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    Predefinito Rivoluzione vegetariana - J. Rifkin

    Rivoluzione vegetariana
    Il bestiame genera il 18 per cento dei gas serra e occupa il 26 per cento della superfice terrestre
    24-01-2007 - Fonte: L'espresso
    Mangiare meno carne aiuterebbe la salvaguardia dell'ambiente. La carne che mangiamo è il fattore principale di alterazione del clima. Negli Usa l'industria zootecnica impiega quasi quattro litri di benzina per produrre mezzo chilo di carne.
    di Jeremy Rifkin

    Mentre va diffondendosi la preoccupazione per le centinaia di milioni di automobili, autobus e camion, come pure per gli aerei e i treni che emettono anidride carbonica nell'atmosfera, surriscaldano il pianeta e fanno incombere la minaccia di un radicale cambiamento climatico sulla Terra, viene quasi ignorata una fonte ancor più insidiosa di gas inquinanti. Forse potrà sorprendervi sapere che la carne che mangiamo è oggi il principale fattore di alterazione globale del clima.
    Secondo un recente rapporto della Fao, L'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, il bestiame genera il 18 per cento dei gas di serra. Più ancora di quelli prodotti dai trasporti. Ma se gli animali da allevamento, in special modo i bovini, producono solo il nove per cento dell'anidride carbonica derivante dalle attività umane, generano una percentuale maggiore di gas più nocivi. Come ad esempio il 65 per cento delle emissioni di protossido d'azoto, un gas che contribuisce al riscaldamento terrestre quasi 300 volte di più del biossido di carbonio, provenienti in gran parte dal letame. O il 37 per cento del metano, che ha un effetto 23 volte superiore a quello dell'anidride carbonica come fattore di riscaldamento del globo.
    Il bestiame occupa attualmente il 26 per cento della superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci. Non solo, ma oltre un terzo delle terre coltivabili è sfruttato oggi per produrre cereali per gli animali anzichè per gli uomini. Tradizionalmente, il bestiame si nutriva del foraggio delle praterie.
    Solo nel XX secolo si è cominciato a convertire vaste estensioni di terreno coltivabile producendo cereali per la zootecnia invece che per l'alimentazione umana, in modo che i consumatori più ricchi potessero mangiare carne di animali nutriti con questi diversi mangimi. In questo modo, molte delle popolazioni più povere del mondo sono state confinate in terre marginali, un fenomeno che ha reso sempre più difficile per milioni di persone assicurarsi anche il più modesto apporto calorico quotidiano.

    La zootecnia in crescente espansione è divenuta un flagello mondiale di proporzioni epiche. I soli bovini stanno letteralmente divorando interi ecosistemi. Molte foreste tropicali, come accade ad esempio in Amazzonia, vengono abbattute per far posto ai pascoli, che stanno erodendo ovunque anche le terre coltivabili, mentre le acque dolci rimanenti nel mondo vengono contaminate dai rifiuti degli animali e dai pesticidi.
    Il problema sta diventando sempre più grave. Secondo le stime della Fao, la produzione mondiale di carne raddoppierà entro il 2050, con effetti potenzialmente catastrofici per la biosfera, tanto da spingere l'agenzia delle Nazioni Unite a lanciare un monito: < Per evitare che la situazione peggiori ulteriormente, bisognerà dimezzare i danni ambientali prodotti da ciascun capo di bestiame >.

    Ma dopo averci messo in guardia da questi pericoli, la Fao prospetta una serie di rimedi, fra i quali metodi più efficaci di conservazione del suolo, nuove diete animali per ridurre le emissioni di metano e sistemi di irrigazione più efficenti. Tutte soluzioni che fanno un po' sorridere considerando le evidenti dimensioni del problema, che rimane sostanzialmente senza risposta nel rapporto dell'agenzia.
    Il fatto è che un numero crescente di esseri umani sta incidendo sempre di più sulla catena alimentare della Terra, con diete a base di carne, a spese dell'integrità del pianeta. Perchè allora nel rapporto si fanno solo pochi cenni a una dieta più vegetariana senza raccomandare una sostanziale riduzione del consumo di carne fra le soluzioni proposte? Forse il motivo è che la zootecnia è il settore in più rapido sviluppo dell'agricoltura mondiale, fornisce occupazione a 1,3 miliardi di persone e rappresenta il 40 per cento della produzione agricola globale.

