Maurizio Blondet
24/01/2007

L’armata popolare cinese ha fatto pubblicamente volare, il 5 gennaio, il suo nuovo caccia mono-posto e mono-motore «Jian-10» che è - sorpresa sorpresa - il fratello gemello del «Lavi» israeliano. (1)
Il «Lavi», d’altra parte, è l’americano F-16 modificato.
Per aiutare Israele a sviluppare la nuova macchina migliorata, il contribuente americano pagò 1,3 miliardi di dollari nel 1983.
Il Pentagono non voleva, adducendo la prevedibile possibilità che Israele avrebbe rivenduto la tecnologia più «sensibile» a qualche nemico.
Ma il segretario di Stato di allora, il mezzo-ebreo George Schulz, spalleggiato dalla nota lobby, fece accettare il progetto.
Israele lotta per la sua stessa esistenza, come noto, ed ha bisogno di un caccia multiruolo per le sue guerre totali future.
Già nel marzo 1997 un rapporto della US Naval Intelligence riferiva che il J-10 cinese «è stato progettato con assistenza diretta esterna, anzitutto da Israele e dalla Russia, e con assistenza indiretta attraverso l’accesso a tecnologie USA, pesantemente basate sul programma israeliano Lavi».
I russi hanno fornito il motore.
Ma gli israeliani hanno venduto la più importante e sofisticata avionica.
Il radar e sistema di controllo del tiro nel J-10 è l’ELM-2021 israeliano, che consente l’identificazione simultanea di sei bersagli aerei e la selezione automatica dei quattro più minacciosi.
Il sistema consente inoltre al pilota di sparare ad un bersaglio nella sua linea di visione senza necessariamente dirigere sul bersaglio il muso dell’apparecchio.
Il missile con cui è armato è il gemello del Python-4, prodotto dall’israeliana RAFAEL e in uso all’aviazione sionista.
L’avionica è quella sviluppata dalle Israeli Aerospace Industries, ed è superiore a quella dell’F-16 adottato dagli Stati Uniti.
Insomma il J-10 è ritenuto pari, come capacità, al Su-27 e al MiG-29 russo, ma la Chengdu Aircraft Industry Corporation è in grado di venderlo - come ogni altra merce cinese - ad un prezzo concorrenziale: 10 milioni di dollari a pezzo.



Infatti la Cina già lo offre all’esportazione sotto la sigla F-10, che riecheggia l’F-16.
Un caso estremo di contraffazione della griffe.
Già in passato le forze armate americane avevano sollevato obiezioni sui commerci dello Stato ebraico con la Cina.
Avevano scoperto che la Israeli Aerospace Industries stavano vendendo a Pechino il sistema di sorveglianza aerea Phalcon, ELM-2075, e riuscirono (o così credettero) a far annullare il contratto. Nel 2005, il Pentagono è riuscito persino a far dimettere il direttore generale della Difesa ebraica, generale Amos Yaron, perché aveva scoperto che il generale stava vendendo ai cinesi un drone americano, «Harpy Killer», migliorato dalla tecnologia sionista.
Anche il «Lavi» è stato infine cancellato su pressione USA, come concorrente sleale dell’F-16.
Appare ora che il miglior alleato dell’America si è fatto gioco degli americani.
Yedioth Ahranoth ha citato un esperto cinese innominato, il quale ha detto: «Il Lavi è morto in Israele ed è rinato in Cina».
Forse questo fatto sta per portare il gelo nelle relazioni fra Israele ed USA? Ma no, non è il caso.
La lobby veglia e preme, e il potere politico di Washington vergognosamente si piega, come al solito.
Anzi il National Security Council (NSC) sta manovrando per far accettare Israele come membro a pieno titolo della NATO.
Un documento semi-segreto, ma rivelato dal Jerusalem Post, indica le «linee guida strategiche» per far ingollare il boccone agli alleati europei. (2)
Resisteranno forse gli europei? Ma no, ma no.
Anzi i ministri della Difesa e degli Esteri dei nostri governi, scodinzolanti, stanno già facendo a gara per obbedire, prontissimi a compiacere il piccolo popolo che ha tanto sofferto.
L'ex premiere spagnolo Josè Maria Aznar ha dichiarato in una recente intervista: «Israele deve entrare nella NATO il prima possibile».
Ciò perché, ha aggiunto, la «minaccia iraniana» richiede «di accrescere la deterrenza israeliana, facendone un membro della NATO. L’Iran può cambiare percezione sapendo che non ha contro solo Israele, ma la NATO tutta». (3)
Così, a nostra insaputa, siamo arruolati nelle guerre ebraiche future.


Il Jian-10 cinese



Il generale e lord inglese Charles Guthrie, già capo dello Stato Maggiore britannico, ha fatto anch’egli le sue zelanti pressioni.
«E’ naturale che Israele, come stato democratico, diventi membro della NATO. E’ un alleato naturale, con le stesse nostre preoccupazioni strategiche».
Lord Guthrie ha tenuto a tranquillizzare gli israeliani: la loro entrata nella NATO «non restringerà la capacità di Israele di compiere azioni militari unilaterali».
Dopotutto, la Gran Bretagna ha fatto la guerra da sola nelle Falkland, essendo membro NATO.
Il problema, ha detto lord Guthrie, è semmai un altro.
Ed ha chiesto rispettosamente: è disposto Israele a partecipare ai conflitti della NATO?
Per esempio, «avrebbe la volontà di mandare truppe in Afghanistan e in Somalia, dando delle vite per queste missioni?».
Si può scusare l’ansiosa, indiscreta supplica di Guthrie: le cose vanno così male in Afghanistan per gli inglesi, che egli ha sperato per un attimo in un «aiutino» da parte del terzo esercito del mondo, che ha più carri armati, caccia e bombe atomiche di tutti gli europei messi insieme.
Ma naturalmente ciò è escluso.
Il tipo di «alleanza» che stanno ritagliando su misura per Israele è di tipo talmudico, ossia asimmetrico.
Noi ci impegniamo a difendere Israele, Israele non si impegna a difendere noi e nemmeno a trattenersi dalle sue avventure belliche.
Non è un’alleanza, ma un servaggio.
Simile a quello che lega Washington e Tel Aviv, del resto.
Israele nella NATO farà quello che ha fatto agli americani: spiarli e venderne le tecnologie per manipolare la futura iperpotenza, la Cina, il suo «alleato» del prossimo secolo.

Maurizio Blondet




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Note
1) Dominic Moran, «Israeli fighter allegedly reborn in China», ISN Security Watch, 6 gennaio 2007.
2) Yaakov Katz, «NSC drafting strategy to make Israel a member of NATO», Jerusalem Post, 23 gennaio 2007.
3) Anche Hillary Clinton, per candidarsi alle presidenziali con qualche speranza di riuscita, sta moltiplicando le minacce all’Iran per ingraziarsi la lobby. In un discorso davanti all’AIPAC (American-Israeli Political Committee) ha dichiarato: «[O]ur future here in this country is intertwined with the future of Israel and the Middle East. In the short period that I have been given the honour of addressing you, I want to start by focusing on our deep and lasting bonds between the United States and Israel». Ciò è particolarmente umiliante per Hillary, la quale era ben conscia che il caso Lewinsky, con cui suo marito presidente rischiò l’impeachment, era una macchinazione della lobby. Parlò infatti allora di una cospirazione di una «estrema destra», in cui era facile riconoscere i neocon e i likudnik che poi saliranno al potere con Bush jr.




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