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Discussione: Vicenza in Lotta!

  1. #1
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    Predefinito Vicenza in Lotta!

    La cronaca del corteo contro l’inaugurazione della Gendarmeria europea
    Vicenza - Oggi città liberata, contro la guerra! Stop global war!
    >> fotografie
    Global Project Vicenza - Giovedì 19 gennaio 2006
    Ascolta la diretta radiofonica da Vicenza su Radio Sherwood o su GlobalRadio

    La campagna che è stata aperta in città per denunciare l’ennesima occupazione di spazi in un territorio già pesantemente militarizzato dalla presenza americana ha già ottenuto uno straordinario risultato: l’inaugurazione infatti è stata rinviata a lunedì prossimo.
    Oggi Vicenza è una città liberata dall’occupazione militare.
    Un percorso, quello aperto dai giovani e dagli studenti in città, che è passato anche attraverso l’occupazione di uno spazio nel centro cittadino, il K2, uno spazio liberato contro la guerra.
    Più di un migliaio di persone, soprattutto studenti, oggi sono scese in piazza per dire che per disertare la guerra, non basta la semplice denuncia, ma è necessario costruire spazi di libertà.
    Il corteo, aperto da pannelli che mostrano le immagini dei CPT (Centri di permanenza Temporanea per Immigrati), di Genova 2001, della guerra in Iraq e della Somalia, ha raggiunto l’ex caserma Chinotto dove avrà sede la Gendarmeria europea.
    La manifestazione è sfilata lungo la recinzione dell’enorme caserma lasciando sui muri scritte che recitano "Leso vattene", "Assassini" "Stop Global War", "No COESPU", con il lancio di fumogeni e razzi dentro e fuori l’area della caserma.

  2. #2
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    Predefinito Per tutti i compagni di Milano

    Milano - INCONTRO CON IL COMITATO ‘NO DAL MOLIN’ di Vicenza

    L’Italia è una base militare per l’imperialismo statunitense di primaria importanza strategica. Secondo un rapporto ufficiale del Pentagono, Base Structur Report, nel 2003 c’erano in Italia 15.500 militari nordamericani, 4.500 civili e 2000 strutture con una superficie occupata di oltre 1 milione di metri quadrati. A questa presenza massiccia va ovviamente aggiunta quella della NATO.
    A Vicenza (già occupata da varie basi, alloggi per militari e magazzini) il governo americano, con l’assenso di quello italiano, vuole ampliare la caserma Ederle e appropriarsi dell’aeroporto civile Dal Molin che in questa operazione passerebbe direttamente sotto l’autorità del Pentagono come tutta l’area della caserma. Questa base diventa così centrale per la strategia militare USA: qui verrà formata la Brigade Combat Team, una brigata speciale per gli interventi rapidi che dovrà garantire il massimo della potenza nel minimo del tempo. Insomma da qui partiranno tutte le prossime missioni imperialiste USA.
    Il governo Prodi, anche in questa occasione, ha dimostrato la sua continuità con quello precedente. Non che questo ci meravigli, visto che la finanziaria di guerra approvata dal governo ha tagliato -come quella di Berlusconi- su tutti i servizi sociali per stanziare 18 miliardi di euro per la Difesa, a cui vanno aggiunti 1,7 miliardi per gli armamenti e 350 milioni per il finanziamento dello strumento militare. Insomma i sinistri al governo, oramai ancorati alle loro poltrone e dimenticate le bandiere della pace, pensano da un lato a come far pagare a noi proletari le spese delle 25 missioni in cui l’esercito italiano è impegnato, dall’altro lato a mantenere il ruolo di fedeli servitori dell’imperialismo USA. Addirittura sindacati come CISL e UIL hanno dato vita a un comitato in sostegno alla costruzione della base alla faccia di una città intera che da mesi si sta mobilitando contro la militarizzazione del proprio territorio.
    La determinazione dei cittadini di Vicenza ha costretto partiti e CGIL a misurarsi con questa lotta partita autonomamente e ha saputo unire la lotta contro la base a quella contro la guerra portando in piazza 30.000 persone lo scorso 4 dicembre. La mobilitazione popolare sta diventando scomoda tanto alla giunta di centro destra di Vicenza quanto al centro sinistra al governo, così martedì 9 gennaio il comitato No Dal Molin è stato manganellato e spintonato dai vigili e dalla digos durante un presidio davanti al Comune di Vicenza in cui contestava l’ambasciatore statunitense, venuto appositamente a sollecitare l’autorizzazione per l’inizio dei lavori sulla caserma. Questo atto repressivo e la decisione assunta dal governo non fermeranno la lotta dei cittadini di Vicenza che sono ancora più determinati nel cacciare i guerrafondai e nell’opporsi a chi vuole avvallare questi progetti infami.

    MERCOLEDI’ 24 GENNAIO
    h. 12.00 Facoltà di Scienze Politiche aula 21
    (via Conservatorio 7)
    h 20.30 PRESSO USI, VIALE BLIGNY 22 MILANO
    (tram 9, 29,30 fermata metro più vicina Porta Romana)

    INCONTRO CON IL COMITATO
    ‘NO DAL MOLIN’ di Vicenza

    Coordinamento di lotta per la Palestina
    Assemblea studenti di scienze politiche
    Comitati contro la guerra Milano
    coordpalestina@yahoo.it

    coordpalestina@yahoo.it

    A luta continua

  3. #3
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    Predefinito oggi a Roma

    Scontro nell'Unione anche sull'Afghanistan Vicenza, sit-in davanti alla Camera Alla protesta di associazioni e sindacati contro la base militare Usa partecipano i senatori di Prc e del gruppo Pdci-Verdi


    ROMA- Non si placa lo scontro nell'Unione sull'ampliamento della base Usa di Vicenza e le polemiche investono di riflesso il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Oggi alle 16 davanti Montecitorio è previsto il sit-in delle associazioni e sindacati «No War» sotto lo slogan «No alla base militare USA a Vicenza», manifestazione alla quale hanno annunciato la propria partecipazione i senatori del gruppo di Prc e quelli del gruppo Pdci-Verdi.

    Proprio il senatore dei Verdi, Natale Ripamonti, precisa che l'ampliamento della base vicentina non è nel programma dell'Unione.
    «Il programma dell'Unione -spiega- non prevede l'ampliamento delle servitù militari. Pertanto la decisione del governo sulla base di Vicenza è incomprensibile». Intanto il tema, come informa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta, «non è stato toccato in Consiglio dei ministri». Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, sottolinea che il decreto che rifinanzia la missione italiana in Afghanistan «non può essere messo in connessione» con la questione dell'ampliamento della base Usa di Vicenza. Nella maggioranza ci sono «diverse idee sulla politica estera, ma credo che in Parlamento - dice Mastella - il provvedimento passerà con i voti della maggioranza».

