| Martedì 16 Gennaio 2007 - 19:14 | Siro Asinelli |

Nel 2009 l’Ecuador non rinnoverà la concessione per la base aerea di Manta agli Stati Uniti.
La questione è stata uno dei temi principali del programma elettorale del neo presidente Correa in materia di rapporti con l’esterno assieme al rifiuto di un accordo di libero commercio bilaterale con Washington. Un doppio smacco per gli Stati Uniti che avevano sperato che il giovane economista scendesse a più miti consigli e si distaccasse dalle politiche di autodeterminazione del continente latinoamericano lanciate da Chávez e riprese da Morales con l’appoggio, più o meno netto, di Argentina, Cile e Brasile.
La perdita, tra un paio d’anni, della base di Manta è un duro colpo alle strategie di controllo a stelle e strisce: una volta svanito l’appoggio ecuadoreño resteranno – ufficialmente – solo le basi aeree permanenti in El Salvador e Curacao, nelle Antille Olandesi. Per il resto, gli Stati Uniti continuano ad agire su altri binari, godendo in particolare dell’appoggio dei governi amici di Colombia e Paraguay. Su quest’ultimo Paese, in particolare, Washington sta puntando per un rafforzamento del controllo militare sul continente latinoamericano: nel luglio 2005 il governo di Asunción ha firmato un accordo che permette il transito e la sosta di truppe e mezzi militari Usa sul territorio paraguayano per 18 mesi. Non c’è motivo per credere che tale ‘privilegio’ non sia prorogato.
Come per la Colombia, anche qui la scusa è stata l’appoggio che Washington annuncia periodicamente di voler fornire nella lotta al narcotraffico. La presenza militare a stelle strisce, in realtà, si è tradotta ben presto nel controllo dell’area , tesa soprattutto ad arginare il “pericolo” che rappresenta l’allargarsi a macchia d’olio delle istanze bolivariane. In breve, la presenza militare si è trasformata in presidio permanente e della lotta al narcotraffico nessuno ne ha sentito parlare. Più o meno ciò che è accaduto in Ecuador nel 1999, quando al ministero della Difesa statunitense fu concesso di installare una propria rappresentanza aerea nel porto di Manta, a circa 260 chilometri a sud ovest dalla capitale Quito. Le premesse dell’accordo era chiare: il Pentagono avrebbe utilizzato una zona dell’aeroporto quale base di appoggio per missioni di controllo sulla rotta del narcotraffico, con semplici voli di ricognizione e senza alcun acquartieramento permanente di personale militare o civile. Pochi giorni dopo l’accordo il Pentagono spiegò al Congresso - che si preparava a stanziare una prima fetta degli 80 milioni di dollari investiti in totale nella base – che Manta sarebbe divenuta in realtà la più grande e moderna base operativa degli Stati Uniti in America Latina.
La vittoria di Correa segna una battuta di arresto delle strategie di controllo e destabilizzazione a stelle e strisce. A Manta sono ufficialmente impiegati un aereo spia ‘Awacs’ ed altri 7 velivoli per la sorveglianza ed il monitoraggio, ma la scusa della lotta al narcotraffico non regge più ed il neo presidente è stato chiarissimo: le autorità intendono ristabilire la sovranità sull’area e l’aeroporto è destinato a diventare uno scalo internazionale.
Rotto l’idillio - e soprattutto il monopolio dei cieli ecuadoreñi da parte del Pentagono - gli statunitensi partono al contrattacco propagandistico. Le autorità nordamericane presenti in Ecuador, e per prima l’ambasciatrice Linda Jewell, tentano il tutto per tutto affinché Correa cambi idea, addirittura promettendo ingenti investimenti nella trasformazione dello scalo da locale ad internazionale a patto che si mantenga la presenza militare. Dalle colonne del ‘Los Angeles Times’, i rappresentanti dell’Agenzia antinarcotici Usa sottolineano come la collaborazione con l’Ecuador abbia portato, nel solo 2006, al sequestro di circa 33 tonnellate di cocaina e come, mandati via dalla neo presidenza, vi sarebbe il serio rischio per il Paese andino di trasformarsi nuovamente nel crocevia privilegiato del narcotraffico proveniente dalla Colombia. Nell’ultimo decennio, infatti, circa 300mila colombiani sono fuggiti dal loro Paese riversandosi oltre la frontiera ecuadoreña. Secondo quanto diffuso dalla ‘Asamblea permanente de derechos humanos’ (APDH) di Quito, nel solo ultimo fine settimana centinaia di “donne bambini ed anziani” sono stati costretti “a scappare denunciando aggressioni da parte dell’Esercito colombiano”. Da Bogotá minimizzano, ben sapendo che dietro la farsa della lotta dello Stato ai guerriglieri delle FARC si nasconde il controllo del territorio e della produzione di cocaina. È d’altronde sotto gli occhi di tutti l’ignobile amnistia concessa dalla presidenza Uribe ai signori della guerra, i paramilitari delle AUC gestori del narcotraffico internazionale, addestrati dalla CIA e finanziati dal Congresso Usa grazie al ‘Plan Colombia’ varato da Bush senior ed ancora in atto. Gli Usa sostengono ora che tra i tanti colombiani rifugiatisi in Ecuador vi sarebbero anche molti narcotrafficanti di spicco, concentratisi in particolare nella zona di Santo Domingo del Colorado, a circa 80 chilometri dalla capitale, divenuta centro nevralgico del narcotraffico. A detta dei militari statunitensi, citati sempre dal quotidiano di Los Angeles – che, guarda caso, è anche il più letto dalla comunità ispanica residente negli Usa - la chiusura della base di Manta “renderà più attraente l’Ecuador agli occhi dei narcotrafficanti colombiani”. Gli stessi narcotrafficanti cui l’amico Uribe ha promesso una “piena integrazione” nello Stato colombiano.