    Persino il "New York Times", generalmente molto attento alle questioni ambientali, ha sottovalutato le implicazioni del rapporto della Fao. Dopo aver lamentato i dannosi effetti del bestiame sull'ambiente e sul cambiamento climatico, la direzione del giornale ha osservato che « la predilezione umana per la carne non si esaurirà molto presto », per cui la soluzione dipende dallo
    « sviluppo di forme di allevamento più sostenibili ». Ma nè il famoso quotidiano nè la Fao hanno compreso pienamente che "più sostenibile" significa con effetti meno devastanti sulla catena alimentare globale attraverso la riduzione del consumo di carne.
    Ci vogliono quattro chili di mangime per far ingrassare di mezzo chilo un manzo nel recinto dove viene allevato, di cui meno di tre chili sono costituiti da cereali e sottoprodotti e poco più di un chilo di crusca. Ciò significa che solo l'11 per cento di questo mangime serve a produrre il bue, mentre il resto viene consumato come energia nel processo di conversione, utilizzato per mantenere le normali funzioni corporee o espulso o assorbito in parti del corpo che non vengono mangiate, come il pelo o le ossa.

    L'inefficienza e lo spreco derivanti da una dieta a base di carne sono molto peggio degli analoghi inconvenienti dovuti all'uso di automobili che bruciano una gran quantità di carburante. Se confrontiamo il rendimento di un terreno destinato alla coltivazione di cereali per l'alimentazione umana con quello di un altro destinato invece a produrre granaglie per gli animali, vediamo che un acro del primo fornisce il quintuplo delle proteine del secondo. I legumi producono una quantità di proteine dieci volte superiore e i vegetali ricchi di foglie 15 volte superiore, per ogni acro, rispetto a quelle che si ricavano dall'allevamento del bestiame.
    Negli Stati Uniti, l'industria zootecnica usa l'equivalente di un gallone di benzina per produrre mezzo chilo di carne di manzo allevato con cereali.
    Per far fronte alla richiesta annuale di carne di una famiglia media di quattro persone - pari a circa 120 chili - occorrono più di 260 galloni di carburanti fossili. Quando questi vengono consumati, emettono oltre 2,5 tonnellate di anidride carbonica addizionale nell'atmosfera: una quantità pari a quella emessa da un'auto media in sei mesi di normale funzionamento.

    Ovviamente, la risposta immediata a un sia pur timido invito a ridurre la carne nella dieta è che gli esseri umani sono carnivori e hanno bisogno di questo alimento per conservarsi in buona salute.
    Ma non è così. Noi siamo infatti onnivori e come i nostri più stretti parenti, gli scimpanzè, ci siamo evoluti biologicamente mangiando soprattutto frutta fresca e verdure e solo occasionalmente carne. Sebbene questa abbia fatto parte tradizionalmente della nostra dieta, fino al XX secolo era più un condimento che un alimento base. Ma le proteine addizionali che la carne contiene sono davvero necessarie per la nostra salute?
    Di fatto, l'americano medio già consuma molte più proteine di quante l'organismo sia in grado di assorbire. Una dieta bilanciata, basata su vegetali può fornire facilmente tutte quelle proteine di cui abbiamo bisogno per restare sani.

    Le implicazioni del rapporto della Fao sono chiare. Stabilito che l'allevamento del bestiame è responsabile dell'effetto serra assai più dei trasporti, perchè allora i mass media e i governi non lanciano campagne per ridurre il nostro super consumo di carne come già si sta cercando di ridurre la nostra tendenza all'uso di automobili che sperperano benzina?
    traduzione di Mario Baccianini
    Fonte: L'espresso

  2. #2
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    Predefinito

    Sono due miliardi gli uomini che soffrono la fame.
    Il numero potrebbe decrescere ma, come al solito,
    l'interesse dei pochi (potenti) prevale sul destino dei molti (fragili)


    Il racket dell’Hamburger
    Il grano c'è.
    E potrebbe bastare alle popolazioni denutrite.
    Ma il 36 per cento della produzione mondiale
    serve solo all'allevamento del bestiame

    di Jeremy Rifkin
    traduzione di Rosalba Fruscalzo
    (L’Espresso n. 24 - 13/6/2002)

