2007: Anno di mutamenti strategici?

Senza dubbio il 2007, salvo miracoli, sarà l'anno del 'Redde
Rationem'. I movimenti dell'amministrazione Bush e quelle riguardanti
le forze armate statunitensi non lasciano presagire nulla di buono.
Innanzitutto, dopo le elezioni di mid-term, regolarmente perse, la
banda Bush-Cheney ha reagito decidendo la sostituzione dei generali
Casey e Abizaid con l'ammiraglio Fallon poiché, almeno
apparentemente, i due generali erano favorevoli a una specie di Exit
Strategy e contrari all'inasprimento delle tensioni nel Golfo
Persico.
L'ammiraglio Fallon era a capo del Comando USA per il Pacifico, dove
si era distinto nell'impiego di velivoli imbarcati e dei reparti
speciali contro la guerriglia islamista delle Filippine. Avrebbe
ottenuto dei risultati e, perciò, è stato nominato responsabile del
più strategico Comando Centrale, che si occupa del delicato settore
mediorientale (Iraq, Siria, Libano e soprattutto Iran).
Questa la spiegazione ufficiale; probabilmente è stato nominato
perché più pronto a rispondere ai desiderata dei burattinai di Bush
(la junta petro-con di Cheney e dei suoi complici ultrasionisti).
Tale giro di vite è stato preceduto dalla nomina di Negroponte, uomo
degli squadroni della morte, ad ambasciatore all'ONU; e
contemporaneamente veniva dichiarato segretario generale ONU, in
pratica una nomina imperiale, il sudcoreano Ban Kymoon, gerarca della
setta del reverendo Moon, a sua volta agente d'influenza di
Washington, nonché amico della famiglia Bush.
Con tali manovre il quadro diplomatico-politico, necessario
all'attacco all'Iran, sembra completato.
Sul piano militare, con il pieno consenso dei vertici del partito
democratico, da sempre vicino agli interessi sionisti, vengono
trasferiti in Iraq 21500 uomini; insufficienti a rafforzare
seriamente la presa statunitense sull'Iraq. Tale contingente non
servirà a 'stabilizzare' la situazione irachena, ma a destabilizzare
quella dei vicini siriano, iraniano e turco.
In effetti lo scopo dell'amministrazione Bush non è quello di imporre
una 'pax americana' per 'stabilizzare' la regione mediorientale,
(almeno non per ora). Difatti l'Iraq deve rimanere preda del caos,
perciò agiscono gli squadroni 'salvadoregni', terroristi più o
meno 'kamikaze' e le autobomba più o meno irachene. Perciò è stato
compiuto il sacrifico umano di Saddam Hussein.
Su quest'ultimo evento va aperta una parentesi. Il dilagare dei
filmati video dell'esecuzione di Hussein sono, chiaramente, parte di
una 'strategia della tensione' localizzata in Iraq. E non è un caso
che a diffondere la notizia, secondo cui tra i boia dell'ex-raìs ci
fosse Moqtada al-Sadr, siano stati organi del regime saudita.
Tutto ciò rientra nella psyop strategica mediorientale che vede
compartecipi, anche in territorio iraniano e libanese, parecchi
movimenti 'd'opposizione', tipo il MeK, i kurdi di barzani o i
separatisti baluchi, oppure le organizzazioni dei signori della
guerra libanesi Jumblatt e Hariri; tutti più o meno foraggiati da
agenzie d'intelligence israelo-anglo-franco-statunitensi e saudite.
Il premio è costituito da tutto l'arco balcanico-himalayano. La base
di appoggio dell'Eurasia, obiettivo da sempre della setta rodhesiana-
rockfelleriana.
Gli USA, perseguendo la loro linea di 'ridisegno' del Medio Oriente,
vi hanno fatto rientrare la famiglia Saud, assieme agli hashemiti di
Giordania e il non ben chiaro indirizzo egiziano, con il ruolo
primario di puntelli 'arabi' e 'sunniti' della 'guerra di civiltà',
interaraba e intramusulmana, studiata a tavolino dai circoli
rodhesiano-rockefelleriani atlantisti (dalla RoundTable al CFR, da
Brzezinsky ai Neocon)* e relativa appendice sionista. Il ruolo
nefasto delle retrograde monarchie petrolifere, ormai completamente
prostituitesi alla metropoli**, ben viene accompagnata dal ruolo,
oggettivamente, altrettanto nefasto di chi insiste a inserire gli
sciiti tra i mercenari che devastano l'Iraq (e impiccano leader arabi
laici).