    Il portavoce di Silvio Berlusconi, Paolo Bonaiuti, parla di «problema tutto interno alla coalizione. Anche se per ipotesi dovessimo dare i nostri voti al rifinanziamento della missione in Afghanistan, si tratterebbe di un consenso che la sinistra radicale non potrà mai accettare». Intanto alla base di Vicenza il 25 e 26 gennaio farà una visita conoscitiva la Commissione Difesa del Senato. Il presidente della Commissione, Sergio De Gregorio, dice «personalmente sono convinto che il governo Prodi aveva il dovere di ribadire la propria adesione».
    19 gennaio 2007

  4. #4
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    Predefinito

    Il dentro e il fuori
    La base e la città di Vicenza: due mondi vicini e distanti
    di Luca Galassi *

    Vicenza. Mentre ieri notte la contestazione cominciava ad affilare le sue armi nel presidio allestito all'esterno della pista del Dal Molin (dove dovrebbe sorgere la nuova struttura militare) gli ultimi militari Usa rientravano a casa, percorrendo una strada che si chiama "via della pace" e che porta alla 'vecchia' caserma Ederle, istituzione amata e odiata da ormai cinquant'anni.

    "No comment". All'alba i marines fanno jogging per le vie cittadine. Sembrano tori sbuffanti, un corpo estraneo e surreale, diviso per gruppi, a volte una manciata di uomini, a volte centinaia. I bianchi stanno coi bianchi, gli afroamericani con gli afroamericani. Il gruppo di mezzo è misto, composto da soldati con origini orientali, o ispaniche. Sono inavvicinabili, e non solo per via della loro minacciosa imponenza da culturisti. Basta lo sguardo. Per tutto il pomeriggio quelli che dal villaggio militare, dove abitano, procedevano a piedi verso la base (o viceversa), quelli che siamo riusciti a contattare, ci hanno negato qualsiasi commento sulla situazione. "No comment", ed entravano. Uscivano, e "no comment". Fuori dalla base c'è il mondo. La base è casa.

    Consegna del silenzio. Due di loro, incrociati in tarda serata quasi per caso, di rientro dall'Art Cafè, dove i soldati Usa sono soliti far baldoria coi loro commilitoni, hanno acconsentito a scambiare due chiacchiere. Ma solo - forse - perché pensavano di parlare con un turista. I pochi commenti, e i molti 'no comment' strappati a bocca socchiusa dagli energumeni in mimetica che nel pomeriggio facevano dentro e fuori la 'Ederle', ci hanno permesso di giungere a due conclusioni: o questi ragazzi hanno poco da dire perché rispettano rigorosamente la consegna del silenzio imposta loro dai superiori, specialmente in un clima come quello di questi giorni, oppure hanno poco da dire e basta. Peter e John, due nomi di fantasia, hanno diciannove e vent'anni. Il primo è afroamericano, l'altro è ispanico. A vederli sembrano due ragazzi qualunque, immigrati come tanti, in cerca di lavoro nel nostro paese. Ci assicuriamo che non sappiano che parlano con un reporter. Se lo sapessero, probabilmente non si sarebbero nemmeno fermati. Peter, l'afroamericano, ha parole di apprezzamento per la città che lo ospita. "Adoro Vicenza e l'Italia", declama come se fosse uno dei poeti del Grand Tour che calavano sul Belpaese come nell'Eden in terra. Così lui: "Vorrei abitare qui, da civile, per qualche tempo, perché Vicenza è splendida. Quando finirò il mio periodo alla base troverò una casa e mi fermerò qui qualche anno". Forse è l'espressione sognante del suo volto di ventenne a farci credere che sia sincero.

    "I love Vicenza". Non altrettanto abbiamo pensato quando, nel pomeriggio, gli armadi a muro dalla pelle anglosassone e gli occhi cerulei che pedinavamo ansanti, ci dicevano, lasciandoci qualche metro indietro: 'I love Vicenza, I love Italy, I love italian food', digrignando i denti e diventando immediatamente seri se la domanda era: 'Alcuni italiani non vi vogliono qui. Cosa ne pensate della protesta?". 'No comment, no idea, don't know what's happening". Ci si interroga se davvero non sappiano niente del terremoto che ha colpito Vicenza nelle ultime settimane. Se così fosse, questi soldati sarebbero un luogo comune incarnato, una parodia di se stessi. Ma come? Vicenza è su tutti i giornali e telegiornali nazionali e nella base non si sa ciò che accade fuori? Non si ha voce di ciò che freme e ribolle al di fuori della cittadella blindata nella quale i militari vivono? Terra di nessuno, terra di passaggio tra l'America e le missioni alle quali sono destinati in Medio Oriente, la base è la casa. Fuori, il mondo. E la guerra.

    Il mondo dentro la base. La Base è area Setaf (Southern European Task Force), nel cui ambito opera la 173/a brigata paracadutisti Usa, il reparto impiegato in Iraq tre anni fa, e successivamente in Afghanistan. Sono loro i Rambo che rincorriamo di giorno e che non commentano, non parlano, non sorridono. Continuiamo a dare credito alla consegna del silenzio. E torniamo a Peter, innamorato dell'Italia. "Vengo dal Texas, e i texani sono un po' come gli italiani: gentili, disponibili". Quanto dura il vostro periodo dentro la base? "Due o tre anni". Cosa c'è nella caserma Ederle? "Dentro? Esattamente quello che c'è fuori. Cinema, spaccio, banca, barbiere". Mentre Peter conversa, John, che ha un anno di meno e sembra più spaurito e assente, freme per tornare alla base. La riservatezza è d'obbligo con chiunque, specie quando il discorso vira sulle armi: "Che tipo di armamenti vengono maneggiati nella caserma?". La domanda è talmente ingenua da essere quasi stupida. E infatti viene liquidata con un: 'No comment on that'.

    "Siamo qui per voi". Peter parla, John ascolta, sempre più impaziente. "Parlando con la gente - dico io - i vicentini impegnati nella protesta mi hanno detto che non odiano gli americani, ma le basi militari e la guerra". "La base è proprio dentro la città - dice Peter - e io capisco le proteste della gente. Lo capisco: questa è casa loro. Ma nello stesso tempo noi siamo qui per proteggerli. Ripeto: le proteste sono legittime, e io non voglio che Vicenza o la sua gente siano danneggiate in qualche modo dalla nostra presenza. I miei commilitoni pensano la stessa cosa, amano la città. Ma noi siamo qui anche per la loro, per la vostra sicurezza". Peter ha pronunciato l'ultima parola, e John già lo sta tirando per la giacca. "Dobbiamo andare". Non ha sillabato per tutto il tempo. Mi chiedo se sia insospettito da qualcosa. Se i loro nomi, che mi hanno detto, venissero rivelati, rischierebbero grosso. Qui la military police ha mano pesante. Sono solo loro ad avere giurisdizione sui militari Usa. Se sgarrano, stanno freschi. Chiedo a Peter: "Sei mai stato in missione in Medio Oriente?". "No, io non ancora, ma John sì, vero John?". John abbassa gli occhi, e sul volto si dipinge un'espressione a metà tra il timido e l'impaurito. "Quanto?", faccio io. "Un anno". E' l'ultima cosa che dice, mentre saluta formalmente e a passo svelto si incammina verso la caserma. Un attimo e sono dentro, al sicuro. Dentro, nella loro dimensione. Fuori, una città che si chiama Vicenza. Anonima terra di passaggio. Americani e vicentini, qui lontani fisicamente solo qualche decina di metri, ma distanti anni luce riguardo la visione del mondo, recuperano le forze per il nuovo giorno, mentre la nebbia addormenta case e caserme.