    I ministri dell'agricoltura di varie parti del mondo si riuniranno a Roma in occasione del World Food Summit, il vertice mondiale sull'alimentazione. Sponsorizzato dalla Fao (Food and Agricultural Organization), il vertice affronterà una questione critica: sfamare la crescente popolazione mondiale nel corso del ventunesimo secolo. [la riunione si è svolta a Roma tra il 10 e il 13 giugno 2002 ndr] Si prevedono centinaia di discorsi, incontri e seminari su come creare un approccio di sviluppo sostenibile e su come sfamare circa un miliardo di esseri umani che sono al momento denutriti. Ma più interessante dell'ordine del giorno sarà certamente il menù. Sia in occasione delle cene ufficiali che degli incontri delle Organizzazioni non governative c'è infatti da aspettarsi un consumo di grandi quantità di carne bovina e non. E qui resta la contraddizione e la sfida che i delegati - e tutti noi - ci troveremo a dover fronteggiare quando si tratterà di affrontare la questione dell'alimentazione dei nostri simili.

    Il fatto è che centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all'alimentazione umana. I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame.
    Negli ultimi cinquant'anni la nostra società globale ha costruito a livello mondiale una scala di proteine artificiali sul cui gradino più alto ha collocato la carne bovina e quella di altri animali nutriti a foraggio. Oggi i popoli ricchi, specie in Europa, Nord America e Giappone, se ne stanno appollaiati in cima a questa catena alimentare divorando il patrimonio dell'intero pianeta. Il passaggio avvenuto nel mondo agricolo dalla coltivazione di cereali per l'alimentazione umana a quella di foraggio per l'allevamento degli animali rappresenta una nuova forma di umana malvagità, le cui conseguenze potrebbero essere di gran lunga maggiori e ben più durature di qualunque sbaglio commesso in passato dall'uomo contro i suoi simili.

    Oggi, oltre il 70 per cento del grano prodotto negli Stati Uniti è destinato all'allevamento del bestiame, in gran parte bovino. Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti. Sperperano energia e sono da molti considerati le "Cadillac" delle fattorie animali. Per far ingrassare di circa mezzo chilo un manzo da allevamento, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata. Questo significa che solo l'11 per cento di foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo; il resto viene bruciato come energia nel processo di conversione, oppure assimilato per mantenere le normali funzioni corporee, oppure assorbito da parti del corpo che non sono commestibili, ad esempio la pelle o le ossa.


    Quando un manzo di allevamento sarà pronto per il macello, avrà consumato 1.223 chili di grano e peserà approssimativamente 475 chilogrammi. Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall'uomo, sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l'americano medio consuma in un anno. I bovini e il resto del bestiame stanno divorando gran parte della produzione di grano del pianeta. È necessario sottolineare che si tratta di un nuovo fenomeno agricolo, del tutto diverso da quanto sperimentato prima d'ora. Ironicamente, la transizione dal foraggio al mangime è avvenuta senza troppe polemiche, nonostante si tratti di un fatto che ha avuto, nella politica di utilizzo del territorio e di distribuzione alimentare, un impatto maggiore di qualunque altro singolo fattore.

    In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla richiesta di carne proveniente dai paesi ricchi. Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell'agricoltura, negli Stati Uniti e in Europa, due terzi dell'aumento di produzione di grano sono stati destinati alla fornitura di cereali d'allevamento per lo più bovino. Nei paesi in via di sviluppo, la questione della riforma agricola ha periodicamente chiamato a raccolta intere popolazioni di agricoltori, nonché generato sommosse politiche populiste. Tuttavia, mentre le questioni della proprietà e del controllo della terra sono sempre state temi di grande rilevanza, il problema di come la terra venisse utilizzata ha sempre suscitato meno interesse nell'ambito del dialogo politico. Eppure, è stata la decisione più iniqua della storia quella di usare la terra per creare una catena alimentare artificiale che ha portato alla miseria centinaia di milioni di esseri umani nel mondo. È importante tenere a mente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di terra destinato all'allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto.

    Le grandi multinazionali che producono semi e prodotti chimici per l'agricoltura, allevano bestiame e controllano i mattatoi e i canali di marketing e distribuzione della carne, hanno tutto l'interesse di pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a cereali. La pubblicità e le campagne di vendita destinate ai paesi in via di sviluppo equiparano ed associano all'allevamento di bovini nutriti a foraggio il prestigio di quel dato paese. Salire la scala delle proteine è diventato un simbolo di successo che assicura l'entrata in un club elitario di produttori che sono in cima alla catena alimentare mondiale. Il periodico americano "Farm Journal" riflette con queste parole i pregiudizi della comunità agro-industriale: «Incrementare e diversificare le forniture di carne sembra essere il primo passo di ogni paese in via di sviluppo. Iniziano tutti con l'allevamento di polli e con l'installazione di attrezzature per la produzione delle uova: è il modo più veloce ed economico che permette di produrre proteine non vegetali. Poi, quando le loro economie lo permettono, salgono "la scala delle proteine" e spostano la loro produzione verso carne suina, latte, latticini, manzo nutrito al pascolo. Per poi arrivare, in alcuni casi, al manzo allevato con grano raffinato».

