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    Una notizia orribile: è morto Stefano Chiarini

    CI MANCHERAI, STEFANO

    Attorno alle 18 di oggi è improvvisamente morto nella sua casa romana Stefano Chiarini, giornalista del quotidiano Il Manifesto. Se lo è portato via un infarto, non c'è stato niente da fare. Il Medio oriente era da sempre la sua passione, ed è stato l'unico giornalista italiano ad essere presente a Baghdad durante la prima Guerra del golfo, nel 1991 ed a tornarci anche in questi ultimi anni, sfidando la guerra e quegli squadroni della morte che hanno fatto pagare con la vita molti giornalisti troppo curiosi.
    Aveva da subito aderito al Forum Palestina, convinto della necessità di schierarsi apertamente e senza ambiguità dalla parte del popolo palestinese, informando sulla situazione in Medio Oriente dalle pagine del Manifesto e poi anche de la Rinascita, e dai microfoni di Radio Città Aperta e di altre emittenti libere.
    Ricordiamo con emozione la sua determinazione e il suo coraggio nel sostenere la causa palestinese e quella più in generale delle popolazioni arabe. Ricordiamo la sua accuratezza nel descrivere l'attualità mediorientale, sempre accompagnata da una riflessione e da una analisi preziosissime e originali in un panorama informativo dominato dal pregiudizio antislamico e filoisraeliano.
    Ricordiamo la sua disponibilità a partecipare a mille iniziative su e giù per l'Italia, il suo attivismo come promotore e animatore dell'annuale delegazione nei campi profughi palestinesi in Libano. Ka campagna "Per non dimenticare Sabra e Chatila" è diventato negli ultimi anni uno strumento importantissimo contro la rimozione delle responsabilità israeliane nel massacro della inerme popolazione palestinese nei campi di Sabra e Chatila. Stefano ci ha raccontato cos'è Hezbollah senza pregiudizi e con lungimiranza, da giornalista e da compagno, quando per tutti questa parola significava solo la vuota formula "Partito di Dio".
    Di Stefano vogliamo anche ricordare l'amicizia e la sensibilità di tutti i popoli oppressi e sfruttati: ricordiamo il suo lavoro di approfondimento sulla lotta del popolo irlandese, tra le altre cose.
    Ci mancherai Stefano, ci mancheranno i tuoi articoli, ci mancherà la tua voce tranquillizzante, il tuo lavoro di inestimabile valore.

    La redazione di Radio Città Aperta

    -------------------------

    Una notizia orribile. E' morto Stefano Chiarini

    Cari compagni, dobbiamo darvi una notizia orribile. Questo pomeriggio è morto Stefano Chiarini, uno dei fondatori dell'esperienza del Forum Palestina.
    Abbiamo potuto scambiare solo qualche parola con la moglie e non sappiamo dirvi altro. Stefano era a casa in questi giorni perchè aveva un problema ad una gamba. Ci eravamo sentiti giovedi per scambiare qualche idea sulle cose da fare e oggi dovevano risentirci per dividerci il lavoro. Siamo rimasti impietriti.
    Appena sapremo qualcosa di più cercheremo di farvelo sapere. Sappiamo solo che è una grande perdita per tutti noi, per la lotta del popolo palestinese e per la libertà di informazione.


    I compagni del Forum Palestina

    -------------------------

    Che dire di fronte ad una morte del genere? Niente. Preferisco il rispetto ed il silenzio. Addio Stefano, mancherai a tutti!

  2. #2
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    Nessuna parola sui quotidiani né nei telegiornali... Un sistema d'informazione che si rispetti ne avrebbe dovuto tenere conto... Ignobile

  3. #3
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    Il silenzio dei mezzi di informazione diventa un motivo in più per rendere omaggio alla memoria del compagno Chiarini.
    Il mio personale saluto a pugno chiuso.

    A luta continua

  4. #4
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  5. #5
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    LETTERA FPLP

    Alla famiglia di Stefano Chiarini

    Ai suoi amici e compagni

    Ai membri del Comitato (Per non dimenticare Sabra e Chatila)

    Vogliamo essere vicini a Voi e vicino a Stefano che ha vissuto nelle viuzze dei campi profughi palestinesi e nel campo di Chatila e per tutta la
    dimensione della causa palestinese.