    * inviato di Peace Reporter

    da www.peacereporter.net

  5. #5
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    L’ ampliamento della base militare Usa di Vicenza, presso l’aeroporto Dal Molin
    Intervista a Claudio Grassi *: "Così non va"

    Il governo - ha fatto sapere ieri Prodi - «non si oppone» all'ampliamento della base americana di Vicenza. Qual è il giudizio che dai di questa scelta di non intervenire e, quindi, di confermare la decisione assunta dal governo Berlusconi?
    Ritengo la decisione di Prodi grave e politicamente inaccettabile. E’ grave perché anche in questa circostanza il nostro Paese ha perso l’opportunità di dimostrare di essere un Paese sovrano in politica estera. La subalternità del nostro governo agli Stati Uniti d’America che questa “non opposizione” al raddoppio della base militare di Vicenza comporta ci parla invece di un Paese a sovranità limitata. Al di là del significato altamente simbolico (l’inchinarsi ancora una volta ai diktat degli Usa), la scelta di Prodi è gravida di conseguenze politiche. Sappiamo benissimo che, con l’ampliamento della base militare, la 173a Brigata “Airbone”, già di stanza alla Caserma Ederle, acquisirebbe compiti e responsabilità di guerra, incompatibili con la nostra Costituzione. L’unità che si verrebbe a creare sarebbe infatti destinata ad interventi di proiezione militare in un’ampia zona geografica che comprende il Caucaso e il Caspio, il Medio Oriente e tutta l’Africa. Qui ormai da anni le truppe della 173a Brigata operano e si addestrano.
    Hai quindi l’impressione che la scelta di Prodi sia stata dettata da Washington?
    Basta leggere i documenti ufficiali del Ministero della Difesa statunitense. Nel bilancio del febbraio 2006 per il progetto di raddoppio infrastrutturale dell’unità militare nord-americana a Vicenza erano previsti 322 milioni di dollari per il 2007 e altri 680 entro il 2010.
    Fin dalla primavera del 2005 le autorità militari statunitensi hanno avviato la progettazione esecutiva degli edifici e delle installazioni, con l’assistenza dei tecnici dell’Ispettorato infrastrutture dello Stato maggiore dell’Esercito italiano. Contemporaneamente, lo Stato maggiore dell'Aeronautica militare italiana ha disposto la chiusura o il trasferimento di tutti gli enti presenti nell’aeroporto Dal Molin per liberare l’area da ogni attività militare o civile italiana. Il governo Usa decide, e mette a bilancio, il governo italiano obbedisce.
    Hai definito la decisione di Prodi “politicamente inaccettabile”. Cosa intendi?
    Intendo essenzialmente due cose. In primo luogo, come già dicevo, è evidente a tutti che questa parte di territorio sottratta alla giurisdizione italiana verrà utilizzata dal governo nord-americano per proseguire la sua politica di guerra preventiva e permanente. Una politica di guerra i cui risultati sono, stando ai dati diffusi ieri dalle Nazioni Unite riferiti al solo anno 2006 - e soltanto per dare un’idea paradigmatica dell’abominio di quella politica estera - , 35.000 morti civili iracheni.
    In secondo luogo la presa di posizione di Prodi è inaccettabile perché nell’Unione una parte importante delle forze politiche si sono dichiarate da mesi contrarie a questa ipotesi. Prodi è presidente del Consiglio anche grazie a Rifondazione Comunista e agli altri partiti della sinistra d’alternativa. Ed è presidente del Consiglio anche grazie a quel popolo della pace che nelle scorse settimane ha espresso in maniera cristallina i propri intendimenti.
    Senza contare che il popolo della pace si è incontrato, in questi mesi, con la cittadinanza vicentina...
    Un sondaggio di pochi giorni fa, effettuato su un campione significativo, affermava che il 70% dei cittadini di Vicenza e di Caldogno è contrario all’ampliamento della base. Il 4 dicembre oltre 30.000 persone sono scese in piazza per chiedere al governo di bloccare il progetto. Tra ottobre e dicembre sono state raccolte 10.000 firme a sostegno di iniziative pubbliche contrarie al raddoppio. E’ sceso in piazza il popolo della pace, è scesa in piazza la società civile, è scesa in piazza la cittadinanza. Il governo - dobbiamo prenderne atto - ha deciso contro il popolo della pace, contro la società civile, contro la cittadinanza. E ha deciso senza nemmeno chiamare tutti i cittadini di Vicenza ad esprimersi. Evidentemente il timore che un referendum consultivo confermasse questi segnali avversi al raddoppio della base è stato sufficiente per eludere il confronto democratico. Voglio far notare che la proposta di un referendum non l’abbiamo lanciata noi, ma il segretario del più importante partito della coalizione, Piero Fassino.
    Quali saranno le conseguenze immediate di questa frattura con le ragioni del popolo pacifista e della sinistra d’alternativa?
    E’ evidente che si pongono problemi seri sulla politica estera. Prodi non può, come ha fatto, derubricare la vicenda a questione di “natura urbanistica e territoriale”. Questa è, a tutti gli effetti, una vicenda che chiama in causa la collocazione internazionale dell’Italia e, ancor prima, il nostro atteggiamento nei confronti degli altri Stati. Ricordo soltanto che tra poche settimane si riporrà in Parlamento il provvedimento di rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. Abbiamo già espresso, in occasione del voto di luglio, la nostra contrarietà nei confronti di quella missione. Oggi confermiamo la nostra contrarietà, anche sulla base di questa inammissibile decisione di Prodi. Chiediamo anche a coloro i quali, votando a luglio il rifinanziamento dichiararono di farlo per l’ultima volta, di essere coerenti. Coerenti, del resto, con i pronunciamenti per il ritiro delle truppe da loro stessi espressi in questi mesi.
    Non si pone in questo caso anche un problema di coerenza con il Programma dell’Unione?
    Il Coordinamento dei Comitati dei Cittadini di Vicenza ha scritto nei giorni scorsi a Prodi una lettera nella quale si ricorda che il Programma dell’Unione impegnava il Governo alla “ridefinizione e alla rinegoziazione delle servitù militari”. Non mi pare proprio che il programma parlasse di ampliamento.
    E’ sufficiente fare appello al programma?
    No, non è sufficiente. Noi non molliamo la presa, tanto in Parlamento quanto nel Paese. Non solo Rifondazione Comunista, ma anche tutte le altre forze della sinistra d’alternativa hanno espresso la volontà di dare continuità in Parlamento a questa battaglia. Oltre a questo è necessaria, però, la massima partecipazione nelle piazze. Dobbiamo essere in grado di costruire una mobilitazione forte e permanente che impedisca che il governo dia seguito alle dichiarazioni di Prodi e che, quindi, si porti a compimento il progetto. Dobbiamo contrastare, nella maniera più netta e risoluta, questa scelta. Sono convinto che i compagni di Essere Comunisti, come sempre, saranno protagonisti di questa mobilitazione così urgente e necessaria.
    * senatore Prc, coordinatore nazionale Essere Comunisti Prc

    di Simone Oggionni
    su www.lernesto.it del 17/01/2007

  6. #6
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    Intanto...
    2007-01-19 12:24 LA MADDALENA CHIUDE IL 29 FEBBRAIO 2008

