Se usciamo dai canoni tradizionali di misurazione del debito pubblico (che è uno stock), il quale tuttavia per convenzione viene rapportato al Pil (che è un flusso), e se utilizziamo grandezze di riferimento diverse e più rappresentative anche della situazione patrimoniale dei vari paesi, potremmo scoprire significative sorprese.

Si prenda, ad esempio, il caso dell'Italia e degli Stati Uniti e si rapporti il debito pubblico non al Pil, ma alla ricchezza netta delle famiglie (inclusi i beni reali come case e terreni), dunque a un altro stock.

In questo caso le fonti di riferimento sono la Fed e la Banca d'Italia.

I dati degli Stati Uniti comprendono, oltre alle famiglie anche le istituzioni non profit.
Inoltre, includono anche i beni di consumo durevoli (che è però possibile depurare).

Nel 1995 il rapporto debito pubblico/ricchezza netta delle famiglie era pari al 25,6% per l'Italia, tradizionale "pecora nera" del debito pubblico, e al 19,6% per gli Usa (senza beni durevoli).

Ma alla fine del primo semestre del 2009 tale rapporto si è completamente rovesciato: infatti, è sceso al 21,1% per l'Italia mentre è salito al 25% per gli Stati Uniti.

Che cosa è accaduto?

Semplicemente che i vari governi italiani che si sono sin qui succeduti a partire dagli anni 90, con personalità particolarmente attente ai problemi dei conti dello stato come Amato, Ciampi, Prodi e Tremonti, si sono costantemente adoperati per ridurre o perlomeno frenare il debito pubblico, mentre nel frattempo la ricchezza netta degli italiani cresceva a valori correnti senza brillare, ma con regolarità e su basi solide.

Per contro, nello stesso periodo la ricchezza netta delle famiglie americane sperimentava un forte incremento apparente, soprattutto nel 2002-2006 (+55,8% contro +28% dell'Italia), sulla spinta dei rialzi delle Borse e dei valori immobiliari.


Tale incremento però si è poi drammaticamente ridimensionato nel 2008 dopo lo scoppio della "bolla" (-20,4% rispetto al 2007, contro un modesto -1,9% dell'Italia).

Intanto, l'amministrazione americana ha dovuto cominciare a farsi carico dei problemi generati dall'indebitamento privato e dalla recessione che esso ha generato.

Sicché il debito pubblico federale (senza contare quello degli Stati, alcuni dei quali, come la California, sono in gravi difficoltà) è salito dagli 8,7 trilioni di dollari di fine 2007 a 11,5 trilioni nel primo semestre 2009 (+32%), mentre il debito pubblico italiano aumentava nello stesso periodo da 1.600 a 1.752 miliardi di euro (solo +9,4%).

Il risultato di tutta questa vicenda, che molti ancora faticano a comprendere, è un'autentica rivoluzione.

Infatti, nel 2008-2009 lo stock del debito pubblico degli Stati Uniti in rapporto allo stock di ricchezza delle famiglie ha superato abbondantemente quello dell'Italia, mentre il "flusso" del deficit pubblico americano in rapporto al Pil è stato nel 2009, secondo l'ultimo consensus dell'Economist, pari al 9,9%, cioè il doppio di quello italiano(5%).

Tutto ciò non deve farci indulgere a compiacimenti, perché i problemi dell'Italia sono tanti e ben noti.

Tuttavia, dovrebbe far riflettere di più su quanto sia stata "drogata" la crescita americana degli ultimi anni in rapporto alla nostra (che, quindi, non era poi così deludente).


16 FEBBRAIO 2010


Italia: peggio i conti o il paese? - Il Sole 24 ORE


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Per chi fosse interessato al tema consiglierei la lettura di quest'altro articolo:

Italia: peggio i conti o il paese? - Il Sole 24 ORE


Il tutto si potrebbe cosi' riassumere :


Nonostante il notevole indebitamento privato spagnolo e i guai della piccola Grecia, la vera potenziale crisi del debito non sta nell'Eurozona, ma nel mondo anglosassone, che ora non ha più soltanto un altissimo debito privato ma anche un debito pubblico in preoccupante espansione.

Sono i dati a dirlo.
Secondo la Banca di Francia il debito aggregato complessivo (famiglie, imprese non finanziarie e amministrazioni pubbliche) dell'Eurozona a giugno 2009 era pari al 214% del Pil, contro valori corrispondenti del 234% degli Stati Uniti e del 242% della Gran Bretagna.

Dunque, altro che scenario di fuga degli investitori internazionali dall'"euro debole" verso il porto sicuro dei titoli del Tesoro statunitense!

Per Niall Ferguson oggi «il debito pubblico americano è un porto sicuro quanto lo era Pearl Harbour nel 1941»

(Financial Times, 10 febbraio 2010).