    Incoraggiare altri paesi a salire la scala delle proteine promuove gli interessi degli agricoltori americani e delle società agro-industriali. Molti americani saranno sorpresi di sapere che due terzi di tutto il grano esportato dagli Stati Uniti verso altri paesi è destinato all'allevamento del bestiame più che a soddisfare il fabbisogno di cibo dei popoli.

    Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato a salire la scala delle proteine all'apice del boom agricolo, quando la tecnologia della "rivoluzione verde" produceva grano in eccesso. Nel 1971 la Fao suggerì di passare al grano grezzo che poteva essere consumato più facilmente dal bestiame. Il governo americano incoraggiò ulteriormente i suoi programmi di aiuti all'estero, collegando gli aiuti alimentari allo sviluppo sul mercato dei cereali foraggieri. Società come la Ralston Purina e la Cargill hanno ricevuto finanziamenti governativi a basso tasso di interesse per la gestione di aziende avicole e l'uso di cereali foraggeri nei paesi in via di sviluppo, iniziando queste nazioni al viaggio che le avrebbe condotte verso la scala delle proteine. Molte nazioni hanno seguito il consiglio della Fao e si sono sforzate di rimanere in cima a questa scala anche dopo che gli eccessi della "rivoluzione verde" erano svaniti. Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne si è quintuplicata.

    Il passaggio dal cibo al mangime continua velocemente in molti paesi in modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che muoiono di fame. Le conseguenze di queste trasformazioni - e il significato che hanno per l'uomo - sono state drammaticamente dimostrate da quanto accaduto in Etiopia nel 1984, quando migliaia di persone sono morte di fame. L'opinione pubblica non era al corrente del fatto che in quel momento l'Etiopia stesse utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da esportare nel Regno Unito e in altri paesi europei come cereali foraggieri destinati alla zootecnia. Al momento sono milioni gli acri di terra che nel Terzo mondo vengono utilizzati esclusivamente per la produzione di mangime destinato all'allevamento del bestiame europeo.

    Purtroppo, l'80 per cento dei bambini che nel mondo soffrono la fame vive in paesi che di fatto generano un surplus alimentare che viene però per lo più prodotto sotto forma di mangime animale e che di conseguenza viene utilizzato solo da consumatori benestanti. Al momento, uno sconcertante 36 per cento della produzione mondiale di grano è consacrato all'allevamento del bestiame. Nelle aree in via di sviluppo, dal 1950 ad oggi, la quota-parte di grano destinata alla zootecnia è triplicata ed ora supera il 21 per cento del totale di grano prodotto. In Cina, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è triplicata (dall'8 al 26 per cento). Nello stesso periodo, in Messico, la percentuale è cresciuta dal 5 al 45 per cento, in Egitto dal 3 al 31, ed in Thailandia dall'uno al 30 per cento.

    L'ironia dell'attuale sistema di produzione è che milioni di ricchi consumatori dei paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all'abbondanza di cibo - attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete - malattie provocate da un'eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali; mentre i poveri del Terzo mondo muoiono di malattie poiché viene loro negato l'accesso alla terra per la coltivazione di grano e cereali destinati all'uomo. Le statistiche parlano chiaro: sarebbero 300 mila gli americani che ogni anno muoiono prematuramente a causa di problemi di sovrappeso. Un numero destinato ad aumentare. Secondo gli esperti, nel giro di qualche anno, se continuano le attuali tendenze, sempre più americani moriranno prematuramente più per cause di obesità che per il fumo delle sigarette.

    Attualmente il 61 per cento degli americani adulti è in sovrappeso. Ma contrariamente a quanto si crede, gli americani non sono i soli ad essere grassi. In Europa, oltre la metà della popolazione adulta fra i 35 e i 65 anni ha un peso superiore al normale. Nel Regno Unito il 51 per cento della popolazione è in sovrappeso e in Germania si registra un eccedenza di peso nel 50 per cento degli individui. Anche nei paesi in via di sviluppo, fra le classi più abbienti della società, il numero degli obesi va velocemente crescendo. Il Who (World Health Organization) sostiene che la ragione principale di tutto ciò è "l'assunzione di cibi ad alto contenuto di grassi la predilezione dell' "hamburger life style". Secondo il Who, il 18 per cento della popolazione dell'intero globo è obesa, più o meno quante sono le persone denutrite. Mentre i consumatori dei paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali, nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l'anno muoiono di fame e di malattie collegate.