    CAGLIARI -
    La base appoggio per sottomarini a propulsione e armamento nucleare della Marina militare statunitense della Maddalena chiuderà il 29 febbraio 2008.
    La notizia, col crisma dell'ufficialità, è stata comunicata ieri ai
    dipendenti civili della base dal vicecomandante. La nave appoggio Uss
    Emory Land leverà, invece, gli ormeggi il primo ottobre prossimo. La data,
    anticipata da alcuni quotidiani sardi, è stata confermata stamani
    dall'ufficio stampa dell'Us Naval Support Office della Maddalena.
    Il primo annuncio della smobilitazione della base appoggio statunitense,
    creata in piena guerra fredda nella rada di Santo Stefano nel 1972 in
    seguito ad un accordo segreto tra il governo Usa e quello italiano, era
    stato dato nel novembre del 2005, e aveva suscitato reazioni contrastanti.
    Da un lato l'entusiasmo degli ambientalisti e dei pacifisti, accanto al
    presidente della Giunta regionale Renato Soru nel confronto con il governo
    nazionale per ridurre la presenza militare nell'isola. Dall'altro le
    preoccupazioni dei dipendenti civili della base americana e quello degli
    amministratori sul futuro economico dell'arcipelago, che per 35 anni si è
    basato prevalentemente sulla presenza del personale della Marina
    statunitense. Tra i progetti di riconversione previsti alla Maddalena, di
    cui si è parlato senza, finora, alcuna concretizzazione, un cantiere
    nautico di manutenzione e riparazione per traghetti e mega yacht, mentre
    si sarebbe studiata la destinazione degli alloggi usati attualmente dai
    marinai americani al mercato turistico.

  7. #7
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    OMBRE NERE ED AVVOLTOI SULLA LOTTA DELLE POPOLAZIONI VICENTINE
    CONTRO L'AMPLIAMENTO DELLA BASE MILITARE U.S.A.

    Non vogliamo
    ritornare sul significato politico generale o sulle scelte di strategia
    militare che sottendono all'ampliamento della base americana di
    Vicenza. Rinviamo i compagni interessati a prendere visione della
    corposa documentazione prodotta in loco dai Comitati di Lotta o
    all'ampia raccolta di analisi e contributi vari presente sui siti
    internet *.

    Ci preme, invece, anche capitalizzando talune vicende di
    lotte e mobilitazioni No War del recente passato, fare tesoro di
    ingenuità ed errori che - tutti assieme - abbiamo compiuto nel corso di
    queste esperienze le quali si riverberano ancora oggi a ridosso della
    questione vicentina.

    Le mobilitazioni di questi giorni a Vicenza sono,
    senza ombra di dubbio, un segnale positivo ed incoraggiante che
    testimonia una presente e diffusa volontà popolare contro questo
    ulteriore passaggio di militarizzazione del territorio con l'obiettivo
    di determinare una rinnovata e più decisa funzione di aggressione
    bellica di questa base nell'intera area d'intervento Euro-
    Mediterranea.

    Una vitalità, che premia il lavoro di agitazione, di
    organizzazione e di radicamento delle locali associazioni e comitati di
    lotta, che già si era manifestato nella grande Manifestazione dello
    scorso dicembre con cui, a stragrande maggioranza, era emersa
    l'opposizione senza se e senza ma all'ampliamento della base americana.

    Preoccupazioni ed avvertenze che socializziamo ai compagni.

    L'immediata reazione di lotta all'annuncio prodiano con cui si è dato
    il placet all'ampliamento della base ha costituito una accelerazione
    nelle dinamiche di movimento e nel rapporto tra queste con i partiti
    politici ed il governo.

    L'intero ciclo del movimento contro la guerra
    - almeno qui in Italia - si è costantemente misurato ed intrecciato con
    l'azione della cosiddetta sinistra radicale e con quelle opzioni
    miranti a ricondurre la portata ideale e politica di questa insorgenza
    dentro i meccanismi di governance e di gestione delle crisi.
    Costantemente, nella dialettica del movimento, sono emersi punti di
    vista ed argomentazioni che, camuffandosi a vario modo, hanno
    ostacolato ogni anelito di autonomia ed indipendenza dal quadro
    politico e dalle compatibilità con i soggetti istituzionali. Non è
    questa la sede per un compiuto bilancio politico della passata stagione
    del movimento contro la guerra. Altri luoghi ed altri appuntamenti sono
    già convocati per questo indispensabile confronto collettivo che
    diventa sempre più necessario.

    Vogliamo, però, sommessamente, mentre
    riparte la mobilitazione di Vicenza, segnalare alcune preoccupazioni
    che intravediamo ed avanzare alcune utili avvertenze per non
    sacrificare, anche questa volta, speranze ed obiettivi di lotta,
    sull'altare del politicantismo e della subalternità.

    E' bastato
    leggere, nelle edizioni di sabato 20 gennaio, i titoli de "l'Unità" e
    di "Europa" (il giornale della Margherita), per cogliere la esplicita
    soddisfazione, degli estensori di questi giornali, per gli scarsi
    numeri presenti al Presidio, per protestare contro l'autorizzazione del
    governo Prodi all'ampliamento della base militare americana a Vicenza,
    svoltosi a Roma nella serata di venerdì 19/1.

    Quanto a Rifondazione
    Comunista, per chi ha partecipato a questo primo ed importante
    appuntamento, indetto dai compagni di Roma, è stato facile prendere
    atto del doppio volto del partito di Bertinotti: opposizione a parole
    alla base militare, sostanziale diserzione al presidio. Il silenzio di
    "Liberazione" al riguardo è più eloquente di ogni nostro più malevolo
    commento. Quando ha preso parola lo ha fatto attraverso la Menaguerra
    per sputare veleno sul presidio accusando i presenti di parassitismo
    senza pudore per la sua vicenda personale che utilizzando voti dei
    pacifisti si parassitariamente seduta in parlamento votando
    tranquillament3e le missioni di guerra del governo.

    Crediamo, oramai,
    che sia a tutti chiaro che nelle rituali (.e, quasi, infastidite)
    dichiarazioni di un Giordano, di un Ferrero o di un Russo Spena non c'è
    traccia di alcuna volontà di rompere con l'attuale maggioranza di
    governo o di offrire una qualche forma di "rappresentanza politica"
    conseguente alla battaglia ingaggiata dalla popolazione di Vicenza.
    Come dire: "fate pure le mobilitazioni contro la "base" e non
    dimenticate, al momento delle prossime elezioni che anche noi ci siamo
    espressi "contro", ma noi non possiamo contribuire a farle crescere
    fino al punto da mettere in pericolo il governo".

    Emerge, così, di
    nuovo il cinico tentativo di utilizzare la protesta di Vicenza sul
    tavolo della contrattazione (..al ribasso!) nel governo evitando
    accuratamente qualsivoglia atto di rottura formale con l'esecutivo e
    con le sue politiche.

    Una scellerata azione tendente a mettere, anche
    su questo versante dell'azione di governo, la sordina politica ad ogni
    critica verso la vigenza dell'esecutivo di Prodi. E' un lavorio
    tendente a circoscrivere e depotenziare ogni possibile saldatura tra le
    sacrosante proteste della popolazione vicentina e la indispensabile
    ricostruzione di un efficace movimento contro la guerra.

    Anche
    l'appellarsi (..con toni sempre più dimessi) ad una più chiara e
    marcata exit strategy italiana dai teatri di guerra, che dovrebbe
    palesarsi al momento della votazione parlamentare al decreto di
    rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, ci sembra
    prefigurare uno sconcertante scenario che abbiamo già subito, nel
    luglio scorso, all'epoca della passata votazione.