    Stefano non era un testimone ma ha messo la penna di fronte ai proiettili, contro la morte e per tenere viva la memoria dei nostri caduti contro il dimenticatoio ed il silenzio.

    Abbiamo conosciuto Stefano che è stato sempre vicino a noi, nei momenti di grande paura anche di disperazione ma soprattutto nella nostra lunga attesa di incontrare un sogno in comune che è la libertà. Stefano è un italiano con
    un cuore palestinese, ha combattuto sul fronte della memoria per non dimenticare il genocidio, la patria e la resistenza.

    Alla sua famiglia vogliamo dire che Stefano ha voluto appartenere ad una grande famiglia che è l'umanità ed ha avuto un'identità che è la coscienza che non muore mai e noi saremo la continuazione dello spirito col quale lavorava Stefano, per non dimenticare chi non ha dimenticato i nostri
    caduti.

    Stefano,tu rimarrai vivo nella nostra memoria per sempre.

    Permettici si salutarti come facciamo con tutti i nostri cari avvolgendoti con una kefia che per noi è il simbolo di orgoglio e dignità per tutti gli uomini come te che hanno lottato per un'umanità libera e giusta.

    Tu hai sempre avuto un grande cuore, hai voluto abbandonarci presto, soprattutto in un momento in cui abbiamo molto bisogno di te perché la nostra strada è lunga. Sarai sempre con noi il 27 settembre di ogni anno, diremo a tutti che tu sei presente, che tu sei un fiore nel cuore di tutti i
    palestinesi.

    Stefano ci hai insegnato una lezione che non dimenticheremo e che trasmetteremo alle future generazioni: quando i cuori sono grandi come il tuo, scompaiono le frontiere e si costruiscono i ponti per mano di uomini semplici come te perché in fondo noi siamo fatti di valori e posizioni
    coraggiose come le tue.

    Ti salutiamo e ti promettiamo di continuare sulla tua strada per sconfiggere i nemici dell'umanità e per realizzare la nostra libertà.

    A te la gloria e alla nostra causa la vittoria.

    Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
    I figli dei campi profughi nel Libano

    04 febbraio 2007 - Beirut

  6. #6
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    Sui media 'convenzionali', 'di massa', ho notato solo una fugace nota (di quelle a rotazione sotto il mezzobusto) del tgla7: 'Cultura: morto il giornalista Stefano Chiarini'.

    Nient'altro.

    Ci mancherà. Indubbiamente.

    I mass media, purtroppo, hanno un enorme potere: quello di decidere chi è degno di essere ricordato e chi no. Creano le icone.

  7. #7
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    Hai ragione. Per questo dobbiamo usare tutti i mezzi mediatici a nostra disposizione per non far passare sotto silenzio una dipartita così lacerante come quella del compagno Stefano Chiarini.

    Un pugno alzato per ricordare l'impegno di una vita.

  8. #8
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    Come Coordinamento di lotta per la Palestina esprimiamo il nostro profondo dolore per l'improvvisa scomparsa di Stefano Chiarini, compagno nelle lotte a fianco dei popoli arabi e giornalista scomodo a tutti quei pennivendoli e a quei media con l'elmetto capaci solo di riprodurre la propaganda bellica dei governi guerrafondai e quindi di amplificare l'islamofobia e una immagine distorta del mondo arabo e per noi tanto più prezioso, tra i pochissimi a dare una corretta e puntuale informazione della realtà palestinese, irachena, libanese, chiarendo sempre chi sono gli aggressori e chi gli aggrediti.

    Nostro compito è quello di continuare e intensificare il lavoro di controinformazione e mobilitazione a fianco dei popoli e delle resistenze arabe, anche per continuare il lavoro di Stefano.

