall’Unione in “modo calmo e professionale. Ciò evidenzia - ha proseguito Bozkir - che la Turchia intende mantenere le sue relazioni con l’Ue”. Per l’ambasciatore, infine, “arebbe facile per la Turchia reagire duramente e raffreddare parte dei suoi rapporti o esprimere una certo di tipo di psicologia dal ‘cuore infranto’”.
Nel dicembre scorso Bruxelles ha infatti sospeso i colloqui sul possibile ingresso di Ankara nell’Ue su otto dei trentadue capitoli previsti a causa, in particolare, del rifiuto turco di aprire i suoi porti a Cipro - membro dell’Unione dal 2004 - dei quali il governo di Ankara continua impudentemente a rifiutare il riconoscimento ai legittimi proprietari, i greco-ciprioti. La settimana scorsa, il ministro degli Esteri turco, Abdullah Gul, ha radunato più di 150 burocrati europei da differenti governi per proporre loro di redigere dei piani legislativi dettagliati allo scopo di preparare il suo Paese all’ingresso nell’Ue. Intanto, Ankara ha ricordato che i piani legislativi per gli anni che andranno fino al 2013 saranno presentati a partire dalla fine di gennaio e accelerati per concedere alla Turchia leggi e norme più conformi agli standard europei.
Risulta ormai evidente che il tira e molla fra Bruxelles e Ankara sui capitoli dei diritti umani è un palliativo per tenere buona l’opinione pubblica del Vecchio Continente, di fondo poco propensa all’adesione. In realtà sono ben altri gli interessi in gioco in quanto la Turchia rappresenta uno dei tasselli fondamentali per Washington nella sua strategia di accerchiamento ai popoli europei e islamici.
In un’Unione europea sempre più suddita degli interessi sovranazionali l’ingresso della Turchia - vicino agli interessi di Washington e Tel Aviv - rappresenta infatti un pericolo per l’Europa delle Nazioni.