Libero Domenica 21 gennaio 2007

EUROPA
Il continente delle secessioni buone

La Scozia che vuole abbandonare il Regno Unito è solo l’ultimo caso: sono più di venti i Paesi nati staccandosi da altri Stati.
Quasi sempre in modo pacifico


GILBERTO ONETO

In Gran Bretagna qualcuno si preoccupa perché il Regno potrebbe non essere più Unito:
i sondaggi danno vincente la scelta indipendentista nel referendum che lo Scottish National Party vorrebbe indire subito dopo le elezioni. In Italia ci si scopre più britannici dei britannici. Ma anche più spagnoli degli spagnoli o più francesi dei francesi quando si parla di Catalogna o di Bretagna: troppi infatti si terrorizzano solo all'idea che qualche comunità voglia l'indipendenza.

Non è solo per non dovere comperare un atlante più aggiornato: !'Italia è piena di gente impaurita dai cambiamenti, dagli spostamenti di confini, dalle novità istituzionali e dalle manifestazioni di libertà o di voglia di libertà di qualsiasi popolo. Come se il dogma dell'unità, che da noi ha quadrate legioni di sacerdoti, fosse un principio universale. Come se le pulsioni altrui potessero avere conseguenze sull'immobilismo della penisola. E qui hanno ragione perché niente è più contagioso della libertà.



I falsi miti del patriottismo

E allora eccoli - come Stalin o Franco - esorcizzare ogni pericolo tirando fuori le sacre icone del patriottismo. Eccoli agitare il solito pericolo della balcanizzazione, magari citando - come ha fatto La Repubblica - Gordon Brown, prossimo primo ministro di Londra, scozzese arcibritannista, il Gianfranco Fini (padano
arci-italianista) della perfida Albione. Il richiamo ai Balcani fa sempre effetto, dai primi del Novecento in poi è stato sistematicamente usato per descrivere stati di disordine politico e di scontri inter -etnici sanguinari. Ogni volta che si parla di secessione, indipendenza ma anche solo di autonomia o di autodeterminazione saltano fuori i fantasmi di Gavrilo Princip, di Milosevic e - per i più colti - del Pascià di Gianina.

Tutte le Cassandre dell'unità (numerosissime soprattutto nei corridoi del Quirinale) dimenticano però che la penisola balcanica è un caso di commistione di diverse comunità etniche e religiose che non trova riscontro in altre parti d'Europa. Omettono anche di ricordare che i guai di tanti infelici Paesi sono venuti molto più dalla forzata convivenza che dalla separazione, che un buon divorzio è sempre meglio di un cattivo matrimonio.
Glissano soprattutto sul dettaglio che i guai sono venuti dalla sistematica violazione dei diritti di autodeterminazione: scegliere liberamente con chi stare o non stare avrebbe evitato le pulizie etniche.


La diaspora dall'Urss

È soprattutto generale il silenzio su un fatto fondamentale che riguarda la storia più recente dell'Europa e dell'ex Unione Sovietica: sui 30 Stati che hanno raggiunto l'indipendenza dall'inizio del Novecento, ben 24 sono risultati da una separazione, sono cioè tecnicamente frutto di secessioni.
Qualcuno è il risultato di riassetti conseguenti a eventi bellici, uno (la Città del Vaticano) è frutto di una sorta di "atto di pentimento", e solo 4 sono il risultato di una lotta armata: poche ore di fucilate in Slovenia, sangue in Irlanda, Croazia e Bosnia.

Negli ultimi due casi però le violenze non sono derivate dall'indipendenza in se ma da questioni di confini, e cioè proprio dal mancato esercizio della libera scelta delle comunità.
Ben 14 Stati sono nati da separazioni pacifiche, da scelte parlamentari e da referendum, da vicende in cui nessuno si è neanche sbucciato un ginocchio.