Nel quadro dell'imminente aggressione anti-iraniana, è ovvio che alle
satrapie 'sunnite' e 'moderate' sia stato affidato il compito di
rompere la solidarietà panaraba, islamica e non, tra le nazioni e i
popoli del Medio oriente e del Terzo Mondo. L'azione lungimirante
svolta dal Venezuela bolivariano, dall'Iran e, se vere certe notizie,
della Corea Democratica***, porta a rafforzare una sorta di comunità
internazionale che fronteggi, in prima linea, l'azione dei circoli
atlantisti e sionisti. E certo tale 'Fronte Antimperialista'
costituisce un obiettivo da demolire, sul piano mediatico e politico,
prima ancora che militare. Come accennato, il ruolo saudita ne è un
tassello importante.
Quindi, chi continua a non vedere l'abisso strategico esistente tra
iraniani (e i loro alleati) e il fronte atlantista, persegue il ruolo
che gli è stato assegnato dai propagandisti della 'guerra al
terrorismo' e di altre tristi barzellette. Infatti sbalordiscono le
affermazioni di coloro che 'consigliano' l'Iran di accettare le
imposizioni del cosiddetto 'occidente'; come strabiliano le
affermazioni di certi 'amici' degli oppressi e dei paesi del Terzo
Mondo, cui consigliano moderazione, mentre altri cosiddetti 'amici'
consigliano invece un suicida 'assalto frontale' contro l'Impero
Usraeliano. Si tratta di 'consigli' non richiesti né, tantomeno,
seguiti. E a ragione. La prima a non moderarsi è la fazione dominate
a Washington: che uno 'stato bersaglio' si adegui o meno, non fa
differenza, se 'deve' essere bombardato, lo sarà. Lo dimostrano gli
ultimi dieci anni della politica estera statunitense****.
Il fronte iraniano-venezuelano può contare su amici ben disposti.
Checché ne dica un Blondet qualsiasi, la Cina popolare non può
permettersi di perdere un alleato strategico importante quale l'Iran.
Se il mercato statunitense ingoia le 'carabattole' cinesi,
permettendo la crescita economica, tecnica e scientifica dell'Impero
di Mezzo, ciò non impedisce il fatto che, alla lunga, ciò che
permette lo sviluppo non è il mercato di sbocco, sostituibile, ma
quello delle materie prime, insostituibile. Quindi è oggettivo il
fatto che un eventuale attacco all'Iran, sia un attacco anche alla
Cina Popolare. La logica degli equilibri geopolitici e internazionali
è ferrea.
Se si vuole indugiare sul fatto che la Cina sembri abbandonare i
propri 'amici' mediorientali, si rifletta su una questione non
secondaria. Appare una sorta di divisione dei ruoli: la Cina
popolare 'cura' gli interessi con Pyongyang; mentre la Russia presta
attenzione e assistenza agli affari con Tehran. Non credo che sia
solo apparenza. È proprio una divisione di ruoli tra una potenza
regionale che sta diventando potenza mondiale, e una potenza che sta
lentamente riacquisendo, grazie all'operato dell'amministrazione
Putin, un ruolo planetario. Non avendo, per ora, la capacità
strategica di affrontare l'asse atlantista globalmente, ognuno
l'affronta a livello regionale.
Venezuela, Iran, Russia affrontano la metropoli nel campo delle
risorse energetiche (gas, petrolio, ecc.). La Cina opera sul piano
dei mercati e della finanza internazionali.
Certo, tutto questo avviene in ordine sparso e ognuno,
inevitabilmente, segue innanzitutto i propri interessi più immediati.
Ma non deve essere dimenticato il notevole sforzo di coordinamento
rappresentato dall'Organizzazione di Shanghai, né le aperture fatte
dalla Cina nei confronti dell'India.**** Né i progetti di carattere
strategico che riguardano il comune sfruttamento delle risorse
energetiche da parte di importanti potenze eurasiatiche. Il gasdotto
Iran-Cina che coinvolge anche il Pakistan e l'India, diverrebbe un
fattore di sviluppo socioeconomico, ma anche di integrazione pacifica
della regione.
Prospettive che fanno accapponare la pelle ai suddetti circoli
imperialisti e a relativi manutengoli associati (di centro, di
destra, di estrema destra, di sinistra e di estrema sinistra).