    Anzi le premesse
    politiche alla base del ritiro italiano dall'Irak (che era già previsto
    e calendarizzato dal governo del Cavaliere) ed il voto di sostegno
    della cosiddetta sinistra radicale allo scorso finanziamento della
    missione a Kabul non hanno impedito la partecipazione militare italiana
    al nuovo capitolo dell' aggressione neocoloniale in Libano e
    nell'intero Medio Oriente. Ed è stato sulla scorta di quel ritrovato
    clima di unità parlamentare che D'Alema ha potuto intrecciare la trama
    politica necessaria per la nuova collocazione multipolare
    dell'interventismo del capitalismo tricolore a partire dallo scenario
    Libanese.

    Una politica salutata, come un primo atto significativo di
    una volontà di rottura dall'imperante unilateralismo di Bush, dal coro
    estasiato e subalterno della sinistra radicale.

    Del resto che il PRC,
    ma anche gli altri sinistri governativi, non vogliano seriamente
    disturbare il manovratore non è riscontrabile esclusivamente dal loro
    posizionarsi nei confronti della questione vicentina ma dalla
    collocazione/atteggiamento verso l'insieme dei provvedimenti e delle
    scelte di politica economica e sociale del governo Prodi.

    Non a caso
    le manifestazioni contro l'invio delle truppe italiane in Libano dello
    scorso 30 settembre ed il corteo tenuto a Roma al fianco della
    Palestina del 18 novembre sono state pesantemente attaccate e
    criminalizzate con toni scandalistici, commenti al vetriolo e
    strascichi giudiziari abbondantemente esagerati rispetto alla reale
    dimensione di massa di queste mobilitazioni.

    Così come ogni fischio o
    vivace dissenso verso Padoa Schioppa o Damiano sta diventando
    l'obbligato bersaglio della squallida esecrazione ed obbligata scelta
    di distinzione di questi sinistri radicali mentre si annuncia una nuova
    manomissione al sistema pensionistico, si prepara lo scippo del Tfr e
    si impone la logica di impresa e di privatizzazione nel Pubblico
    Impiego. Senza dimenticarci delle promesse elettorali di abrogazione
    della Legge 30, chiusura dei CPT e del varo di nuove "politiche di
    cittadinanza"!

    Soggetti e protagonisti dei movimenti.

    Anche in
    occasione di questo nuovo tassello dei processi di militarizzazione dei
    territori e di allestimento di nuovi preparativi bellici abbiamo
    ascoltato la voce di componenti religiose e del pacifismo le quali si
    sono schierate, anche in maniera veemente, contro la decisione del
    governo Prodi.

    A Vicenza numerosi esponenti religiosi sono impegnati
    nella costruzione del movimento e nelle attività di mobilitazione. Lo
    stesso Alex Zanotelli, in una intervista concessa al Manifesto il
    20/1/07, ha usato parole di fuoco contro il governo invitando ad azioni
    di disobbedienza civile e politica.

    Ci aspettavamo quindi la presenza
    di queste componenti già nel presidio sotto Montecitorio, rispetto al
    quale non potevano neppure opporre, come in occasione del corteo 30
    settembre 2006, la pregiudiziale del settarismo politicista. Il
    presidio di Montecitorio, colto anche dal Manifesto in sintonia con la
    mobilitazione larga di Vicenza (tant'è che allo stesso vi ha preso
    parte una folta delegazione della stessa sopportando molte ore di
    viaggio in pullman) non ha registrato presenze nemmeno simboliche di
    queste tendenze.

    Ciò potrebbe essere dipeso dal caso o da qualche
    difficoltà contingente. Certo, pesa anche la difficoltà di un rilancio
    di un movimento generale che sappia dare maggiore forza ad opposizioni
    vertenziali o locali. Non vorremmo però che ancora una volta queste
    componenti percorrano la frequente traiettoria che le fa esordire con
    le buone intenzioni verso il paradiso per farle approdare a logoranti e
    inutili trattative con le controparti. Non vorremmo che ancora una
    volta qualcuno voglia riproporre la demenziale pretesa di opporsi alla
    privatizzazione dell'acqua cercando di portare al corteo anche
    Bassolino.

    Per essere più chiari, non alziamo barriere pregiudiziali
    nel movimento e ci farebbe piacere, quindi, trovarci con gli attivisti
    cattolici e pacifisti in questa lotta. Sarebbe però poco utile tacere
    che, se dovesse palesarsi (come già si sta palesando) la possibilità di
    un confronto netto ed alternativo con il governo Prodi la nostra
    critica a questi compagni di viaggio, che affettano di essere portatori
    di grandi novità nell'agire per il cambiamento, che alla fin fine si
    riducono alla solita real politik con i suoi inviti a volere
    "illuminare" gli organi istituzionali (tra cui l'ONU o l'Unione
    Europea) i quali, a loro dire, potrebbero e dovrebbero tutelare gli
    interessi calpestati delle popolazioni.

    Più o meno la stessa
    considerazione la facciamo verso quell'arcipelago "antagonista",
    variamente collocato in quel che residua della stagione dei Centri
    Sociali Autogestiti. Tra questi compagni è sempre stata viva la
    comprensione del rapporto esistente tra le politiche di guerra
    permanente e la militarizzazione dei territori. Abbiamo, però, la
    sensazione (..ed il Presidio sotto Montecitorio sembra confermarlo
    ampiamente) che questi compagni operano una sottovalutazione verso i
    nuovi ed urgenti compiti di mobilitazione immediata su questo terreno
    di scontro. La stessa utile e giusta attenzione verso gli aspetti
    locali delle lotte e l'impegno militante contro la precarietà del
    lavoro e della vita se disgiunti da una costante mobilitazione contro
    le politiche di guerra ed i loro effetti nel fronte interno può
    diluirsi in una dimensione politica assorbibile o, al più,
    endemicizzabile da parte delle istituzioni.

    Ritrovare, quindi, il
    senso di una battaglia politica a tutto campo riattualizzando e
    riverificando, in una dinamica di movimento, il grande tema
    dell'indipendenza e dell'autorganizzazione dei conflitti può
    contribuire alla ricostruzione di un efficace movimento contro la
    guerra. In questo contesto la partecipazione alla lotta di Vicenza è un
    passaggio ineludibile per ritrovare e rilanciare- al di fuori delle
    chiacchiere strumentali e della inconcludente ritualità - quelle novità
    teoriche abbozzate dal generale ciclo di lotte degli ultimi anni.

    I
    tempi tecnici e politici della questione/Vicenza non sono lunghissimi.
    L'amministrazione americana intende iniziare i lavori di ampliamento
    della base dopo 60 giorni dall'autorizzazione del governo italiano. Nel
    prossimo mese di marzo, inoltre, è previsto il voto in Parlamento per
    la missione militare in Afghanistan.

    Si addensano, dunque,
    appuntamenti di lotta e di mobilitazione a cui saremo chiamati a
    portare il nostro contributo collettivo ed individuale: il 10 febbraio,
    a Bologna, si terrà il Convegno Nazionale contro le basi organizzato
    dal Comitato per il Ritiro delle Truppe; il 17 febbraio la
    Manifestazione Nazionale a Vicenza, alla metà di marzo il Corteo a Roma
    per il ritiro delle truppe dall'Afghanistan.