    Secondo le stime, la fame cronica contribuisce al 60 per cento delle morti infantili. Il consumo di grandi quantità di carne, specie quella di bovini nutriti a foraggio, è visto da molti come un diritto fondamentale e un modo di vita. La società dell'hamburger di cui fanno parte anche persone alla disperata ricerca di un pasto al giorno non viene mai sottoposta al giudizio della pubblica opinione. I consumatori di carne dei paesi più ricchi sono così lontani dal lato oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa sapere, in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni.

    Il punto è questo. Con molta probabilità al World Food Summit si parlerà molto di come incrementare la produzione alimentare. E senza dubbio le società biotecnologiche saranno lì a fare propaganda ai loro "super semi" geneticamente modificati. I paesi del G-7 e le Organizzazioni non governative parleranno della necessità di estendere gli aiuti alimentari. Gli stati del Sud del mondo parleranno di accordi più equi per il commercio globale e di come assicurare prezzi più alti per le proprie merci e i propri prodotti. Probabilmente si discuterà addirittura della necessità di una riforma agricola nei paesi poveri.
    Ma il tema assente dal panorama dei dibattiti sono le abitudini alimentari dei consumatori dei paesi ricchi che preferiscono mangiare prodotti animali pieni di grassi e altri cibi al top della catena alimentare globale, mentre i loro fratelli del Terzo mondo muoiono di fame perché gran parte del terreno agricolo viene utilizzato per la coltivazione di cereali destinati agli animali. Da troppo tempo ormai aspettiamo una discussione globale su come meglio promuovere una dieta vegetariana diversificata, ad alto contenuto di proteine e adatta all'intera umanità.

    Così quando i delegati ufficiali e quelli delle organizzazioni non governative termineranno gli incontri giornalieri previsti dal World Food Summit della Fao e si siederanno a tavola, la vera politica dell'alimentazione sarà seduta lì e sarà proprio di fronte ai loro occhi, nei loro piatti.

    Jeremy Rifkin

  3. #3
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    Predefinito

    Da www.consapevolezza.it


    "Ecocidio" di Jeremy Rifkin:
    il vero prezzo della carne

    a cura di Mandala

    "Ecocidio" è uno di quei libri che molte persone, anche le più attente ai problemi del mondo, non vorrebbero mai leggere, per non costringersi a prendere coscienza del vero prezzo che si paga per un'abitudine alla quale è difficile rinunciare: l'alimentazione carnivora. Come suggerisce il sottotitolo, "Ascesa e caduta della cultura della carne", l'autore, presidente della Foundation on Economic Trands di Washington, prende in esame le origini di questa malsana abitudine, il suo affermarsi nella maggior parte delle popolazioni e la sua prossima, inevitabile caduta.
    Jeremy Rifkin si sofferma in particolare su un aspetto inquietante della cultura della carne: la cosidetta "scala artificiale delle proteine", quella convinzione, indotta nella gente dai poteri economici interessati, per cui le proteine animali sarebbero insostituibili, perché più complete per la salute umana, rispetto alle proteine di origine vegetale. Scienziati, governi e multinazionali, sarebbero complici di questa pseudo-necessità indotta e, cosa assai grave, della distruzione delle risorse ambientali e della povertà di milioni di abitanti del nostro pianeta.

    L'alimentazione carnivora ha provocato ogni sorta di scempio. Danni irreparabili all'ambiente, distruzione di ecosistemi millenari, estinzione di animali, sfruttamento dei lavoratori, eccessi moralmente e socialmente scandalosi che significano privazione per altri uomini ed altri esseri viventi.
    La storia della "civiltà umana" è contraddistinta da una continua sequela di guerre, scatenate inizialmente dal più elementare bisogno alimentare, per passare poi alla più abominevole sete di potere e alla semplice e grossolana avidità. Se le popolazioni indoeuropee con le loro inarrestabili migrazioni hanno invaso l'Europa e parte dell'Asia, diffondendo ovunque il consumo della carne - inizialmente limitato al solo consumo rituale - e la considerazione del bestiame come vero e proprio capitale, la diffusione della pratica carnivora ha contribuito pesantemente a scatenare ogni sorta di conflitto, dalla piccola razzia di animali tra tribù, alla guerra di espansione per procurarsi nuovi pascoli per il bestiame.