Sull'India va fatta una ulteriore considerazione. Arundathy Roy ha
espresso la propria opposizione al progetto riguardante la
costruzione di una rete di dighe sui più importanti fiumi del
continente indiano. Certo, la popolazione deve essere tutelata nei
diritti economico-sociali, non solo per ragioni di civiltà, per
diritto inalienabile, ma anche per ragioni strettamente politiche. Ma
comunque l'opposizione allo sfruttamento delle risorse idriche
indiane, va respinta nettamente; uno stato-continente come l'India
deve avere la possibilità di sviluppare una sua economia avanzata, di
avere il progresso sociale che le è necessario, di poter affrontare
la gestione delle risorse nel modo più razionale e meno dannoso
possibile. Traguardi che non può raggiungere rimanendo su carri
tirati da buoi.
Infine, il quadro militare-strategico non va trascurato. Il campo
delle tecnologie militari rimane centrale nello scontro tra
l'aggressivo asse atlantista e le potenze eurasiatiche.
L'ultima frontiera è rappresentata, da ormai 50 anni******, dal
controllo dello spazio orbitale, suborbitale e, a quanto pare, della
Luna e di Marte. Unione Europea, USA, Cina, Russia, India e Brasile
hanno in cantiere diversi progetti che riguardano la gestione della
risorsa 'Cosmo'. Rifioriscono i programmi di esplorazione spaziale,
la progettazione di vettori spaziali, di navette e cosmoplani. Dopo
l'exploit del primo volo cosmico umano cinese, gli USA si sono
affrettati a proclamare lo spazio orbitale terrestre loro esclusiva
zona di frontiera. Pronta la reazione di Pechino: l'11 gennaio veniva
testato un missile antisatellite (ASAT) chiaramente basato su
similari progetti sovietici.
Aldilà dei superficiali, e interessati, commenti degli organi di
propaganda atlantisti, tale operazione dimostra la volontà della Cina
popolare di garantirsi uno posto nello scenario globale; ma dimostra
anche la simbiosi tecnico-scientifica nata tra Mosca e Pechino,
oltrechè la volontà di affrontare la metropoli sul suo terreno; e
quindi di non accettare posizioni subalterne che, in maniera
malintesa, vengono attribuite alle capitali d'Eurasia. Semmai sono
altri poli, pretesi antagonistici a quelli atlantisti, che si pongono
volontariamente in posizione di prona subalternità. E le figure di
Merkel, Royale, Sarkozy e altri epigoni, nazionali ed europei, non
fanno ritenere possibile un prossimo mutamento di rotta.

Alessandro Lattanzio, Catania 27/1/2007
www.aurora03.da.ru

Note
*In Italia solo la rivista Nexus ha pubblicato degli ottimi articoli,
a firma di Will Buniyan, sul pensiero imperiale di questi circoli
atlantisti. Materia su cui riflettere, viste anche l'influenza che le
idee, chiare derivazioni del pensiero rodhesiano, di un
certo 'cattivo maestro' purtroppo esercitano negli ambienti
accademici e pseudo-alternativi italiani.
** In tale ricomposizione delle alleanze mediorientali va inserita la
vicenda somala. All'affermarsi del movimento nazional-religioso delle
Corti islamiche, non solo l'imperialismo centrale ha istigato il
subimperialismo etiope ad aggredire, per destabilizzare il Corno
d'Africa, il nascente stato somalo; ma anche ha convinto la
putrefatta casta saudita ad abbandonare i suoi locali alleati
islamisti. Senza dimenticare tutta la faccenda della creazione del
mito di al-Qaida, la 'Spectre' che è la scusa buona per ogni guerra
passata, presente e imminente.
***Secondo un quotidiano inglese, la Corea Democratica e l'Iran
starebbero lavorando su un comune test nucleare. Difficile capire se
sia un dato di fatto o sia solo una manovra propagandistica tesa a
creare un 'casus belli'.
****Senza andare a scomodare i voluminosi tomi di Kolko sulla
centenaria storia di aggressioni yankee.
*****Sebbene non manchino spiriti 'indipendenti' che guardano alle
frizioni tra stati eurasiatici, contingenti, tattiche e dal carattere
fisiologico, con il quasi speranzoso desiderio che si tramutino in
conflitti tra stati 'totalitari'. Per fortuna sono solo
vaneggiamenti. Non è soltanto in Europa che si è instillato un sano
orrore per le guerre autodistruttive.
****** Il 4 ottobre la cosmonautica compirà 50 anni di vita.