    Non mancheranno, quindi,
    occasioni in cui emergeranno gli snodi e gli ambiti politici e sociali
    su cui si fonda la politica estera del governo Prodi, le crescenti
    aspirazioni imperialistiche e le sue scelte concrete. Ed è in tali
    passaggi che si verificheranno le dichiarazioni di intenti, le promesse
    di questi giorni e la collocazione di chi è amico dei movimenti e non
    dei governi!!

    RED LINK

    Informazioni: red_link@tiscali.it

    * Per
    avere notizie aggiornate sulle mobilitazioni contro la nuova base USA a
    Vicenza consultate il sito: www.altravicenza.it

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Outis Visualizza Messaggio
    OMBRE NERE ED AVVOLTOI SULLA LOTTA DELLE POPOLAZIONI VICENTINE
    CONTRO L'AMPLIAMENTO DELLA BASE MILITARE U.S.A.

    Non vogliamo
    ritornare sul significato politico generale o sulle scelte di strategia
    militare che sottendono all'ampliamento della base americana di
    Vicenza. Rinviamo i compagni interessati a prendere visione della
    corposa documentazione prodotta in loco dai Comitati di Lotta o
    all'ampia raccolta di analisi e contributi vari presente sui siti
    internet *.

    Ci preme, invece, anche capitalizzando talune vicende di
    lotte e mobilitazioni No War del recente passato, fare tesoro di
    ingenuità ed errori che - tutti assieme - abbiamo compiuto nel corso di
    queste esperienze le quali si riverberano ancora oggi a ridosso della
    questione vicentina.

    Le mobilitazioni di questi giorni a Vicenza sono,
    senza ombra di dubbio, un segnale positivo ed incoraggiante che
    testimonia una presente e diffusa volontà popolare contro questo
    ulteriore passaggio di militarizzazione del territorio con l'obiettivo
    di determinare una rinnovata e più decisa funzione di aggressione
    bellica di questa base nell'intera area d'intervento Euro-
    Mediterranea.

    Una vitalità, che premia il lavoro di agitazione, di
    organizzazione e di radicamento delle locali associazioni e comitati di
    lotta, che già si era manifestato nella grande Manifestazione dello
    scorso dicembre con cui, a stragrande maggioranza, era emersa
    l'opposizione senza se e senza ma all'ampliamento della base americana.

    Preoccupazioni ed avvertenze che socializziamo ai compagni.

    L'immediata reazione di lotta all'annuncio prodiano con cui si è dato
    il placet all'ampliamento della base ha costituito una accelerazione
    nelle dinamiche di movimento e nel rapporto tra queste con i partiti
    politici ed il governo.

    L'intero ciclo del movimento contro la guerra
    - almeno qui in Italia - si è costantemente misurato ed intrecciato con
    l'azione della cosiddetta sinistra radicale e con quelle opzioni
    miranti a ricondurre la portata ideale e politica di questa insorgenza
    dentro i meccanismi di governance e di gestione delle crisi.
    Costantemente, nella dialettica del movimento, sono emersi punti di
    vista ed argomentazioni che, camuffandosi a vario modo, hanno
    ostacolato ogni anelito di autonomia ed indipendenza dal quadro
    politico e dalle compatibilità con i soggetti istituzionali. Non è
    questa la sede per un compiuto bilancio politico della passata stagione
    del movimento contro la guerra. Altri luoghi ed altri appuntamenti sono
    già convocati per questo indispensabile confronto collettivo che
    diventa sempre più necessario.

    Vogliamo, però, sommessamente, mentre
    riparte la mobilitazione di Vicenza, segnalare alcune preoccupazioni
    che intravediamo ed avanzare alcune utili avvertenze per non
    sacrificare, anche questa volta, speranze ed obiettivi di lotta,
    sull'altare del politicantismo e della subalternità.

    E' bastato
    leggere, nelle edizioni di sabato 20 gennaio, i titoli de "l'Unità" e
    di "Europa" (il giornale della Margherita), per cogliere la esplicita
    soddisfazione, degli estensori di questi giornali, per gli scarsi
    numeri presenti al Presidio, per protestare contro l'autorizzazione del
    governo Prodi all'ampliamento della base militare americana a Vicenza,
    svoltosi a Roma nella serata di venerdì 19/1.

    Quanto a Rifondazione
    Comunista, per chi ha partecipato a questo primo ed importante
    appuntamento, indetto dai compagni di Roma, è stato facile prendere
    atto del doppio volto del partito di Bertinotti: opposizione a parole
    alla base militare, sostanziale diserzione al presidio. Il silenzio di
    "Liberazione" al riguardo è più eloquente di ogni nostro più malevolo
    commento. Quando ha preso parola lo ha fatto attraverso la Menaguerra
    per sputare veleno sul presidio accusando i presenti di parassitismo
    senza pudore per la sua vicenda personale che utilizzando voti dei
    pacifisti si parassitariamente seduta in parlamento votando
    tranquillament3e le missioni di guerra del governo.

    Crediamo, oramai,
    che sia a tutti chiaro che nelle rituali (.e, quasi, infastidite)
    dichiarazioni di un Giordano, di un Ferrero o di un Russo Spena non c'è
    traccia di alcuna volontà di rompere con l'attuale maggioranza di
    governo o di offrire una qualche forma di "rappresentanza politica"
    conseguente alla battaglia ingaggiata dalla popolazione di Vicenza.
    Come dire: "fate pure le mobilitazioni contro la "base" e non
    dimenticate, al momento delle prossime elezioni che anche noi ci siamo
    espressi "contro", ma noi non possiamo contribuire a farle crescere
    fino al punto da mettere in pericolo il governo".

    Emerge, così, di
    nuovo il cinico tentativo di utilizzare la protesta di Vicenza sul
    tavolo della contrattazione (..al ribasso!) nel governo evitando
    accuratamente qualsivoglia atto di rottura formale con l'esecutivo e
    con le sue politiche.

    Una scellerata azione tendente a mettere, anche
    su questo versante dell'azione di governo, la sordina politica ad ogni
    critica verso la vigenza dell'esecutivo di Prodi. E' un lavorio
    tendente a circoscrivere e depotenziare ogni possibile saldatura tra le
    sacrosante proteste della popolazione vicentina e la indispensabile
    ricostruzione di un efficace movimento contro la guerra.

    Anche
    l'appellarsi (..con toni sempre più dimessi) ad una più chiara e
    marcata exit strategy italiana dai teatri di guerra, che dovrebbe
    palesarsi al momento della votazione parlamentare al decreto di
    rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, ci sembra
    prefigurare uno sconcertante scenario che abbiamo già subito, nel
    luglio scorso, all'epoca della passata votazione.

    Anzi le premesse
    politiche alla base del ritiro italiano dall'Irak (che era già previsto
    e calendarizzato dal governo del Cavaliere) ed il voto di sostegno
    della cosiddetta sinistra radicale allo scorso finanziamento della
    missione a Kabul non hanno impedito la partecipazione militare italiana
    al nuovo capitolo dell' aggressione neocoloniale in Libano e
    nell'intero Medio Oriente. Ed è stato sulla scorta di quel ritrovato
    clima di unità parlamentare che D'Alema ha potuto intrecciare la trama
    politica necessaria per la nuova collocazione multipolare
    dell'interventismo del capitalismo tricolore a partire dallo scenario
    Libanese.

