Si può essere equidistanti (o equivicini)
quando si tratta di Israele e Palestina?


Paola Canarutto – Rete ECO (Rete degli Ebrei contro l'Occupazione), comitato esecutivo di EJJP (European Jews for a Just Peace)

Sono sconcertata dal vedere, su Riforma dello 8 dicembre, un testo di Fabbri, che, rispondendo all’articolo firmato da Di Passa, esorta a mantenersi in ‘equilibrio’ fra le parti, quando si tratta di Israele e di Palestina. Debbo dissentire da Fabbri. Per Lettera a una Professoressa, non s’ha da ‘far parti uguali fra disuguali’. E lì la questione era solo se occuparsi dell’apprendimento di un Pierino, figlio di un laureato, o dedicare le proprie energie a Gianni, figlio di un operaio seminanafabeta. Tanto più non possiamo ‘far parti uguali fra disuguali’ quando vi si contrappongono occupante e occupato, chi ha gli armamenti tecnologicamente più avanzati forniti dagli Stati Uniti generosissimi e chi solo Qassam fatti in casa, chi ha il divieto di transitare per le strade e chi può usufruire di autostrade, chi non può scavare un pozzo e chi si appropria dell’acqua altrui, chi ha le case distrutte, gli olivi divelti, i campi spianati dai bulldozer e chi si appropria di terreno d’altri per costruirvi colonie destinate solo a chi appartiene alla religione ‘giusta’....
Se fossimo equidistanti dovremmo opporci agli assassinii mirati – vere condanne a morte senza processo, dirette anche gli astanti - compiuti dai palestinesi (quanti morti ha fatto Israele a Gaza egli ultimi mesi?), ai bombardamenti di villaggi israeliani inermi da F16 palestinesi, alla costruzione di colonie palestinesi, per soli musulmani, su territorio israeliano, al divieto opposto dai palestinesi ai cristiani e agli ebrei di Israele di recarsi a Gerusalemme, alla costruzione di un Muro, per difendere i palestinesi dagli attacchi israeliani, su territorio dello stato ebraico....
È proprio questo lo status quaestionis? Se no, anche la nostra posizione dev’essere diversa.
Questo, in particolare, se si ha a cuore la sorta degli ebrei. Nel 1947, è stata dichiarata la creazione di uno stato ebraico per il senso di colpa occidentale, ma lo sterminio nazista è stato fatto pagare a palestinesi incolpevoli, che di lì a pochi mesi sarebbero stati cacciati da casa loro per far posto allo stato degli ebrei. La cacciata, giova ricordare, iniziò prima della guerra dichiarata dai Paesi arabi, il 15 maggio 1948: il massacro di Deir Yassin era stato compiuto 5 settimane prima, il 9 aprile. Negli anni successivi, lo stato di Israele confiscò le terre agli abitanti non ebrei, rese impossibile il ritorno a chi era fuggito, e, mentre negava la cittadinanza a chi era vissuto lì da secoli ed era stato costretto a fuggire, la attribuiva automaticamente a chi, nato in tutt’altra parte del mondo, dichiarava di avere un nonno ebreo. Queste leggi sono tuttora vigenti. In più, ora ai palestinesi cittadini israeliani è persino vietato convivere – in Israele o in territorio occupato - con il coniuge cisgiordano o della Striscia di Gaza.
Dal 1967, lo stato di Israele occupa territori non suoi: mentre rifiuta di dare la cittadinanza agli abitanti, per non annacquare la maggioranza ebraica, si appropria della terra su cui questi vivono. Ora, poichè hanno votato un partito che Israele non gradisce, Israele medesimo, in combutta con il resto del mondo ‘civile’, sequestra loro l’IVA e gli introiti doganali, mentre gli USA e l’Europa concedono aiuti solo ‘umanitari’, e con il contagocce. Questo dopo decenni in cui l’economia è stata costretta in stato di sottosviluppo perchè non facesse concorrenza all’occupante, dopo che le strade su cui ai palestinesi è concesso transitare sono divenute quasi impercorribili per le buche create dai carri armati e sono state interrotte da centinaia di posti di blocco (ora in Cisgiordania ve ne sono più di 500!), dopo che il Muro ha separato molti palestinesi dalla terra coltivata che fino a quel momento era stata la loro. Il risultato di tanta ‘civiltà’ è la fame. Non contenti di ciò, ora Israele ed i neocon USA fomentano la guerra civile: lo scopo è di favorire l’esodo dei palestinesi (se non se ne andranno ‘volontariamente’, ci penserà Lieberman a cacciarli con la forza). Per i dati del Dipartimento di Stato statunitense del 2005, infatti, non esiste più una maggioranza ebraica, dal mare al Giordano. Per evitare che gli occupati chiedano di votare per il Parlamento israeliano, e cioè per chi realmente fa le leggi che li riguardano, occorre rinchiuderli in ghetti non comunicanti (tre nella sola Cisgiordania, con l’esclusione di Gerusalemme e della valle del Giordano), da chiamare pomposamente ‘stato’. Ma, ad evitare ogni rischio, è meglio ancora liberarsi di quelli che sono della religione ‘sbagliata’: così ci si potrà appropriare definitivamente di Gerusalemme, definita ‘l’eterna capitale del popolo ebraico’, come pure delle falde idriche e delle zone più fertili della Cisgiordania (opportunamente denominate ‘Giudea e Samaria’).
Da tutto ciò non può che germogliare odio antiebraico: Israele si definisce lo stato degli ebrei, i gruppi ebraici con più risorse non condannano neppure le azioni israeliane più efferate, e l’odio di chi si identifica con i palestinesi cresce rigoglioso. Chi ha a cuore difendere gli ebrei, sostenga chi si oppone alla barbarie: la resistenza palestinese non diretta ai civili, i pacifisti israeliani, quei pochi gruppi in cui israeliani e palestinesi cooperano come pari, anziché come colonizzatori e colonizzati – e i gruppi ebraici per la pace e la giustizia.