di Francesco Muzzioli

Nel dibattito internazionale della teoria letteraria si nota, negli ultimi anni, una consistente ripresa del discorso marxista e delle tematiche "politiche". Ormai sciolte e liberate da tutte le strettoie dogmatiche, trasformate da repertorio di parole d'ordine in strumento di analisi e demistificazione, rientrate a far parte dell'elaborazione teorica complessiva del "materialismo",le indicazioni di Marx si dimostrano ancora in grado di aprire orizzonti interpretativi e creativi. Non solo con l'additare la "base economica" - quella ormai permea tutto e nessuno si sognerebbe più di mettere in secondo piano (men che meno proprio i sostenitori della new economy capitalista);né semplicemente con l'avvertimento del sostrato culturale dell'arte - dato che adesso il privilegiamento del "testo della cultura" significa piuttosto la santificazione della comunicazione di massa: piuttosto, l'impostazione critica e analitica di quello che Brecht chiamava il "Grande Metodo" vale ancora ad imprimere al discorso letterario una forte dose di carica politica - con l'avvertenza (ovvia: ma non si sa mai...) che la politicità oggi in questione è qualcosa di molto diverso da quella che si intendeva un tempo, perché non si tratta più di "dipendere" dalla politica, quanto piuttosto di mettere in questione la politica ufficiale, ormai indegna del nome e dimissionaria su tutti i fronti.
Continuare a porre alla letteratura (e, in generale, all'estetica) domande politiche implica innanzitutto una ripresa del discorso sull'ideologia,sul non-pensato e sulla parzialità di ogni ambito disciplinare; ma implica, anche, poi, una attenzione "microretorica" alle pieghe del testo, comprese le questioni "specifiche" dei generi e degli stili di scrittura. Occorre, insomma, uno sguardo semiotico, senza il quale la sola considerazione dell'ideologia rischia di fermarsi molto presto, alla semplice rivendicazione delle culture e delle identità conculcate dal potere.
Tra le recenti riprese del dibattito sul marxismo, si segnala il libro della studiosa Moyra Haslett (insegnate al St Patrick College di Dublino) dal titolo Marxist Literary and Cultural Theories (MacMillan Press, 2000).
Il libro è utilmente suddiviso in due parti, di cui la prima ripercorre in chiave di bilancio l'elaborazione di area marxista a partire dai padri fondatori Marx e Engels fino alle tendenze recenti dei cultural studies, mentre la seconda procede a una interessante verifica sui testi (tratti dalla letteratura in lingua inglese: ci sono, tra gli altri, Jane Austen e il Wilde del Ritratto di Dorian Gray). Quello che torna alla ribalta è naturalmente (non potrebbe essere altrimenti) un marxismo aperto al dialogo, alle integrazioni, alle lezioni (e al riconoscimento degli errori) della sua storia; un marxismo in più ironico, capace di vedere sotto il segno dell'umorismo anche la sua stessa ritrovata attualità:"È un guaio per noi che una così grande parte del marxismo sia ancora applicabile, perché ciò significa che i nefasti effetti del capitalismo ci sono ancora tutti e che le voci oppositive sono più necessarie che mai". Riattraversato nei suoi nodi, il marxismo dimostra di avere qualcosa da dire anche nel panorama odierno del postmoderno e del culturalismo.
Sul primo fronte, la linea Brecht-Benjamin indica tuttora un terreno di forte resistenza, con la portata attiva del testo letterario che non vale da rappresentazione, bensì da luogo di inscrizione di "reazioni alle condizioni materiali". Sul secondo fronte - sebbene il marxismo anglosassone debba la sua ripresa a Raymond Williams e, con lui, al nesso cultura-società - la Haslett riconosce che la fioritura degli studi culturali è avvenuta a spese del loro quoziente di opposizione politica. Malgrado qualche concessione di troppo alla formula del "postmarxismo", il libro si colloca comunque in una prospettiva non arresa agli scenari dell'integrazione e del consenso.
Per quanto riguarda l'area italiana, c'è da segnalare l'arrivo in libreria di un nuovo volume di saggi di uno dei principali critici "materialisti" in attività: Edoardo Sanguineti, che ha pubblicato, per la cura di Erminio Risso, Il chierico organico. Scritture e intellettuali (Feltrinelli, 2000).È un'occasione da non perdere per ripercorrere le direzioni metodologiche sanguinetiane, altrimenti disperse nelle varie sfaccettature del suo lavoro di scrittore e di critico. Il libro, poi, è costruito in modo da passare attraverso i gangli principali della nostra letteratura, dalla Scuola siciliana a Boccaccio, ad Ariosto, Foscolo e Leopardi, Verga, Pascoli, e poi l'amato Lucini e il Novecento di Landolfi e Vittorini, per giungere a Calvino (e, per finire, a un bel saggio sul plurilinguismo novecentesco). Si ottiene, insomma, una "storia letteraria per saggi", o poco manca. La quale, poi, stante lo spirito anticonformista che soprintende alle analisi sanguinetiane è una storia rovesciata, o per meglio dire una storia della letteratura come parodia. Scoprendosi anche là dove non l'avremmo aspettata (nel Leopardi dei Canti, ad esempio, "che forse è tempo di leggere davvero, ormai, in prospettiva eversivamente parodica"), la parodia non solo rivendica sul piano teorico quel diritto di cittadinanza che il postmoderno vorrebbe negarle, preferendole il più arrendevole pastiche, ma configura il campo letterario come scenario di combattimento e di mosse strategiche: si scrive sempre contro qualcuno o contro qualcosa...