    Coordinamento di lotta per la Palestina - Milano

    (4 febbraio 2007)

  9. #9
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    Ciao Stefano

    Esperto come pochi di Medio Oriente, sempre in prima fila sulla questione palestinese, sotto le bombe della prima guerra del Golfo. Un uomo appassionato e gioviale che ha trascorso venticinque anni nella redazione de "il manifesto"


    La notizia come uno sparo: Stefano Chiarini è morto d'improvviso, colpito da infarto. Sabato sera c'è stato l'incredulo e terribile passaparola tra amici e compagni che si frequentano ormai poco ma sono legati da un filo invisibile che è generazionale, politico, affettivo.
    Stefano era a casa, con la moglie Elena e i suoi due figli. Stava lavorando a un articolo per "il manifesto", il giornale dove ha passato oltre venticinque anni. Nell'ultimo periodo aveva dei problemi di circolazione alle gambe. Pochi anni fa aveva sconfitto una fastidiosa malattia agli occhi che lo costrinse a indossare degli antiestetici occhiali anti-luce. Quei disturbi sono stati i segnali premonitori che qualcosa non funzionava nella pressione e nel suo cuore generoso, sempre disposto - come ha scritto bene Maurizio Matteuzzi sul "manifesto" di domenica - a buttarsi con ostinazione nelle "cause perse", che poi sono quelle dei popoli dimenticati del Terzo mondo.
    Con Stefano va via un pezzo di seconda generazione del giornale e dell'impresa politica che abita ancora in via Tomacelli 146. Molte individualità, accanto alla speranza comune di cambiare l'Italia e pure il mondo, si sono incrociate per anni prima al quinto e poi al terzo piano di quello stabile dall'architettura mussoliniana nel centro di Roma. Qualcuno, come Stefano, vi ha trascorso metà della sua esistenza, consumando prima la giovinezza e subito dopo la maturità di marito, padre e inviato nei punti caldi delle guerre e dei conflitti mediorientali.

    Ricordo quella sera di gennaio 1991, quando al telefono dei capiredattori arrivò la sua chiamata da Baghdad. Aveva voluto restare sotto le bombe della prima guerra del Golfo, unico giornalista insieme a Peter Arnett della Cnn. L'attacco dell'aviazione statunitense era imminente, lui stava per recarsi nel rifugio antiaereo dopo aver dettato l'articolo di giornata. Nei giorni precedenti non si era lasciato convincere ad abbandonare l'Iraq che prendeva fuoco. Stefano era così: inutile cercare di fargli cambiare idea, se era convinto della sua.
    L'ho conosciuto nei primi anni Settanta all'università, dove si era iscritto alla facoltà di medicina dopo aver frequentato il Liceo Giulio Cesare di Corso Trieste dove aveva imparato a difendersi dagli attacchi dei fascisti pur non avendo il fisico del culturista. Quell'apprendistato gli permetteva di essere sempre nelle prime file dei cortei e del servizio d'ordine del "manifesto". Una volta le ha prese così tante dalla polizia che fu ricoverato al Policlinico, diventando per i più fifoni di noi un piccolo eroe da guardare con rispetto. La sua zona di impegno politico era la Tiburtina, Ponte Mammolo, dove militava nei collettivi operai-studenti che si occupavano di salute in fabbrica.

    Stefano è sempre stato radicale e inflessibile nelle sue convinzioni. Era un lato del suo carattere, che forse trovava radici nella formazione cattolica giovanile: se si crede in Dio e poi in qualcos'altro, bisogna farlo davvero e fino in fondo. Amava la polemica e la provocazione. In uno dei primi cortei femministi e separatisti non aveva scelto, come la maggioranza di noi, di restare ai margini. Alzando la voce, aveva detto chiaro e tondo ad alcune compagne che sfilavano a Largo Argentina che la loro scelta era sbagliata perché il movimento in cui eravamo tutti impegnati doveva restare uno e indivisibile.
    Il caso ha poi voluto che andassi a vivere per qualche tempo in un appartamento dove c'era una sua ex fidanzata, con la quale aveva mantenuto un rapporto di amicizia e di scambio. La frequentazione era perciò diventata meno casuale delle riunioni che "il manifesto", gruppo politico romano, teneva nella sede di via Monterone. Ho iniziato allora a cogliere i lati più nascosti del suo carattere: la generosità, l'abnegazione, la disponibilità all'amicizia e finanche la timidezza.
    Gli anni del primo riflusso della marea sessantottina lo hanno condotto a Londra con la voglia d'imparare perfettamente l'inglese. Lì ha iniziato a occuparsi del conflitto che dilaniava l'Irlanda del nord. Le sue cronache per "il manifesto" erano intrise di passione e di dovizia di particolari storici, non solo di attualità. E' nato in quel periodo, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta, il cronista Chiarini: un giornalista schierato, dotto nelle materie che seguiva, convinto che il giornalismo era una delle modalità con le quali continuare a fare politica raccontando episodi, storie e lotte che si svolgevano in terre distanti dalla nostra. In Italia erano in pochi a conoscere al pari di Stefano la storia e la contemporaneità dei paesi del Medio Oriente, oltre alle radici e all'attualità della "questione palestinese".