    Una politica salutata, come un primo atto significativo di
    una volontà di rottura dall'imperante unilateralismo di Bush, dal coro
    estasiato e subalterno della sinistra radicale.

    Del resto che il PRC,
    ma anche gli altri sinistri governativi, non vogliano seriamente
    disturbare il manovratore non è riscontrabile esclusivamente dal loro
    posizionarsi nei confronti della questione vicentina ma dalla
    collocazione/atteggiamento verso l'insieme dei provvedimenti e delle
    scelte di politica economica e sociale del governo Prodi.

    Non a caso
    le manifestazioni contro l'invio delle truppe italiane in Libano dello
    scorso 30 settembre ed il corteo tenuto a Roma al fianco della
    Palestina del 18 novembre sono state pesantemente attaccate e
    criminalizzate con toni scandalistici, commenti al vetriolo e
    strascichi giudiziari abbondantemente esagerati rispetto alla reale
    dimensione di massa di queste mobilitazioni.

    Così come ogni fischio o
    vivace dissenso verso Padoa Schioppa o Damiano sta diventando
    l'obbligato bersaglio della squallida esecrazione ed obbligata scelta
    di distinzione di questi sinistri radicali mentre si annuncia una nuova
    manomissione al sistema pensionistico, si prepara lo scippo del Tfr e
    si impone la logica di impresa e di privatizzazione nel Pubblico
    Impiego. Senza dimenticarci delle promesse elettorali di abrogazione
    della Legge 30, chiusura dei CPT e del varo di nuove "politiche di
    cittadinanza"!

    Soggetti e protagonisti dei movimenti.

    Anche in
    occasione di questo nuovo tassello dei processi di militarizzazione dei
    territori e di allestimento di nuovi preparativi bellici abbiamo
    ascoltato la voce di componenti religiose e del pacifismo le quali si
    sono schierate, anche in maniera veemente, contro la decisione del
    governo Prodi.

    A Vicenza numerosi esponenti religiosi sono impegnati
    nella costruzione del movimento e nelle attività di mobilitazione. Lo
    stesso Alex Zanotelli, in una intervista concessa al Manifesto il
    20/1/07, ha usato parole di fuoco contro il governo invitando ad azioni
    di disobbedienza civile e politica.

    Ci aspettavamo quindi la presenza
    di queste componenti già nel presidio sotto Montecitorio, rispetto al
    quale non potevano neppure opporre, come in occasione del corteo 30
    settembre 2006, la pregiudiziale del settarismo politicista. Il
    presidio di Montecitorio, colto anche dal Manifesto in sintonia con la
    mobilitazione larga di Vicenza (tant'è che allo stesso vi ha preso
    parte una folta delegazione della stessa sopportando molte ore di
    viaggio in pullman) non ha registrato presenze nemmeno simboliche di
    queste tendenze.

    Ciò potrebbe essere dipeso dal caso o da qualche
    difficoltà contingente. Certo, pesa anche la difficoltà di un rilancio
    di un movimento generale che sappia dare maggiore forza ad opposizioni
    vertenziali o locali. Non vorremmo però che ancora una volta queste
    componenti percorrano la frequente traiettoria che le fa esordire con
    le buone intenzioni verso il paradiso per farle approdare a logoranti e
    inutili trattative con le controparti. Non vorremmo che ancora una
    volta qualcuno voglia riproporre la demenziale pretesa di opporsi alla
    privatizzazione dell'acqua cercando di portare al corteo anche
    Bassolino.

    Per essere più chiari, non alziamo barriere pregiudiziali
    nel movimento e ci farebbe piacere, quindi, trovarci con gli attivisti
    cattolici e pacifisti in questa lotta. Sarebbe però poco utile tacere
    che, se dovesse palesarsi (come già si sta palesando) la possibilità di
    un confronto netto ed alternativo con il governo Prodi la nostra
    critica a questi compagni di viaggio, che affettano di essere portatori
    di grandi novità nell'agire per il cambiamento, che alla fin fine si
    riducono alla solita real politik con i suoi inviti a volere
    "illuminare" gli organi istituzionali (tra cui l'ONU o l'Unione
    Europea) i quali, a loro dire, potrebbero e dovrebbero tutelare gli
    interessi calpestati delle popolazioni.

    Più o meno la stessa
    considerazione la facciamo verso quell'arcipelago "antagonista",
    variamente collocato in quel che residua della stagione dei Centri
    Sociali Autogestiti. Tra questi compagni è sempre stata viva la
    comprensione del rapporto esistente tra le politiche di guerra
    permanente e la militarizzazione dei territori. Abbiamo, però, la
    sensazione (..ed il Presidio sotto Montecitorio sembra confermarlo
    ampiamente) che questi compagni operano una sottovalutazione verso i
    nuovi ed urgenti compiti di mobilitazione immediata su questo terreno
    di scontro. La stessa utile e giusta attenzione verso gli aspetti
    locali delle lotte e l'impegno militante contro la precarietà del
    lavoro e della vita se disgiunti da una costante mobilitazione contro
    le politiche di guerra ed i loro effetti nel fronte interno può
    diluirsi in una dimensione politica assorbibile o, al più,
    endemicizzabile da parte delle istituzioni.

    Ritrovare, quindi, il
    senso di una battaglia politica a tutto campo riattualizzando e
    riverificando, in una dinamica di movimento, il grande tema
    dell'indipendenza e dell'autorganizzazione dei conflitti può
    contribuire alla ricostruzione di un efficace movimento contro la
    guerra. In questo contesto la partecipazione alla lotta di Vicenza è un
    passaggio ineludibile per ritrovare e rilanciare- al di fuori delle
    chiacchiere strumentali e della inconcludente ritualità - quelle novità
    teoriche abbozzate dal generale ciclo di lotte degli ultimi anni.

    I
    tempi tecnici e politici della questione/Vicenza non sono lunghissimi.
    L'amministrazione americana intende iniziare i lavori di ampliamento
    della base dopo 60 giorni dall'autorizzazione del governo italiano. Nel
    prossimo mese di marzo, inoltre, è previsto il voto in Parlamento per
    la missione militare in Afghanistan.

    Si addensano, dunque,
    appuntamenti di lotta e di mobilitazione a cui saremo chiamati a
    portare il nostro contributo collettivo ed individuale: il 10 febbraio,
    a Bologna, si terrà il Convegno Nazionale contro le basi organizzato
    dal Comitato per il Ritiro delle Truppe; il 17 febbraio la
    Manifestazione Nazionale a Vicenza, alla metà di marzo il Corteo a Roma
    per il ritiro delle truppe dall'Afghanistan.

    Non mancheranno, quindi,
    occasioni in cui emergeranno gli snodi e gli ambiti politici e sociali
    su cui si fonda la politica estera del governo Prodi, le crescenti
    aspirazioni imperialistiche e le sue scelte concrete. Ed è in tali
    passaggi che si verificheranno le dichiarazioni di intenti, le promesse
    di questi giorni e la collocazione di chi è amico dei movimenti e non
    dei governi!!

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    Informazioni: red_link@tiscali.it

    * Per
    avere notizie aggiornate sulle mobilitazioni contro la nuova base USA a
    Vicenza consultate il sito: www.altravicenza.it

    Veramente non male!

  9. #9
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    Vicenza, è possibile vincere?