    Tra queste ultime rientrano la scoperta dell'America e l'abominevole genocidio degli indiani autoctoni, condotto con la guerra e soprattutto con lo sterminio pianificato ed efficientissimo del bufalo, principale fonte di sostentamento dei pellerossa. Qual è il legame tra i due capitali fatti storici, che hanno mutato le sorti del mondo, e il consumo di carne? Un'alimentazione fortemente carnivora tra le popolazioni europee, richiedeva grandi quantità di spezie per conservare la carne macellata e per mascherare gli effetti della putrefazione, per questo le vie orientali delle spezie erano tanto battute e per questo nel corso del Quattrocento, a seguito dell'innalzamento dei prezzi delle spezie e dei conflitti con i turchi, le monarchie occidentali sovvenzionarono i viaggi degli avventurieri alla ricerca di nuove vie verso l'Oriente.
    Tra questi, il viaggio più clamoroso e più ricco di conseguenze, è stato certamente la traversata dell'Atlantico condotta da Cristoforo Colombo, sbarcato sulle coste del nuovo continente convinto di aver raggiunto le mitiche indie. Qui, la presenza della corona spagnola ha dato vita ad un nuovo eccidio vergognoso che dovrebbe pesare ancora sulla coscienza di tutti noi e sulle istituzioni che rappresentano la continuità con gli stessi poteri, ossia la corona spagnola e la Chiesa, quella santissima chiesa che per voce del "pio" Alessandro VI permise un simile scempio con vari documenti ufficiali, tra cui la bolla Inter Coetera , per la quale, secondo il diritto ecclesiastico allora vigente, tutto il pianeta apparteneva al Cristo e conseguentemente al suo vicario, il papa, il quale così poteva concederla in usufrutto ai sovrani di religione cattolica; una terra non posseduta da un sovrano cattolico veniva considerata "senza proprietario", anche se essa era rivendicata da un proprietario non-cattolico.
    Oltre alla decimazione degli indigeni, all'importazione di malattie letali e all'imposizione con la spada della cultura cristiana, i nuovi arrivati portarono con sé i bovini spagnoli e impiantarono numerosi allevamenti, che proliferarono grazie alla vegetazione lussureggiante e alle condizioni ambientali ideali.

    Il secondo punto, collegato al primo, vede lo sterminio degli indiani d'America condotto dagli eredi dei colonizzatori e dai nuovi arrivati europei, che si spostarono ad ovest anche per trasformare quelle immense terre abitate solo da bufali e indiani, in una sterminato pascolo per i loro bovini, da rivendere nel mercato statunitense e per esportare in Europa sotto forma di carne secca, pellame o, con l'avvento delle prime navi frigorifere, già attive dagli anni '60 dell'Ottocento, come carne per i consumatori europei, specie inglesi, per i quali non bastavano più le vaste brughiere irlandesi. Ecco quindi che il bufalo viene sterminato in una manciata d'anni e con lui la splendida cultura e gente indiana.
    Durante una seduta del parlamento texano, il generale Philips Sheridan affermò questa frase sconvolgente: Questi uomini (i cacciatori di bisonti)...per risolvere la tormentata questione degli indiani hanno fatto più di quanto sia riuscito a fare l'intero esercito negli ultimi trent'anni. Stanno distruggendo i viveri degli indiani; ed è un fatto noto che un esercito che perda la propria base di forniture è in condizioni di grave svantaggio. Dunque, non riconoscete loro nulla, se lo desiderate; ma, se ambite a una pace duratura, lasciate che uccidano, scuoino e vendano finché il bisonte sarà sterminato. Solo allora le vostre praterie potranno essere popolate di vacche e di esultanti cowboy, che seguiranno i cacciatori come seconda avanguardia di una civiltà più avanzata.
    L'arroganza di questa dichiarazione rende bene l'idea di quale fosse il ruolo dell'alimentazione carnivora degli europei e dei nuovi americani, nel genocidio degli Indiani, nell'estinzione del bufalo e nell'"ecocidio" del nuovo continente. L'ecocidio è stato completato dalla consuetudine, indotta dai gusti europei, di ingrassare i bovini con i cereali, in modo che la carne fosse venata di grasso. Così cominciò anche l'accaparramento delle terre per la produzione di cereali per alimentazione bovina: gli stessi cereali che potrebbero sfamare miliardi di abitanti del nostro pianeta.