    Quando ci siamo ritrovati a via Tomacelli, la comunicazione - assieme alle polemiche - sono riprese dal punto dove le avevamo lasciate (lui sempre troppo di sinistra ai miei occhi, io sempre troppo moderato ai suoi). Ci univa, al di là delle differenze, ciò che insieme avevamo vissuto a metà degli anni Settanta e che poi ci avrebbe portato a collaborare più strettamente sia nel giornale sia nell'ideare un volume dedicato a Cuba della sua casa editrice, raffinata nella grafica e nella scelta dei titoli, Gamberetti .
    Negli ultimi anni leggevo da lontano le sue cronache e seguivo con distacco i suoi percorsi politici in cui però, perfino nella scelta di candidarsi nelle liste dei Comunisti italiani alle ultime elezioni del 2006, scorgevo la stessa coerenza e generosità di gioventù. Quando capitava di incontrarci, il parlottare riprendeva fitto come se non avesse subito interruzioni. Proprio come accade a quanti sono uniti dal filo invisibile degli anni Settanta, che è insieme generazionale, politico e affettivo.
    In questo momento in cui qualcosa della passata gioventù si spezza irrimediabilmente, mi piace ricordare l'ironia e il sorriso sornione di Stefano insieme a quella borsa - un archivio ambulante - da cui non si separava mai e che conteneva fotocopie, ritagli e materiali che lui solo sapeva decifrare e ordinare.
    Chiarini ha vissuto intensamente i suoi appena 55 anni. Era amato per la sua umanità e molto apprezzato per il suo lavoro giornalistico. Questa consapevolezza non addolcisce il dolore di quanti lo hanno conosciuto e ora devono arrendersi all'idea di non rivederlo più.

    Aldo Garzia, 05 febbraio 2007

    http://www.aprileonline.info/1624/st...so-e-militante

  10. #10
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    Un bacio, collega compagno. Abbiamo battuto le stesse terre, abbiamo frequentato le stesse facce, le stesse voci, abbiamo percorso gli stessi marciapiedi sfasciati da embarghi e bombe, ci siamo incisi dentro gli stessi bimbetti squarciati, abbiamo nuotato nello stesso sangue, abbiamo gridato sul muso agli stessi delinquenti, abbiamo smerdato gli stessi ignavi, abbiamo detto e scritto cose impertinenti e gravissime, abbiamo stracciato tante cortine di bugie, quasi da soli… Ma tu eri sempre un passo avanti. Sapevi il nome di quel vicolo di Basra, avevi sulla punta delle dita tutti i quartieri di Beirut, conoscevi le cento confessioni e sottoconfessioni, i grandi e i miseri e i testi di cinquemila anni di imperi e migrazioni sotto i palmeti. Con un sorriso ti confondevi tra martiri, eroi e testimoni, con un ghigno inoppugnabile stendevi cialtroni e fasulli. Eri di casa dappertutto e c’era chi ti detestava e chi ti adorava, a te appeso come alla scheggia strappata al muro dei silenzi o degli inganni. Nessuno ti poteva ignorare.
    Hai presente quell’alza bandiera su Iwo Jima. Era una finta. Noi abbiamo presente un’alzabandiera che non c’è, ma vero: quello delle bandiere degli arabi perduti e redivivi, dunque dei popoli dl mondo, che tu continuavi ad innalzare da palchi e nelle piazze, in colonne di piombo e in marce di verità e di lotta. Oggi, mi devo guardare attorno, nella trincea siamo rimasti in pochi. Manca la tromba dell’assalto.

    Ma stai allegro, quelli che stavano con te oggi ti piangono, ma, se ti guardi attorno, li vedrai ancora tutti lì, a ricordarti, a riascoltarti, a cantarti, a portarti appresso in prima fila. Come il Che. Ti sembra un accostamento azzardato. Non lo è. Un bacio, compagno di strada e di trincea.

    Fulvio Grimaldi

 

 
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