Hamas uccide il capo 007 di Fatah. Almeno 25 morti e 220 feriti è il bilancio della tregua palestinese. Agguato agli inviati egiziani.
Gaza contro Gaza, tra roccaforti espugnate e omicidi mirati
Roma. Venticinque morti e 220 feriti, con tanto di assalto
(senza vittime) alla delegazione egiziana giunta a tentare la
mediazione. E’ il bilancio della “tregua” siglata quattro giorni
fa tra Hamas e Fatah a Gaza. Ieri è stato dichiarato un
nuovo cessate il fuoco, ma non ci sono le premesse politiche
perché possa resistere. La distanza strategica tra il presidente
dell’Anp, Abu Mazen, e il governo di Hamas è enorme
e i colloqui che si protraggono da mesi per formare un governo
di unità nazionale segnano il passo. La situazione a
Gaza è descritta dai corrispondenti con le tinte della guerra
urbana: strade deserte percorse soltanto da ambulanze che
si muovono tra sparatorie incrociate, donne e bambini barricati
in casa, famiglie che fanno incetta di armi.
Gli scontri di questi giorni segnalano un cambiamento alla
base della logica di “guerra civile a bassa intensità” che
sconvolge Gaza da due anni: si è passati dagli omicidi mirati
e dalle occupazioni “simboliche” delle sedi degli avversari
all’assedio e all’espugnazione delle più importanti roccaforti
sul territorio delle due fazioni. Basta l’elenco delle
armi trovate nell’Università islamica di Gaza per comprendere
che cosa questo significhi. Dopo aver espugnato l’ateneo
con duri combattimenti, i miliziani di Forza 17, fedeli ad
Abu Mazen, hanno dichiarato di avervi trovato 1.400 armi e
missili e di avervi arrestato sette “consiglieri militari” iraniani
mentre un ottavo avrebbe scelto “il martirio”. Il premier,
Ismail Haniye, ha smentito la notizia, ma intanto alcuni
miliziani di Abu Mazen hanno espugnato la sede del ministero
dell’Interno, nel rione Tel al Hawa, bastione strategico
dell’apparato militare di Hamas, perché dalla sua centrale
operativa il ministro Abdelkader Siam diramava gli ordini
per i novemila membri delle sue forze speciali, arruolati
nei mesi scorsi nonostante il divieto di Abu Mazen. Hamas
ha risposto attaccando l’Università al Quds, roccaforte
di al Fatah, e l’agenzia palestinese Maan sostiene che il campus
universitario era ieri pomeriggio in fiamme. Sempre Hamas,
dopo un assedio durato cinque ore, ha fatto saltare in
aria a Jebaliya la sede della emittente radio “La voce dei lavoratori”,
vicina ad al Fatah, e ha attaccato a colpi di mortaio
una base di addestramento del partito del rais, ferendo
una trentina di reclute. Intanto le varie emittenti radio dei
due contendenti hanno sospeso la trasmissione dell’inno nazionale
e l’hanno sostituito con canzoni che incitano al jihad
contro gli avversari palestinesi. Hamas e al Fatah hanno poi
continuato con l’attività di eliminazione dei dirigenti della
sicurezza dei due campi e ieri è stato ucciso il capo dell’intelligence
di al Fatah per la zona nord di Gaza. Una strategia
di omicidi mirati iniziata da Hamas nel settembre del
2005, con l’uccisione del cugino di Yasser Arafat, Moussa, già
capo dei servizi di sicurezza di Gaza. Dopo di lui sono stati
eliminati il 1° marzo 2006 Khaled Dahduh, comandante militare
delle Brigate al Quds del Jihad islamico; il 31 marzo
2006 Abu Youssef al Qoqa, comandante militare a Gaza dei
Crpc; il 20 maggio 2006 è stato ferito con una bomba nel suo
ascensore Tareq Abu Rajab, capo dell’intelligence dell’Anp
a Gaza e il 24 maggio 2006 è stato eliminato Nabil Hudud, capo
della sicurezza di Abu Mazen per il centro della Striscia.
Il 30 maggio 2006 è stato assassinato Samir Rantisi, popolare
giornalista, consigliere di Abed Rabbo, di al Fatah.
La neutralizzazione dei bastioni strategici indica quanto
siano fragili sia la tregua siglata ancora ieri pomeriggio sia i
colloqui alla Mecca che l’Arabia Saudita ha indetto per martedì
prossimo, cui parteciperanno Abu Mazen e Khaled Meshaal,
leader di Hamas in esilio a Damasco. In questo contesto
si sono aperti a Washington i colloqui del “Quartetto”
(Stati Uniti, Russia, Onu e Unione europea) per riportare in
vita la road map, con l’obiettivo dichiarato dal segretario di
stato, Condoleezza Rice, di definire subito il target finale –
confini e status del nuovo stato palestinese – mettendo in secondo
piano la definizione dei passi necessari a raggiungerlo.
E’ una forzatura che punta a dare una carta forte ad Abu
Mazen da giocare sul piano interno, ammesso che non esploda
una guerra civile a tutto campo.
Dal Foglio del sabato.
Cordiali Saluti