    Jeremy Rifkin si concentra poi sulla nascita delle prime fabbriche-mattatoi negli Stati Uniti, le prime catene di montaggio della storia, nelle quali i lavoratori erano costretti a squartare le carcasse dei bovini a ritmi assurdi, tra l'odore fetido della morte, il sangue e gli urli strazianti degli animali. I lavoratori dei mattatoi erano costretti ad una vita alienante e moralmente avvilente, oltre che fisicamente insostenibile. Turni di lavoro interminabili, in un ambiente infernale, privo di luce e di aria, maneggiando coltellacci affilatissimi al ritmo inumano della catena (Ford si ispirò alle catene di montaggio dei mattatoi per la sua industria automobilistica), senza tutele sanitarie e con salari che permettevano a malapena la sopravvivenza. I lavoratori si ferivano spesso con i coltelli utilizzati per tagliare la carne e si infettavano delle malattie trasmesse dai bovini. La carne non era soggetta a controlli sanitari soddisfacenti e spesso venivano mescolati e tritati, insieme alla carne dei bovini, gli sputi dei lavoratori malati di tubercolosi e i topi che banchettavano sulle carcasse, nonché pezzi di bovini malati. Stiamo parlando dei primi decenni del '900.
    I lavoratori dei mattatoi tentarono di associarsi in sindacati, ma questi venivano ostacolati dagli allevatori e dalle aziende legate all'industria della carne, che intanto costruivano imperi finanziari che sopravvivono e prosperano tuttora. Non solo: gli scioperi erano assolutamente inefficaci, perché le aziende ricorrevano a "crumiri" immigrati dell'America Latina e dell'Asia, disposti a tutto per un tozzo di pane.
    Tutto questo mentre si lanciavano delle efficacissime campagne pubblicitarie e "informative", con la connivenza dei governi e delle istituzioni scientifiche e di controllo, per convincere la gente a mangiare carne bovina ingrassata a cereali.
    Da allora le condizioni igieniche della carne americana, non sono affatto migliorate. Gli enti federali preposti ai controlli veterinari sulle condizioni delle carcasse animali, sono stati ridotti ai minimi termini, grazie all'enorme potere del "cartello della carne": nei mattatoi si continuano a impacchettare per l'alimentazione umana, animali malati o giunti morti al mattatoio. La parola d'ordine nei mattatoi, infatti, è : "non fermare la catena di montaggio", ossia non fermare i guadagni. Sulla pelle della gente. E i lavoratori dei mattatoi, ancora in prevalenza immigrati, continuano ad essere la categoria maggiormente soggetta a incidenti sul lavoro e a malattie "professionali".

    Passiamo infine ad uno degli aspetti più assurdi e inaccettabili connessi all'alimentazione carnivora: l'impatto sull'ambiente e sulle popolazioni dei paesi in via di sviluppo. Lasciamo la parola allo stesso Jeremy Rifkin:
    "Dal 1960, più del 25% delle foreste dell'America centrale è stato abbattuto, per fare posto a pascoli per mandrie di bovini[...] Mentre i consumatori americani risparmiavano, in media, quasi un quarto di dollaro per ogni hamburger prodotto con carne importata dal Centroamerica, in quella regione il costo per l'ambiente era elevatissimo e il danno irreversibile[...]
    " La creazione di un vasto complesso bovino centro-americano ha arricchito una ristretta elite e impoverito la maggioranza dei piccoli agricoltori, diffondendo disagio sociale e dissenso politico; più della metà delle famiglie rurali del Centroamerica - 35 milioni di persone - non possiede terra, o non ne possiede a sufficienza per il proprio sostentamento, mentre l'aristocrazia terriera e le società multinazionali continuano ad appropriarsi di ogni ettaro disponibile, trasformandolo in pascolo[...]
    " Il processo di deforestazione, concentrazione della proprietà terriera e dislocazione delle popolazioni rurali locali che ha interessato tutta l'America Latina, aveva lo scopo di trasformare un intero continente in un pascolo al servizio della dieta carnea dei ricchi latinoamericani, europei, americani e giapponesi[...]
    " Fra il 1966 e il 1983, quasi 100.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica sono stati abbattuti in nome dello sviluppo economico. Il 38% della distruzione di foresta pluviale in quel periodo è attribuibile alla creazione di allevamenti bovini su larga scala. Oggi, nelle aree un tempo coperte dalla foresta amazzonica, pascolano milioni di capi di bestiame. Ma quella terra non è affatto adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo stato superficiale del suolo è estremamente sottile e fragile, e contiene scarso nutrimento. Dopo solo pochi anni di pascolo - in genere da tre a cinque - il suolo diventa sterile e gli allevatori devono abbattere un'altra sezione di foresta per spostarvi le mandrie" (affinché torni di nuovo fertile possono passare dai 200 ai 1000 anni!).