Tutti - dalla Norvegia alla Slovacchia, dall'Islanda alla Lettonia - sono oggi più liberi e più prosperi di quanto fossero nella casa madre che li inglobava. Nessuno ci ha rimesso: è un processo in cui vincono tutti. Lo stesso vale per le comunità che oggi percorrono la stessa strada: tutti - Scozia, Catalogna, Paesi Baschi o Corsica - chiedono e si aspettano più libertà e ricchezza senza voler togliere una briciola di quelle altrui, anzi.

Ai fantasmi balcanici gli iperpatrioti italiani aggiungono poi ogni tipo di distinguo per erigere un muro di differenze fra i casi altrui e i nostri: la Sardegna non è mai stata indipendente, la Scozia sì; i Padani non hanno una lingua comune, i Catalani sì; i Sud Tirolesi sono cattolici come tutti gli altri cittadini, Serbi e Croati frequentano chiese diverse. Giova invece ribattere,


ad esempio, che gli Irlandesi e gli Scozzesi parlano inglese e questo non gli impedisce di sentirsi diversi, che gli Svizzeri hanno quattro lingue o anche che non è mai esistito uno Stato fiammingo. In realtà non era neppure mai esistito uno Stato italiano!
Tirano fuori i fratelli Bandiera, Oberdan e il Piave e fanno finta di non sapere che qui ci sono comunità storiche, lingue antiche, tradizioni statuali di libertà in misura uguale se non maggiore che in molte altre parti d'Europa.


Il futuro del Nord Italia

Soprattutto selVe appellarsi alle più moderne definizioni di comunità «<<La più semplice affermazione che si può fare su una nazione è - secondo Emerson - che si tratti di
"un insieme di persone che sentono di essere una nazione"».
«Alla fine - scrive Connor - importa non cos'è, ma cosa un popolo crede di essere») e alla "sacralità" della volontà popolare. Un sondaggio rivela che il 51% degli Scozzesi vuole separarsi dall'Inghilterra e che solo il 36% è decisamente contrario.

Una inchiesta svolta da Ilvo Diamanti e pubblicata nel 1996 dalla rivista Limes diceva che per il 36,5% dei padani l’indipendenza era «un'ipotesi inaccettabile», per 1'8,5% «una via che porterebbe al disastro», ma peril30, 7% «una prospettiva vantaggiosa sul piano concreto, ma inaccettabile» e per il 24,4% ««una prospettiva vantaggiosa ed auspicabile».

Di fronte a un referendum oggi ci si troverebbe molto probabilmente davanti a percentuali non dissimili da quelle scozzesi.
Oltre agli interessi che stanno dietro alla graniticità di certo patriottismo, la resistenza viene anche da carenze di marketing: la storia
padano-alpina è piena di Braveheart nostrani mai valorizzati o dimenticati ma soprattutto si paga l'immagine che viene fornita da certo indipendentismo nostrano.
Decisamente Calderoli non è Sean Connery.




DOVE SONO I 25 PAESI

Norvegia (1905, dalla Svezia),
Bulgaria (1908, dalla Turchia),
Albania (1913, dalla Turchia),
Finlandia (1917, dalla Russia),
Polonia (1918 dalla Russia),
Cecoslovacchia (1918, dall'Austria),
Irlanda (1919/'22, dalla Gran Bretagna),
Islanda (1918/'44, dalla Danimarca),
Città del Vaticano (1929, dall'Italia),
Slovenia (1991, dalla Jugoslavia),
Estonia (1991, dall'Urss),
Lettonia (1991, daIl'Urss),
Lituania (1991, daIl'Urss),
Bielorussia (1991, daIl'Urss),
Ucraina (1991, daIl'Urss),
Moldavia (1991, dall'Urss),
Georgia (1991, daIl'Urss),
Armenia (1991, dall'Urss),
Azerbaigian (1991, daIl'Urss),
Croazia (1991, dalla Jugoslavia),
Macedonia (1991, dalla Jugoslavia),
Bosnia (1992, dalla Jugoslavia),
Slovacchia (1992/93, dalla Cecoslovacchia),
Montenegro (2006, dalla Serbia)