Draghi al Forex
Dal Governatore linguaggio felpato, coraggio indiscutibile
di Gianfranco Polillo
Mario Draghi, nel suo intervento al Forex del Lingotto, ha dato corpo ai fantasmi che agitano da tempo la maggioranza di governo. In Italia, ha detto, il carico impositivo è eccessivo: penalizza famiglie ed imprese che assolvono al loro dovere fiscale.
L'intervento sulle pensioni è improcrastinabile, se si vuole garantire la sostenibilità del sistema. Ed infine le banche: devono ridurre i costi per la clientela e realizzare una governance più trasparente. Parole sante. Che confermano una posizione che il PRI sostiene da tempo. Gli ha risposto Vincenzo Visco, dichiarandosi d'accordo. Ed è questa la vera notizia. Perché i comportamenti del Governo sono andati finora in una direzione opposta, come dimostra l'ultima legge finanziaria. Resta, pertanto, un problema: capire se il vice ministro, folgorato sulla via di Damasco, ha cambiato idea o si tratti solo di una delle tante forme di trasformismo di cui è punteggiata la strada della politica italiana.
Il sospetto è d'obbligo. Negli anni del centro destra, Visco ha condotto una battaglia durissima contro l'ipotesi stessa di riduzione del prelievo fiscale. Lo ha fatto come deputato e responsabile del NENS, il centro studi che ha seguito, passo passo, l'attività del precedente governo, criticandone impietosamente i presunti errori. Quelle analisi si caratterizzavano soprattutto per il pessimismo. Le relative previsioni, sempre smentite dalle successive verifiche, indicavano costantemente un deficit di 1 o 2 punti di PIL superiore al reale. E quando i risultati effettivi ne dimostravano l'inconsistenza, la risposta era scontata. I conti erano truccati. Le tecniche della finanza creativa del ministro Tremonti ne occultavano la crisi reale. Seguendo questo schema di ragionamento si è impostata una legge finanziaria ridondante di imposte: l'esatto contrario di quanto auspicato dal Governatore.
Se Visco ha incassato le critiche con eleganza, non altrettanto ha potuto fare Romano Prodi. Mario Draghi non è stato tenero con il sistema bancario ed i suoi azionisti politici di riferimento. Forte dei rilievi comunitari, ha invitato le banche a ridurre il peso delle commissioni a carico dei risparmiatori. Il costo della tenuta di un conto corrente in Italia è eccessivo: 90 euro contro i 14 della media europea. Antonio Fazio la pensava diversamente. Plaudeva agli utili bancari e criticava la scarsa performance dell'industria.
Ma l'affondo più esplicito è avvenuto subito dopo. "I gruppi nati dalle concentrazioni – ha detto senza giri di parole – devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela, accelerando l'integrazione di strutture prime distinte" Devono cioè, aggiungiamo noi, occuparsi maggiormente del piano industriale.
Piuttosto che inseguire logiche di potere a metà strada tra l'impegno politico e quello finanziario. Evidente il riferimento alla fusione dell'anno, quella tra Banca Intesa e San Paolo ed all'attivismo di Bazoli, sponsor ufficiale del Presidente del Consiglio.
Non convince Draghi nemmeno il tentativo di innestare nella governance bancaria il modello dualistico, previsto nel nostro ordinamento, ma mutuato dall'esperienza tedesca. Esso tende a perpetuare l'esperienza delle "realtà bancarie preesistenti". Con il rischio di determinare una "non chiara distinzione dei ruoli e delle responsabilità, con pregiudizio per l'efficienza e la rapidità delle decisioni". Fosse solo questo. A monte di quelle scelte – lo dimostra la cronaca dei giorni della fusione – fu un complesso gioco di equilibri che vide coinvolti i principali leader del centro sinistra, in difesa dei propri rappresentanti nei vecchi consigli d'amministrazione. Ed è questo l'aspetto più sconcertante della vicenda. Draghi ne conosce i retroscena e le equivoche ambivalenze. Vi accenna, con coraggio, nel linguaggio felpato che si addice al suo alto compito istituzionale.
Roma, 5 febbraio 2007
tratto da http://www.pri.it