    Prodi e D'Alema hanno sciolto i nodi su Vicenza e sull'Afghanistan dicendo con chiarezza e determinazione che l'ampliamento dell'aereporto Del Molin e la presenza delle truppe NATO a Kabul non sono in discussione. In poche parole la strategia militare offensiva degli americani è accettata dai massimi esponenti del governo e non può essere cambiata. A questo punto bisognerà attendere gli eventi e capire chi, nella "sinistra radicale", si opporrà e come a queste decisioni. Mi sembra però di capire che siamo in presenza di polveroni e di contorcimenti che non promettono niente di buono. Da una parte si cerca di trattare una presenza militare più 'politica' in Afghanistan, cioè di mascherare la presenza delle truppe, dall'altra di delegare al "movimento" lo scontro su Vicenza.
    Se questa è la questione che emergerà definitivamente dalle forze della "sinistra radicale" bisognerà innanzitutto fare una battaglia contro queste forze. Abbiamo, già da tempo, messo in guardia i movimentisti dai rapporti politici con PRC, PdCI e Verdi, rispetto ai quali bisogna combatterne la deriva governista e subalterna. Nella discussione abbiamo sostenuto che, man mano che il governo Prodi chiarisce la sua strategia interna e internazionale liberista e atlantica, bisogna creare una autonomia politica di tutte quelle forze che con serietà e determinazione perseguono un programma antimilitarista e di rivendicazioni sociali che al liberalismo si oppongono.
    La manifestazione del 19 gennaio davanti a Montecitorio non ha sciolto i nodi. Poca gente in piazza e toni accesi, diciamo discorsi gridati, che non delineano una prospettiva. Siamo ancora una volta alle "scadenze". Quella logica gruppuscolare che non modifica realmente le cose e i rapporti di forza.
    A mio parere bisogna affrontare le cose in un diverso modo.
    Sul terreno della lotta è necessario costruire una forza reale contro l'articolazione della forza militare americana in Italia che rappresenta il secondo fronte della guerra infinita di Bush. A che cosa serve se non a questo il raddoppio dell'aereporto di Vicenza? E, visto che se ne parla poco, la costruzione a Cameri, in Piemonte, della fabbrica di assemblaggio dei caccia bombardieri non è la produzione su larga scala di avioggetti per la guerra infinita? Dunque siamo in ballo e questo governo non esce dagli schemi strategici americani. Le chiacchiere della Menapace sono la copertura vergognosa della politica di guerra di questo governo. Sulla guerra non si può mediare, bisogna contrapporsi costruendo una coscienza di massa e una mobilitazione contro il governo chiamandolo per nome e cognome.
    Sapremo costruire questa forza uscendo dal ritualismo e dal minoritarismo? Molto dipenderà dalla forza che si sta sviluppando a Vicenza contro il raddoppio della base. Molto dipenderà però anche dalla strutturazione a livello nazionale e dal compattamento di tutta quell'area politica di sinistra che dovrà sganciarsi dalla sinistra governista e rilanciarsi come protagonista di grandi battaglie.
    Rompere con Prodi e coi partiti del centro sinistra, creare una forza di massa che sia di riferimento organizzato e politicamente matura. A partire da Vicenza.
    Erregi
    21 gennaio 2007
    http://www.aginform.org/gabrie32.html

  10. #10
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    Un commento sensato di Sergio Romano

    Una lettera al Corriere della Sera, 22 gennaio 2007
    La base di Vicenza:
    economia e interesse nazionale


    Ho 38 anni e sono un dipendente della Caserma Ederle. Sono a Vicenza da 4 anni circa, vengo da Napoli dove ho lavorato nella clinica odontoiatrica della marina Usa per circa 10 anni come assistente generico, poi ho deciso di venire a Vicenza per una posizione migliore e più «sicura» nella clinica odontoiatrica dell'esercito Usa in quanto si parlava di riduzione del personale anche nelle basi del Sud. Anche mia moglie lavora part time nella base, abbiamo avuto una stupenda figlia e acceso un mutuo trentennale per l'appartamento. Adesso però ci troviamo a correre il rischio di perdere il posto di lavoro e di conseguenza la casa! Se il governo negherà l'ampliamento come faremo a pagare i debiti? Chi ci darà subito un altro posto di lavoro permanente a Vicenza? Spero tanto che Prodi e D'Alema se prenderanno questa decisione autorizzino almeno il reintegro dei dipendenti della Ederle in enti statali, altrimenti ce la vedremo proprio brutta. Fabio Di Lorenzo,
    fabiodilorenzo@hotmail.com

    E la risposta di Sergio Romano

    Caro Di Lorenzo, dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio lei è certamente più tranquillo. Ma la sua lettera mi sembra ancora interessante perché solleva, con l'efficacia propria del caso personale, uno dei due argomenti che sono stati maggiormente utilizzati nelle scorse settimane da coloro che erano favorevoli alla richiesta americana. Molti hanno ricordato, come lei, che la chiusura della base avrebbe comportato il licenziamento di circa settecento persone e parecchi svantaggi economici per l'intera città. Altri hanno scritto per ricordare che i militari americani della base sono stati in questi anni persone simpatiche, affidabili, eccellenti vicini di casa. E gli autori di queste lettere hanno dato la sensazione di ritenere che questi argomenti fossero, nella vicenda della base, determinanti. Ebbene, debbo confessarle che mi sembrano irrilevanti. So che gli americani sono molto spesso persone affabili e gradevoli. E so che la chiusura di una installazione militare occupata da qualche migliaio di persone provoca sempre ricadute negative per la comunità che trae vantaggio dalla loro presenza. Ma non credo che questi problemi possano essere pesati sulla stessa bilancia su cui il governo deve valutare e pesare l'interesse nazionale. Il problema dell'occupazione sarebbe sorto successivamente e, sperabilmente, risolto. Ma non avrebbe dovuto condizionare la decisione del governo. Per la stessa ragione il presidente del Consiglio non avrebbe dovuto sostenere, come ha fatto durante la conferenza stampa di Bucarest, che il problema della base di Vicenza è «di natura urbanistico-territoriale, non politica». La definizione mi sembra sbagliata. Il problema è strettamente politico perché concerne la politica estera dello Stato, la sovranità della Repubblica, la compatibilità della base con i nostri interessi nel Mediterraneo. La base di Ederle fu creata all'epoca della guerra fredda, quando Italia e Stati Uniti avevano un potenziale nemico e la Nato doveva attrezzarsi ad affrontare nel miglior modo possibile una eventuale minaccia. Qual è il nemico comune oggi? Se è il terrorismo islamico, siamo certi che gli Stati Uniti siano disposti a tenere conto, nel momento in cui decidono di colpirlo, del nostro giudizio e delle nostre valutazioni? Avremo voce in capitolo nell'uso della base o saremo semplicemente costretti a leggere sui giornali che gli aerei americani di Ederle 2 hanno utilizzato il nostro territorio, qualche ora prima, per una operazione militare? Sono queste alcune delle domande che il governo avrebbe dovuto porre. E sarebbe stato utile, con l'occasione, preparare un Libro Bianco, da presentare in Parlamento, sul numero delle basi presenti nel territorio italiano, sulle clausole degli accordi che furono stipulati a suo tempo per la loro apertura, sulla durata dei contratti, sullo statuto giuridico delle truppe americane. Il governo ha preferito aspettare parecchie settimane e dire alla fine che il problema è «urbanistico- territoriale». Troppo poco, troppo tardi.

 

 
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