    Da notare che gran parte dei farmaci e dei medicamenti che utilizziamo tutti noi, vengono prelevati dalle numerosissime e preziosissime piante della foresta amazzonica.
    "Ciascuno di noi - afferma Rifkin - è in qualche misura, responsabile della perdita della foresta pluviale primordiale. Per esempio si stima che ogni hamburger ricavato da carni provenienti dal Centro e Sud America, comporti la distruzione di circa 75 chilogrammi di forme viventi".
    Tutto ciò ha anche un'altra conseguenza: la desertificazione, uno dei più gravi problemi attuali del nostro pianeta, che assume proporzioni enormi proprio in America e in Africa. Oggi più del 50% della superficie dell'Africa orientale è riservata al pascolo, quando l'uso dell'acqua e delle terre fertili per produrre cereali destinati agli uomini sarebbe la cosa più intelligente da fare. Eppure gli organismi internazionali, compresa la FAO, continuano a indirizzare l'Africa in questo senso e ad elargire fondi per incentivare l'allevamento. In questo modo l'Africa diventa una terra sempre più arida.
    "Ogni anno nel mondo fra 40 e 60 milioni di persone muoiono di fame o di patologie legate alla malnutrizione. Il pedaggio più severo viene pagato dai bambini. La malnutrizione affligge quasi il 40% dei bambini nati nei paesi in via di sviluppo[...]
    " Mentre milioni di adolescenti americani combattono contro il peso in eccesso, spendendo tempo, denaro ed energie emotive allo scopo di dimagrire, i bambini di altri paesi non possono crescere, minati nel corpo da un lento deperimento e da malattie parassitiche e opportunistiche, impediti nello sviluppo cerebrale dall'insufficienza di nutrimento"[...]
    "E' stata proprio la decisione di sfruttare la terra allo scopo di creare una catena alimentare artificiale - la più iniqua della storia - a gettare nella più nera miseria centinaia di milioni di persone sparse ai quattro angoli del globo"[...]
    Oggi il 70% dei cereali prodotti negli USA viene utilizzato per l'alimentazione animale. Sfortunatamente i bovini non sono "convertitori efficaci di energia": un bovino produce meno di 50 kg di proteine consumando più di 790 kg di proteine vegetali. Se questi fossero destinati direttamente all'alimentazione umana procurerebbero una ciotola di cibo per ogni essere umano per un anno intero. Invece vengono usati per assicurare carne ai più ricchi del pianeta che, come l'americano medio, consumano quotidianamente "il doppio delle proteine raccomandate dalla FAO: molto più di quanto il corpo possa assorbire" e per questo si ammalano. Chi muore di fame e chi muore per le patologie del benessere.

    Non solo: l'allevamento degli animali e la loro macellazione provocano danni ambientali incalcolabili, a causa dell'uso di pesticidi, concimi chimici e processo di lavorazione.
    "Oggi milioni di americani, europei e giapponesi consumano hamburger, arrosti e bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell'effetto che le loro abitudini alimentari hanno sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta. Ogni chilogrammo di carne bovina è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di una campo isterilito, di un fiume disseccato, del rilascio nell'atmosfera di milioni di tonnellate di anidride carbonica, monossido d'azoto e metano".
    Chiunque mangi carne ha il suo ruolo in tutto questo. Rifkin auspica, ed io con lui, che l'essere umano prenda coscienza dell'effetto delle sue azioni sul pianeta, soprattutto che sviluppi quella coscienza ecologica che è alla base di ogni comportamento sano ed equo. Un giorno qualcuno parlerà di noi come dei pazzi sanguinari, dei barbari senza pietà. Ricordiamoci che la vita sulla terra non si esaurisce con noi e che lo sviluppo della cultura e della coscienza non si limita alle nostre acquisizioni e convinzioni.

  4. #4
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