Proprio la specola "parodica" indica chiaramente quel nesso di ideologia e linguaggio che Sanguineti ha caldeggiato, fin dagli esordi negli anni delle Nuove Avanguardie. Da un lato, ogni scelta tecnica del testo aspetta di essere ricondotta alle più generali questioni della cultura e dell'ideologia; ma altrettanto insufficiente è la prospettiva ideologica se è considerata come un casellario di posizioni già date, al di fuori delle pratiche letterarie. Perciò, ancora oggi Sanguineti tiene a ribadire che il riportare il linguaggio e la cultura ad "altri problemi" di carattere più estesamente sociale necessita della precisazione che "gli "altri problemi" non stanno affatto dietro le questioni culturali, ma assolutamente dentro, e non si tratta certamente di ridurre, come pure sovente si pensa e si fa, tali questioni e tali fenomeni a indizi e sintomi, che dicano altro, ma di rispettare semplicemente, integralmente, quanto dicono, e quanto sono, effettualmente. In questo senso la parodia è, per l'appunto, una strategia verbale in cui i bersagli letterari e quelli extraletterari si sommano e si intrecciano inestricabilmente. E si può parlare allora di una politicità intrinseca.
È significativo che i saggi di più stretto tenore teorico del libro di Sanguineti siano tutti dedicati a Gramsci. Gramsci, infatti, ha specificato il tema dell'ideologia inserendolo nello scontro per l'egemonia, dando importanza politica alla lotta culturale condotta sul senso comune (oggi diremmo: sull'immaginario collettivo). Non per caso Gramsci è oggi un capitolo ineludibile del dibattito internazionale che riparte dal marxismo - anche la Haslett ne parla come di un teorico "enormously influential". Ma, ad evitare i possibili stravolgimenti di un Gramsci "americanizzato" (in chiave postcoloniale o culturalista), Sanguineti provvede a caratterizzare un "suo" Gramsci (un nostro Gramsci, ove occorra limitato al "per me"), fortemente legato al conflitto sociale e alla divergenza di posizioni. Sanguineti non si perita di recuperare - e fin dal titolo - la formula gramsciana che rimarca il legame tra intellettuali e classi: l'"intellettuale organico", che qui è diventato addirittura il Chierico organico (incrociandosi con il termine che il Sanguineti poeta aveva provocatoriamente strappato a Montale: "Sono un chierico rosso, e me ne vanto"). Il principio, che viene ribadito, è la persistenza del legame tra le elaborazioni fittizie o sublimi della letteratura e il terreno concretamente reale dei rapporti tra gli uomini. Perciò: "Tutti gli intellettuali, in tutti i sensi, sono "organici" comunque. (...). In loro non parla un Nume, ma, per dirla con Goldmann, che è poi un dirla proprio con Gramsci, parla un gruppo sociale, "un gruppo sociale fondamentale", se qualcuno parla. Personalmente, direi con tutta tranquillità che parla una classe". Il ritorno ai termini di "classe" oggi che esso sussiste solo molto collateralmente, rispetto alle fortune teoriche del "genere", della "razza" o della "scelta sessuale"), è risolutamente e volutamente "vetero". Eppure, qui, non c'è solo insistenza e resistenza, o nostalgia (o ironia: come quando, in uno dei suoi ultimi testi poetici l'autore andava discorrendo di "una vecchia casa di riposo, / per marxisti vecchi"). Sanguineti sa bene che oggi i termini di "classe" sono confusi e quasi cancellati, non immediatamente riconoscibili.
"La coscienza di classe - egli lo ammette - non nei soli intellettuali, naturalmente, ma anche in tutti gli uomini dei diversi Nord del mondo, e almeno del primo mondo, e del secondo, può benissimo ottenebrarsi, anche per lunghi e lunghissimi tempi, sino a estinguersi affatto, persino. Ma - aggiunge subito - la lotta di classe, quella invece, piaccia o dispiaccia non importa niente, quella continua". Dove, nella riproposta del vecchio si insinua il nuovo orizzonte: non si tratterebbe infatti, tanto, del conseguimento di una identità ben distinta (come si credeva una volta: l'ideologia proletaria), ma dell'identificazione all'interno del testo dell'antagonismo reale che muove e agita la scrittura anche quando questa cerca di appianarne e sublimarne il rovello. È per l'appunto un materialismo della contraddizione quello da cui si dipartono (e si dipartiranno) le prossime e più produttive riflessioni della teoria.
E anche: un materialismo dell'alternativa, della tendenza antagonista. Secondo il Gramsci che Sanguineti cita ad oltranza: "Una teoria è appunto "rivoluzionaria" nella misura in cui è elemento di separazione e distinzione consapevole in due campi, in quanto è un vertice inaccessibile al campo avversario". Un passo che sarebbe bene commentare e dispiegare non solo nei riguardi della letteratura (cui si attaglia perfettamente: c'è letteratura e letteratura, poesia e poesia...), ma anche della cultura e della politica della sinistra "a pezzi" dei nostri giorni.